L’equivoco del Sud di Carlo Borgomeo (edito da Laterza) è una chiamata alle responsabilità, comuni e di ciascuno. Il libro si fonda su un rovello antico. Un rovello che è nato con l’Italia unitaria, con il famoso monito di Giuseppe Mazzini: «l’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà». Un monito che ha ispirato, lungo i decenni, chiunque abbia voluto contribuire a dare una prospettiva al Sud e dunque al Paese intero, da Giustino Fortunato e Gaetano Salvemini fino a oggi. E che ha prodotto una domanda tenace, un rovello appunto: come e con chi fare le cose che servono?
È il rovello delle persone che, concentrate su come risolvere problemi nell’interesse comune, hanno voluto rimarcare una distanza nei confronti di tanta parte delle classi dirigenti meridionali che hanno operato, al contrario, per perpetuare se stesse usando i problemi anziché affrontandoli; e che, nel farlo, hanno tratto vantaggio dalla sterile altalena urlo/piagnisteo.
Borgomeo prova una vera insofferenza verso l’alternativa «lottare o piagnucolare», che sembra sempre intrappolare larga parte della discussione pubblica sul e nel Mezzogiorno. Egli ha, infatti, dedicato il suo impegno al fare concreto, negli ultimi anni come presidente della Fondazione Con il Sud, mettendo insieme le vocazioni più illuminate presenti nelle grandi fondazioni bancarie del Nord con le forze migliori del terzo settore, della scuola pubblica, del volontariato del Mezzogiorno.
Alcune delle esperienze di maggiore successo sono riportate nel libro, come la bellissima avventura della Cooperativa La Paranza dei ragazzi del Rione Sanità di Napoli, che accompagnano i turisti nelle meravigliose Catacombe di San Gennaro. Ma molte altre andrebbero raccontate: dalle cooperative sorte nei beni confiscati alle mafie, fino alla rete Crescere al Sud, che unisce le principali realtà che si battono in campo educativo nelle aree di maggiore esclusione sociale.
L’autore, tuttavia, non sposa la facile retorica delle «buone pratiche». Suggerisce piuttosto che s’impara almeno altrettanto dalle «cattive pratiche» e che servano a poco gli esempi di eroismo irraggiungibile. Nell’azione di Borgomeo - ben oltre le parole del libro - la prospettiva è quella di confrontarsi tra chi opera e di dare parola e, poi, sostenere esperienze tanto concrete quanto promettenti in termini sia di coesione sociale sia di crescita economica. Riportare a scuola i ragazzini; dare forza a imprese che coniugano legalità e approcci ecosostenibili; rimettere in moto produzioni agricole di qualità; rendere concorrenziali e solide le produzioni manifatturiere che hanno resistito alla crisi; trovare nuove soluzioni alle povertà urbane estreme; creare filiere di vera formazione professionale; garantire crediti a chi crea impresa innovativa.
Il libro - che ci accompagna con una sorvegliata e incisiva attenzione ai dati e che attraversa episodi paradigmatici di sviluppo effettivo e di sviluppo mancato nel Mezzogiorno – delinea la necessità e la possibilità di una politica diversa. Attenzione per il divario sociale prima che per il reddito; esigenze territoriali diversificate contro programmazione nazionale rigida; selezione dei destinatari delle agevolazioni e dei fondi sulla base della validità sotto il profilo imprenditoriale e sociale invece che attraverso complicate procedure formali e burocratiche; premialità verso chi realizza, anziché verso le troppe posizioni di rendita; forte investimento sulla partecipazione della comunità e del territorio; costante attenzione ai dettagli del saper risolvere specifici problemi.
Borgomeo mostra sprechi e cattivo governo o peggio ma individua il centro della questione - l’equivoco del Sud, appunto - nell’aver troppo a lungo concentrato l’attenzione, dopo la fase di sviluppo post bellico, su quante risorse fossero stanziate anziché sulla loro destinazione e su un accurato e costante esame degli esiti effettivi. E nell’aver creduto che la soluzione risiedesse solo nella crescita del Pil e del reddito medio, anziché nello sviluppo delle comunità che va fondato su diritti inalienabili quali la legalità, la scuola per tutti, i servizi sociali e culturali esigibili, la possibilità di imprese sane, un credito accessibile, un lavoro raggiungibile.
Dunque, il fallimento della politica e delle politiche viene messo in relazione con una dipendenza da modelli sbagliati. E Borgomeo suggerisce un capovolgimento di paradigma: la coesione sociale va finalmente posta come vera premessa per qualsiasi prospettiva di sviluppo.
Si tratta di una sottolineatura importante, che ha i padri ispiratori nel meridionalismo riformatore del dopoguerra, nel cattolicesimo comunitario, nella cultura liberale e azionista, nelle esperienze di sviluppo locale di cui il Sud ha dato testimonianze d’avanguardia, alte ma inascoltate.
Poiché Borgomeo non si sottrae dal fornire un ritratto impietoso delle classi dirigenti nazionali e meridionali - senza scadere mai nella banalità del «sono tutti ladri» e nei deliri catartici - egli cerca le ragioni storiche e politiche che hanno determinato la pressoché totale mancanza di responsabilità, coraggio, efficacia, una mancanza che ha spinto alla sconfitta o relegato in condizione di minorità proprio quelle esperienze e pensieri passati che contenevano le migliori promesse, disattese.
Così l’analisi di Borgomeo ci chiede di dismettere ogni facile ottimismo, per prepararci davvero a una nuova stagione di fattiva responsabilità nel Meridione e in tutto il Paese.
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