12 luglio, 2014

Quelle barriere che separano le persone dalla bellezza

Questo che segue è il mio articolo uscito su Repubblica Napoli di oggi a commento dell’intollerabile morte di Salvatore Giordano, ragazzo di 14 anni colpito da una pietra caduta da un cornicione storico nel centro monumentale della sua città, vittima innocente della perenne incuria della città di Napoli, ora tutta transennata. E segno di irresponsabilità degli adulti, incapaci di lasciare alle future generazioni i luoghi curati e manutenuti come dovrebbe avvenire in ogni comunità umana.


Sciama il vento di maestrale. La pioggia che è passata ha ridato nitidezza a S. Martino, a Capodimonte, alle centinaia di palazzi messi uno accanto all'altro con maestria, nei secoli; e ridà luce al golfo, che viene incontro com'è ritratto nei quadri ammirati nei grandi musei di Vienna, di Londra, di Parigi, di San Pietroburgo. I dipinti dei migliori pittori d’Europa che volevano mostrare ovunque una delle città più belle al mondo. Da sempre vista così.
Ma in questi giorni così luminosi i turisti che continuano a venire per ammirarci e i cittadini di Napoli sono messi a distanza dai luoghi. Crescono le barriere tra le persone e le bellezze. Ovunque. E ora nel centro monumentale. Il palazzo reale è transennato e vi si accede da un lato che il gruppo dei turisti, uscito estasiato dalla metropolitana, non può trovare. In via Toledo altre transenne impediscono l’ingresso in Galleria. E altre ancora stanno davanti al S. Carlo. Le persone passano, commentano, sentono la città come in una specie di assidua quarantena. Si dispiacciono. Per Salvatore. Per i luoghi deperiti e resi un pericolo. La ragazza napoletana che parla un buon inglese cerca di spiegare alla coppia salita dal porto con la guida in mano che è un’emergenza, che c’è pericolo. La giovane coppia dice che non capisce. La ragazza risponde loro - con un sorriso di vergogna dignitosa - che neanche lei capisce. E ha ragione.



E’ un’emergenza? No, lo sappiamo tutti: non è un’emergenza. La città intera racconta un’altra storia: abbiamo ridotto questa nostra meraviglia in frantumi. Frantumi che oggi producono sbarramenti e altri sbarramenti ancora. Che nei giorni a venire saranno rimossi o ritorneranno o resteranno. Sbarramenti anziché riparazioni e manutenzioni.
E’ così. Basta camminare. Alla Riviera di Chiaia il signore accompagna la parente del Nord e indica palazzo Bovalino Guevara transennato da due anni. Svoltano verso la villa - anch'essa ritratta nei grandi dipinti come la promènade da invidiare - transennata a ogni passo, umiliata dagli alberi malati o abbattuti, dai dislivelli e avvallamenti. Il signore dice che gli sono avvallamenti e buche come in cento strade della città. E la cassa armonica che sta lì per chiamare lo sguardo è ancora senza corolla...
Se cammini per la città e guardi in alto trovi ovunque teli verdi che stringono palazzi, fregi, decori, cornicioni storici. Un ragazzo che fa architettura li vuole fotografare uno a uno fino a cento e più e appiccicarli su google map e metterli in rete. No, questi teli verdi non sono interventi di Christo - la coppia di artisti che imballò i pezzi di città del mondo per evocare pensieri che potessero aiutare ognuno a ritornare al senso dei luoghi. Come fecero quarant'anni fa impacchettando Porta Pinciana a Roma e provocandoci così su quale ricchezza ci circonda. Qui sono teli spesso già laceri, che dovrebbero servire per fermare pezzi di muri che non hanno riparazione, spesso non riuscendo neanche in questo… Imballaggi che non possono evocare proprio niente. Perché sono sciatti segni ripetuti di un trascurare sistematico. Che vogliamo tutti dimenticare. Per poter sopravvivere: chissà?
Fa davvero molto bene quel ragazzo a volerli tutti fotografare.
Su via Toledo di nuovo sguardo all'insù ed ecco altri teli verdi e così in via Pessina e fino alla Galleria Principe di Napoli, di fronte al più importante museo archeologico del mondo, dove ecco di nuovo le transenne dopo che sono cadute altre pietre. E a via Foria ancora teli sui palazzi e la torre delle antiche mura transennata da un muretto in cemento, perenne. Come sono perenni la chiusura e bruciatura della chiesa della Scorziata o la chiusura di S. Agostino alla Zecca o le transenne agli Incurabili e le barriere a chiese e palazzi che hanno secoli e tesori e che ovunque nel mondo sono gioie tenute come tali.
Ma queste sono giornate terribili: non si può morire a quattordici anni perché da un palazzo storico cade una pietra che ti ammazza a causa d’incuria. E – poiché la città è nell'incuria che produce perpetua emergenza e la pietra che ha ucciso Salvatore non è un accidente sfortunato – allora è tempo di un vero sussulto civile. Lo dobbiamo a Salvatore e a noi stessi. Perché Salvatore è morto solo perché in quel momento si trovava in città. E cioè nel suo luogo. E in via Toledo. Cioè nel centro del suo luogo. Una cosa intollerabile.
Dobbiamo e possiamo reagire.
Reagire vuol dire per una volta uscire dalle polemiche strumentali e ormai stantie, dal perenne scaricabarile, dalle difese di ufficio che non tengono più, dai proponimenti tanto ripetuti quanto vaghi. E dall'alternarsi di grida e promesse. Grida e promesse che non risolvono i problemi della vita comune.
Dobbiamo e possiamo ritornare a ciò che fa durare e rende belle e sicure e godibili le città: la manutenzione. Che è quella cosa faticosa e nel tempo molto conveniente ma che è purtroppo assai poco spendibile sui media e nella ricerca del facile consenso e che, per questo, non trova fortuna nella piccola politica che ci angustia da troppo tempo. Così, se nel dibattito pubblico l’evento “spumeggiante” o la rivendicazione di partito o di gruppo o l’urlo risentito hanno avuto più peso di ogni proposta realistica per riparare buche o tenere a posto le fogne o hanno goduto di attenzione invece della ricerca di fondi ordinari per la manutenzione costante o per il restauro dei nostri tesori, allora è davvero tempo per un’inversione radicale di prospettiva. E’ tempo per avviare, in modo argomentato e documentato, la discussione nella città intorno a ciò che è, invece, la base fondativa delle città di tutto il mondo: un programma costante di manutenzione urbana. Quanti soldi e per fare cosa. Quali priorità. Quali fonti di copertura e quali competenze e collaborazioni tra Città e altre istituzioni. Quali tempi. Quali flussi per l’azione e le responsabilità.
Nelle città del mondo il dibattito politico cittadino si fa così. E noi ne saremmo capaci: pezzi di città sono tenuti bene quando si curano i compiti e gli assetti, abbiamo avuto, per secoli, squadre di cantonieri che riparavano le vie e di capaci controllori delle acque e delle fognature, possediamo competenze invidiabili per fare bene. Dobbiamo solo finalmente scegliere il ritorno alla manutenzione come centro della politica per la città. E dobbiamo impegnarci in questa prospettiva prima che si raggiunga il punto di irreversibilità del degrado di cui ci sono tutte le premonizioni.

1 commento:

toty ruggieri ha detto...

grazie, ma quanti percepiranno queste parole come un urlo di dolore ?