Ieri i giornali nazionali mi davano tra i simpatizzanti di Rosy Bindi. E lo sono. Oggi su Repubblica di Napoli spiego in sintesi, in un’intervista, le ragioni della simpatia.
Qui vi racconto come è andata.
Ho un amico che si chiama Paolo che lavora nello staff della Bindi. Negli anni novanta lavorava per Livia Turco. A quel tempo ci siamo incontrati per la legge 285 di tutela dei bambini, welfare partecipativo e politiche per bambini non accompagnati e siamo andati insieme alle assemblee generali ONU a New York sui diritti dei bambini. Un tecnico e soprattutto una persona di grande valore, da cui imparo molto.
Beh, io leggo che la Bindi si presenta. Dopo che si era battuta quasi a singolar tenzone contro i regolamenti insopportabili del PD. Vedo che firma per i referendum anche se con tutti i dubbi che anche io nutro sul fatto che i referendum non disegnano certo una buona legge elettorale, ma lo fa e lo dice (a differenza di Ualder che il rischio non lo piglia e fa il solito colpo al cerchio e colpo alla botte, come nella peggiore italietta di sempre). Leggo che (lei) non vuole fare un ennesimo ridicolo ticket con insieme un ex democristiano e un ex comunista che è una cosa che puzza di compromesso storico ritrito lontano cento miglia. So che difende la proposta dei Dico, l’unica, allo stato, che abbia aperto la questione dei diritti dei gay in questo nostro dannato paese e che si è presa più strali lei dalla Cei che tutti i diessini di questo mondo, Pollastrini unica esclusa. So per certo che ha alle spalle una tradizione di grande eticità personale e di attenzione vera al merito delle questioni dell’esclusione sociale. E so che è una che viene da una porzione del mondo cattolico – mondo assai lontano da me ma che seguo – che richiama cose come la comunità di Bose e che della laicità dello stato ha un’idea che era quella di Don Milani. Certi cattolici, in questa materia, sono più affidabili dei togliattiani di terza generazione, state tranquilli. E poi – mi dico - rompe questa melassa veltroniana, una specie di ecumenismo tenuto insieme da un re vincitore annunciato. Sono tifoso del Napoli io, non della juve (j non J) come è Ualder.
Gli annunci preventivi di vittoria so bene che attirano più del miele ma – che ci si può fare? – a me fanno venire l’orticaria. E poi Bassolino neo-veltroniano dell’ultima ora? Un giorno uscirà un film: dal correntone a Ualder in ventiquattro mesi. La Iervolino, poi, cresciuta in azione cattolica che pure lei si accoda subito? E vedo la vera sostanza del “patto per Napoli” - la continuità del bassolinismo, sancito da Ualder… E tutti a cercare di fare liste che girino intorno a questo. Che cosa c’entro io con tutto questo? Infine leggo che Rosy dice che dichiara la sua cultura di provenienza ma garantisce la libertà delle altre e dunque non in modo a-conflittuale ma autentico e che vuole fare la segretaria di un partito e dunque lascerebbe per questo tutti gli altri incarichi. Vedo che spiega bene che non ama confondere stato e partito, altra cosa sovietica che unisce le culture profonde di Ualder e del neo-bassolinismo. Il contrario della democrazia.
E mi viene pure una rima: basta con questa melassa veltroniana, soporifera in Italia, tossica in campania.
Confesso anche che avevo sperato ne I Mille che avevano un’idea più a me congeniale del PD. Ma si sono divisi. Spaccati da Ualder. Finished.
E allora – mi dico – faccio il democratico senza partito ma prima fammi parlare con Paolo.
Così chiamo il mio amico Paolo. E gli racconto questi miei pensieri. Lui dice che la Bindi sta facendo una follia consapevole e che tante persone davvero ottime ne sono contenti.
L’indomani squilla il mio cellulare. Ma questa voce toscana l’ho sentita in tv – mi dico. “ Brava, ministro, ha fatto bene” – qualcosa dovevo dirle. Poi le racconto di quanto sarà dura. Perché ad averli tutti contro è dura. “So bene della sua storia a Napoli” – mi dice lei. E ripete che lo sa bene che sarà dura ma che si deve pur provare a fare un partito per le persone. Le raccomando la laicità. Mi dice: “lo dice a me?”
E’ andata così. Starò dunque a simpatizzare. E se non si può fare neanche questo, resto un democratico senza partito. Tranquillamente.
Ma la melassa veltroniana rivestita di regime campano, magari sostenendo qualche lista che timidamente esprime il famoso dissenso (altra parola che evoca roba sovietica, usata non a caso da Bassolino in continuazione negli ultimi dieci anni): no, senza grazie.
21 luglio, 2007
12 luglio, 2007
Arriva Berlusconi in città
Arriva che sono settimane in cui Bassolino e i suoi eredi, in stile sovietico, agiscono perché nulla cambi a Napoli, in Campania, nello stesso processo di costituzione del PD. Anzi, negli ultimi tempi, il governatore, pur ferito dalla lunga crisi, ha mostrato segni di aggressiva vitalità e ha chiamato a “stringersi a corte”.
A questa nuova chiamata la discesa del Cavaliere fa comodo. Infatti ogni volta il comizio partenopeo di Berlusconi calza a fagiolo. Serve e aiuta il blocco di potere di centro-sinistra campano a utilizzare la paura per il Grande Nemico per rinsaldare il suo cemento ideologico. Perché il cemento ideologico pure esiste e si affianca, entro un complesso intreccio, sia a quello, assai esteso, basato sull’interesse sia a quello fondato sulle tante forme umane della conservazione. Così questo ennesimo comizio del Berlusca a Napoli fa ripartire lo stanco ritornello degli apparatnik, dei cinici, degli interessati e dei depressi che ripete, secondo diverse varianti, la solita litania: “Bassolino ha compuito tanti errori ma, attenzione!, resta il ‘male minore’, l’unico capace di gestire le nostre povere sorti in una situazione antropologicamente arretrata che ha bisogno di un capo, di un apparato fedele, della paura, per resistere a mali che sono sempre ben peggiori”.
Già per le elezioni fu così.
E c’è un olezzo, appunto, sovietico in tutto questo, con il nemico esterno funzionale alla conservazione del presente… purché non si rischi di cambiare…
Ma qui nasce l’effetto paradosso proprio di ogni paranoia conservatrice: più ti opponi ai mutamenti e più ne favorisci l’evenienza. Diceva l’adagio del tao: “i fiori appassiscono per quanto uno faccia”. Così questa volta la discesa del Cavaliere evoca più da vicino la possibilità che la destra guadagni davvero questa parte di mondo, se solo si affida a una qualche figura un po’ presentabile, capace di comunicare con pronta demagogia e anche di recidere almeno alcuni dei corposi legami consociativi che la destra ha sempre condiviso con Bassolino e il suo metodo di governo.
Per chi vuole un vero cambiamento si tratta di star ben lontano dalle sirene dei palazzi o dal centro-sinistra diffuso che chiamano “a stringersi a corte” e ad essere cauti nella critica del bassolinismo.
E si tratta di prepararsi ad avversare la montata di una deleteria demagogia di destra che oggi è in agguato.
Dobbiamo fare di tutto perché ciò non sia. Ma temo che dovremo un giorno ringraziare la lunga stagione bassoliniana non solo per il disastro che ha prodotto ma anche per avere preparato irresponsabilmente l’avvento della peggiore destra: après moi le déluge. Perché il Bassolino aggressivo dell’ultim’ora mentre lavora per un bassolinismo senza più il suo capo e rovina ancor più il presente, minaccia davvero di creare mostri futuri.
Il cartellone modificato della foto è già comparso stamattina sul blog di Decidiamoinsieme.
A questa nuova chiamata la discesa del Cavaliere fa comodo. Infatti ogni volta il comizio partenopeo di Berlusconi calza a fagiolo. Serve e aiuta il blocco di potere di centro-sinistra campano a utilizzare la paura per il Grande Nemico per rinsaldare il suo cemento ideologico. Perché il cemento ideologico pure esiste e si affianca, entro un complesso intreccio, sia a quello, assai esteso, basato sull’interesse sia a quello fondato sulle tante forme umane della conservazione. Così questo ennesimo comizio del Berlusca a Napoli fa ripartire lo stanco ritornello degli apparatnik, dei cinici, degli interessati e dei depressi che ripete, secondo diverse varianti, la solita litania: “Bassolino ha compuito tanti errori ma, attenzione!, resta il ‘male minore’, l’unico capace di gestire le nostre povere sorti in una situazione antropologicamente arretrata che ha bisogno di un capo, di un apparato fedele, della paura, per resistere a mali che sono sempre ben peggiori”.
Già per le elezioni fu così.
E c’è un olezzo, appunto, sovietico in tutto questo, con il nemico esterno funzionale alla conservazione del presente… purché non si rischi di cambiare…
Ma qui nasce l’effetto paradosso proprio di ogni paranoia conservatrice: più ti opponi ai mutamenti e più ne favorisci l’evenienza. Diceva l’adagio del tao: “i fiori appassiscono per quanto uno faccia”. Così questa volta la discesa del Cavaliere evoca più da vicino la possibilità che la destra guadagni davvero questa parte di mondo, se solo si affida a una qualche figura un po’ presentabile, capace di comunicare con pronta demagogia e anche di recidere almeno alcuni dei corposi legami consociativi che la destra ha sempre condiviso con Bassolino e il suo metodo di governo.
Per chi vuole un vero cambiamento si tratta di star ben lontano dalle sirene dei palazzi o dal centro-sinistra diffuso che chiamano “a stringersi a corte” e ad essere cauti nella critica del bassolinismo.
E si tratta di prepararsi ad avversare la montata di una deleteria demagogia di destra che oggi è in agguato.
Dobbiamo fare di tutto perché ciò non sia. Ma temo che dovremo un giorno ringraziare la lunga stagione bassoliniana non solo per il disastro che ha prodotto ma anche per avere preparato irresponsabilmente l’avvento della peggiore destra: après moi le déluge. Perché il Bassolino aggressivo dell’ultim’ora mentre lavora per un bassolinismo senza più il suo capo e rovina ancor più il presente, minaccia davvero di creare mostri futuri.
Il cartellone modificato della foto è già comparso stamattina sul blog di Decidiamoinsieme.
04 luglio, 2007
La lesa speranza
Ieri l’altro ho visto un giovane rumeno che sfotteva un coetaneo indigeno. “Vui fare così schifo che nianche Rumania prenda vostra mundizza e nianche per molti soldi”.
Mi sono soffermato sullo sguardo affranto e sorpreso e sulle labbra stranamente senza parole di replica dell’interlocutore, un ragazzo che conosco e a cui certo non manca una colorita favella. Mi sono gelato, fermo così, con la mente inebetita dalla ennesima constatazione di quanto duole a tutte le persone l’umiliazione e l’essere perennemente immersi in ferite profonde inferte al narcisismo della propria città di appartenenza. La lesa speranza: un crimine politico ingiudicabile eppure feroce ed irrisarcibile. Poi ho pensato con altrettanta tristezza alla rivalsa del giovane rumeno e all’abietta classifica al ribasso tra poveri mal considerati…
Una città ferita è un mondo da ricostruire.
Oggi vedo con sollievo che i giornali locali l’hanno finita di scrivere che sto nell’organismo dei 45, ora 60 e poi chissà… che stanno provando a mettere in piedi per bilanciare le cosidette componenti del Partito Democratico in vista di garanzie sulle procedure future.
Avevo voglia io di ripetere a chi incontravo per strada che non era così, che nessuno mai mi aveva chiamato a farne parte e che ero molto contrario a tutto ciò… I boatos disinformativi ripresi dalla stampa contavano ben più sia dei fatti che delle mie argomentate avversità.
Mi sono soffermato sullo sguardo affranto e sorpreso e sulle labbra stranamente senza parole di replica dell’interlocutore, un ragazzo che conosco e a cui certo non manca una colorita favella. Mi sono gelato, fermo così, con la mente inebetita dalla ennesima constatazione di quanto duole a tutte le persone l’umiliazione e l’essere perennemente immersi in ferite profonde inferte al narcisismo della propria città di appartenenza. La lesa speranza: un crimine politico ingiudicabile eppure feroce ed irrisarcibile. Poi ho pensato con altrettanta tristezza alla rivalsa del giovane rumeno e all’abietta classifica al ribasso tra poveri mal considerati…
Una città ferita è un mondo da ricostruire.
Oggi vedo con sollievo che i giornali locali l’hanno finita di scrivere che sto nell’organismo dei 45, ora 60 e poi chissà… che stanno provando a mettere in piedi per bilanciare le cosidette componenti del Partito Democratico in vista di garanzie sulle procedure future.
Avevo voglia io di ripetere a chi incontravo per strada che non era così, che nessuno mai mi aveva chiamato a farne parte e che ero molto contrario a tutto ciò… I boatos disinformativi ripresi dalla stampa contavano ben più sia dei fatti che delle mie argomentate avversità.
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