Care e cari maestri e professori,
gli anni passati a insegnare in tre diversi continenti, ma in particolare gli ultimi tre, trascorsi in giro per l’Italia, osservando, ascoltando e confrontandomi con migliaia di colleghi di ogni ordine di scuole, scuole dell’agio e del disagio, scuole per chi a scuola non va più, licei, scuole di base e centri di formazione professionale, mi hanno consegnato una sorta di carta geografica, sicuramente approssimata per difetto, ma capace, credo, di descrivere il territorio della “scuola italiana”, dove si aggira, si impegna, si misura la figura del docente.
Un po’ come Caboto, credo che questa mia mappa, per quanto migliorabile, possa guidarmi nella nuova rotta che ho intrapreso come Sottosegretario all’istruzione.
Quando ci si ferma a parlare con le donne e gli uomini che “fanno la scuola”, tra le mille differenze e le tante somiglianze, nel cahier des doléances emerge spesso la voce profonda e affaticata di noi docenti: esausti per le tante, troppe cose che si pretendono da noi. Essere psicologi, sociologi, assistenti sociali, consulenti dei genitori. Edotti di organizzazione, di didattica, della disciplina e degli spazi tra discipline. Esperti del computer e dotati di capacità manageriali. Preparati nelle nostre materie, ma attenti al territorio. Una stanchezza che fa emergere la velata nostalgia per un tempo passato, in cui fare l’insegnante era più semplice, rassicurante, soddisfacente.
Quando la nostra professionalità si fondava sulla padronanza di contenuti disciplinari molto stabili e su alcune competenze pedagogiche; su certezza del tempo (l’ora) e dello spazio (l’aula).
E’ questa la crisi d’identità emersa di fronte ai cambiamenti e alle nuove incessanti richieste educative che ricadono sulla scuola pubblica. Un’instabilità accresciuta ed aggravata dalla sempre maggiore solitudine sociale degli insegnanti, dalla mancanza di un ruolo pubblicamente riconosciuto. E dal disprezzo di alcuni “soloni” che strombazzano contro di noi senza essere mai stati in classe. E’ questa la sofferenza del nostro lavoro, nel nostro tempo attuale. Tutto questo sento che un ministro, un sottosegretario, lo debbano ricordare. Innanzitutto per dire, ripetere “grazie” a chi fa questo lavoro. Che è bello, vario, prezioso e però poco riconosciuto e mal pagato.
Ma all’inizio di questo mio incarico e all’avvicinarsi del nuovo anno, mi sento di proporre a tutti noi anche un capovolgimento dell’ottica da cui osservare le trasformazioni.
La complessità sempre maggiore delle competenze e delle conoscenze, la necessità di ridefinire e forse allargare il ruolo svolto dall’istruzione e quindi dall’insegnamento, non segnano la decadenza della nostra professione, ma la sua rigenerazione, la sua inevitabile evoluzione.
Le difficoltà che ci investono, indicano dove siamo arrivati e dove dobbiamo andare. Ed è proprio sulla rivendicazione della complessità del mestiere di insegnare che dobbiamo basare la nostra richiesta di riconoscimento sociale, e non su una malinconica nostalgia del tempo passato.
La complessità su cui dobbiamo fondarci non è tanto quella di una scuola sempre più stretta tra le complicazioni organizzative e gestionali, tra nuove materie e curricula sempre più articolati. E’ la complessità delle fasi evolutive dell’infanzia e dell’adolescenza che ci troviamo davanti, la complessità crescente del sapere che ormai sfugge ai classici confini disciplinari, la complessità dei nuovi linguaggi e delle nuove domande sociali, la difficoltà nel riconoscere sempre negli studenti la capacità di trasmetterci a loro volta saperi ed esperienze.
Tutta questa complessità rende l’insegnamento una professione fondante dell’epoca in cui viviamo. Dobbiamo esserne fieri e consapevoli. E dobbiamo imparare.
L’augurio che rivolgo a tutti noi per l’anno che viene è di rinnovare il nostro impegno per la scuola pubblica. Innanzitutto per rendere più vivibile il lavoro quotidiano degli insegnanti. Alleggerendo le scuole da troppe complicazioni burocratiche, dando finalmente fiducia ad un’autonomia progettuale delle scuole e dei gruppi docenti, garantendo un po’ di stabilità in più al sistema nel suo complesso.
In secondo luogo, auguro a voi tutti di sentirvi sostenuti nella presa in carico della crisi educativa che si riverbera giorno dopo giorno nella scuola. E auguro a noi istituzioni di saper realizzare e trasmettere questo sostegno pieno alla professione docente, alla sua capacità di rigenerarsi, trasformarsi insieme al mondo. E’ evidente che non è un intento facile e che i soldi pubblici per operare sono molto pochi .
C’è da augurarsi di non ricevere dal nuovo anno nuovi sogni irrealizzabili, ma conquiste possibili e concrete sì. Seppure in una contingenza complicata come quella attuale, auguro di cuore a tutti noi un realistico giro di boa.