26 febbraio, 2009
C’è spazio per un’altra politica
Mentre la signora Iervolino e i vari immancabili presenzialisti locali sono convinti che a Napoli sia tempo di dedicarsi ai terzi arrivati delle competizioni canore mediaset-rai, Bassolino si scopre democratico conseguente e reclama le primarie per le elezioni provinciali senza, naturalmente, parlare di merito su alcunché; tanto che, per una volta, mi sono sentito di dover ricordare i suoi trascorsi in materia.
Fortunatamente, camminando per il mio quartiere, si incontrano piccoli segni di un’altra città. E’ stato completato l’altare che ricorda Nicola, con tanto di poesia… da cui si evince una consapevolezza di cosa sia Napoli nei ragazzi che lavorano al nero, emigrano o stanno ai margini... I quali hanno anche pagato e affisso un manifesto di partecipazione per la morte di un loro coetaneo polacco che è caduto dal motorino mentre portava il pane, ha sbattuto la testa ed è morto sul colpo.
Forse varrebbe la pena non partecipare in alcun modo al balletto solito delle provinciali di Napoli. Ma usare, invece, questa stagione elettorale per mettersi di nuovo a parlare di persone. E di diritti, poveri, formazione, partecipazione, piani di sviluppo realistici ecc. magari organizzando degli incontri a tema.
Più in generale non riesco proprio a rassegnarmi al fatto che, mentre Obama affronta, faticosamente, la crisi, ponendo le grandi questioni del come ricreare opportunità e libertà (come si ridistribuisce la ricchezza entro un sistema liberale, come le energie pulite, diversificate e sostenibili possano liberarci dai vicoli e pericoli di petrolio e nucleare, come vanno nuovamente sostenuti i diritti dei deboli), da noi il dibattito è centrato sulla punizione e il controllo (regolare i diritti, escludere da essi varie categorie, prepararsi al ritorno al nucleare, non parlare di esclusione sociale mai ecc.).
E la sinistra e il PD? Mi pare che siano per lo più dedicati a beghe interne, nomenclature, tattiche, nomi…
Intanto cresce la povertà in Italia. Segnalo, per chi volesse guardare i fatti, che è finalmente disponibile il rapporto della commissione povertà alla quale ho lavorato anche io. I dati sono quelli del 2007.
Ma sono già molto evidenti i trend: ulteriore immiserimento di disoccupati e anche di lavoratori, di vecchi, di bambini e di donne, poca istruzione e formazione nelle fasce deboli e il crescere della spaccatura tra condizioni di vita nel Mezzogiorno e nel resto del Paese. Così è. Anzi, era. Ancor prima dei morsi di questa crisi… che sarà moltiplicatrice terribile di esclusione sociale e di divari territoriali.
E’ faticoso. Ma c’è spazio per dedicarsi a un’altra politica.
13 febbraio, 2009
Pensieri intorno ai “giorni di Eluana”
Questi “giorni di Eluana” li ho vissuti come tra i più cupi della recente storia di questo Paese. Non ne ricordo di così segnati da violenza e volgarità istituzionale. Perché questa volta, a differenza di altre brutte stagioni – lo stragismo, il terrorismo, tangentopoli - c’è stata una isterica, ostentata e virulenta mancanza di senso dello e nello stato a causa del comportamento e delle parole di chi – presidente del consiglio, ministri, membri del parlamento, ecc. - ricopre cariche alte. Un attacco alla Costituzione? Certo. Ma è dir poco. Infatti la Costituzione – è vero – può anche essere cambiata. Ma qui l’attacco è stato proprio al costrutto liberale, all’insieme di procedure condivise e sobrie che stanno a garanzia e a salvaguardia della democrazia liberale ovunque. Se ci fosse ancora lo Statuto Albertino o se vi fosse una qualsiasi altra Costituzione liberale questa sarebbe sotto attacco comunque da parte di costoro. Nessuna costituzione degna di questo nome consente, infatti, che una sentenza passata in giudicato venga smentita da un decreto del potere esecutivo con valore immediato e senza un voto del potere legislativo.
Dunque c’è stato, contemporaneamente, un attacco all’essenza delle regole di uno stato di diritto e un cupo assalto di vero integralismo, un’intrusione nella libertà e nel pudore di ognuno in quanto persona e cittadino che è portatore di diritti personali e civili.
E le “rappacificazioni” degli ultimi due giorni e il sobrio rito funerario per Eluana sui monti innevati della Carnia non riescono a cancellare questo fatto. Perché qualcosa è avvenuto di assai grave intorno agli enti della libertà e della responsabilità. Contro i quali si è manifestata una potenza che è diventata atto, in modo nuovo e più forte che mai.
Si tratta, certo, di Berlusconi e di Berlusconi premier senza regole e manifestamente psicotico. Ma non è solo Berlusconi. E’ un agglomerato politico che è ben ramificato e poliedrico dentro le istituzioni e che le utilizza senza alcun rispetto per il modo in cui dovrebbero funzionare. Ed è la tv – sì la tv - che entra come una clava in ogni casa e dice e osanna e offende e sbraita e diseduca.
E’ un agglomerato illiberale largo e potentissimo dunque. Che ha olezzo di Chiesa medioevale ma modi da regime – sovietico o fascista - degli anni trenta del secolo scorso. Che vuole dirmi – a me persona e a me cittadino - come vivere e come morire. E impormelo tout court e insultandomi e al contempo sovvertendo le leggi fondamentali su cui si regge il mio patto con le istituzioni.
Questo è stato e questo è. E una siffatta bestia, quando inizia a digrignare i denti e poi a mordere, non la smette tanto facilmente. Può mettersi momentaneamente a cuccia. Per opportunismo. O per quel affaticamento che fa seguito a ogni assalto d’ira o impeto di violenza. Ma è fuori dalla gabbia e attaccherà ancora e ancora.
Sul merito. Parto da me. Sono stato malato e volevo vivere e basta. Quasi a tutti i costi. Ma volevo continuare ad essere me stesso, sia pure malato: parlare, ascoltare, mangiare frutta, guardare da una finestra. E non volevo a lungo soffrire. Un po’ di male si può e si deve pure, anche se è difficile – mi dicevo; ma tanto lungo, inutile male – prima della certezza della morte – questo proprio no. Così ho pensato in una stagione difficile della mia vita; e così è per me. E ho un diritto, inalienabile, a pensarla così. E a fare le scelte che ne conseguono e a disporle per il mio futuro se non sarò in grado io stesso ad attuarle.
Poi c’è chi, invece, altrettanto legittimamente, crede nella sua personale e individuale tenuta in vita comunque e ha un altro rapporto dal mio con la sofferenza? E c’è chi ritiene che un radicale cambiamento di stato, ben oltre la soglia della normale battaglia propria di ogni malattia, sia comunque da preservare a ogni costo in quanto vita? Fa bene quanto me. Con pari diritto inalienabile. E deve essere altrettanto libero di stabilire ogni atto affinché ciò sia.
Ma io non posso e non devo dire a lui o a lei cosa fare e lui o lei non può e non deve dirlo a me. Devo semmai confrontarmi rispettosamente con questa differenza. E viceversa.
E a garantire tutto ciò c’è lo stato. Che mai deve prendere parte per uno o per l’altro e deve consentire a ciascuno di disporre per sé, una volta che le cure non servono più e che non vi è speranza di vita cosciente.
Perciò voglio avere subito la possibilità di un testamento biologico.
Ma le proposte che sono prese in considerazione in Parlamento e che sono oggi oggetto di mediazione tra PD e PdL non mi convincono proprio. Perché non hanno una ispirazione liberale. E non mi consentono quel che ho appena detto. Intanto, infatti, non vedo perché io debba disporre del come morire andando ogni tre anni, a mie spese, dal notaio e con il medico a reiterare la validità del mio proponimento – come dicono queste “bozze di mediazione”. Se cambio il testamento devo poter andare gratuitamente a cambiarlo; altrimenti vale ciò che ho scritto. Ma soprattutto pretendo la possibilità di decidere. Punto. Il che vuole dire che è mia l’esclusiva competenza determinare l’uso o meno di ogni procedura medica, anche intrusiva e forte - una volta stabilito che sono su una strada senza alcun ritorno. Ivi compresi ossigeno, alimentazione e idratazione.
Insomma, in questo testamento, ognuno deve poter scrivere quel che crede. Davvero e in toto. Perciò a me non piace la bozza unificata detta Calabrò. Che mette limiti a monte della decisione di ognuno. E, per esempio, costringe me – che la penso come la penso - a vivere in coma irreversibile con una sonda per anni nella gola che mi dà acqua e cibo che da solo non potrei assumere neanche aiutato manualmente.
No, non posso ammettere in alcun modo che sia una legge o il papa o Berlusconi o Rutelli o chicchessìa a impormi ciò.
Poi ho altri pensieri ancora. Provvisori e incerti. Che riguardano la mia personalissima e assai modesta riflessione religiosa. Sono un credente atipico. Della religione codificata apprezzo i rituali e non i dogmi. Quella dibattuta mi arricchisce. Vado in sinagoga, non spesso, soprattutto per un senso di rispetto per l’unità dell’universo e per interrogarmi.
E non riesco proprio a ritenere la sofferenza in sé un valore. Può insegnare. Ma non può essere considerata cosa sacra. Il feticismo del dolore a me non piace. E, più in generale, ogni feticismo e falso idolo mi insospettisce. Perché mi distoglie troppo facilmente dal dubbio, dal confronto e dal pensare. E perché – ove mai vi fosse Dio – tende comunque a mettere ombra alla sua unicità.
So bene che anche molti cattolici diffidano del feticismo del dolore; e dicono che “la croce senza la resurrezione” non ha senso. Ma oggi si deve constatare che in quel mondo c’è la ricorrente tentazione o, peggio, la pratica, di voler difendere il valore della croce in sé e dunque mettere in ombra la resurrezione. Il che significa una certa affezione per il dolore in quanto tale. Senza salvezza. Vorrei potermi confrontare con quei tanti cattolici che su ciò nutrono preoccupazione per le posizioni che, con ostentazione, sono venute, in questi giorni, dalla Chiesa e dai cosiddetti esponenti politici cattolici, a destra e anche a manca…
Un altro tema, per me molto aperto e su cui mi muovo in mezzo a molte incertezze – tema che è religioso, filosofico, economico e anche psicologico - riguarda il delirio di onnipotenza. Fino a quando è bene andare contro l’ordine delle cose secondo quel che fu natura? Attenzione: quel che fu natura… perché questo tema è sempre legato a cosa sia cultura e cosa sia natura. E si fa complicato assai. Su ciò sia sul fronte non cattolico che su quello cattolico si vedono molte posizioni e anche molte incoerenze, spesso tra loro speculare. Molti laici sono spesso per la morte naturale e contro le forzature di interventi tecnici; ma poi, altrettanto spesso, appoggiano ogni progresso della scienza che muta l’ordine naturale. Viceversa molti cattolici sono spesso contro i ritrovati della scienza considerati troppo manipolativi dell’ordine naturale ma poi si schierano altrettanto spesso a sostegno di vari dispositivi moderni atti alla tenuta in vita a tutti i costi. Mi pare che in entrambi i casi sia in gioco il principio di non contraddizione. Va pure bene così. Basta non millantare coerenze e certezze… Interrogarsi, appunto.
Così, mentre la storia di Eluana potrebbe aprire la comunità nazionale a una dignitosa stagione di confronto tra diversi su questi temi, ciò risulta, tuttavia, impossibile. Perché non vi sono state e non vi sono le garanzie liberali minime, indispensabili a questo confronto. Perché il governo le attacca brutalmente e il PD non le difende con una posizione serena e forte. Tutto ciò, oltre a essere minaccioso e mutilante di diritti, ci impoverisce terribilmente anche sul piano culturale.
Dunque c’è stato, contemporaneamente, un attacco all’essenza delle regole di uno stato di diritto e un cupo assalto di vero integralismo, un’intrusione nella libertà e nel pudore di ognuno in quanto persona e cittadino che è portatore di diritti personali e civili.
E le “rappacificazioni” degli ultimi due giorni e il sobrio rito funerario per Eluana sui monti innevati della Carnia non riescono a cancellare questo fatto. Perché qualcosa è avvenuto di assai grave intorno agli enti della libertà e della responsabilità. Contro i quali si è manifestata una potenza che è diventata atto, in modo nuovo e più forte che mai.
Si tratta, certo, di Berlusconi e di Berlusconi premier senza regole e manifestamente psicotico. Ma non è solo Berlusconi. E’ un agglomerato politico che è ben ramificato e poliedrico dentro le istituzioni e che le utilizza senza alcun rispetto per il modo in cui dovrebbero funzionare. Ed è la tv – sì la tv - che entra come una clava in ogni casa e dice e osanna e offende e sbraita e diseduca.
E’ un agglomerato illiberale largo e potentissimo dunque. Che ha olezzo di Chiesa medioevale ma modi da regime – sovietico o fascista - degli anni trenta del secolo scorso. Che vuole dirmi – a me persona e a me cittadino - come vivere e come morire. E impormelo tout court e insultandomi e al contempo sovvertendo le leggi fondamentali su cui si regge il mio patto con le istituzioni.
Questo è stato e questo è. E una siffatta bestia, quando inizia a digrignare i denti e poi a mordere, non la smette tanto facilmente. Può mettersi momentaneamente a cuccia. Per opportunismo. O per quel affaticamento che fa seguito a ogni assalto d’ira o impeto di violenza. Ma è fuori dalla gabbia e attaccherà ancora e ancora.
Sul merito. Parto da me. Sono stato malato e volevo vivere e basta. Quasi a tutti i costi. Ma volevo continuare ad essere me stesso, sia pure malato: parlare, ascoltare, mangiare frutta, guardare da una finestra. E non volevo a lungo soffrire. Un po’ di male si può e si deve pure, anche se è difficile – mi dicevo; ma tanto lungo, inutile male – prima della certezza della morte – questo proprio no. Così ho pensato in una stagione difficile della mia vita; e così è per me. E ho un diritto, inalienabile, a pensarla così. E a fare le scelte che ne conseguono e a disporle per il mio futuro se non sarò in grado io stesso ad attuarle.
Poi c’è chi, invece, altrettanto legittimamente, crede nella sua personale e individuale tenuta in vita comunque e ha un altro rapporto dal mio con la sofferenza? E c’è chi ritiene che un radicale cambiamento di stato, ben oltre la soglia della normale battaglia propria di ogni malattia, sia comunque da preservare a ogni costo in quanto vita? Fa bene quanto me. Con pari diritto inalienabile. E deve essere altrettanto libero di stabilire ogni atto affinché ciò sia.
Ma io non posso e non devo dire a lui o a lei cosa fare e lui o lei non può e non deve dirlo a me. Devo semmai confrontarmi rispettosamente con questa differenza. E viceversa.
E a garantire tutto ciò c’è lo stato. Che mai deve prendere parte per uno o per l’altro e deve consentire a ciascuno di disporre per sé, una volta che le cure non servono più e che non vi è speranza di vita cosciente.
Perciò voglio avere subito la possibilità di un testamento biologico.
Ma le proposte che sono prese in considerazione in Parlamento e che sono oggi oggetto di mediazione tra PD e PdL non mi convincono proprio. Perché non hanno una ispirazione liberale. E non mi consentono quel che ho appena detto. Intanto, infatti, non vedo perché io debba disporre del come morire andando ogni tre anni, a mie spese, dal notaio e con il medico a reiterare la validità del mio proponimento – come dicono queste “bozze di mediazione”. Se cambio il testamento devo poter andare gratuitamente a cambiarlo; altrimenti vale ciò che ho scritto. Ma soprattutto pretendo la possibilità di decidere. Punto. Il che vuole dire che è mia l’esclusiva competenza determinare l’uso o meno di ogni procedura medica, anche intrusiva e forte - una volta stabilito che sono su una strada senza alcun ritorno. Ivi compresi ossigeno, alimentazione e idratazione.
Insomma, in questo testamento, ognuno deve poter scrivere quel che crede. Davvero e in toto. Perciò a me non piace la bozza unificata detta Calabrò. Che mette limiti a monte della decisione di ognuno. E, per esempio, costringe me – che la penso come la penso - a vivere in coma irreversibile con una sonda per anni nella gola che mi dà acqua e cibo che da solo non potrei assumere neanche aiutato manualmente.
No, non posso ammettere in alcun modo che sia una legge o il papa o Berlusconi o Rutelli o chicchessìa a impormi ciò.
Poi ho altri pensieri ancora. Provvisori e incerti. Che riguardano la mia personalissima e assai modesta riflessione religiosa. Sono un credente atipico. Della religione codificata apprezzo i rituali e non i dogmi. Quella dibattuta mi arricchisce. Vado in sinagoga, non spesso, soprattutto per un senso di rispetto per l’unità dell’universo e per interrogarmi.
E non riesco proprio a ritenere la sofferenza in sé un valore. Può insegnare. Ma non può essere considerata cosa sacra. Il feticismo del dolore a me non piace. E, più in generale, ogni feticismo e falso idolo mi insospettisce. Perché mi distoglie troppo facilmente dal dubbio, dal confronto e dal pensare. E perché – ove mai vi fosse Dio – tende comunque a mettere ombra alla sua unicità.
So bene che anche molti cattolici diffidano del feticismo del dolore; e dicono che “la croce senza la resurrezione” non ha senso. Ma oggi si deve constatare che in quel mondo c’è la ricorrente tentazione o, peggio, la pratica, di voler difendere il valore della croce in sé e dunque mettere in ombra la resurrezione. Il che significa una certa affezione per il dolore in quanto tale. Senza salvezza. Vorrei potermi confrontare con quei tanti cattolici che su ciò nutrono preoccupazione per le posizioni che, con ostentazione, sono venute, in questi giorni, dalla Chiesa e dai cosiddetti esponenti politici cattolici, a destra e anche a manca…
Un altro tema, per me molto aperto e su cui mi muovo in mezzo a molte incertezze – tema che è religioso, filosofico, economico e anche psicologico - riguarda il delirio di onnipotenza. Fino a quando è bene andare contro l’ordine delle cose secondo quel che fu natura? Attenzione: quel che fu natura… perché questo tema è sempre legato a cosa sia cultura e cosa sia natura. E si fa complicato assai. Su ciò sia sul fronte non cattolico che su quello cattolico si vedono molte posizioni e anche molte incoerenze, spesso tra loro speculare. Molti laici sono spesso per la morte naturale e contro le forzature di interventi tecnici; ma poi, altrettanto spesso, appoggiano ogni progresso della scienza che muta l’ordine naturale. Viceversa molti cattolici sono spesso contro i ritrovati della scienza considerati troppo manipolativi dell’ordine naturale ma poi si schierano altrettanto spesso a sostegno di vari dispositivi moderni atti alla tenuta in vita a tutti i costi. Mi pare che in entrambi i casi sia in gioco il principio di non contraddizione. Va pure bene così. Basta non millantare coerenze e certezze… Interrogarsi, appunto.
Così, mentre la storia di Eluana potrebbe aprire la comunità nazionale a una dignitosa stagione di confronto tra diversi su questi temi, ciò risulta, tuttavia, impossibile. Perché non vi sono state e non vi sono le garanzie liberali minime, indispensabili a questo confronto. Perché il governo le attacca brutalmente e il PD non le difende con una posizione serena e forte. Tutto ciò, oltre a essere minaccioso e mutilante di diritti, ci impoverisce terribilmente anche sul piano culturale.
07 febbraio, 2009
Il coraggio della vecchiaia
Contro la povera Eluana, la sua famiglia, la legge e la democrazia liberale, continua la volgare e terrificante guerra di Berlusconi e dei suoi accoliti – Fini escluso, ancora una volta; e va rimarcato.
Ci auguriamo tutti che, oltre a vincere le elezioni in Sardegna, abbia ragione Renato Soru: che Berlusconi finisca ricordato come Caligola e venga un Traiano o un Adriano.
Ma per ora il Cavaliere è qui. Sta smantellando le procedure e lo spirito della Costituzione, sostenuto da una Chiesa che a sua volta sta ritornando a prima dell’elezione di Papa Giovanni XXIII.
Berlusconi ha come opposizione gli strepiti di Di Pietro e il sostanziale nulla del PD. E’ pochissimo. Anche se si dovrà vedere quanta gente si presenterà davanti a Palazzo Chigi per un presidio indetto per oggi pomeriggio.
Ma c’è il “coraggio della vecchiaia” del Presidente Giorgio Napolitano. Che ha dichiarato urbi et orbi di non poter né voler firmare un decreto che è anticostituzionale.
Stasera il Presidente è a Napoli. Sto fuori per lavoro – e molto mi dispiace. Ma sarei andato anche da solo ad applaudirlo fuori dal S. Carlo, con un cartello su cui avrei scritto “grazie, Presidente”.
Ci auguriamo tutti che, oltre a vincere le elezioni in Sardegna, abbia ragione Renato Soru: che Berlusconi finisca ricordato come Caligola e venga un Traiano o un Adriano.
Ma per ora il Cavaliere è qui. Sta smantellando le procedure e lo spirito della Costituzione, sostenuto da una Chiesa che a sua volta sta ritornando a prima dell’elezione di Papa Giovanni XXIII.
Berlusconi ha come opposizione gli strepiti di Di Pietro e il sostanziale nulla del PD. E’ pochissimo. Anche se si dovrà vedere quanta gente si presenterà davanti a Palazzo Chigi per un presidio indetto per oggi pomeriggio.
Ma c’è il “coraggio della vecchiaia” del Presidente Giorgio Napolitano. Che ha dichiarato urbi et orbi di non poter né voler firmare un decreto che è anticostituzionale.
Stasera il Presidente è a Napoli. Sto fuori per lavoro – e molto mi dispiace. Ma sarei andato anche da solo ad applaudirlo fuori dal S. Carlo, con un cartello su cui avrei scritto “grazie, Presidente”.
03 febbraio, 2009
Piovosa Napoli, senza buona politica
Fare politica a Napoli?
Per come la vedo e la rispetto io – e non solo io – di buona politica, da queste parti, ce n'è pochissima. Quanto sono presenti i problemi vivi di città, regione e cittadini? E qualcuno fa un bilancio di come si sono spese e si spendono le risorse pubbliche? O c’è qualcuno che propone un confronto sul perché c’è una paurosa crisi nella partecipazione? O su come ridare di nuovo senso alla rappresentanza – che pure serve in democrazia?
Quel che interessa sono i nomi… per vere o presunte candidature future. E i nomi sono regolarmente indipendenti da problemi, proposte e competenze. Ma sono dipendenti da equilibri tra fazioni, mutanti o consolidate. Che a loro volta sono da mettere quasi sempre in relazione con pezzi di amministrazioni – cioè con clientele già solide o da conquistare. E, al contempo, sono nomi che si sono andati ad accreditare presso le varie corti di partito. In quel di Roma. Come avveniva per le borghesie compradore delle colonie.
C’è, poi, il sordido rumore di sottofondo. Che riguarda il non dover escludere nessuno, il cooptare chi potrebbe mugugnare fastidiosamente, chi minaccia di sottrarre pezzi utili al mosaico del consenso, chi ha un ricatto pret à porter, chi promette in dote questo o quello, chi negozia col controllore di turno. E’ un sottobosco movimentato da non pochi umani ben addestrati. Fatto di proponimenti reali e di bluff, di intrighi, scontri, alleanze con uscite e rientri. Con propri codici, linguaggi, stili. Alla fine dei quali ci sono posti nelle liste, nei partiti, nelle organizzazioni limitrofe, nei centri di spesa, nelle agenzie pubbliche.
E poi ci sono le umane vicende delle tante piccole sopravvivenze personali… “A’ politica”. Un mestiere. Ma non nel senso che indicò Max Weber. Più banalmente: un modo per campare senza dover produrre né beni né servizi.
Sì, ci sono le debite eccezioni. Ogni volta ad esse ci si deve inchinare. Ma anche l’onesto che s’affaccia o vuole fare buona politica è in queste acque che deve navigare.
Come nel resto d’Italia? Sì. Ma molto di più. Per intensità di attività e per massa critica di attori in campo.
E allora va forse un po’ rivendicato che, in uno strano modo, c’è, invece, chi, ha costruito un qualche imperfetto spazio pubblico a Napoli. Con mille limiti e difetti. Ma che è sicuramente altro da tutto questo. E che lo ha fatto non solo durante le ultime elezioni comunali con la lista civica Decidiamo insieme.
Non siamo i soli? Certamente non siamo i soli.
E c’è un mare di brave persone che non tollerano più “a’ politica”. E che vogliono ridare senso alla politica.
Cammino per strada. E tante persone – in dialetto o in italiano - mi chiedono di fare cose, di essere più presenti, di attivarsi in politica. “Dovete fare qualcosa”, “Ma tu hai lasciato correre, te ne vai fuori a lavorare invece di combattere qui”, “Bisogna fare questo o quello”.
In qualche modo si tratta di una richiesta. E in questa richiesta il soggetto è spesso o il ‘voi’ o addirittura il ‘tu’; oppure è il famoso impersonale italico spesso seguito dal verbo al condizionale…
“sarebbe giusto, si dovrebbe, si potrebbe, ci sarebbe da…”. La prima persona plurale è più rara. Ma non inesistente. Molte persone in pensione sono disposte a dare tempo. Altri sono pronti a fare iniziative. Sono iscritti e non a partiti. Alcuni hanno votato per quella nostra lista o per me. Molti no. Queste persone che incontro e che altri incontrano fanno questa sorta di richiesta un po’ per spirito di delega, un po’ per rimarcare una necessità evidente, un po’ per stima di quanto allora facemmo pur perdendo (ancor più visti i risultati di chi ha vinto), un po’ per un’idea di protagonismo che resiste in qualche modo…
“Ma che farete?” “Ma che pensi di fare?”
A me viene da ribaltare la questione. Che cosa, intanto, stiamo già facendo - e stiamo facendo nella nostra condizione reale. Che è quella di persone perbene e normali che cercano disperatamente di ridare un senso alla politica. Ma che - a differenza di chi fa il ‘mestiere della politica’ – sono persone che non vivono con stipendi provenienti dalla politica; e che quindi la mattina vanno a lavorare. E sono dunque persone per le quali la politica contende il tempo alle altre relazioni umane: compagni di vita, genitori, figli, amici, hobby, ecc.. Sarà banale ma fa la differenza. In termini di rapporti tra te-persona e la politica: perché lo fai nel tuo tempo libero e non in relazione al guadagno presente né a quello futuro o futuribile. E in termini di disponibilità materiale e dunque di limiti di tempo dedicati a ciò.
Comunque, detto questo, beh… Francesco non smette di andare in giro a informarsi molto seriamente sui rifiuti e dirci delle cose che impara su questo e altro. Fraba e insieme Francesco e Norberto fanno comunque il punto di quella brutta — e noiosissima — politica e fortunatamente di altro ancora e per farlo selezionano informazioni e le ripropongono cercando di farlo con onestà intellettuale.
Nunzio analizza molto utilmente i conti pubblici, ultimamente il bilancio comunale di Napoli, deprimente. Il sottoscritto qui e altrove cerca di mostrare una politica possibile per Napoli e per contrastare l’esclusione sociale e l’istruzione mancata. Daniela lavora molte ore ogni giorno non solo per darci, ben elaborate, le mille e mille cose di Napoli ma anche per costringerci a pensare agli accadimenti un po’ tremendi che capitano nell’Italietta malsana di oggi. Giovanni mostra lo scandalo di una città con un terzo di suoi cittadini esclusi dalle opportunità e che non ha un’idea di come rendere moderno e stabile il lavoro sociale, anzi lo affossa. Luciano prova ogni volta a dare un quadro di riferimento alle nostre vicende secondo categorie meno banali del solito.
Ecc. ecc. E anche altri - tra loro anche molto diversi - fanno molte cose. Con spirito spesso simile.
E solo blog? Non è solo blog. Perché sono reti di persone, esperienze, presenza pubblica, proposte, scambi, incontri... Che hanno al centro un’idea di politica che non è ‘a politica. E che conserva una distanza da questi partiti e dai partiti a Napoli pur non essendo contro i partiti in quanto tali.
E’ poco? E’ sicuramente poco e non basta. Ma tuttavia è.
Si può fare altro e meglio? Possiamo fare altro e meglio – usando la prima persona plurale. A me piacerebbe, per esempio, che in tanti riuscissimo a convocare, ogni due mesi, una iniziativa sulla Napoli possibile. Un luogo pubblico, serio ma anche piacevole, in cui si potesse argomentare su cosa non va e perché, ma nel merito e dunque senza urli ma con argomenti e documentazioni; e provare a rispondere, sempre nel merito – e con i vincoli della realtà – su cosa si potrebbe fare. Con proposte. Anche tra loro molto diverse.
In queste settimane mi hanno colpito i giovani del mio quartiere. Che sono stati protagonisti di una piccola “onda anomala”. Si sono riuniti in parecchie decine. Hanno sostenuto la mamma e la sorella di Nicola ucciso a Capodanno. Hanno fatto un corteo non urlante anche se veniva di urlare; ma non arrendevole; e in qualche modo “testimoniante”. Hanno poi organizzato una fiaccolata. Hanno provato a costruire un’edicola, un luogo simbolico della memoria, come da tradizione del quartiere, dedicato al loro amico ucciso per assurdi motivi legati all’esclusione – argomento che riguarda ogni ora della loro vita e di cui stanno tra loro parlando un po’ più di prima, ai margini di questo evento e di questo strano attivismo. Hanno, quindi, avuto un normale contraddittorio civile coi vigili che volevano abbattere l’edicola e hanno poi chiesto regolare permesso. Piccole cose.
Forse possiamo fare anche noi piccole cose. Oltre quelle che già facciamo. Non urlanti anche se ci viene l’urlo. E testimonianti e non arrendevoli.
Nelle foto: 1) la piovosa Napoli senza buona politica, da san Martino; 2) il manifesto auto-finanziato che chiama alla fiaccolata per ricordare Nicola; 3) l’edicola con dentro il ritratto di Nicola Sarpa viene coperta dopo il sequestro da parte dei vigili e in attesa forse di permesso regolarmente chiesto o forse di benedizione.
Per come la vedo e la rispetto io – e non solo io – di buona politica, da queste parti, ce n'è pochissima. Quanto sono presenti i problemi vivi di città, regione e cittadini? E qualcuno fa un bilancio di come si sono spese e si spendono le risorse pubbliche? O c’è qualcuno che propone un confronto sul perché c’è una paurosa crisi nella partecipazione? O su come ridare di nuovo senso alla rappresentanza – che pure serve in democrazia?
Quel che interessa sono i nomi… per vere o presunte candidature future. E i nomi sono regolarmente indipendenti da problemi, proposte e competenze. Ma sono dipendenti da equilibri tra fazioni, mutanti o consolidate. Che a loro volta sono da mettere quasi sempre in relazione con pezzi di amministrazioni – cioè con clientele già solide o da conquistare. E, al contempo, sono nomi che si sono andati ad accreditare presso le varie corti di partito. In quel di Roma. Come avveniva per le borghesie compradore delle colonie.
C’è, poi, il sordido rumore di sottofondo. Che riguarda il non dover escludere nessuno, il cooptare chi potrebbe mugugnare fastidiosamente, chi minaccia di sottrarre pezzi utili al mosaico del consenso, chi ha un ricatto pret à porter, chi promette in dote questo o quello, chi negozia col controllore di turno. E’ un sottobosco movimentato da non pochi umani ben addestrati. Fatto di proponimenti reali e di bluff, di intrighi, scontri, alleanze con uscite e rientri. Con propri codici, linguaggi, stili. Alla fine dei quali ci sono posti nelle liste, nei partiti, nelle organizzazioni limitrofe, nei centri di spesa, nelle agenzie pubbliche.
E poi ci sono le umane vicende delle tante piccole sopravvivenze personali… “A’ politica”. Un mestiere. Ma non nel senso che indicò Max Weber. Più banalmente: un modo per campare senza dover produrre né beni né servizi.
Sì, ci sono le debite eccezioni. Ogni volta ad esse ci si deve inchinare. Ma anche l’onesto che s’affaccia o vuole fare buona politica è in queste acque che deve navigare.
Come nel resto d’Italia? Sì. Ma molto di più. Per intensità di attività e per massa critica di attori in campo.
E allora va forse un po’ rivendicato che, in uno strano modo, c’è, invece, chi, ha costruito un qualche imperfetto spazio pubblico a Napoli. Con mille limiti e difetti. Ma che è sicuramente altro da tutto questo. E che lo ha fatto non solo durante le ultime elezioni comunali con la lista civica Decidiamo insieme.
Non siamo i soli? Certamente non siamo i soli.
E c’è un mare di brave persone che non tollerano più “a’ politica”. E che vogliono ridare senso alla politica.
Cammino per strada. E tante persone – in dialetto o in italiano - mi chiedono di fare cose, di essere più presenti, di attivarsi in politica. “Dovete fare qualcosa”, “Ma tu hai lasciato correre, te ne vai fuori a lavorare invece di combattere qui”, “Bisogna fare questo o quello”.
In qualche modo si tratta di una richiesta. E in questa richiesta il soggetto è spesso o il ‘voi’ o addirittura il ‘tu’; oppure è il famoso impersonale italico spesso seguito dal verbo al condizionale…
“sarebbe giusto, si dovrebbe, si potrebbe, ci sarebbe da…”. La prima persona plurale è più rara. Ma non inesistente. Molte persone in pensione sono disposte a dare tempo. Altri sono pronti a fare iniziative. Sono iscritti e non a partiti. Alcuni hanno votato per quella nostra lista o per me. Molti no. Queste persone che incontro e che altri incontrano fanno questa sorta di richiesta un po’ per spirito di delega, un po’ per rimarcare una necessità evidente, un po’ per stima di quanto allora facemmo pur perdendo (ancor più visti i risultati di chi ha vinto), un po’ per un’idea di protagonismo che resiste in qualche modo…
“Ma che farete?” “Ma che pensi di fare?”
A me viene da ribaltare la questione. Che cosa, intanto, stiamo già facendo - e stiamo facendo nella nostra condizione reale. Che è quella di persone perbene e normali che cercano disperatamente di ridare un senso alla politica. Ma che - a differenza di chi fa il ‘mestiere della politica’ – sono persone che non vivono con stipendi provenienti dalla politica; e che quindi la mattina vanno a lavorare. E sono dunque persone per le quali la politica contende il tempo alle altre relazioni umane: compagni di vita, genitori, figli, amici, hobby, ecc.. Sarà banale ma fa la differenza. In termini di rapporti tra te-persona e la politica: perché lo fai nel tuo tempo libero e non in relazione al guadagno presente né a quello futuro o futuribile. E in termini di disponibilità materiale e dunque di limiti di tempo dedicati a ciò.
Comunque, detto questo, beh… Francesco non smette di andare in giro a informarsi molto seriamente sui rifiuti e dirci delle cose che impara su questo e altro. Fraba e insieme Francesco e Norberto fanno comunque il punto di quella brutta — e noiosissima — politica e fortunatamente di altro ancora e per farlo selezionano informazioni e le ripropongono cercando di farlo con onestà intellettuale.
Nunzio analizza molto utilmente i conti pubblici, ultimamente il bilancio comunale di Napoli, deprimente. Il sottoscritto qui e altrove cerca di mostrare una politica possibile per Napoli e per contrastare l’esclusione sociale e l’istruzione mancata. Daniela lavora molte ore ogni giorno non solo per darci, ben elaborate, le mille e mille cose di Napoli ma anche per costringerci a pensare agli accadimenti un po’ tremendi che capitano nell’Italietta malsana di oggi. Giovanni mostra lo scandalo di una città con un terzo di suoi cittadini esclusi dalle opportunità e che non ha un’idea di come rendere moderno e stabile il lavoro sociale, anzi lo affossa. Luciano prova ogni volta a dare un quadro di riferimento alle nostre vicende secondo categorie meno banali del solito.
Ecc. ecc. E anche altri - tra loro anche molto diversi - fanno molte cose. Con spirito spesso simile.
E solo blog? Non è solo blog. Perché sono reti di persone, esperienze, presenza pubblica, proposte, scambi, incontri... Che hanno al centro un’idea di politica che non è ‘a politica. E che conserva una distanza da questi partiti e dai partiti a Napoli pur non essendo contro i partiti in quanto tali.
E’ poco? E’ sicuramente poco e non basta. Ma tuttavia è.
Si può fare altro e meglio? Possiamo fare altro e meglio – usando la prima persona plurale. A me piacerebbe, per esempio, che in tanti riuscissimo a convocare, ogni due mesi, una iniziativa sulla Napoli possibile. Un luogo pubblico, serio ma anche piacevole, in cui si potesse argomentare su cosa non va e perché, ma nel merito e dunque senza urli ma con argomenti e documentazioni; e provare a rispondere, sempre nel merito – e con i vincoli della realtà – su cosa si potrebbe fare. Con proposte. Anche tra loro molto diverse.
In queste settimane mi hanno colpito i giovani del mio quartiere. Che sono stati protagonisti di una piccola “onda anomala”. Si sono riuniti in parecchie decine. Hanno sostenuto la mamma e la sorella di Nicola ucciso a Capodanno. Hanno fatto un corteo non urlante anche se veniva di urlare; ma non arrendevole; e in qualche modo “testimoniante”. Hanno poi organizzato una fiaccolata. Hanno provato a costruire un’edicola, un luogo simbolico della memoria, come da tradizione del quartiere, dedicato al loro amico ucciso per assurdi motivi legati all’esclusione – argomento che riguarda ogni ora della loro vita e di cui stanno tra loro parlando un po’ più di prima, ai margini di questo evento e di questo strano attivismo. Hanno, quindi, avuto un normale contraddittorio civile coi vigili che volevano abbattere l’edicola e hanno poi chiesto regolare permesso. Piccole cose.
Forse possiamo fare anche noi piccole cose. Oltre quelle che già facciamo. Non urlanti anche se ci viene l’urlo. E testimonianti e non arrendevoli.
Nelle foto: 1) la piovosa Napoli senza buona politica, da san Martino; 2) il manifesto auto-finanziato che chiama alla fiaccolata per ricordare Nicola; 3) l’edicola con dentro il ritratto di Nicola Sarpa viene coperta dopo il sequestro da parte dei vigili e in attesa forse di permesso regolarmente chiesto o forse di benedizione.
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