13 novembre, 2011

Passaggio


Passaggio: è il momento del cambiamento, il variare di stato, di condizione, di prospettiva. Come quando in una sinfonia si passa da una tonalità all’altra. Sentiremo altri suoni. Vedremo le stesse e altre cose in una scena cambiata e in un’atmosfera mutata. Ieri B. ha attraversato Piazza del Quirinale tra i fischi. I clacson hanno suonato a festa: “e da quel suon diresti che il cor si riconforta”. Ma non è una liberazione e non è ancora finita questa storia. Può esserci una bruttissima musica o una musica necessariamente molto seria. Al contempo, è stato rimosso un peso grandissimo, un impedimento che interrompeva ogni strada futura e che ci ha angosciato ogni giorno nel quotidiano dell’anima oltre che nelle relazioni sociali e nell’ecomomia reale. Nel passaggio della vicenda comune non è male ragionare ad alta voce. Con gli altri e più del solito. Ragionare e non aderire e semplificare. Cosa non facile, opera incerta. Con molti dubbi.

Giustino Fortunato
Un po’ la crisi mostra meglio le cose; le distilla.
La crisi politica nasce dall’economia oltre che dal logoramento della politica degli ultimi tempi. E’ il segno di una mancata autonomia e di una marcata incapacità della politica. La roba economica non è una macchinazione, non si tratta di un trucco.
Il capitale e i suoi cicli determinano le cose, spingono alle scelte, soprattutto nei passaggi più critici. La crisi della finanza oggi punisce l’Italia per il suo debito abnorme e per le sue debolezze specifiche e la grave stagnazione economica europea e italiana sono cose vere. Poi determina anche e accellera la vicenda politica. Ma non accettare il dato di fatto di dover dare risposte alla situazione economica con un nuovo assetto della politica, con un senso della straordinarietà della situazione vuole dire fingere di non capire la portata concreta delle cose, il peso del debito e i pericoli effettivi delle speculazioni, della concorrenza accanitissima, della forte recessione che è in atto.
Chi, a sinistra, fa questo errore e continua in giocarelli di bottega non vuole proprio capire; chi, poi, racconta che il default vero e proprio è cosa gestibile sottovaluta colpevolmente il fatto che il peggio davvero non è mai morto in questi casi.



Chi, a destra, pensa che sia una macchinazione contro Berlusconi è preda e artefice di una follia strumentale. E poi hanno voglia di dire i berluscones che si tratta di una trama dei cattivi vicini europei. Non è così. Infatti, pur con molti difetti, i nostri vicini sono stati più attenti al valore di sostegno alle produzioni e al lavoro, più competenti nel maneggiare la complessa macchina che mette insieme economia reale e finanza, più avvertiti sull’inasprirsi della concorrenza globale e – nel gestire la società - più rispettosi delle procedure della politica, più attenti a fare un welfare ragionevole, più attenti ai diritti enunciati e loro applicazione, più capaci di misurarsi coi problemi attentamente riconosciuti e con le possibili soluzioni. Non è vero che la Francia o la Germania sono uguali ma ben più serie e solide, non altrettanto strutturalmente deboli, molto meno furbesche, intrallazzine, sciatte, incompetenti. Poi, certo, fanno gli interessi loro.

Chi intende, poi, che a pagare questa situazione di grave crisi siano le parti più deboli della società (impiegati in quanto tali, meridionali, malati, handicappati) – che già la pagano da mesi e mesi – non capisce quanto male stiamo milioni di persone e quanto a rischio sia la coesione sociale.
La crisi è vera e trascina in un peggioramento possibile che graverà su tutti ma soprattutto sui più deboli. Non si può, perciò, non sostenere il tentativo di Mario Monti. E’ una scelta d’obbligo. E ci si deve augurare che la sua nota sobrietà – che è già fattore di sana discontinuità – si accompagni a un indirizzo da liberale serio, contrario ai privilegi e alla rendita, attento anche a una maggiore equità. E che assomigli un po’ , nelle condizioni odierne, a quel liberale realista e attento agli ultimi, che fu Giustino Fortunato. Lo dobbiamo sperare davvero. Anche se sappiamo che egli non è stato estraneo agli ambienti che hanno contribuito alla generazione di quel denaro che produce altro denaro che è stato all’origine dello tsunami. Anche se temiamo che nominerà troppi professori, maschi di una certa età, di ambienti e di mondi di un’Italia lontana dai mondi che in tanti frequentiamo. Poi, il sostenere Monti - e il sostenere le parti politiche che sottolineano questa necessità in modo più chiaro - non significa chiudere gli occhi, non valutare le tante cose che vivono in questo passaggio né tanto meno dimenticare che è tempo di difendere ancor più le parti più deboli di questo Paese: le donne, i poveri, i ragazzi, gli operai, il Sud.

La crisi parte dai modelli fallimentari della grande finanza. Ai quali nessuna parte delle classi dominanti, nostre e altrui, è stata estranea. E ha creato una situazione che piomba addosso a tutti ma che punisce proprio i più estranei a quella finanza speculativa e folle. Perché a perdere sono soprattutto le parti più distanti dal mondo che ha vissuto nel milieu delle banche e del denaro che produce altro denaro. Infatti ad avere pagato e a pagare sono stati e sono gli esclusi dalle ricchezze e dalle opportunità e anche, insieme, le forze produttive e quelle che intendono portare innovazione necessaria ad affrontare i problemi del mondo. Sono i poveri, i giovani senza protezioni, gli immigrati e le donne senza lavoro, i bambini nati nell’esclusione sociale. Sono gli operai. Sono pure gli imprenditori, spesso piccoli e piccolissimi, che pagano le tasse e provano a resistere nella tempesta. Sono gli insegnanti che ci tengono, gli operatori del sociale che fanno le cose e non le dichiarano solo, gli impiegati che mandano avanti i servizi, i funzionari preparati e onesti, i costruttori di idee, prodotti, network, mercati che guardano ai problemi e anche alle soluzioni del nostro tempo, rischiando, immettendo cambiamento, spesso in avverse condizioni e contro corrente e lontano dai privilegi della rendita e della speculazione finanziaria…
Queste forze oggi per lo più gioiscono per la caduta di B. Per ovvii motivi. Ma lo fanno insieme a parti larghissime della classe dirigente che lo hanno abbandonato dopo avere a lungo condiviso un campo comune. Perché? Perché B. ha certamente rappresentato la parte più estrema delle classi che detengono potere senza saper essere classe dirigente, il campione, parossistico di quella parte degli affari e delle posizioni di rendita che da noi sono ben più larghe che altrove. Che mantengono le proprie cose fuori da ogni condizione di concorrenza e dunque senza merito e che intendono rimanere tali. Questa specifica parte da noi ha avuto – con B. – esagerata rappresentanza politica. E ha assunto modi, stili, procedure che hanno svilito la politica e attaccato le istituzioni mentre hanno, attraverso le tv commerciale, contribuito a produrre una frana nella tenuta antropologica, educativa e nella coesione sociale indispensabile a ogni comunità, sdoganando maschilismo, razzismo, omofobia, vigliaccherie e volgarità diffuse.

Così B. e il berlusconismo hanno potuto più che altrove rappresentare l’insipienza distruttiva e nichilista di troppa gente sempre col “culo al coperto” in quanto perenni abitanti dei molti santuari dove pure se crolla tutto “chi se ne frega”. I santuari delle imprese costruite con le corruttele e le faccende dei faccendieri, la casta non solo dei partiti ma delle larghissime prebende pubbliche fuori controllo che ci sono state sempre ma che il berlusconismo ha moltiplicato. E alla quale ha aggiunto la massa dei mantenuti dal sistema dei media corrotti e delle pubblicità. E hanno accentuato una tendenza a saltare le procedure, a decidere altrove e alla sciatteria, al dichiarare senza saper fare, a essere “capaci di tutto e buoni a niente”.
La uscita di B. dal governo interrompe queste cose e va salutato per questo. Ma non è ancora una liberazione… Ed è anche un’estromissione da parte di altre parti di chi ha potere reale in Italia e che ha condiviso molta strada con B. Infatti B. e il berlusconismo sono stati e sono la parte estrema della tendenza generale che ci ha portato dentro la crisi – una tendenza a cui non sono stati estranei le altre parti dei nostri ceti dirigenti; ma che oggi queste altre parti abbandonano… Perché la gestione della crisi più grave dal Dopoguerra e il mantenimento di quei santuari su cui il berlusconismo ha fondato e ancora basa il suo consenso e i suoi apparati sono cose inconciliabili.
Così la parte estrema viene messa oggi in mora. Perché considerata rappresentativa di interessi residuali, protetti, poveri di prospettiva, inetta e incapace di promuovere un ri-ingresso nei mercati futuri. Perché reputata anche sregolata nella difesa del privilegio della sola rendita, particolarmente corporativa e anche legata a interessi impropri fino al riciclaggio, in certe aree del paese, a denaro dalle origini buie. Perché non giudicata in grado di gestire le complessità della crisi odierna. Perché giudicata lontana da una visione dell’Italia futura più cosmopolita e innervata di cultura della complessità. Perché parte di circuiti separati, potentati autonomi, contollo politico-affaristico, che veicola l’economia solo al sé medesimo. Perché, dunque, ritenuta incompetente nel difendere chi intende provare a rientrare nella concorrenza globale, riprendere a produrre merci, servizi, idee, e anche conoscenza, innovazione, formazione e possibile nuova coesione sociale.
Chi oggi molla il signor B. non è sempre stato innocente. Infatti quel modo di stare nella società è stato ed è ancora molto diffuso, ha “fatto scuola”, si è esteso. Non è un campo separato, lontano dai modi di tutta la classe dirigente italiana. Altrimenti non sarebbe stato e non sarebbe così diffuso e forte, tale da produrre non solo B. ma il berlusconismo. Finito B. non svanirà facilmente, dunque.
Ma ora questo modo è stato talmente incapace di muoversi entro una crisi più grande che ha trovato finalmente chi lo avversa, in Europa e in Italia. Resisterà però. A lungo. Creerà tensione. Vorrà mantenere controllo politico. E lo vediamo in queste ore.
C’è un altro tema, però. Questo esistere, distruggere ricchezza e poi resistere della parte peggiore dei ceti dirigenti, legati a B. e a questa destra non mostra solo la loro specifica e speciale natura. Costoro sono sintomi di se stessi, certamente. E come tali agiscono come particolare parte politica. Ma esprimono la fazione più estrema, virulenta, pericolosa di una debolezza più profonda. Infatti, sono il sintomo più acuto e più direttamente collegato a interessi protetti. Ma mostrano ancora una volta la debolezza strutturale di una parte troppo larga della borghesia italiana, “capace di tutto e buona a nulla”. Mostrano che esiste ancora il sovversivismo di una porzione di classe dirigente – molto più estesa che altrove – che è senza senso del bene comune, che si schiera senza scrupoli contro il bene comune. E’ una parte più ampia del diretto circuito politico del partito del Cavaliere. E’ una parte mai morta né superata in Italia. Sono coloro che fanno rivenire ancora alla mente il monito di Giustino Fortunato, del 1925, sulla fragilità della democrazia italiana: "L'Italia non è compatibile con un governo modernamente democratico e liberale". Sono quelli che ci ricordano le pagine di Antonio Gramsci sulla debolezza della borghesia, sulla sua incapacità di essere classe nazionale. La loro resistenza che tende anche a impedire una piena uscita di scena di B., che a sua volta è immerso nei propri demoni malati, ripropone la questione della natura delle classi dirigenti italiane.
Inoltre mostra la corrispondente debolezza della politica. E così evidenzia – anche - il perché del commissariamento Monti, l’ennesimo commissariamento che la politica è costretta a darsi. Spiega perché Napolitano – per poter salvare le cose – deve agire ai limiti estremi delle procedure. Spiega perché non avviene in Italia quel che accade altrove e cioè che quando viene a evidenziarsi il fallimento di un governo, è l’opposizione a essere il naturale candidato all’alternanza e non i commis esterni, i tecnocrati, i tecnici.
La fragilità evidentissima della politica è, sì, causata da questa politica e da questa destra. Ma investe le classi che guidano il paese, tutte intere.

2 commenti:

Pietro Spina ha detto...

Ciao Marco, leggo sempre con piacere quello che scrivi. Sono d'accordo con te su molte cose, ma sono anche molto preoccupato, forse più preoccupato di te, per questo commissariamento e per l'abdicazione della sinistra a svolgere un ruolo politico, il che, in questa fase, significa che il nostro Paese ha rinunciato alla politica. E la politica, per quello che ne so io, è l'unica arma che ha chi non ha il potere economico. Io non festeggio nulla oggi, perchè si festeggia quando si ottiene un risultato che ci fa stare meglio, essendo obiettivo della politica quello di creare migliori condizioni di vita. Paragonare le dimissioni di B. alla liberazione dal nazifascismo è un'aberrazione tale che potrebbe spiegarsi solo con la demenza se non fosse invece il risultato di linee politiche coscientemente perseguite da anni. Se è vero che B. che ha cavalcato la personalizzazione e la spettacolarizzazione della politica, è vero pure che l'antiberlusconismo militante ha talmente bisogno di questa personalizzazione che la pretende con rabbia. Le scene dell'altra sera mi hanno ricordato quello che giustamente diceva di noi Churcill, che facciamo le guerre come fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre. E mentre i Greci vanno in piazza prendendo posizione sulle ricette per uscire dalla crisi e in Spagna si preparano alle elezioni su questi temi, noi preferiamo fare finta di aver cacciato un Bhen Ali o un Gheddafi, facciamo finta di credere di aver cacciato un dittatore. Dopo aver fatto finta di credere che fossimo un paese non libero adesso facciamo finta di non accorgerci che abbiamo chiamato un commissario europeo,con un programma deciso altrove, a governarci non volendo assumerci la responsabilità di fare politica per decidere il nostro futuro.

Pietro Spina ha detto...

L'inadeguatezza di cui pure tu parli, caro marco, secondo me non riguarda solo quella parte "sporca" e parassitaria della borghesia italiana, ma anche "noi". anche una larga parte di borghesia (che forse è anch'essa parassitaria ma non si percepisce come tale) che è sempre stata antiberlusconista, ma vive anch'essa in santuari, magari più piccoli e con fumi d'incenso che fanno tanto "etnico", magari all'ombra di amministrazioni di sinistra, di potentati universitari, di giornali antiberlusca, di case editrici e cinematografiche, di "conventicole" (cito il grande Virzì) più o meno potenti ma comunque influenti. Questa parte forse non ha nulla a che fare con l'illegalità, ha comunque molto da perdere da una rifondazione radicale del modello attuale e, siccome non lo vuole ammettere, perchè contrasta con i valori che professa, preferisce disegnare l'uomo nero contro cui sbraitare.
Forse quello che dico è poco lucido, perché sono davvero avvelenato contro questa decadenza della sinistra italiana perchè essa mi priva della speranza che la politica possa migliorare le mie condizioni di vita. E tra l'altro, trovo davvero pericoloso l'accanimento contro il Berlusconi tramontante, poichè la storia insegna che l'umiliazione dei vinti non è mai una buona cosa per i vincitori. Quelli che fanno finta che B. sia stato un dittatore, dimenticano che egli ha tutt'ora una base di consenso (è il secondo partito, stando ai sondaggi) non irrilevante e ci sono tante persone che lo hanno sostenuto, che magari sono anche deluse, ma se continuiamo a chiamarle imbecilli e a farle passare per amiche del diavolo, invece che portarle dalla nostra parte, rafforziamo in loro velleità di rivincita. Credo che personaggi come Di Pietro o Scalfari abbiano questo come obiettivo politico, per perpetuare lo scontro manicheo e perpetuare se stessi. ma io spero che forze più importanti scendano in campo. Penso che una grande forza politica di sinistra debba porsi l'obiettivo di lanciare un programma politico a livello continentale, parlare ai popoli d'Europa e dire loro "questa crisi ci dice che dobbiamo cambiare il nostro modello di sviluppo, non possiamo uscirne massacrando i paesi più deboli, perchè dopo arriverà il turno anche di quelli più grandi e nessuno si salverà". Dobbiamo rilanciare l'idea di un governo federale europeo, intanto riprendendo, a livello europeo, il controllo politico della situazione: frenare il libero mercato, riprendere il controllo delle banche. Chiedere ad Obama, finchè c'è, di fare insieme un'operazione di ridefinizione delle regole per sottomettere la grande finanza al controllo politico, una nuova Bretton Woods, se volete.Poi, nel dettaglio, parliamo pure di patrimoniale e quello che dici tu mi pare ragionevole (tranne le primarie per legge). Ma senza una visione globale complessiva, non si può fare. Monti non lo può fare, perchè non ha consenso politico, è solo un notaio del potere economico e spero che non sia stato chiamato a fare l'esecutore testamentario.