Sono stato prima in giro per la Sardegna. Poi a Verona e Ferrara. Nelle scuole: d’infanzia, primarie, medie. Lavoro nei collegi docenti.
C’è un clima spesso fattivo: fare valere le cose che sappiamo fare, usare le nuove indicazioni per miglioramenti reali, possibili. Ascolto. Suggerisco cose pratiche.
Per preparare lo spazio aperto propongo di vederci di sera (quelli che hanno dato disponibilità qui o sul sito Decidiamo Insieme e eventuali altri) – birra e taralli o vino e formaggio – e capire temi, modalità e possibilità di una rete per la decenza democratica a Napoli.
Vi va bene – per essere concreti e realisti - la settimana prossima, giovedì 8 novembre?
31 ottobre, 2007
24 ottobre, 2007
Spazio aperto?
Sulla scena “primarie del Pd campano” si chiude per ora il sipario. La conta e il controllo sono rimandati sine die dall’Utan e dai garanti nazionali, nonostante i risultati inaffidabili davvero. Dunque, restano delegati alla costituente di Milano del Pd solo quelli eletti secondo quanto affermano proprio i contestatissimi verbali dei seggi. E’ finita così ma…
… ben oltre la mia piccola vicenda di candidato a me pare che:
1. non mi sono sottratto alla prova e ho fatto bene perché ho chiesto voti a persone che ci credono a un altro modo possibile (ed è andata bene) e perché sono andato a vedere il pd campano in formazione nel suo muoversi differenziato, ricco, complesso,
2. ho così esplorato da dentro un paesaggio che si conferma in parte quello previsto: voto organizzato su base di gruppi di potere legati a nomenclature in lotta tra loro e che sfruttano una subalternità materiale e una sudditanza culturale al potere molto radicate,
3. nel paesaggio previsto ci sono, però, in altra parte e in modo molto intrecciato, anche sorprese e speranze: sprazzi di new entries vere in diverse liste, aspettative battagliere verso un soggetto che sia autenticamente nuovo e post ideologico, segni diffusi di voglia di partecipazione,
4. tali segni di speranza sono stati schiattati, per l’ennesima volta, dalle modalità di voto e di conta e dalle più generali chiusure alle opportunità democratiche da parte delle nomenclature e di quelli che “la politica la si fa così”,
5. ma tali modalità e chiusure, a loro volta, non spingono solo verso la rassegnazione ma anche verso la rabbia, la rivendicazione e la voglia di insistere e di crederci ancora,
6. c’è forse qualche possibilità per riprendere - in modo fantasioso e aperto - la battaglia per l’agibilità degli spazi pubblici e per la democrazia partecipativa qui da noi.
Mi piacerebbe convocare - ma insieme ad altri - un momento di riflessione pubblica dal titolo “le voci dei cittadini” o qualcosa del genere; proporre – anche via web - un primo spazio aperto, appunto, in cui si possano dibattere i temi della partecipazione a Napoli alla luce sì di queste primarie Pd ma anche del voto dei lavoratori sull’accordo welfare, della partecipazione al vaffa day e di quanto altro.
A che stiamo, insomma, sulla democrazia qui? Cosa si può immaginare di fare?
Vogliamo fare una fermata – una sospensione pensante, aperta a molte voci – su ciò?
… ben oltre la mia piccola vicenda di candidato a me pare che:
1. non mi sono sottratto alla prova e ho fatto bene perché ho chiesto voti a persone che ci credono a un altro modo possibile (ed è andata bene) e perché sono andato a vedere il pd campano in formazione nel suo muoversi differenziato, ricco, complesso,
2. ho così esplorato da dentro un paesaggio che si conferma in parte quello previsto: voto organizzato su base di gruppi di potere legati a nomenclature in lotta tra loro e che sfruttano una subalternità materiale e una sudditanza culturale al potere molto radicate,
3. nel paesaggio previsto ci sono, però, in altra parte e in modo molto intrecciato, anche sorprese e speranze: sprazzi di new entries vere in diverse liste, aspettative battagliere verso un soggetto che sia autenticamente nuovo e post ideologico, segni diffusi di voglia di partecipazione,
4. tali segni di speranza sono stati schiattati, per l’ennesima volta, dalle modalità di voto e di conta e dalle più generali chiusure alle opportunità democratiche da parte delle nomenclature e di quelli che “la politica la si fa così”,
5. ma tali modalità e chiusure, a loro volta, non spingono solo verso la rassegnazione ma anche verso la rabbia, la rivendicazione e la voglia di insistere e di crederci ancora,
6. c’è forse qualche possibilità per riprendere - in modo fantasioso e aperto - la battaglia per l’agibilità degli spazi pubblici e per la democrazia partecipativa qui da noi.
Mi piacerebbe convocare - ma insieme ad altri - un momento di riflessione pubblica dal titolo “le voci dei cittadini” o qualcosa del genere; proporre – anche via web - un primo spazio aperto, appunto, in cui si possano dibattere i temi della partecipazione a Napoli alla luce sì di queste primarie Pd ma anche del voto dei lavoratori sull’accordo welfare, della partecipazione al vaffa day e di quanto altro.
A che stiamo, insomma, sulla democrazia qui? Cosa si può immaginare di fare?
Vogliamo fare una fermata – una sospensione pensante, aperta a molte voci – su ciò?
22 ottobre, 2007
Ultime notizie dalle primarie campane
A vicenda elettorale conclusa, ecco le ultime notizie sulla mia avventura come candidato alle primarie del Pd.
E’ stato negato dall’ Utan il quorum del 5% alla lista Bindi in Campania 1. La lista ha ottenuto in media il 4,94% a rigore di verbali. Ma ha documentato una serie di difformità tra dati alla scrutinio e verbali stessi. Tali difformità, a svantaggio della lista, soprattutto per lo “strano” aumento dei voti utili, indurrebbe - anche in una interpretazione per grande difetto - a portare la lista chiaramente oltre il 5%. Fatto salvo un risultato nuovo dovuto al ricorso della lista Bindi, io, pertanto, non accederò ai resti e non sarò eletto alla costituente Pd di Milano. Nonostante il 10,72% ottenuto come capolista nel mio collegio di Napoli 5, Avvocata e Arenella (capolista con l’ausilio di 1 solo effettivo altro candidato, Biagio Terracciano), un risultato per il quale di nuovo ringrazio.
(Per i curiosi: ce la farà in Campania 1 solo Antonella Pezzullo con il 12,78% a Napoli 2. Gli altri risultati in città sono inferiori al mio e sono i seguenti: Napoli 1 = 8,01%, Napoli 3 = 5,25%, Napoli 4 = 2,81%, Napoli 6 = 3,50%, Napoli 7 = 4,04%, Napoli 8 = 2,39, Napoli 9 = 4,23).
Ci sarà da riflettere con pacatezza. La lista Bindi non ha fatto bene. Non è stata quel fattore di rottura come avrebbe potuto e dovuto essere a maggior ragione qui da noi, in coerenza con la battaglia nazionale di Rosy. Ed è ancora una volta evidente che il voto partecipativo e libero (che pur c’è stato) è stato circondato dal voto organizzato, aggressivo, che fa leva sull’esclusione sociale e su radicate culture di sudditanza, sfruttando la rete clientelare di sempre. Un fatto che riguarda tutti. In misure diverse… ma tutti. Anche la stessa lista Bindi: non qui ma, per esempio, in Calabria. Riflettere sulla democrazia politica e il Mezzogiorno – con onestà intellettuale e rigore vero - è ancor oggi il compito prioritario.
E’ stato negato dall’ Utan il quorum del 5% alla lista Bindi in Campania 1. La lista ha ottenuto in media il 4,94% a rigore di verbali. Ma ha documentato una serie di difformità tra dati alla scrutinio e verbali stessi. Tali difformità, a svantaggio della lista, soprattutto per lo “strano” aumento dei voti utili, indurrebbe - anche in una interpretazione per grande difetto - a portare la lista chiaramente oltre il 5%. Fatto salvo un risultato nuovo dovuto al ricorso della lista Bindi, io, pertanto, non accederò ai resti e non sarò eletto alla costituente Pd di Milano. Nonostante il 10,72% ottenuto come capolista nel mio collegio di Napoli 5, Avvocata e Arenella (capolista con l’ausilio di 1 solo effettivo altro candidato, Biagio Terracciano), un risultato per il quale di nuovo ringrazio.
(Per i curiosi: ce la farà in Campania 1 solo Antonella Pezzullo con il 12,78% a Napoli 2. Gli altri risultati in città sono inferiori al mio e sono i seguenti: Napoli 1 = 8,01%, Napoli 3 = 5,25%, Napoli 4 = 2,81%, Napoli 6 = 3,50%, Napoli 7 = 4,04%, Napoli 8 = 2,39, Napoli 9 = 4,23).
Ci sarà da riflettere con pacatezza. La lista Bindi non ha fatto bene. Non è stata quel fattore di rottura come avrebbe potuto e dovuto essere a maggior ragione qui da noi, in coerenza con la battaglia nazionale di Rosy. Ed è ancora una volta evidente che il voto partecipativo e libero (che pur c’è stato) è stato circondato dal voto organizzato, aggressivo, che fa leva sull’esclusione sociale e su radicate culture di sudditanza, sfruttando la rete clientelare di sempre. Un fatto che riguarda tutti. In misure diverse… ma tutti. Anche la stessa lista Bindi: non qui ma, per esempio, in Calabria. Riflettere sulla democrazia politica e il Mezzogiorno – con onestà intellettuale e rigore vero - è ancor oggi il compito prioritario.
21 ottobre, 2007
Contro le povertà
Il giorno 17 ottobre – giornata internazionale della lotta alle povertà - ho partecipato alla prima riunione della nuova Commissione nazionale di indagine sull’esclusione sociale (CIES).
Ne ero stato nominato membro – su proposta della European Anti Poverty Network - dal Ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero (con decreto del 7 agosto 2007). La commissione è presieduta da Marco Revelli e ne fanno parte Francesco Marsico (Charitas), Elena Granaglia (Univ. della Calabria), Nicola Negri (Università di Torino), Enrica Amaturo (Univ. Federico II Napoli) e Giovanni Battista Sgritta (La Sapienza, Roma). Inoltre ne sono membri permanenti i rappresentanti di ISTAT, Banca d’Italia, Conferenza unificata Stato-regioni e province autonome, l’Assoc. naz. comuni italiani (ANCI) e l’Unione delle province (UPI).
La Commissione intende esercitare le sue funzioni istituzionali di indagine quantitativa e qualitativa sulla povertà in Italia ma anche proporre misure innovative contro l’esclusione sociale, con ampia autonomia di iniziativa. Ce ne è bisogno. Infatti la politica sulle povertà in Italia fa schifo. L’Italia è di gran lunga l’ultima in Europa per gettito di spesa, varietà, integrazione ed efficacia di misure.
E’ un incarico che consente di intervenire almeno un po’ nel merito delle politiche pubbliche a favore delle persone deboli in una società sempre più segnata dalle diseguaglianze. Da parte mia – credo - richieda un lavoro (gratuito) intenso. Perciò ho deciso di svolgere delle audizioni con operatori sociali ed esperti in Campania e nel Mezzogiorno. Comincerò la prossima settimana. Ne riferirò anche qui.
Ne ero stato nominato membro – su proposta della European Anti Poverty Network - dal Ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero (con decreto del 7 agosto 2007). La commissione è presieduta da Marco Revelli e ne fanno parte Francesco Marsico (Charitas), Elena Granaglia (Univ. della Calabria), Nicola Negri (Università di Torino), Enrica Amaturo (Univ. Federico II Napoli) e Giovanni Battista Sgritta (La Sapienza, Roma). Inoltre ne sono membri permanenti i rappresentanti di ISTAT, Banca d’Italia, Conferenza unificata Stato-regioni e province autonome, l’Assoc. naz. comuni italiani (ANCI) e l’Unione delle province (UPI).
La Commissione intende esercitare le sue funzioni istituzionali di indagine quantitativa e qualitativa sulla povertà in Italia ma anche proporre misure innovative contro l’esclusione sociale, con ampia autonomia di iniziativa. Ce ne è bisogno. Infatti la politica sulle povertà in Italia fa schifo. L’Italia è di gran lunga l’ultima in Europa per gettito di spesa, varietà, integrazione ed efficacia di misure.
E’ un incarico che consente di intervenire almeno un po’ nel merito delle politiche pubbliche a favore delle persone deboli in una società sempre più segnata dalle diseguaglianze. Da parte mia – credo - richieda un lavoro (gratuito) intenso. Perciò ho deciso di svolgere delle audizioni con operatori sociali ed esperti in Campania e nel Mezzogiorno. Comincerò la prossima settimana. Ne riferirò anche qui.
18 ottobre, 2007
… se l’hann’ purtate
La storia campana delle elezioni per le costituenti nazionali e regionali Pd si conclude ingloriosamente oggi, a cinque giorni dalla fine del voto “festa della democrazia”, che avrebbe dovuto creare una casa comune e democratica. E diviene una vicenda nazionale. Tanto scabrosa da richiedere – come i tumori – una azione chirurgica decisa. Manu militari.
E forse solo così – ma con tanti sospetti che ormai non potranno essere dipanati – c’è la pallida possibilità di salvare almeno una parte dell’onore non già degli apparati e delle truppe da essi mobilitate al voto ma delle migliaia e migliaia di cittadini che hanno votato con ben altro spirito.
La ingovernabilità democratica campana
Finalmente, infatti, ieri sera sono arrivate due nuove persone da Roma, in rappresentanza del Utan, l’ufficio preposto alle operazioni di voto delle primarie del Pd a livello nazionale. E stamattina - dopo un’ennesima nottata in cui hanno constatato direttamente il clima inaccettabile di ritorsione, mancato rispetto reciproco e delle minime procedure e dopo aver visto in azione la rissa prolungata e furiosa tra i potentati - hanno preso tutti i verbali di scrutinio dei seggi campani e ogni altra documentazione disponibile, hanno ascoltato tutti i rappresentanti delle diverse liste nel merito del cosa era fin qui accaduto durante le operazioni si spoglio e hanno portato tutto a Roma. Dove la conta dei voti sarà fatta daccapo. Unico caso in Italia. Deo gratis.
Il senso politico dello scontro che è a monte e causa di tutto ciò e che ha portato a tale esito contrario alla stessa parola “democratico” lo ho già espresso qui a pochi giorni dal voto.
E non mi ripeto.
Elenco semplicemente i nudi fatti che sono a monte di questo esito, senza commentarli perché si commentano da soli:
Ora siamo al commissariamento nazionale, dopo che già più volte gli uffici regionali erano stati sollevati dalle loro competenze. Converrà interrogarsi– nei mesi a venire e con il necessario rigore - quali responsabilità ci sono:
- quali sono dei candidati campani incapaci di confronto civile e di merito,
- quali dei big campani che li hanno sostenuti nel loro improvvido agire,
- quali del gota nazionale del partito incapace di intervenire per tempo e con autorevolezza ed efficacia di fronte a tutte queste intollerabili modalità di confronto,
- quali dei segretari regionali e provinciali di Ds e di Margherita,
- quali della nuova responsabile pro-tempore del Pd in Campania,
- quali dei responsabili degli uffici regionali e provinciali per il voto,
- quali dei responsabili, a diversi livelli, nei diversi territori.
Sia chiaro: dopo ciò che è accaduto, se non si fa questo bilancio severo, impietoso, non potrà neanche aprirsi un processo costituente minimamente credibile.
Per quanto riguarda la mia candidatura – cosa veramente secondaria di fronte alla enormità della emergenza democratica che si manifesta ancora una volta in Campania – ero capolista di una lista di 5 di cui 3 prestanome fantasmi, tanto che non hanno neanche votato. Insieme a Biagio Terracciano (primo affaccio in assoluto alla politica, unico altro candidato attivo… e davvero combattivo) ho preso – fino a i dati disponibili ad oggi sul sito ufficiale Pd ma non certi – al collegio Arenella e Avvocata 666 voti. Ringrazio chi mi ha votato e sostenuto. E’ il secondo miglior risultato di Bindi in città. Il primo è di Antonella Pezzullo nel collegio Chiaia-Vomero. E’ pari a una percentuale che va dall’oltre 12,4% dei voti validi della prima conta nei seggi domenica al 10% circa – pare – secondo la incerta conta successiva. E’ un risultato eccellente. In un collegio non mio. Dinanzi a un clima insopportabile. Purtroppo le liste Bindi sono, nella media di Campania 1, appena sopra o sotto il 5%. Se la lista Bindi avrà la conferma di avere ottenuto più del 5% dovrei anche essere eletto alla Costituente di Milano del 27 ottobre. Altrimenti sono comunque personalmente soddisfatto…
… ma resto più che preoccupato per la durezza del compito – che è della cittadinanza, ben oltre il Pd - di costruire quel minimo di decoro democratico effettivo qui da noi.
E forse solo così – ma con tanti sospetti che ormai non potranno essere dipanati – c’è la pallida possibilità di salvare almeno una parte dell’onore non già degli apparati e delle truppe da essi mobilitate al voto ma delle migliaia e migliaia di cittadini che hanno votato con ben altro spirito.
La ingovernabilità democratica campana
Finalmente, infatti, ieri sera sono arrivate due nuove persone da Roma, in rappresentanza del Utan, l’ufficio preposto alle operazioni di voto delle primarie del Pd a livello nazionale. E stamattina - dopo un’ennesima nottata in cui hanno constatato direttamente il clima inaccettabile di ritorsione, mancato rispetto reciproco e delle minime procedure e dopo aver visto in azione la rissa prolungata e furiosa tra i potentati - hanno preso tutti i verbali di scrutinio dei seggi campani e ogni altra documentazione disponibile, hanno ascoltato tutti i rappresentanti delle diverse liste nel merito del cosa era fin qui accaduto durante le operazioni si spoglio e hanno portato tutto a Roma. Dove la conta dei voti sarà fatta daccapo. Unico caso in Italia. Deo gratis.
Il senso politico dello scontro che è a monte e causa di tutto ciò e che ha portato a tale esito contrario alla stessa parola “democratico” lo ho già espresso qui a pochi giorni dal voto.
E non mi ripeto.
Elenco semplicemente i nudi fatti che sono a monte di questo esito, senza commentarli perché si commentano da soli:
- Mancato rispetto dell’alternanza donne/uomini nella costituzione delle liste in almeno tre delle liste veltroniane e in più collegi e mancata segnalazione ai diretti interessati di tale irregolarità secondo la procedura prevista dal regolamento; mancato ascolto dei rappresentanti che richiedevano tale procedura; conseguente ritardo nell’invito formale e scritto ai responsabili di lista al fine di rimediare alle irregolarità nella loro costituzione, successiva mancata esclusione delle stesse liste per scadenza termini, accettazione di liste aggiustate alla meglio fuori tempo massimo;
- Ritardo nelle procedure di convalida delle liste in generale;
- Avvio di una estenuante e rissosa confrontazione, che ha coinvolto soprattutto le liste veltroniane afferenti ai tre diversi candidati a segretario regionale (De Franciscis, Iannuzzi e Piccolo) su dove ubicare i diversi seggi elettorali e su quali sezioni attribuire a tali luoghi; conseguente gravissimo ritardo nel definire luoghi per votare, nell’allestirli, nell’informare i cittadini; frequenti casi di cambio di seggio non comunicato per tempo agli elettori e di indirizzi inesatti;
- Indicazioni contraddittorie con il regolamento date la domenica mattina ai presidenti di seggio e che smentivano il principio di presentarsi con la tessera elettorale personale;
- Diffuso clima di tensione nei seggi e pressioni manifeste soprattutto verso scrutatori e presidenti imparziali o non afferenti alle liste forti, presumibilmente, nel territorio circostante;
- Molti episodi di pressione e organizzazione dell’affluenza molto preoccupanti e sospette; alcuni episodi di particolare gravità, anche documentati fotograficamente;
- Mancata acquisizione a livello centrale, immediata, dei risultati letti e esposti pubblicamente a compimento dello scrutinio nei seggi e dunque possibili discrepanze tra dato reso pubblico nel seggio e dato in verbale di chiusura;
- Disorganizzazione massiccia al momento della consegna agli uffici preposti dei verbali e dei faldoni con i voti; mancanza di procedure e di servizio di raccolta; smarrimento sospetto di un numero imprecisato di verbali, faldoni ecc.;
- Cinque giorni di rissa costante nel corso delle operazioni di spoglio presso gli uffici provinciali e regionali che ha impedito di validare il voto e proclamare gli eletti delegati.
Ora siamo al commissariamento nazionale, dopo che già più volte gli uffici regionali erano stati sollevati dalle loro competenze. Converrà interrogarsi– nei mesi a venire e con il necessario rigore - quali responsabilità ci sono:
- quali sono dei candidati campani incapaci di confronto civile e di merito,
- quali dei big campani che li hanno sostenuti nel loro improvvido agire,
- quali del gota nazionale del partito incapace di intervenire per tempo e con autorevolezza ed efficacia di fronte a tutte queste intollerabili modalità di confronto,
- quali dei segretari regionali e provinciali di Ds e di Margherita,
- quali della nuova responsabile pro-tempore del Pd in Campania,
- quali dei responsabili degli uffici regionali e provinciali per il voto,
- quali dei responsabili, a diversi livelli, nei diversi territori.
Sia chiaro: dopo ciò che è accaduto, se non si fa questo bilancio severo, impietoso, non potrà neanche aprirsi un processo costituente minimamente credibile.
Per quanto riguarda la mia candidatura – cosa veramente secondaria di fronte alla enormità della emergenza democratica che si manifesta ancora una volta in Campania – ero capolista di una lista di 5 di cui 3 prestanome fantasmi, tanto che non hanno neanche votato. Insieme a Biagio Terracciano (primo affaccio in assoluto alla politica, unico altro candidato attivo… e davvero combattivo) ho preso – fino a i dati disponibili ad oggi sul sito ufficiale Pd ma non certi – al collegio Arenella e Avvocata 666 voti. Ringrazio chi mi ha votato e sostenuto. E’ il secondo miglior risultato di Bindi in città. Il primo è di Antonella Pezzullo nel collegio Chiaia-Vomero. E’ pari a una percentuale che va dall’oltre 12,4% dei voti validi della prima conta nei seggi domenica al 10% circa – pare – secondo la incerta conta successiva. E’ un risultato eccellente. In un collegio non mio. Dinanzi a un clima insopportabile. Purtroppo le liste Bindi sono, nella media di Campania 1, appena sopra o sotto il 5%. Se la lista Bindi avrà la conferma di avere ottenuto più del 5% dovrei anche essere eletto alla Costituente di Milano del 27 ottobre. Altrimenti sono comunque personalmente soddisfatto…
… ma resto più che preoccupato per la durezza del compito – che è della cittadinanza, ben oltre il Pd - di costruire quel minimo di decoro democratico effettivo qui da noi.
15 ottobre, 2007
Confortato e battagliero
Finite le primarie del Pd. Sono stati giorni nei quali si è mescolata e confusa una aspirazione autentica e ampia di partecipazione e la terrificante presenza dell'elettorato organizzato campano, della peggior fatta, niente escluso…
Li racconterò nei prossimi giorni. Con cura.
I risultati ufficiali non ci sono a tutt’ora, neanche quelli per la Assemblea Costituente nazionale del Pd per la quale sono stato capolista per Rosy Bindi nel collegio di Napoli Arenella - Avvocata.
In particolare i verbali definitivi sono stati avvalorati – alle ore 15.30 di oggi – solo per il 30%. Scandaloso. Inquietante. Ho chiamato Rosy per dirglielo: il campo di gioco in Campania non solo non è regolamentare. Non si sa se esiste.
In tale incertezza generale il risultato delle liste Bindi – così come delle altre e al di là dei soliti boatos di queste ore - non sono davvero accertati. Ma c’è un rischio reale che la Bindi, in chiara controtendenza rispetto alla media nazionale che è del 14%, si possa collocare, in Campania, al di sotto del 5%, che è il minimo per esprimere delegati alla assemblea nazionale costituente.
Invece, in assoluta controtendenza positiva e nonostante condizioni proibitive, che racconterò, io ho preso un numero confortante di voti. Che confermerò in dettaglio – con relativa, doverosa analisi del voto – appena possibile.
E che mi fanno ripartire - per la solita settimana di lavoro - rinfrancato e pronto alle necessarie nuove, dure battaglie per quel minimo decoro democratico sine qua non…
Li racconterò nei prossimi giorni. Con cura.
I risultati ufficiali non ci sono a tutt’ora, neanche quelli per la Assemblea Costituente nazionale del Pd per la quale sono stato capolista per Rosy Bindi nel collegio di Napoli Arenella - Avvocata.
In particolare i verbali definitivi sono stati avvalorati – alle ore 15.30 di oggi – solo per il 30%. Scandaloso. Inquietante. Ho chiamato Rosy per dirglielo: il campo di gioco in Campania non solo non è regolamentare. Non si sa se esiste.
In tale incertezza generale il risultato delle liste Bindi – così come delle altre e al di là dei soliti boatos di queste ore - non sono davvero accertati. Ma c’è un rischio reale che la Bindi, in chiara controtendenza rispetto alla media nazionale che è del 14%, si possa collocare, in Campania, al di sotto del 5%, che è il minimo per esprimere delegati alla assemblea nazionale costituente.
Invece, in assoluta controtendenza positiva e nonostante condizioni proibitive, che racconterò, io ho preso un numero confortante di voti. Che confermerò in dettaglio – con relativa, doverosa analisi del voto – appena possibile.
E che mi fanno ripartire - per la solita settimana di lavoro - rinfrancato e pronto alle necessarie nuove, dure battaglie per quel minimo decoro democratico sine qua non…
13 ottobre, 2007
Cronache di una festa della democrazia
Questa “festa della democrazia” del Pd è divenuta davvero l’ennesima brutta storia campana. A un giorno dall’inizio del voto c’è il pericolo di una lunga notte di conta basata sul sospetto, la contrapposizione dura, la rissa. Tanto è vero che è stato nominato un commissario nazionale, unico caso italiano. E già si è visto che la logica della guerra, imperante, ha prodotto alcune aberrazioni procedurali. La lista dei seggi, uscita in enorme ritardo, con le sezioni elettorali non sempre precisamente indicate e che sono spesso anche senza indirizzo, sfavorisce il voto libero e di opinione (ci va chi già sa). Vi è, in taluni casi, addirittura la sparizione di alcuni seggi perché in sedi non idonee o perché le associazioni titolari non sono mai state avvisate o non sono d’accordo ad assolvere tale funzione.
Non è disorganizzazione. E’ il risultato della spartizione territoriale selvaggia – “questo a me e questo a te” – in cui è implicito che il seggio non è luogo neutro e di “festa della democrazia” ma, invece, appartiene a una fazione in lotta ed è dunque potenziale luogo di controllo se non di possibile arbitrio. Ieri mattina un seggio del collegio dove sono capolista è risultato non essere mai stato disponibile: evidentemente qualche big di qualche lista aveva imposto una qualsiasi sede purché fosse in un territorio di presunta influenza a svantaggio della concorde e oculata indicazione di una sede possibile per tutti. Altre volte la mediazione su dove votare ha addirittura portato a indicare come luogo le scuole pubbliche, posto che dovrebbe tassativamente stare fuori da questa mischia, non trattandosi di un confronto per l’elezione di rappresentanti nelle istituzioni della Repubblica ma di una vicenda di partito.
C’è un’aria incattivita, piena di astio, risentimento. Ciò sporca la corsa a ogni passo, legittima tutti coloro che non sono interessate a costruire una casa comune ma che vogliono imporre una nuova influenza sulle vicende future in termini di posizioni, candidature, ambiti di controllo su apparati e pubbliche istituzioni.
Ieri sera sono stato a Torre Annunziata, da vecchi amici: il clima di presidio fazioso dei singoli seggi era impressionante. E il locale responsabile della associazione per il Pd era sull’allerta anche per altri inquinamenti perché è “peggio delle elezioni comunali o regionali”.
Si ripete, insomma, peggiorato, lo spettacolo già visto per l’ammissione delle liste. E di nuovo fanno eccezione le liste più lontane dai potentati e improntate al volontariato politico: Adinolfi, Bindi, Letta. Sono i vasi di coccio presi tra i vasi di ferro, coloro che hanno preso in parola la promessa del Pd e qui si sono trovati nel mezzo di ben altra guerra.
Alla fine c’è più che il rischio che il 14 ottobre – nella lunga cronaca di una stagione di declino politico della nostra regione e della nostra città – sarà ricordato per i cocci della partecipazione infranti e per il rumore dello scontro tra i vasi di ferro. Rumore tanto assordante quanto vuoto: perché non contiene né contenuti e programmi, né nuovo metodo, né nuovo stile né nuove persone.
E nello scrivere un giorno tale storia si dovranno constatare tre evidenze.
In primo luogo la faziosità è concentrata nella feroce contrapposizione tra le liste che vedono le truppe unite intorno alla diarchia De Mita-Bassolino in lotta con coloro - tutti ex servi o ineffabili alleati o dell’uno o dell’altro o di entrambi - che hanno scelto il 14 ottobre come data della battaglia per disarcionare questa diarchia.
In secondo luogo entrambi gli schieramenti contendenti, a loro volta assai compositi e confusi al loro interno, stanno combattendo non la battaglia per una nuova casa comune entro cui elaborare le risposte politiche alle esigenze di questa parte del Paese, bensì, appunto, quella per le future poltrone e la relativa gestione delle risorse pubbliche.
In terzo luogo tale lotta tra liste regionali ha luogo a sostegno del medesimo candidato nazionale, annunciato vincitore, Walter Veltroni. E, nello scrivere tale storia ci si domanderà: fu colpa di Walter? Certamente sì nella misura in cui egli non ha voluto indicare la urgenza di una sola lista o almeno di criteri e di una qualche forma di supervisione tale da placare o contenere tale battaglia all’ultimo sangue. Ma è soprattutto colpa locale. De Mita e Bassolino hanno usato e abusato di un metodo che hanno insegnato e imposto ovunque; hanno seminato vento per quindici anni; e raccolgono tempesta. Non c’è buona politica né da un lato né dall’altro. E tutto intorno suona di nuovo la solita triste musica del trasformismo meridionale, vecchio come il cucco, che vede i potentati posizionarsi sempre dietro ai forti ora a difesa dei propri territori di potere ora all’assalto di quelli altrui.
Le persone, come il sottoscritto e molti altri, che in queste settimane hanno deciso di misurarsi direttamente con i processi democratici annunciati, ben sapendo che non corrispondevano a quelli realmente in campo, mettendoci la faccia pubblicamente, hanno il dovere – oltre che il diritto – di indignarsi, proporre ostinatamente un altro metodo, richiamare ai contenuti, alle proposte. Alla buona politica. E all’antica battaglia democratica per la decenza pubblica nel Mezzogiorno d’Italia. Per quanto sia faticoso.
Non è disorganizzazione. E’ il risultato della spartizione territoriale selvaggia – “questo a me e questo a te” – in cui è implicito che il seggio non è luogo neutro e di “festa della democrazia” ma, invece, appartiene a una fazione in lotta ed è dunque potenziale luogo di controllo se non di possibile arbitrio. Ieri mattina un seggio del collegio dove sono capolista è risultato non essere mai stato disponibile: evidentemente qualche big di qualche lista aveva imposto una qualsiasi sede purché fosse in un territorio di presunta influenza a svantaggio della concorde e oculata indicazione di una sede possibile per tutti. Altre volte la mediazione su dove votare ha addirittura portato a indicare come luogo le scuole pubbliche, posto che dovrebbe tassativamente stare fuori da questa mischia, non trattandosi di un confronto per l’elezione di rappresentanti nelle istituzioni della Repubblica ma di una vicenda di partito.
C’è un’aria incattivita, piena di astio, risentimento. Ciò sporca la corsa a ogni passo, legittima tutti coloro che non sono interessate a costruire una casa comune ma che vogliono imporre una nuova influenza sulle vicende future in termini di posizioni, candidature, ambiti di controllo su apparati e pubbliche istituzioni.
Ieri sera sono stato a Torre Annunziata, da vecchi amici: il clima di presidio fazioso dei singoli seggi era impressionante. E il locale responsabile della associazione per il Pd era sull’allerta anche per altri inquinamenti perché è “peggio delle elezioni comunali o regionali”.
Si ripete, insomma, peggiorato, lo spettacolo già visto per l’ammissione delle liste. E di nuovo fanno eccezione le liste più lontane dai potentati e improntate al volontariato politico: Adinolfi, Bindi, Letta. Sono i vasi di coccio presi tra i vasi di ferro, coloro che hanno preso in parola la promessa del Pd e qui si sono trovati nel mezzo di ben altra guerra.
Alla fine c’è più che il rischio che il 14 ottobre – nella lunga cronaca di una stagione di declino politico della nostra regione e della nostra città – sarà ricordato per i cocci della partecipazione infranti e per il rumore dello scontro tra i vasi di ferro. Rumore tanto assordante quanto vuoto: perché non contiene né contenuti e programmi, né nuovo metodo, né nuovo stile né nuove persone.
E nello scrivere un giorno tale storia si dovranno constatare tre evidenze.
In primo luogo la faziosità è concentrata nella feroce contrapposizione tra le liste che vedono le truppe unite intorno alla diarchia De Mita-Bassolino in lotta con coloro - tutti ex servi o ineffabili alleati o dell’uno o dell’altro o di entrambi - che hanno scelto il 14 ottobre come data della battaglia per disarcionare questa diarchia.
In secondo luogo entrambi gli schieramenti contendenti, a loro volta assai compositi e confusi al loro interno, stanno combattendo non la battaglia per una nuova casa comune entro cui elaborare le risposte politiche alle esigenze di questa parte del Paese, bensì, appunto, quella per le future poltrone e la relativa gestione delle risorse pubbliche.
In terzo luogo tale lotta tra liste regionali ha luogo a sostegno del medesimo candidato nazionale, annunciato vincitore, Walter Veltroni. E, nello scrivere tale storia ci si domanderà: fu colpa di Walter? Certamente sì nella misura in cui egli non ha voluto indicare la urgenza di una sola lista o almeno di criteri e di una qualche forma di supervisione tale da placare o contenere tale battaglia all’ultimo sangue. Ma è soprattutto colpa locale. De Mita e Bassolino hanno usato e abusato di un metodo che hanno insegnato e imposto ovunque; hanno seminato vento per quindici anni; e raccolgono tempesta. Non c’è buona politica né da un lato né dall’altro. E tutto intorno suona di nuovo la solita triste musica del trasformismo meridionale, vecchio come il cucco, che vede i potentati posizionarsi sempre dietro ai forti ora a difesa dei propri territori di potere ora all’assalto di quelli altrui.
Le persone, come il sottoscritto e molti altri, che in queste settimane hanno deciso di misurarsi direttamente con i processi democratici annunciati, ben sapendo che non corrispondevano a quelli realmente in campo, mettendoci la faccia pubblicamente, hanno il dovere – oltre che il diritto – di indignarsi, proporre ostinatamente un altro metodo, richiamare ai contenuti, alle proposte. Alla buona politica. E all’antica battaglia democratica per la decenza pubblica nel Mezzogiorno d’Italia. Per quanto sia faticoso.
11 ottobre, 2007
Il tema del lavoro
Sulle primarie e dintorni ho rilasciato una lunga intervista radio a Norberto Gallo. Penso che lì la dico chiara su molte cose dibattute a Napoli e anche sul web napoletano di questi giorni. E spiego in modo sereno e disincantato il perché e il come sostengo la Bindi e questo passaggio per la costituente del Pd.
Mi piacerebbe che si dibattesse anche qui il risultato delle consultazioni sindacali sull’accordo del welfare. E i temi del lavoro. L’Italia del lavoro è spaccata: gli operai dicono no, gli altri sì. A me pare che i metalmeccanici, lasciati soli per troppi anni, con salari insopportabilmente bassi - mentre riprendevano le produzioni e i profitti - hanno veicolato la propria sofferenza attraverso la sola struttura presente che è, però, la cinghia di trasmissione in cui la sinistra politica italiana ha ridotto la gloriosa Fiom. La Fiom, in questi anni, non ha favorito buone lotte e buoni contratti - in materia salariale e non solo – e si è dedicata all’antagonismo e e si è fatta portavove politica delle giuste frustrazioni degli operai ma ha, al contempo, contribuito a non dare ad esse risposte. Ora daranno addosso alla Fiom. E’ questo indebolirà ulteriormente le donne e gli uomini che ogni giorno producono ricchezza nelle fabbriche. Male. Molto male. Lo scollamento tra operai e altri lavoratori è pericoloso. Isola gli operai a cui ora si darà dell’estremista e del non responsabile. “Il velleitarismo tinto di scarlatto” – così lo si definiva all’inizio del secolo scorso – produce danni ai lavoratori. Ma anche le confederazioni hanno una grande e grave responsabilità. Perché non hanno ripreso i temi del lavoro di tutti e di ciascuno e del patto che su ciò una società deve darsi; perché hanno eluso la fatica di costruire un tessuto comune tra categorie favorendo, soprattutto tra i lavoratori del pubblico impiego, tante corporazioni dedite alla micro-rivendicazione o alla mera difesa dell’acquisito al di là di ogni merito e reale differenziazione nella fatica e nelle mansioni e in contrasto con il principio ispiratore “ a uguale lavoro uguale salario”; perché hanno lasciato alla Fiom la sua extraterritorialità.
Il dibattito su cosa sia oggi il welfare – per gli operai e per tutti – è una cosa troppo seria per lasciarla in mano a questo marasma. Ben oltre il dibattito sull’accordo sul welfare (su cui, come lavoratore della scuola, io ho votato sì perché è un piccolissimo passo in avanti), si dovrebbe ripartire da alcune domande fondamentali.
- Si può cambiare lavoro e tornare a formarsi (long life learning) in Italia senza perdere sicurezza di reddito?
- A che età – e in relazione a quale tipo di lavoro e non solo all’aspettativa di vita - è bene o giusto andare in pensione (è veramente giusto che i miei colleghi vanno in pensione oggi a 57 anni quando si aspettano di viverne altri 30 mentre un operaio di 45 non ha neanche un contratto sicuro e andrà in pensione a 63 anni dopo 40 passati in fabbrica)?
- Quale è un salario minimo davvero accettabile perché dignitoso?
- A quali condizioni reali e con quale nuovo pattro sociale esteso si può battere la insostenibile precarietà del lavoro?
- E’ possibile offrire occasioni innovative ma vere di auto-creazione di lavoro e formazione e tempo di vita protetto ma dedicato al proprio futuro ai giovani che oggi si affacciano sul mondo adulto e farlo fuori dallo schema lineare scuola-lavoro che non tiene proprio più per tanti nostri giovani?
Sulle domande fondamentali riguardante il lavoro – la principale attività umana in una organizzazione sociale complessa - la destra non ha risposte che non siano vessatorie nei confronti di chi materialmente produce e di chi è debole, la cosidetta sinistra radicale fa demagogia e dunque non porta a casa niente per i lavoratori e evita ogni dibattito di merito sul rapporto tra generazioni in relazione all’aspettativa di vita e all’idea stessa di lavorare e stare al mondo e le aree moderate del centro-sinistra balbettano e oscillano in modo scandaloso.
Così si va verso lo scollamento sociale nel Paese.
Mi piacerebbe che si dibattesse anche qui il risultato delle consultazioni sindacali sull’accordo del welfare. E i temi del lavoro. L’Italia del lavoro è spaccata: gli operai dicono no, gli altri sì. A me pare che i metalmeccanici, lasciati soli per troppi anni, con salari insopportabilmente bassi - mentre riprendevano le produzioni e i profitti - hanno veicolato la propria sofferenza attraverso la sola struttura presente che è, però, la cinghia di trasmissione in cui la sinistra politica italiana ha ridotto la gloriosa Fiom. La Fiom, in questi anni, non ha favorito buone lotte e buoni contratti - in materia salariale e non solo – e si è dedicata all’antagonismo e e si è fatta portavove politica delle giuste frustrazioni degli operai ma ha, al contempo, contribuito a non dare ad esse risposte. Ora daranno addosso alla Fiom. E’ questo indebolirà ulteriormente le donne e gli uomini che ogni giorno producono ricchezza nelle fabbriche. Male. Molto male. Lo scollamento tra operai e altri lavoratori è pericoloso. Isola gli operai a cui ora si darà dell’estremista e del non responsabile. “Il velleitarismo tinto di scarlatto” – così lo si definiva all’inizio del secolo scorso – produce danni ai lavoratori. Ma anche le confederazioni hanno una grande e grave responsabilità. Perché non hanno ripreso i temi del lavoro di tutti e di ciascuno e del patto che su ciò una società deve darsi; perché hanno eluso la fatica di costruire un tessuto comune tra categorie favorendo, soprattutto tra i lavoratori del pubblico impiego, tante corporazioni dedite alla micro-rivendicazione o alla mera difesa dell’acquisito al di là di ogni merito e reale differenziazione nella fatica e nelle mansioni e in contrasto con il principio ispiratore “ a uguale lavoro uguale salario”; perché hanno lasciato alla Fiom la sua extraterritorialità.
Il dibattito su cosa sia oggi il welfare – per gli operai e per tutti – è una cosa troppo seria per lasciarla in mano a questo marasma. Ben oltre il dibattito sull’accordo sul welfare (su cui, come lavoratore della scuola, io ho votato sì perché è un piccolissimo passo in avanti), si dovrebbe ripartire da alcune domande fondamentali.
- Si può cambiare lavoro e tornare a formarsi (long life learning) in Italia senza perdere sicurezza di reddito?
- A che età – e in relazione a quale tipo di lavoro e non solo all’aspettativa di vita - è bene o giusto andare in pensione (è veramente giusto che i miei colleghi vanno in pensione oggi a 57 anni quando si aspettano di viverne altri 30 mentre un operaio di 45 non ha neanche un contratto sicuro e andrà in pensione a 63 anni dopo 40 passati in fabbrica)?
- Quale è un salario minimo davvero accettabile perché dignitoso?
- A quali condizioni reali e con quale nuovo pattro sociale esteso si può battere la insostenibile precarietà del lavoro?
- E’ possibile offrire occasioni innovative ma vere di auto-creazione di lavoro e formazione e tempo di vita protetto ma dedicato al proprio futuro ai giovani che oggi si affacciano sul mondo adulto e farlo fuori dallo schema lineare scuola-lavoro che non tiene proprio più per tanti nostri giovani?
Sulle domande fondamentali riguardante il lavoro – la principale attività umana in una organizzazione sociale complessa - la destra non ha risposte che non siano vessatorie nei confronti di chi materialmente produce e di chi è debole, la cosidetta sinistra radicale fa demagogia e dunque non porta a casa niente per i lavoratori e evita ogni dibattito di merito sul rapporto tra generazioni in relazione all’aspettativa di vita e all’idea stessa di lavorare e stare al mondo e le aree moderate del centro-sinistra balbettano e oscillano in modo scandaloso.
Così si va verso lo scollamento sociale nel Paese.
08 ottobre, 2007
Uguale per tutti
Ho visto lo scorso giovedì sera la trasmissione di Santoro in televisione. Quel che trattava è stato riportato dai giornali: la situazione di diffusa e gravissima illegalità, di stampo mafioso, in Calabria e che sta attraversando i confini e entrando in Basilicata, i giudici, dedicati a un lavoro durissimo, che la seguono con complesse inchieste, la loro difficile vita, gli attacchi della politica, del ministro della giustizia Mastella in primis, la posizione di Prodi, le possibili responsabilità e gli atteggiamenti verso la giustizia della poltica partitica e di tanta parte del centro-sinistra, locale e anche nazionale, la presenza bella, forte di tanti cittadini, in particolare giovani, a fianco a chi vuole legalità davvero.
A me Santoro non piace. Credo in un giornalismo fatto con sobrietà anglosassone. Fatti. Inchieste. Pochi commenti. Esclusione delle interpretazioni omnicomprensive. Non credo nel circo degli applausi e del tifo nel quale egli si bea. E ho un vero problema con Travaglio. Non mi piace affatto il metodo fondato sulla conferma di qualcosa che si presume già che sia stato precostituito da qualcuno per ragioni linearmente evidenti, le tesi spiegate al volgo sulla base di tale costrutto e che portano inevitabilmente a conclusioni chiuse e certe e la retorica che accompagna il tutto. Della serie: è sempre il solito unico disegno. Se la storia umana fosse questo non sarebbe altro che macchinazione. E non lo è.
Poi credo nelle procedure. Quando vedo giustizialismo o anche mancato rispetto, minuzioso, delle procedure io mi inquieto. Anche in questo ho una cultura anglosassone: saltare le forme o essere sciatti nelle forme è inamissibile. Dura lex sed lex: meglio annullare la sostanza nel nome di una forma specchiata che rischiare il contrario. Sempre.
Ciò detto, emerge – dalla trasmissione ma, ben più in generale - un quadro di contesto in Calabria (e in tutte le regioni meridionali, ma non solo) che invita tutte le persone oneste e serie a riproporre la questione della giustizia che deve essere e poter essere percepita dalle giovani generazioni e da tutti noi come davvero uguale per tutti. Risorge, infatti, con grande evidenza la necessità della difesa della indipendenza della magistratura. In particolare quando si toccano potentati veri, legati alla grave illegalità criminale diffusa o anche all’abuso di potere.
E si deve ribadire oggi che le nomenclature politiche, una volta garantite ferreamente le procedure, non possono considerarsi a priori intoccabili o fuori dalla responsabilità sulla base della mera difesa della politica tout cour o di suoi componenti.
Questo è il tema. E sarà ben presente nei prossimi mesi.
A me Santoro non piace. Credo in un giornalismo fatto con sobrietà anglosassone. Fatti. Inchieste. Pochi commenti. Esclusione delle interpretazioni omnicomprensive. Non credo nel circo degli applausi e del tifo nel quale egli si bea. E ho un vero problema con Travaglio. Non mi piace affatto il metodo fondato sulla conferma di qualcosa che si presume già che sia stato precostituito da qualcuno per ragioni linearmente evidenti, le tesi spiegate al volgo sulla base di tale costrutto e che portano inevitabilmente a conclusioni chiuse e certe e la retorica che accompagna il tutto. Della serie: è sempre il solito unico disegno. Se la storia umana fosse questo non sarebbe altro che macchinazione. E non lo è.
Poi credo nelle procedure. Quando vedo giustizialismo o anche mancato rispetto, minuzioso, delle procedure io mi inquieto. Anche in questo ho una cultura anglosassone: saltare le forme o essere sciatti nelle forme è inamissibile. Dura lex sed lex: meglio annullare la sostanza nel nome di una forma specchiata che rischiare il contrario. Sempre.
Ciò detto, emerge – dalla trasmissione ma, ben più in generale - un quadro di contesto in Calabria (e in tutte le regioni meridionali, ma non solo) che invita tutte le persone oneste e serie a riproporre la questione della giustizia che deve essere e poter essere percepita dalle giovani generazioni e da tutti noi come davvero uguale per tutti. Risorge, infatti, con grande evidenza la necessità della difesa della indipendenza della magistratura. In particolare quando si toccano potentati veri, legati alla grave illegalità criminale diffusa o anche all’abuso di potere.
E si deve ribadire oggi che le nomenclature politiche, una volta garantite ferreamente le procedure, non possono considerarsi a priori intoccabili o fuori dalla responsabilità sulla base della mera difesa della politica tout cour o di suoi componenti.
Questo è il tema. E sarà ben presente nei prossimi mesi.
04 ottobre, 2007
PD in Campania, brutta aria
Dalle nostre parti più che altrove l’aria che si respira nel costituire il Pd non è quella sperata. Perché le novità nel come fare un partito nuovo, in Campania, stanno subendo troppe tristi smentite.
Il Pd nasce, come si sa, introducendo tre vere novità. La prima è che si elegge una assemblea costituente di un partito il quale non è già definito e pronto per l’adesione ma chiama a un processo che ne stabilirà lo statuto, il programma e il segretario. Votando o facendo il candidato non ci si iscrive, dunque, già al partito; si partecipa al processo, alla fine del quale si può decidere se starci o meno. In secondo luogo gli stessi partecipanti non sono gli iscritti ai partiti che hanno deciso di sciogliersi per farne uno nuovo, bensì tutti i cittadini che intendono, appunto, partecipare. Chiunque, a partire dai 16 anni, può andare a votare, il 14 ottobre, con 1 euro, un documento valido e la tessera elettorale. In terzo luogo il processo di delega, attraverso le elezioni alla costituente, avviene sulla base di una stretta osservanza della parità tra donne e uomini: nel numero di candidati/e, di candidati/e capolista e nell’alternanza entro ogni lista.
Si sarebbe potuto fare di più e meglio nella cura dei meccanismi partecipativi e nelle aperture alle tante esperienze politiche che vivono fuori dai partiti. Ma va comunque riconosciuto che queste novità sono una gran cosa in un Paese terribilmente conservatore per quanto riguarda le forme di espressione della politica e che da sempre privilegia gli apparati e i capi rispetto alla cittadinanza attiva. Ma questa gran cosa è tale solo a condizione che quanto annunciato – e perciò atteso – corrisponda alla realtà dei fatti. In altre parole deve essere una cosa vera, autentica. Le liste devono davvero essere largamente aperte ai cittadini e non controllate dalle nomenclature e dai galoppini di partito. Deve veramente esserci il dibattito sui contenuti concreti della vita economica, culturale, sociale e questo deve prevedere momenti di confronto, anche diretti, espliciti e duri perché emergano le differenze tra le quali scegliere. L’alternanza dei candidati uomini e donne deve essere rigorosamente osservata, senza eccezioni.
Ma, appunto, l’aria che in Campania si respira non è questa. Non vi è ombra di dibattito di merito e il confronto è relegato ai nomi e agli schieramenti. Non sono annunciati confronti diretti. In troppe liste i posti sicuri sono coperti dagli apparati di partito mentre chi non ne fa parte è relegato nelle posizioni di coda. E, in ultimo – ma certo non per importanza – addirittura il collegio dei garanti, che dovrebbe difendere le regole condivise, le ha, invece, smentite e ha deciso di ammettere alla competizione campana liste che hanno impunemente calpestato il regolamento attribuendo un numero e un ordine di candidature che sfavorisce le donne.
Tuttavia va pur rimarcato che non è una notte in cui tutte le vacche sono nere. Sono, infatti, in modo particolare, estranee a questo andazzo le liste che sostengono Adinolfi, Bindi, Letta. Che premono per un dibattito vero e hanno liste fatte da moltissimi cittadini nuovi alla politica. E che hanno consegnato le liste secondo le regole e per tempo, mostrando di credere alla autenticità democratica di questo processo.
I potenti di sempre hanno, invece, innovato assai meno. E in vari casi hanno calpestato miserevolmente le stesse procedure pur condivise a parole, mostrandosi anche pre-potenti e contribuendo a infrangere speranze e ridurre interesse e partecipazione. Brutta storia. Che si ripete in molti modi. E che chiama a una stagione di battaglie democratiche davvero lunga. Ben oltre il 14 ottobre. E ben oltre il Pd.
Il Pd nasce, come si sa, introducendo tre vere novità. La prima è che si elegge una assemblea costituente di un partito il quale non è già definito e pronto per l’adesione ma chiama a un processo che ne stabilirà lo statuto, il programma e il segretario. Votando o facendo il candidato non ci si iscrive, dunque, già al partito; si partecipa al processo, alla fine del quale si può decidere se starci o meno. In secondo luogo gli stessi partecipanti non sono gli iscritti ai partiti che hanno deciso di sciogliersi per farne uno nuovo, bensì tutti i cittadini che intendono, appunto, partecipare. Chiunque, a partire dai 16 anni, può andare a votare, il 14 ottobre, con 1 euro, un documento valido e la tessera elettorale. In terzo luogo il processo di delega, attraverso le elezioni alla costituente, avviene sulla base di una stretta osservanza della parità tra donne e uomini: nel numero di candidati/e, di candidati/e capolista e nell’alternanza entro ogni lista.
Si sarebbe potuto fare di più e meglio nella cura dei meccanismi partecipativi e nelle aperture alle tante esperienze politiche che vivono fuori dai partiti. Ma va comunque riconosciuto che queste novità sono una gran cosa in un Paese terribilmente conservatore per quanto riguarda le forme di espressione della politica e che da sempre privilegia gli apparati e i capi rispetto alla cittadinanza attiva. Ma questa gran cosa è tale solo a condizione che quanto annunciato – e perciò atteso – corrisponda alla realtà dei fatti. In altre parole deve essere una cosa vera, autentica. Le liste devono davvero essere largamente aperte ai cittadini e non controllate dalle nomenclature e dai galoppini di partito. Deve veramente esserci il dibattito sui contenuti concreti della vita economica, culturale, sociale e questo deve prevedere momenti di confronto, anche diretti, espliciti e duri perché emergano le differenze tra le quali scegliere. L’alternanza dei candidati uomini e donne deve essere rigorosamente osservata, senza eccezioni.
Ma, appunto, l’aria che in Campania si respira non è questa. Non vi è ombra di dibattito di merito e il confronto è relegato ai nomi e agli schieramenti. Non sono annunciati confronti diretti. In troppe liste i posti sicuri sono coperti dagli apparati di partito mentre chi non ne fa parte è relegato nelle posizioni di coda. E, in ultimo – ma certo non per importanza – addirittura il collegio dei garanti, che dovrebbe difendere le regole condivise, le ha, invece, smentite e ha deciso di ammettere alla competizione campana liste che hanno impunemente calpestato il regolamento attribuendo un numero e un ordine di candidature che sfavorisce le donne.
Tuttavia va pur rimarcato che non è una notte in cui tutte le vacche sono nere. Sono, infatti, in modo particolare, estranee a questo andazzo le liste che sostengono Adinolfi, Bindi, Letta. Che premono per un dibattito vero e hanno liste fatte da moltissimi cittadini nuovi alla politica. E che hanno consegnato le liste secondo le regole e per tempo, mostrando di credere alla autenticità democratica di questo processo.
I potenti di sempre hanno, invece, innovato assai meno. E in vari casi hanno calpestato miserevolmente le stesse procedure pur condivise a parole, mostrandosi anche pre-potenti e contribuendo a infrangere speranze e ridurre interesse e partecipazione. Brutta storia. Che si ripete in molti modi. E che chiama a una stagione di battaglie democratiche davvero lunga. Ben oltre il 14 ottobre. E ben oltre il Pd.
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