Il sindaco di Firenze insiste contro i lavavetri e attacca il “benaltrismo”.
Quando guido anche a me i lavavetri rompono le scatole. Ma si può dire no. Si possono, più aggressivamente, fare muovere i tergicristallo. Si può adottare un solo lavavetri e disdegnare gli altri.
E poi: potrei fare un elenco assai lungo di cose più fastidiose. Chi supera in tripla fila, per esempio. Chi corre in auto come un dannato e per mero divertimento in luoghi abitati da pedoni di ogni età.
E oltre il mondo dell'auto, penso alle paturnie che vengono per le inefficienze colpose e continue che fanno piangere dall'esasperazione vecchi, giovani e non, bambini, per diritti dichiarati ma non reali a scuola, per strada, nelle banche, negli uffici, negli ospedali, nelle stazioni. C'è qualche audace amministratore di sinistra che propone una qualche forma di tolleranza zero o uno o due per lavori stradali mal fatti e che procurano incidenti o per i caffè nelle città d’arte che costano quanto un paio di scarpe o perché oltre i 70 anni o con la gamba rotta non si riesce a salire su un tram o perché ci vogliono giorni per avere un rimborso qualsiasi pubblico o privato che sia o perché se non hai chi ti raccomanda ti operi di cancro oltre il tempo massimo o perché chi sta in sedia a rotelle non è cittadino nel 90% del nostro territorio o perché gli studenti fuorisede devono dormire in quattro in quattro metri e pagare prezzi da capogiro a benpensanti che non dichiarano affitti? Per non parlare di mafie, racket e dintorni.
E poi esistono o no le povertà? E' mai possibile che non si riesca ad aprire - da Firenze a ovunque - uno straccio di dibattito sui redditi di sussistenza. Che riguardano oltre 7 milioni di individui, italiani e stranieri, che abitano le nostre città di ogni grandezza, l'11% della popolazione, il 19% al Sud. Di cui i simil lavavetri sono lo 0,6% max. E sono per lo più i senza fissa dimora dei quali le politiche europee comunque raccomandano di occuparsi con tanto di note di indirizzo e voci dei fondi sociali. E c’è qualche indignato governante che nomina l’altro 99% dei nostri poveri che sono produttori di ricchezza ed erogatori di servizi? Ne parla con simile veemenza qualche amministratore dei nostri? Eppure non stanno bene nelle città e al nero o a contratti brevi puliscono palazzi, uffici e fabbriche e lavorano in ogni tipo di manifattura e servizi e puliscono il culo ai nostri vecchi e ai nostri pargoli e fanno i braccianti e i pescatori e fanno le bocche di rosa a milioni di italici uomini ecc., ecc.
Insomma: non è solo che ci sono ben altri reati da punire e eventi fastidiosi da reprimere. E' che c'è l'esclusione sociale e l'urgenza di un nuovo welfare da inventare. Ma evidentemente nel comune sentire dell'italietta filistea conta il fastidio per il lavavetri e non l'indignazione per la povertà. Riflettere, in modo costruttivo e non declamatorio, sull'esclusione è, infatti, la cosa più faticosa di tutte. Perché ci vuole tenace fantasia e vera invenzione e costanza nella costruzione sociale... Ci fosse un sindaco che dicesse cosa farebbe fare in vece di lavare i vetri!... cosa, come, quando, con quali fondi non assistenzialmente intesi. Lo fanno in Bengladesh dopo tutto. Ma qui no. Qui abbiamo o gli sceriffi un po' vigliacchetti che si accaniscono sugli ultimi o gli sterili denunciatori delle ingiustizie del mondo, i declamatori.
04 settembre, 2007
03 settembre, 2007
Scommessa arrischiata e altre risposte
Sì Franco… è triste ed è – convengo - faticosissimo accompagnare persone care, vicine che perdono memoria… ma ogni tanto a me capita vedere, sentire delle verità forti in questo confuso smarrimento triste. E mi appaiono come frammenti poetici. Ma forse sbaglio. Lo so quel che dici su Alimuri e il resto… ma comunque penso che sia importante continuare, negli anni, a fare così le cose e intendere in tal modo la politica.
Cara Lucia, grazie per la stima che mi esprime. Francamente, anche io ho problemi con la politica e non perché avrei dovuto pretendere di più ma perché è davvero fatta male. Eppure lo spazio tra società e decisione va colmato certamente dalla costruzione di proposte partecipative dei cittadini e con i cittadini (è questa la funzione che attribuisco alla costruzione sociale in generale: dalla scuola al lavoro di quartiere, al privato sociale con e per i ragazzi esclusi all’associazione Decidiamo Insieme a tante altre cose che si fanno). Ma va fatta o no anche, in aggiunta una faticosissima azione tesa a migliorare la rappresentanza? Oltre al “se farlo” – che Lei pone, Lucia – c’è anche il “come farlo”? Questa questione esiste, è aperta o no?
Per esempio, sul suo sito – e riferendosi alla Campania – Norberto Gallo, che pure ha qui commentato, reclama una rottura netta con tutto il PD e il centro-sinistra campano. In fondo – dice – ridiamo senso all’opposizione di centro-destra, dato che vi è l’alternanza… invece di dare ossigeno a chi (centro-sinistra) ha solo espresso un terribile sistema di potere. Riconosco da tempo una grande pertinenza a questo argomento. Peccato che io di destra non sono e che la destra in Italia e in Campania non ha nulla di meglio da offrire, anzi.
Ombelicale – come Lei scrive - e ben educato e civicissimo sono stato dal 1975 al dicembre del 2005 – proprio in modo immanente e dunque intensamente politico ma ben distinto dalla politica-politica. Trentanni così. La sua età. Con gli altri che decidono al posto tuo. Senza che si possa o sappia o voglia dire bu o ba. Per una volta sola vorrei provare a fare altrimenti. Per questo – molto guardingo e disilluso, certo – vado a “vedere le carte” del PD. Perché il PD dice di volere che lo si prenda in parola. E’ una scommessa arrischiata? Probabile. Ma voglio perseguirla. Tanto è a termine. E se va male tornerò a fare quel che ho fatto finora.
E, intanto, continuerò a raccontare ogni passaggio. Tutto qui.
Cara Lucia, grazie per la stima che mi esprime. Francamente, anche io ho problemi con la politica e non perché avrei dovuto pretendere di più ma perché è davvero fatta male. Eppure lo spazio tra società e decisione va colmato certamente dalla costruzione di proposte partecipative dei cittadini e con i cittadini (è questa la funzione che attribuisco alla costruzione sociale in generale: dalla scuola al lavoro di quartiere, al privato sociale con e per i ragazzi esclusi all’associazione Decidiamo Insieme a tante altre cose che si fanno). Ma va fatta o no anche, in aggiunta una faticosissima azione tesa a migliorare la rappresentanza? Oltre al “se farlo” – che Lei pone, Lucia – c’è anche il “come farlo”? Questa questione esiste, è aperta o no?
Per esempio, sul suo sito – e riferendosi alla Campania – Norberto Gallo, che pure ha qui commentato, reclama una rottura netta con tutto il PD e il centro-sinistra campano. In fondo – dice – ridiamo senso all’opposizione di centro-destra, dato che vi è l’alternanza… invece di dare ossigeno a chi (centro-sinistra) ha solo espresso un terribile sistema di potere. Riconosco da tempo una grande pertinenza a questo argomento. Peccato che io di destra non sono e che la destra in Italia e in Campania non ha nulla di meglio da offrire, anzi.
Ombelicale – come Lei scrive - e ben educato e civicissimo sono stato dal 1975 al dicembre del 2005 – proprio in modo immanente e dunque intensamente politico ma ben distinto dalla politica-politica. Trentanni così. La sua età. Con gli altri che decidono al posto tuo. Senza che si possa o sappia o voglia dire bu o ba. Per una volta sola vorrei provare a fare altrimenti. Per questo – molto guardingo e disilluso, certo – vado a “vedere le carte” del PD. Perché il PD dice di volere che lo si prenda in parola. E’ una scommessa arrischiata? Probabile. Ma voglio perseguirla. Tanto è a termine. E se va male tornerò a fare quel che ho fatto finora.
E, intanto, continuerò a raccontare ogni passaggio. Tutto qui.
20 agosto, 2007
L’estate sta finendo
L’estate sta finendo – diceva la canzone. Sono restato in zona. Mi sono occupato di mia mamma. Che perde la memoria. Faticoso, difficile. Certe volte quasi poetico. Un lavoro ulteriore. Come per tanti della mia generazione. Dovremmo parlarne nella rete.
Comunque: poco tempo per vero riposo.
Ho scritto cose di vita napoletana su “La Repubblica Napoli”: la crisi del mercato del pesce di Porta Nolana, l’estate dei poveri in città. Il merito delle cose è sempre più importante ai miei occhi. I balletti della politica di apparato sempre meno. Anche per questo il PD non attrae molto per come lo si sta facendo. E non attrae neanche la cosa di sinistra radicale o altro, in verità. Come più volte ho scritto si può sempre essere democratici senza partito. Certo, si è tutti un po’ meno liberi e più handicappati nei diritti partecipativi in una democrazia in cui si allarga la forbice tra la rappresentanza e la vita quotidiana e i suoi problemi. Si deve lottare contro questo. Ma tale battaglia non può significare una resa di fronte allo stato intollerabile delle cose. Il “PD pur che sia” non sta, francamente, nel mio orizzonte umano e culturale. Faccio una testimonianza per un PD migliore ma se nasce male poi… amen. Ci saranno altre stagioni.
Ho seguito la storia dell’ecomostro di Alimuri e ringrazio Franco Cuomo per il commento qui e soprattutto per l’ottimo avvio alla polemica, proseguita a lungo sul Corriere del Mezzogiorno e ripreso dalla stampa nazionale …
E per una volta sola non farò finta di niente; e non ringrazio il commentatore (uso il maschile per regola grammaticale) del giorno 27 luglio, tanto anonimo quanto faticosamente astioso e dalla scrittura ormai sgamata per i temi ossessivi, lo stile e il lessico che si ripetono: sarei un venduto al potere, per denaro o carriera. Già 18 mesi fa invitai chi scriveva così a venire a prendere un caffè a un bar e vedere i termini della mia carriera e della mia busta paga. L’invito naturalmente non fu raccolto. Almeno stavolta è stata la polemica durissima tra Bindi e Fioroni a smentire la costruzione paranoica che impedisce al commentatore di stare allo scoperto, dialogare, polemizzare in modo adulto. E di capire un po’. Ripeto quel che scrissi allora: una città mal governata è anche una città dal dibattito pubblico povero, rigato di astio e perenne dietrologia, che fa crescere il numero di persone – così è anche nel web partenopeo - incapaci di credere agli altri fino a prova contraria e di entrare, appunto, nel merito. Sì, nella rete napoletana sono in aumento e sono pervicaci le persone alla ricerca di nemici, trame, tradimenti e infamità varie e poco interessate a ascolto, polemica argomentata, sorpresa, attesa, speranza. Peccato. Ma tant’è.
Comunque: poco tempo per vero riposo.
Ho scritto cose di vita napoletana su “La Repubblica Napoli”: la crisi del mercato del pesce di Porta Nolana, l’estate dei poveri in città. Il merito delle cose è sempre più importante ai miei occhi. I balletti della politica di apparato sempre meno. Anche per questo il PD non attrae molto per come lo si sta facendo. E non attrae neanche la cosa di sinistra radicale o altro, in verità. Come più volte ho scritto si può sempre essere democratici senza partito. Certo, si è tutti un po’ meno liberi e più handicappati nei diritti partecipativi in una democrazia in cui si allarga la forbice tra la rappresentanza e la vita quotidiana e i suoi problemi. Si deve lottare contro questo. Ma tale battaglia non può significare una resa di fronte allo stato intollerabile delle cose. Il “PD pur che sia” non sta, francamente, nel mio orizzonte umano e culturale. Faccio una testimonianza per un PD migliore ma se nasce male poi… amen. Ci saranno altre stagioni.
Ho seguito la storia dell’ecomostro di Alimuri e ringrazio Franco Cuomo per il commento qui e soprattutto per l’ottimo avvio alla polemica, proseguita a lungo sul Corriere del Mezzogiorno e ripreso dalla stampa nazionale …
E per una volta sola non farò finta di niente; e non ringrazio il commentatore (uso il maschile per regola grammaticale) del giorno 27 luglio, tanto anonimo quanto faticosamente astioso e dalla scrittura ormai sgamata per i temi ossessivi, lo stile e il lessico che si ripetono: sarei un venduto al potere, per denaro o carriera. Già 18 mesi fa invitai chi scriveva così a venire a prendere un caffè a un bar e vedere i termini della mia carriera e della mia busta paga. L’invito naturalmente non fu raccolto. Almeno stavolta è stata la polemica durissima tra Bindi e Fioroni a smentire la costruzione paranoica che impedisce al commentatore di stare allo scoperto, dialogare, polemizzare in modo adulto. E di capire un po’. Ripeto quel che scrissi allora: una città mal governata è anche una città dal dibattito pubblico povero, rigato di astio e perenne dietrologia, che fa crescere il numero di persone – così è anche nel web partenopeo - incapaci di credere agli altri fino a prova contraria e di entrare, appunto, nel merito. Sì, nella rete napoletana sono in aumento e sono pervicaci le persone alla ricerca di nemici, trame, tradimenti e infamità varie e poco interessate a ascolto, polemica argomentata, sorpresa, attesa, speranza. Peccato. Ma tant’è.
21 luglio, 2007
La melassa veltroniana, soporifera in Italia, tossica in campania
Ieri i giornali nazionali mi davano tra i simpatizzanti di Rosy Bindi. E lo sono. Oggi su Repubblica di Napoli spiego in sintesi, in un’intervista, le ragioni della simpatia.
Qui vi racconto come è andata.
Ho un amico che si chiama Paolo che lavora nello staff della Bindi. Negli anni novanta lavorava per Livia Turco. A quel tempo ci siamo incontrati per la legge 285 di tutela dei bambini, welfare partecipativo e politiche per bambini non accompagnati e siamo andati insieme alle assemblee generali ONU a New York sui diritti dei bambini. Un tecnico e soprattutto una persona di grande valore, da cui imparo molto.
Beh, io leggo che la Bindi si presenta. Dopo che si era battuta quasi a singolar tenzone contro i regolamenti insopportabili del PD. Vedo che firma per i referendum anche se con tutti i dubbi che anche io nutro sul fatto che i referendum non disegnano certo una buona legge elettorale, ma lo fa e lo dice (a differenza di Ualder che il rischio non lo piglia e fa il solito colpo al cerchio e colpo alla botte, come nella peggiore italietta di sempre). Leggo che (lei) non vuole fare un ennesimo ridicolo ticket con insieme un ex democristiano e un ex comunista che è una cosa che puzza di compromesso storico ritrito lontano cento miglia. So che difende la proposta dei Dico, l’unica, allo stato, che abbia aperto la questione dei diritti dei gay in questo nostro dannato paese e che si è presa più strali lei dalla Cei che tutti i diessini di questo mondo, Pollastrini unica esclusa. So per certo che ha alle spalle una tradizione di grande eticità personale e di attenzione vera al merito delle questioni dell’esclusione sociale. E so che è una che viene da una porzione del mondo cattolico – mondo assai lontano da me ma che seguo – che richiama cose come la comunità di Bose e che della laicità dello stato ha un’idea che era quella di Don Milani. Certi cattolici, in questa materia, sono più affidabili dei togliattiani di terza generazione, state tranquilli. E poi – mi dico - rompe questa melassa veltroniana, una specie di ecumenismo tenuto insieme da un re vincitore annunciato. Sono tifoso del Napoli io, non della juve (j non J) come è Ualder.
Gli annunci preventivi di vittoria so bene che attirano più del miele ma – che ci si può fare? – a me fanno venire l’orticaria. E poi Bassolino neo-veltroniano dell’ultima ora? Un giorno uscirà un film: dal correntone a Ualder in ventiquattro mesi. La Iervolino, poi, cresciuta in azione cattolica che pure lei si accoda subito? E vedo la vera sostanza del “patto per Napoli” - la continuità del bassolinismo, sancito da Ualder… E tutti a cercare di fare liste che girino intorno a questo. Che cosa c’entro io con tutto questo? Infine leggo che Rosy dice che dichiara la sua cultura di provenienza ma garantisce la libertà delle altre e dunque non in modo a-conflittuale ma autentico e che vuole fare la segretaria di un partito e dunque lascerebbe per questo tutti gli altri incarichi. Vedo che spiega bene che non ama confondere stato e partito, altra cosa sovietica che unisce le culture profonde di Ualder e del neo-bassolinismo. Il contrario della democrazia.
E mi viene pure una rima: basta con questa melassa veltroniana, soporifera in Italia, tossica in campania.
Confesso anche che avevo sperato ne I Mille che avevano un’idea più a me congeniale del PD. Ma si sono divisi. Spaccati da Ualder. Finished.
E allora – mi dico – faccio il democratico senza partito ma prima fammi parlare con Paolo.
Così chiamo il mio amico Paolo. E gli racconto questi miei pensieri. Lui dice che la Bindi sta facendo una follia consapevole e che tante persone davvero ottime ne sono contenti.
L’indomani squilla il mio cellulare. Ma questa voce toscana l’ho sentita in tv – mi dico. “ Brava, ministro, ha fatto bene” – qualcosa dovevo dirle. Poi le racconto di quanto sarà dura. Perché ad averli tutti contro è dura. “So bene della sua storia a Napoli” – mi dice lei. E ripete che lo sa bene che sarà dura ma che si deve pur provare a fare un partito per le persone. Le raccomando la laicità. Mi dice: “lo dice a me?”
E’ andata così. Starò dunque a simpatizzare. E se non si può fare neanche questo, resto un democratico senza partito. Tranquillamente.
Ma la melassa veltroniana rivestita di regime campano, magari sostenendo qualche lista che timidamente esprime il famoso dissenso (altra parola che evoca roba sovietica, usata non a caso da Bassolino in continuazione negli ultimi dieci anni): no, senza grazie.
Qui vi racconto come è andata.
Ho un amico che si chiama Paolo che lavora nello staff della Bindi. Negli anni novanta lavorava per Livia Turco. A quel tempo ci siamo incontrati per la legge 285 di tutela dei bambini, welfare partecipativo e politiche per bambini non accompagnati e siamo andati insieme alle assemblee generali ONU a New York sui diritti dei bambini. Un tecnico e soprattutto una persona di grande valore, da cui imparo molto.
Beh, io leggo che la Bindi si presenta. Dopo che si era battuta quasi a singolar tenzone contro i regolamenti insopportabili del PD. Vedo che firma per i referendum anche se con tutti i dubbi che anche io nutro sul fatto che i referendum non disegnano certo una buona legge elettorale, ma lo fa e lo dice (a differenza di Ualder che il rischio non lo piglia e fa il solito colpo al cerchio e colpo alla botte, come nella peggiore italietta di sempre). Leggo che (lei) non vuole fare un ennesimo ridicolo ticket con insieme un ex democristiano e un ex comunista che è una cosa che puzza di compromesso storico ritrito lontano cento miglia. So che difende la proposta dei Dico, l’unica, allo stato, che abbia aperto la questione dei diritti dei gay in questo nostro dannato paese e che si è presa più strali lei dalla Cei che tutti i diessini di questo mondo, Pollastrini unica esclusa. So per certo che ha alle spalle una tradizione di grande eticità personale e di attenzione vera al merito delle questioni dell’esclusione sociale. E so che è una che viene da una porzione del mondo cattolico – mondo assai lontano da me ma che seguo – che richiama cose come la comunità di Bose e che della laicità dello stato ha un’idea che era quella di Don Milani. Certi cattolici, in questa materia, sono più affidabili dei togliattiani di terza generazione, state tranquilli. E poi – mi dico - rompe questa melassa veltroniana, una specie di ecumenismo tenuto insieme da un re vincitore annunciato. Sono tifoso del Napoli io, non della juve (j non J) come è Ualder.
Gli annunci preventivi di vittoria so bene che attirano più del miele ma – che ci si può fare? – a me fanno venire l’orticaria. E poi Bassolino neo-veltroniano dell’ultima ora? Un giorno uscirà un film: dal correntone a Ualder in ventiquattro mesi. La Iervolino, poi, cresciuta in azione cattolica che pure lei si accoda subito? E vedo la vera sostanza del “patto per Napoli” - la continuità del bassolinismo, sancito da Ualder… E tutti a cercare di fare liste che girino intorno a questo. Che cosa c’entro io con tutto questo? Infine leggo che Rosy dice che dichiara la sua cultura di provenienza ma garantisce la libertà delle altre e dunque non in modo a-conflittuale ma autentico e che vuole fare la segretaria di un partito e dunque lascerebbe per questo tutti gli altri incarichi. Vedo che spiega bene che non ama confondere stato e partito, altra cosa sovietica che unisce le culture profonde di Ualder e del neo-bassolinismo. Il contrario della democrazia.
E mi viene pure una rima: basta con questa melassa veltroniana, soporifera in Italia, tossica in campania.
Confesso anche che avevo sperato ne I Mille che avevano un’idea più a me congeniale del PD. Ma si sono divisi. Spaccati da Ualder. Finished.
E allora – mi dico – faccio il democratico senza partito ma prima fammi parlare con Paolo.
Così chiamo il mio amico Paolo. E gli racconto questi miei pensieri. Lui dice che la Bindi sta facendo una follia consapevole e che tante persone davvero ottime ne sono contenti.
L’indomani squilla il mio cellulare. Ma questa voce toscana l’ho sentita in tv – mi dico. “ Brava, ministro, ha fatto bene” – qualcosa dovevo dirle. Poi le racconto di quanto sarà dura. Perché ad averli tutti contro è dura. “So bene della sua storia a Napoli” – mi dice lei. E ripete che lo sa bene che sarà dura ma che si deve pur provare a fare un partito per le persone. Le raccomando la laicità. Mi dice: “lo dice a me?”
E’ andata così. Starò dunque a simpatizzare. E se non si può fare neanche questo, resto un democratico senza partito. Tranquillamente.
Ma la melassa veltroniana rivestita di regime campano, magari sostenendo qualche lista che timidamente esprime il famoso dissenso (altra parola che evoca roba sovietica, usata non a caso da Bassolino in continuazione negli ultimi dieci anni): no, senza grazie.
12 luglio, 2007
Arriva Berlusconi in città
Arriva che sono settimane in cui Bassolino e i suoi eredi, in stile sovietico, agiscono perché nulla cambi a Napoli, in Campania, nello stesso processo di costituzione del PD. Anzi, negli ultimi tempi, il governatore, pur ferito dalla lunga crisi, ha mostrato segni di aggressiva vitalità e ha chiamato a “stringersi a corte”.
A questa nuova chiamata la discesa del Cavaliere fa comodo. Infatti ogni volta il comizio partenopeo di Berlusconi calza a fagiolo. Serve e aiuta il blocco di potere di centro-sinistra campano a utilizzare la paura per il Grande Nemico per rinsaldare il suo cemento ideologico. Perché il cemento ideologico pure esiste e si affianca, entro un complesso intreccio, sia a quello, assai esteso, basato sull’interesse sia a quello fondato sulle tante forme umane della conservazione. Così questo ennesimo comizio del Berlusca a Napoli fa ripartire lo stanco ritornello degli apparatnik, dei cinici, degli interessati e dei depressi che ripete, secondo diverse varianti, la solita litania: “Bassolino ha compuito tanti errori ma, attenzione!, resta il ‘male minore’, l’unico capace di gestire le nostre povere sorti in una situazione antropologicamente arretrata che ha bisogno di un capo, di un apparato fedele, della paura, per resistere a mali che sono sempre ben peggiori”.
Già per le elezioni fu così.
E c’è un olezzo, appunto, sovietico in tutto questo, con il nemico esterno funzionale alla conservazione del presente… purché non si rischi di cambiare…
Ma qui nasce l’effetto paradosso proprio di ogni paranoia conservatrice: più ti opponi ai mutamenti e più ne favorisci l’evenienza. Diceva l’adagio del tao: “i fiori appassiscono per quanto uno faccia”. Così questa volta la discesa del Cavaliere evoca più da vicino la possibilità che la destra guadagni davvero questa parte di mondo, se solo si affida a una qualche figura un po’ presentabile, capace di comunicare con pronta demagogia e anche di recidere almeno alcuni dei corposi legami consociativi che la destra ha sempre condiviso con Bassolino e il suo metodo di governo.
Per chi vuole un vero cambiamento si tratta di star ben lontano dalle sirene dei palazzi o dal centro-sinistra diffuso che chiamano “a stringersi a corte” e ad essere cauti nella critica del bassolinismo.
E si tratta di prepararsi ad avversare la montata di una deleteria demagogia di destra che oggi è in agguato.
Dobbiamo fare di tutto perché ciò non sia. Ma temo che dovremo un giorno ringraziare la lunga stagione bassoliniana non solo per il disastro che ha prodotto ma anche per avere preparato irresponsabilmente l’avvento della peggiore destra: après moi le déluge. Perché il Bassolino aggressivo dell’ultim’ora mentre lavora per un bassolinismo senza più il suo capo e rovina ancor più il presente, minaccia davvero di creare mostri futuri.
Il cartellone modificato della foto è già comparso stamattina sul blog di Decidiamoinsieme.

A questa nuova chiamata la discesa del Cavaliere fa comodo. Infatti ogni volta il comizio partenopeo di Berlusconi calza a fagiolo. Serve e aiuta il blocco di potere di centro-sinistra campano a utilizzare la paura per il Grande Nemico per rinsaldare il suo cemento ideologico. Perché il cemento ideologico pure esiste e si affianca, entro un complesso intreccio, sia a quello, assai esteso, basato sull’interesse sia a quello fondato sulle tante forme umane della conservazione. Così questo ennesimo comizio del Berlusca a Napoli fa ripartire lo stanco ritornello degli apparatnik, dei cinici, degli interessati e dei depressi che ripete, secondo diverse varianti, la solita litania: “Bassolino ha compuito tanti errori ma, attenzione!, resta il ‘male minore’, l’unico capace di gestire le nostre povere sorti in una situazione antropologicamente arretrata che ha bisogno di un capo, di un apparato fedele, della paura, per resistere a mali che sono sempre ben peggiori”.
Già per le elezioni fu così.
E c’è un olezzo, appunto, sovietico in tutto questo, con il nemico esterno funzionale alla conservazione del presente… purché non si rischi di cambiare…
Ma qui nasce l’effetto paradosso proprio di ogni paranoia conservatrice: più ti opponi ai mutamenti e più ne favorisci l’evenienza. Diceva l’adagio del tao: “i fiori appassiscono per quanto uno faccia”. Così questa volta la discesa del Cavaliere evoca più da vicino la possibilità che la destra guadagni davvero questa parte di mondo, se solo si affida a una qualche figura un po’ presentabile, capace di comunicare con pronta demagogia e anche di recidere almeno alcuni dei corposi legami consociativi che la destra ha sempre condiviso con Bassolino e il suo metodo di governo.
Per chi vuole un vero cambiamento si tratta di star ben lontano dalle sirene dei palazzi o dal centro-sinistra diffuso che chiamano “a stringersi a corte” e ad essere cauti nella critica del bassolinismo.
E si tratta di prepararsi ad avversare la montata di una deleteria demagogia di destra che oggi è in agguato.
Dobbiamo fare di tutto perché ciò non sia. Ma temo che dovremo un giorno ringraziare la lunga stagione bassoliniana non solo per il disastro che ha prodotto ma anche per avere preparato irresponsabilmente l’avvento della peggiore destra: après moi le déluge. Perché il Bassolino aggressivo dell’ultim’ora mentre lavora per un bassolinismo senza più il suo capo e rovina ancor più il presente, minaccia davvero di creare mostri futuri.
Il cartellone modificato della foto è già comparso stamattina sul blog di Decidiamoinsieme.
04 luglio, 2007
La lesa speranza
Ieri l’altro ho visto un giovane rumeno che sfotteva un coetaneo indigeno. “Vui fare così schifo che nianche Rumania prenda vostra mundizza e nianche per molti soldi”.
Mi sono soffermato sullo sguardo affranto e sorpreso e sulle labbra stranamente senza parole di replica dell’interlocutore, un ragazzo che conosco e a cui certo non manca una colorita favella. Mi sono gelato, fermo così, con la mente inebetita dalla ennesima constatazione di quanto duole a tutte le persone l’umiliazione e l’essere perennemente immersi in ferite profonde inferte al narcisismo della propria città di appartenenza. La lesa speranza: un crimine politico ingiudicabile eppure feroce ed irrisarcibile. Poi ho pensato con altrettanta tristezza alla rivalsa del giovane rumeno e all’abietta classifica al ribasso tra poveri mal considerati…
Una città ferita è un mondo da ricostruire.
Oggi vedo con sollievo che i giornali locali l’hanno finita di scrivere che sto nell’organismo dei 45, ora 60 e poi chissà… che stanno provando a mettere in piedi per bilanciare le cosidette componenti del Partito Democratico in vista di garanzie sulle procedure future.
Avevo voglia io di ripetere a chi incontravo per strada che non era così, che nessuno mai mi aveva chiamato a farne parte e che ero molto contrario a tutto ciò… I boatos disinformativi ripresi dalla stampa contavano ben più sia dei fatti che delle mie argomentate avversità.
Mi sono soffermato sullo sguardo affranto e sorpreso e sulle labbra stranamente senza parole di replica dell’interlocutore, un ragazzo che conosco e a cui certo non manca una colorita favella. Mi sono gelato, fermo così, con la mente inebetita dalla ennesima constatazione di quanto duole a tutte le persone l’umiliazione e l’essere perennemente immersi in ferite profonde inferte al narcisismo della propria città di appartenenza. La lesa speranza: un crimine politico ingiudicabile eppure feroce ed irrisarcibile. Poi ho pensato con altrettanta tristezza alla rivalsa del giovane rumeno e all’abietta classifica al ribasso tra poveri mal considerati…
Una città ferita è un mondo da ricostruire.
Oggi vedo con sollievo che i giornali locali l’hanno finita di scrivere che sto nell’organismo dei 45, ora 60 e poi chissà… che stanno provando a mettere in piedi per bilanciare le cosidette componenti del Partito Democratico in vista di garanzie sulle procedure future.
Avevo voglia io di ripetere a chi incontravo per strada che non era così, che nessuno mai mi aveva chiamato a farne parte e che ero molto contrario a tutto ciò… I boatos disinformativi ripresi dalla stampa contavano ben più sia dei fatti che delle mie argomentate avversità.
29 giugno, 2007
Cos’altro non sapevate?
Confesso che ci metto fatica a scrivere qui.
Sento un senso di soffocamento che ferma la scrittura.
23 giugno. Un amico mi passa il dettaglio dei fondi europei non spesi dal comune di Napoli. Mi fermo sulle cifre. Mi manca il fiato. Non so se sono più infuriato o semplicemente affranto. Se si racconta come è successo se ne può fare una pièce di teatro esilarante. Ma invece è triste.

24 giugno. Leggo il periodico Arpa Campania ambiente: è la rivista ufficiale della agenzia regionale per la protezione ambientale, patinata, nulla di polemico, toni contenutissimi… mi fermo sulla pagina che parla della balneabilità della costa della provincia di Napoli. Basta il titolo: “dopo un lento recupero ora nessun miglioramento”. Guardo i tratti di costa dove porto mia mamma anziana e i figli delle mie nipoti. Chiudo. Poi riapro e passo all’articolo sulla crisi idrica in Campania: il 59,9% delle acque immesse negli acquedotti si perdono nella rete e dai serbatoi e non arrivano ai rubinetti. In alcune zone si parla di perdita del 70%. E questo nonostante il fatto che, per l’emergenza idrica, la nostra regione ottiene più soldi di qualsiasi altra regione italiana, più della stessa Sicilia: mille milioni di euro previsti dalla legge Obiettivo!
25 giugno. Passo per la strada che costeggia l’ultimo tratto del fiume Sarno. Quindici anni almeno di dibattito, fondi, commissario delle acque. Il tanfo che esce è talmente intenso che riesce a coprire quello dei cassonetti in fiamme che bruciano la monnezza lungo tutta la via delle fabbriche che unisce Torre Annunziata e Castellamare. E’ un odore tremendo. Tutto è ben peggiore di quello che vedevo e sentivo nel 1980, quando lì insegnavo, Gava dominante. E’ così nonostante i miliardi spesi, i piani quinquennali e decennali, i faraonici apparati clientelari messi insieme e strenuamente difesi nel tempo da questo centro-sinistra campano, neo-nata sinistra europea compresa che da quelle parti si occupa di piani di zona, risanamenti e moli per diporto lunghi quasi un chilometro.
28 giugno. Incontro un vecchio collega di Villa Literno. Mi racconta di un suo giro in auto, allucinato, disperante, tra S. Maria la Fossa, Aversa, Giuliano, Qualiano, delle strade che si muovono nel paesaggio delle discariche finte, vere, nuove, vecchie, i gabbiani, i luoghi dove tutti sanno che sono state per anni scavate fosse per i veleni. Mi invita a venirci. “Devo mostrarti, se ne deve parlare, almeno tra amici”. Mi dice che la mozzarella in casa sua è bandita per sempre. Ci andrò.
Leggo che Bassolino dice che lui non sapeva di ciò che gli viene contestato dalla magistratura. Iervolino esce dal consiglio comunale dicendo che è stato un luogo di gioioso ritrovo.
Mi vengono in mente le parole di una ballata di Arlo Guthrie, il figlio di Woody, scritta e cantata subito dopo lo scoppio del Watergate, il cui refrain si rivolgeva direttamente a Richard Nixon con una domanda. Diceva più o meno così: “You said that you didn’t know nothing ‘bout the tapes and the men in there; but if you didn’t know ‘bout that one, then what else didn’t you know?”. Tu dici che non sapevi nulla dei nastri e degli uomini lì dentro, beh, se non sapevi di quelli, allora quali altre cose non sapevi?
Mi piacerebbe partecipare al Partito Democratico perché le cose che penso e dico trovano molte corrispondenze con quanto viene dichiarato a proposito di metodo e programma di questo nuovo partito. C’è stato il discorso di Veltroni che lo conferma. Sono da sempre per prendere le persone che si propongono in politica in parola fino a prova contraria.
Sono, poi, garantista da lunga data e non gioisco dei guai giudiziari delle persone che fanno politica.
Però credo profondamente nella responsabilità politica rispetto a territori, persone, speranze. E constato, semplicemente e tristemente, che le parole di Veltroni sono inconciliabili con i fatti di qui e con chi qui è responsabile politico di un disastro la cui magnitudo non riusciamo nemmeno a misurare.
La foto è presa dal sito di Aniello Barone, fotografo napoletano.
Sento un senso di soffocamento che ferma la scrittura.
23 giugno. Un amico mi passa il dettaglio dei fondi europei non spesi dal comune di Napoli. Mi fermo sulle cifre. Mi manca il fiato. Non so se sono più infuriato o semplicemente affranto. Se si racconta come è successo se ne può fare una pièce di teatro esilarante. Ma invece è triste.

24 giugno. Leggo il periodico Arpa Campania ambiente: è la rivista ufficiale della agenzia regionale per la protezione ambientale, patinata, nulla di polemico, toni contenutissimi… mi fermo sulla pagina che parla della balneabilità della costa della provincia di Napoli. Basta il titolo: “dopo un lento recupero ora nessun miglioramento”. Guardo i tratti di costa dove porto mia mamma anziana e i figli delle mie nipoti. Chiudo. Poi riapro e passo all’articolo sulla crisi idrica in Campania: il 59,9% delle acque immesse negli acquedotti si perdono nella rete e dai serbatoi e non arrivano ai rubinetti. In alcune zone si parla di perdita del 70%. E questo nonostante il fatto che, per l’emergenza idrica, la nostra regione ottiene più soldi di qualsiasi altra regione italiana, più della stessa Sicilia: mille milioni di euro previsti dalla legge Obiettivo!
25 giugno. Passo per la strada che costeggia l’ultimo tratto del fiume Sarno. Quindici anni almeno di dibattito, fondi, commissario delle acque. Il tanfo che esce è talmente intenso che riesce a coprire quello dei cassonetti in fiamme che bruciano la monnezza lungo tutta la via delle fabbriche che unisce Torre Annunziata e Castellamare. E’ un odore tremendo. Tutto è ben peggiore di quello che vedevo e sentivo nel 1980, quando lì insegnavo, Gava dominante. E’ così nonostante i miliardi spesi, i piani quinquennali e decennali, i faraonici apparati clientelari messi insieme e strenuamente difesi nel tempo da questo centro-sinistra campano, neo-nata sinistra europea compresa che da quelle parti si occupa di piani di zona, risanamenti e moli per diporto lunghi quasi un chilometro.
28 giugno. Incontro un vecchio collega di Villa Literno. Mi racconta di un suo giro in auto, allucinato, disperante, tra S. Maria la Fossa, Aversa, Giuliano, Qualiano, delle strade che si muovono nel paesaggio delle discariche finte, vere, nuove, vecchie, i gabbiani, i luoghi dove tutti sanno che sono state per anni scavate fosse per i veleni. Mi invita a venirci. “Devo mostrarti, se ne deve parlare, almeno tra amici”. Mi dice che la mozzarella in casa sua è bandita per sempre. Ci andrò.
Leggo che Bassolino dice che lui non sapeva di ciò che gli viene contestato dalla magistratura. Iervolino esce dal consiglio comunale dicendo che è stato un luogo di gioioso ritrovo.
Mi vengono in mente le parole di una ballata di Arlo Guthrie, il figlio di Woody, scritta e cantata subito dopo lo scoppio del Watergate, il cui refrain si rivolgeva direttamente a Richard Nixon con una domanda. Diceva più o meno così: “You said that you didn’t know nothing ‘bout the tapes and the men in there; but if you didn’t know ‘bout that one, then what else didn’t you know?”. Tu dici che non sapevi nulla dei nastri e degli uomini lì dentro, beh, se non sapevi di quelli, allora quali altre cose non sapevi?
Mi piacerebbe partecipare al Partito Democratico perché le cose che penso e dico trovano molte corrispondenze con quanto viene dichiarato a proposito di metodo e programma di questo nuovo partito. C’è stato il discorso di Veltroni che lo conferma. Sono da sempre per prendere le persone che si propongono in politica in parola fino a prova contraria.
Sono, poi, garantista da lunga data e non gioisco dei guai giudiziari delle persone che fanno politica.
Però credo profondamente nella responsabilità politica rispetto a territori, persone, speranze. E constato, semplicemente e tristemente, che le parole di Veltroni sono inconciliabili con i fatti di qui e con chi qui è responsabile politico di un disastro la cui magnitudo non riusciamo nemmeno a misurare.
La foto è presa dal sito di Aniello Barone, fotografo napoletano.
18 giugno, 2007
Venerdì Sabato e Domenica

Venerdì alla Feltrinelli c'era molta gente al dibattito sui rifiuti. Nel merito posizioni diverse che si interrogano a vicenda. Disordinati lo siamo stati. Ma anche vivi e attenti a litigare però sulle soluzioni possibili. Mentre il gotha dei responsabili del disastro sono tutti d'accordo a fare le fusa tra loro al circolo politecnico con le auto blu allineate in piazza.
Sabato Il mattino regala due pagine a Bassolino. Pare la pravda ai tempi di Cernienko.

Le scene vere della Domenica promettevano male. A Torre Gaveta cumuli di monnezza sulla spiaggia. Nuovi incendi alla diossina e l'odore acre tra Castellammare e Barra. I bagnanti più poveri è così che inaugurano l'estate. Molti sono ragazzi. Il mio amico epidemiologo da Roma mi parla di un modello matematico approntato in caso di colera. Le discariche riaperte a forza ma insufficienti. Un altro amico passa e ripete che se ne va. Annuisco. Rabbia. Dolore. Vergogna.
La sera leggo il salmo. Quello sul dio degli eserciti che scende implacabile a punire le infamie dei potenti. E feroce e fa al caso. Ma non ci serve...
12 giugno, 2007
Due cose: A e B
A. Sono contento per la promozione in A del Napoli. Ho gioito della gioia mia, dei ragazzi del mio quartiere, di quella di mio figlio. Ma anche perché non fa bene a nessuno che in una città ci sia depressione e mancanza di speranza su tutto proprio tutto. I sentimenti e il cuore sono intelligenza e possibilità e possono sempre stare con tutto il resto, compresa la rabbia e la battaglia per una città vivibile. Avviene nei processi di apprendimento umano e avviene per le città. Senza passioni non si può neanche immaginare - figuriamoci costruire - il futuro.
B. A proposito di raBBia, battaglia e faticosa costruzione del futuro abbiamo una iniziativa sui rifiuti – ragionarci, capire, dire la nostra - da non mancare:
Venerdì 15 giugno 2007 ore 18
Napoli la Feltrinelli (via San Tommaso D’Aquino 70-76)
Il sistema dei rifiuti in Campania
a partire dal libro-inchiesta di
Alessandro Iacuelli, Le vie infinite dei rifiuti. Il sistema campano
ne discutono
Francesco Bassini un blogger attento ai problemi della città
Antonio Risi urbanista, esperto di questioni ambientali
partecipano Marco Rossi-Doria (decidiamo insieme) Massimo Mendia (operatore del settore) Sabina Laddaga (rete campana salute e ambiente).
sarà presente l’autore
B. A proposito di raBBia, battaglia e faticosa costruzione del futuro abbiamo una iniziativa sui rifiuti – ragionarci, capire, dire la nostra - da non mancare:
Venerdì 15 giugno 2007 ore 18
Napoli la Feltrinelli (via San Tommaso D’Aquino 70-76)
Il sistema dei rifiuti in Campania
a partire dal libro-inchiesta di
Alessandro Iacuelli, Le vie infinite dei rifiuti. Il sistema campano
ne discutono
Francesco Bassini un blogger attento ai problemi della città
Antonio Risi urbanista, esperto di questioni ambientali
partecipano Marco Rossi-Doria (decidiamo insieme) Massimo Mendia (operatore del settore) Sabina Laddaga (rete campana salute e ambiente).
sarà presente l’autore
06 giugno, 2007
Ecco cosa faccio
Strana la vita. Il Corriere del Mezzogiorno di oggi riporta come notizia la mia partecipazione a una sorta di comitato aperto del PD proposto da Enzo Amendola e Ciriaco De Mita. Eppure mai come in questi giorni mi sento lontano dal PD visti i segnali davvero pessimi forniti dalla chiamata a Roma nel comitato dei 43 di Bassolino e Iervolino, dalla formazione del comitato stesso, dalle altre bestialità provenienti da quel campo e che rischiano di far cadere il governo in fauci sempre più pericolose e preoccupanti per la stessa democrazia.
Infatti ero ripartito con l'ennesima richiesta esplicita di dimissioni di Iervolino e Bassolino e firmando la lettera apparsa, sempre sul Corriere del Mezzogiorno, contro l’attuale assetto di potere in Campania, pensata in risposta immediata e doverosa a un fondo duro di Demarco che chiedeva alla società di battere subito un colpo e a cui nessuno ha voluto dar seguito.
E invece ecco che risulto – dall’articolo di Simona Brandolini - già bello e cooptato nel PD campano, in più come rappresentante della cultura…
Già… e a proposito del mio nome e del come entri in rapporto con la cultura, sto, intanto, più banalmente facendo cose tecniche che non sono considerate di cultura (sic!) come capire se tutti, a 16 anni, dovrebbero o no sapere le equazioni di primo grado e se dunque vanno incluse nei saperi obbligatori di cittadinanza. Che fa Rossi-Doria? Ecco che fa.
Ma, oltre a questo, stamattina prendo il telefono e chiamo Simona Brandolini spiegandole che nessun segretario regionale DS o DL mi ha cercato.
E, però, aggiungendo che, se mi chiamano, vado eccome. E a dire esattamente le cose che sto dicendo e ripetendo da 18 mesi, da quando mi ero proposto per le primarie per sindaco poi annullate e fino a oggi. Qualunque tribuna è buona, PD o altre. Dirò le stesse cose.
Vediamo se domani Simona lo riporterà sul Cormez.
Infatti ero ripartito con l'ennesima richiesta esplicita di dimissioni di Iervolino e Bassolino e firmando la lettera apparsa, sempre sul Corriere del Mezzogiorno, contro l’attuale assetto di potere in Campania, pensata in risposta immediata e doverosa a un fondo duro di Demarco che chiedeva alla società di battere subito un colpo e a cui nessuno ha voluto dar seguito.
E invece ecco che risulto – dall’articolo di Simona Brandolini - già bello e cooptato nel PD campano, in più come rappresentante della cultura…
Già… e a proposito del mio nome e del come entri in rapporto con la cultura, sto, intanto, più banalmente facendo cose tecniche che non sono considerate di cultura (sic!) come capire se tutti, a 16 anni, dovrebbero o no sapere le equazioni di primo grado e se dunque vanno incluse nei saperi obbligatori di cittadinanza. Che fa Rossi-Doria? Ecco che fa.
Ma, oltre a questo, stamattina prendo il telefono e chiamo Simona Brandolini spiegandole che nessun segretario regionale DS o DL mi ha cercato.
E, però, aggiungendo che, se mi chiamano, vado eccome. E a dire esattamente le cose che sto dicendo e ripetendo da 18 mesi, da quando mi ero proposto per le primarie per sindaco poi annullate e fino a oggi. Qualunque tribuna è buona, PD o altre. Dirò le stesse cose.
Vediamo se domani Simona lo riporterà sul Cormez.
30 maggio, 2007
Risposte e proposte
Caro Eduardo,
anche io spesso sento un ritmo rap che dalla pancia sale e fa: fujmmuncenne... E confesso che se un giovane mi chiede se deve andarsene rispondo, mio malgrado, di sì. Perché fa bene stare lontano da qui e fa male crescere nutrendo cinismo per poter sopravvivere e abbandonando speranze. Ma io me ne sono fuggito già una volta, in epoca pre-tangentopoli e mi sono recato in giro per otto anni. Per ora non riesco a rifarlo.
Caro Roberto Vallefuoco,
sono d’accordo con il compito che ci affidi: fare opposizione. L’ho gridato insieme a te nel megafono nel mercato di Secondigliano. Teniamo fede all’impegno. E mi pare che, per la mia piccola parte, sto esattamente assolvendo al lavoro di “dimostrare e rendere evidente il fallimento di chi governa”. Non ho cambiato idea. Per non mettere la testa nella sabbia, ho solo posto il problema delle prospettive. Dunque ripeto quel che ho risposto a Norberto Gallo: “O si lavora per una vittoria della opposizione di centro-destra a Napoli o per un Guazzaloca o mini-Sarkozi partenopeo ma a) bisogna essere di centro-destra e b) è un compito comunque gravoso viste le estese e solide consociazioni destra-sinistra e vista la pochezza culturale degli interlocutori di quel campo, con poche eccezioni. Oppure ci si confronta con ogni possibile contraddizione interna al campo di centro-sinistra e ogni spiraglio, compreso il PD, e senza farsi troppe illusioni. Ma – sia chiaro – questo lavoro non annulla la prioritaria funzione di opposizione. Anzi, semmai la rafforza. Quando dico questo qualcuno scrive, su taluni blog, di mission impossible di Rossi-Doria. Ed è più che possible che così sia, intendiamoci. Ma convengo con te: non è un falso problema. E’ il problema politico. L’unico punto su cui forse dissento è che sembri chiedere che la sua soluzione ti deve essere “spiegata”. Francamente: gradiresti davvero che qualche capuzziello te la spiegasse o preferiamo tutti misurarci e confrontarci con questo grattacapo reale?
Caro Daniele Coppin,
concordo; e il programma di Decidiamo Insieme di un anno fa è stato un esempio – credo molto dignitoso - proprio di quel “fare proposte concrete, reali, non sulla politica ma sui problemi veri”. Continuare significa per ciascuno battere un colpo.
A me piacerebbe una cosa semplice che semplice non è e cioè dare seguito ordinato (magari ci si riuscisse!) a quanto andiamo faticosamente proponendo da allora:
La manna dal cielo – si stia tutti certi – non arriverà.
anche io spesso sento un ritmo rap che dalla pancia sale e fa: fujmmuncenne... E confesso che se un giovane mi chiede se deve andarsene rispondo, mio malgrado, di sì. Perché fa bene stare lontano da qui e fa male crescere nutrendo cinismo per poter sopravvivere e abbandonando speranze. Ma io me ne sono fuggito già una volta, in epoca pre-tangentopoli e mi sono recato in giro per otto anni. Per ora non riesco a rifarlo.
Caro Roberto Vallefuoco,
sono d’accordo con il compito che ci affidi: fare opposizione. L’ho gridato insieme a te nel megafono nel mercato di Secondigliano. Teniamo fede all’impegno. E mi pare che, per la mia piccola parte, sto esattamente assolvendo al lavoro di “dimostrare e rendere evidente il fallimento di chi governa”. Non ho cambiato idea. Per non mettere la testa nella sabbia, ho solo posto il problema delle prospettive. Dunque ripeto quel che ho risposto a Norberto Gallo: “O si lavora per una vittoria della opposizione di centro-destra a Napoli o per un Guazzaloca o mini-Sarkozi partenopeo ma a) bisogna essere di centro-destra e b) è un compito comunque gravoso viste le estese e solide consociazioni destra-sinistra e vista la pochezza culturale degli interlocutori di quel campo, con poche eccezioni. Oppure ci si confronta con ogni possibile contraddizione interna al campo di centro-sinistra e ogni spiraglio, compreso il PD, e senza farsi troppe illusioni. Ma – sia chiaro – questo lavoro non annulla la prioritaria funzione di opposizione. Anzi, semmai la rafforza. Quando dico questo qualcuno scrive, su taluni blog, di mission impossible di Rossi-Doria. Ed è più che possible che così sia, intendiamoci. Ma convengo con te: non è un falso problema. E’ il problema politico. L’unico punto su cui forse dissento è che sembri chiedere che la sua soluzione ti deve essere “spiegata”. Francamente: gradiresti davvero che qualche capuzziello te la spiegasse o preferiamo tutti misurarci e confrontarci con questo grattacapo reale?
Caro Daniele Coppin,
concordo; e il programma di Decidiamo Insieme di un anno fa è stato un esempio – credo molto dignitoso - proprio di quel “fare proposte concrete, reali, non sulla politica ma sui problemi veri”. Continuare significa per ciascuno battere un colpo.
A me piacerebbe una cosa semplice che semplice non è e cioè dare seguito ordinato (magari ci si riuscisse!) a quanto andiamo faticosamente proponendo da allora:
- un incontro “casta e municipalità a Napoli” sulla scia del grande lavoro che su ciò ha fatto Norberto Gallo;
- un incontro su Bagnoli su cui abbiamo fatto un appello firmato da molti;
- un osservatorio sulla trasparenza nei processi decisionali in Campania su cui alcuni di noi hanno risposto ieri a Demarco;
- … e mi piacerebbe anche una ”assemblea informata” sui rifiuti, dato che, insieme ad altri (come Fraba), ho proposto di impegnarsi su una iniziativa ad hoc.
La manna dal cielo – si stia tutti certi – non arriverà.
27 maggio, 2007
Quesiti aperti
E’ complicato orientarsi. E dunque è utile il confronto. Vero.
So molto, molto bene che, per risolvere le cose, non basta l’indignazione (che pure assove a una funzione in democrazia) né solo chiedere le dimissioni – come ho fatto - di chi è responsabile del disastro che abbiamo davanti. Ma so altrettanto bene che il mio non è stato un gesto impulsivo o a-politico, come alcuni mi hanno contestato.
Volevo porre la questione da centro-sinistra e volevo farlo anche in un momento speciale, in cui era quasi doveroso dare il segnale di una opposizione al disastro campano e, al contempo, a un’idea del PD “che cambia per non cambiare nulla”, un’idea che pare ora prevalere, a giudicare da come si è formato il comitato dei 45. Per fare un esempio, la Campania significa solo Iervolino e Bassolino.
E aggiungo di aver incontrato con piacere le parole pubblicate, negli ultimi 3 giorni, per esempio da Luisa Bossa che si oppone a questo modo di pensare il PD o da Pietro Cerrito, segretario regionale CISL, che si chiede se non sia il caso di fare uno sciopero contro la regione e individua responsabilità gravissime nei nostri amministratori locali. E da molte altre persone. Posizioni tra loro diverse, certamente. E differenti dalle mie. Ma che – tutte! – fanno comunque un bilancio politico senza appello su chi deve rispondere della crisi irreversibile di questo centro-sinistra campano. E penso all’analisi di Amato Lamberti sull’intreccio tra omicidi di questi giorni, voto di scambio e crisi verticale della poltica nei comuni campani interessati al voto oggi e che ne descrive bene l’atmosfera terribile. Che avevo osservato anche io andando sabato scorso, con gli amici radicali, a Sant’Antimo: c’era un atmosfera che si tagliava col coltello e una grande consapevolezza tra le brave persone di centro-sinistra sul fatto che questa coalizione è arrivata al capolinea e che, se non cambia in fretta e bene, porterà a far vincere una terribile destra populista. E sono stato davvero sollevato dal fondo di Paolo Macry sul Corriere del mezzogiorno quando dice, contro Antonio Polito, che c’è una crisi democratica alla quale non si può più rispondere dicendo semplicemente che “sono stati votati”.
Ma ora voglio tornare a un lungo commento, molto bello, del 19 di maggio, scritto da Mario Mastrocecco. Pone un problema importante e che riguarda ogni ragionamento sulle possibilità di crescita democratica intesa in senso proprio.
Dice Mario, in buona sostanza: caro Marco, dove ti avvii… ma non lo vedi che il bipolarismo in generale – e quello italiano ancor più, per non parlare di quello partenopeo – contribuisce a creare quella casta politica inamovibile alla quale si può solo dare il placet perché “costringe il cittadino a schiacciare una volta ogni 5 anni il pulsante rosso o quello blu e poi, se proprio non ce la fa a stare zitto, a ritagliarsi "spazi pubblici e cittadinanza" dove vuole, ma non dove si comanda”? E, in aggiunta, insiste che il PD è il luogo dove più che altrove è questa la prospettiva.
Come è noto, in questi giorni, altre domande si levano. E proposte che hanno al centro preoccupazioni inverse a quelle di Mario, che conclude il suo commento:
“ho bisogno di continuare a credere che rafforzare la democrazia e "fare cose concrete" per le persone non siano due strade diverse”.
Si tratta di preoccupazioni che hanno al centro la supposta mancata efficacia del governo come azione centrale e centralistica e che si propongono un aggresivo ruolo supplente: Confindustria, una compagine della vita italiana che vuole decidere in diretta e senza perdere tempo con le persone e le procedure… paradosso a sua volta perché si tratta di una compagine che certo non ha avuto solo briciole dai partiti e dal bipolarismo e che spesso ha beneficiato proprio di decisioni centralistiche e sbrigative.
Le considerazioni di Mario, ovviamente, danno voce a molti dubbi e pensieri che ho anche io (credo che questo, oltre al suo metodo di dibattito, sempre molto corretto, spieghi i suoi toni misurati nei miei confronti: mi conosce).
E appaiono essere straordinariamente speculari (lui ne sarà felice, lo so) a quelle sollevate qualche giorno fa, in una intervista sulla Repubblica di Napoli contro Decidiamo Insieme e la sua esperienza di un anno fa da parte di – niente di meno che! – Cirino Pomicino. Pomicino, infatti, ha detto l’opposto: ma voi, che riempivate i cinema con giuste aspirazioni, avete dimostrato per l’ennesima volta che senza partiti niente si produce e da nessuna parte si va.
Monica Tavernini, esponente del comitato di indirizzo di Decidiamo Insieme e convinta sostenitrice del carattere non partitico di Decidiamo Insieme ieri l’altro su La Repubblica di Napoli ha risposto a Pomicino in modo molto bello, spiegando chiatto chiatto a Pomicino che i gesti di vera libertà hanno sempre un valore ma ammettendo, con grande onestà intellettuale, che effettivamente si va poco lontano senza arrischiare un rapporto con i partiti e dunque con i codici della politica i quali, a loro volta, devono però davvero accogliere una dialettica verso quel che si pensa, che si propone e che si muove fuori dal loro ristretto ambito. Cosa che non hanno fatto e che non fanno.
Cosa – aggiungo – che il PD dichiara urbi et orbi di voler fare ma che non riesce per ora o non sa o resiste a fare. O, nella ipotesi di Mario (ragionevole) non farà mai. “Un mostriciattolo dal codice genetico già segnato” – scrive Monica, che pure dichiara che la scommessa sarebbe, appunto, coniugare impegno partecipativo ed effettiva rigenerazione della politica.
E ecco ieri, sul Corriere del Mezzogiorno il fondo del suo direttore Marco Demarco:
“Forse è venuto il momento di scindere radicalmente le responsabilità: da una parte quelle dell'attuale «casta» dirigente e dall'altro quelle della Napoli che non intende lasciarsi coinvolgere in un fallimento ormai epocale. Com'è possibile tollerare ancora un governo locale che ormai non governa più nulla? Per anni Bassolino ha commissariato la Iervolino. Poi Prodi ha commissariato Bassolino. Infine Napolitano ha commissariato tutti con la forza morale dei suoi appelli. Sperare di poter arrivare così fino alla scadenza dei mandati elettorali della Iervolino e di Bassolino è pura follia. Né, d'altro canto, ci si può impiccare alla impraticabilità delle dimissioni che, nell'immediato, nulla risolverebbero. Una città che non è in grado di dare una spallata a questo ceto politico, fosse solo per scuoterlo come un albero e liberarlo dalle foglie morte, è una città condannata alla rassegnazione.
I partiti organizzino le loro manifestazioni pro e contro l'attuale maggioranza, ma i sindacati, gli imprenditori, il mondo delle parrocchie e delle associazioni democratiche incomincino a pensare a un'autonoma mobilitazione straordinaria. Il tempo è maturo, prova ne è l'entusiasmo suscitato da quel «Basta!» stampato sulla nostra prima pagina di qualche giorno fa. Chi ha idee e proposte si faccia avanti. Noi siamo pronti a raccoglierle.”
Egli invita dunque nuovamente a quel movimento che non teme di fare a meno dei partiti, in qualche modo nella direzione della nostra esperienza di un anno fa.
Siamo di nuovo lì. Ma questo non ci deve esaltare. Al contrario: non esalta avere avuto ragione e non averla potuto fare valere – per ragioni obiettive e errori soggettivi pur nello slancio coraggioso, libero e generoso che tanti non hanno fatto.
Mario, temo per te, per me, che si ripropone il problema della politica, del come scardinare questo sistema di potere. Perché "fare cose concrete" per le persone è stato dal 1975 – l’ho già scritto – la mia risposta individuale e professionale alla crisi costante della democrazia italiana. E va benissimo e –aggiungo - probabilmente, alla fine, sarò “portato dalle cose” a ritornare proprio a questo.
Ma si deve pur constatare che non basta, che i nodi tornano al pettine. E certo non si può eludere questo campo di confronto. E di battaglia.
E mi chiedo se le persone che credono che la crisi politica riguarda la vita dei cittadini possano ancora esplorare e tentare forme di denuncia, presenza, aggregazione e proposta senza per forza ogni volta pensarle solo come esterne ai partiti…
E’ una domanda che oggi ci riguarda in Campania ma che, in questi giorni, coinvolge i circuiti nazionali, blog ecc. delle persone vicine al futuro PD che non intendono tuttavia tollerare una ennesima operazione che riduca tutto a una politica ormai morta da tempo.
So molto, molto bene che, per risolvere le cose, non basta l’indignazione (che pure assove a una funzione in democrazia) né solo chiedere le dimissioni – come ho fatto - di chi è responsabile del disastro che abbiamo davanti. Ma so altrettanto bene che il mio non è stato un gesto impulsivo o a-politico, come alcuni mi hanno contestato.
Volevo porre la questione da centro-sinistra e volevo farlo anche in un momento speciale, in cui era quasi doveroso dare il segnale di una opposizione al disastro campano e, al contempo, a un’idea del PD “che cambia per non cambiare nulla”, un’idea che pare ora prevalere, a giudicare da come si è formato il comitato dei 45. Per fare un esempio, la Campania significa solo Iervolino e Bassolino.
E aggiungo di aver incontrato con piacere le parole pubblicate, negli ultimi 3 giorni, per esempio da Luisa Bossa che si oppone a questo modo di pensare il PD o da Pietro Cerrito, segretario regionale CISL, che si chiede se non sia il caso di fare uno sciopero contro la regione e individua responsabilità gravissime nei nostri amministratori locali. E da molte altre persone. Posizioni tra loro diverse, certamente. E differenti dalle mie. Ma che – tutte! – fanno comunque un bilancio politico senza appello su chi deve rispondere della crisi irreversibile di questo centro-sinistra campano. E penso all’analisi di Amato Lamberti sull’intreccio tra omicidi di questi giorni, voto di scambio e crisi verticale della poltica nei comuni campani interessati al voto oggi e che ne descrive bene l’atmosfera terribile. Che avevo osservato anche io andando sabato scorso, con gli amici radicali, a Sant’Antimo: c’era un atmosfera che si tagliava col coltello e una grande consapevolezza tra le brave persone di centro-sinistra sul fatto che questa coalizione è arrivata al capolinea e che, se non cambia in fretta e bene, porterà a far vincere una terribile destra populista. E sono stato davvero sollevato dal fondo di Paolo Macry sul Corriere del mezzogiorno quando dice, contro Antonio Polito, che c’è una crisi democratica alla quale non si può più rispondere dicendo semplicemente che “sono stati votati”.
Ma ora voglio tornare a un lungo commento, molto bello, del 19 di maggio, scritto da Mario Mastrocecco. Pone un problema importante e che riguarda ogni ragionamento sulle possibilità di crescita democratica intesa in senso proprio.
Dice Mario, in buona sostanza: caro Marco, dove ti avvii… ma non lo vedi che il bipolarismo in generale – e quello italiano ancor più, per non parlare di quello partenopeo – contribuisce a creare quella casta politica inamovibile alla quale si può solo dare il placet perché “costringe il cittadino a schiacciare una volta ogni 5 anni il pulsante rosso o quello blu e poi, se proprio non ce la fa a stare zitto, a ritagliarsi "spazi pubblici e cittadinanza" dove vuole, ma non dove si comanda”? E, in aggiunta, insiste che il PD è il luogo dove più che altrove è questa la prospettiva.
Come è noto, in questi giorni, altre domande si levano. E proposte che hanno al centro preoccupazioni inverse a quelle di Mario, che conclude il suo commento:
“ho bisogno di continuare a credere che rafforzare la democrazia e "fare cose concrete" per le persone non siano due strade diverse”.
Si tratta di preoccupazioni che hanno al centro la supposta mancata efficacia del governo come azione centrale e centralistica e che si propongono un aggresivo ruolo supplente: Confindustria, una compagine della vita italiana che vuole decidere in diretta e senza perdere tempo con le persone e le procedure… paradosso a sua volta perché si tratta di una compagine che certo non ha avuto solo briciole dai partiti e dal bipolarismo e che spesso ha beneficiato proprio di decisioni centralistiche e sbrigative.
Le considerazioni di Mario, ovviamente, danno voce a molti dubbi e pensieri che ho anche io (credo che questo, oltre al suo metodo di dibattito, sempre molto corretto, spieghi i suoi toni misurati nei miei confronti: mi conosce).
E appaiono essere straordinariamente speculari (lui ne sarà felice, lo so) a quelle sollevate qualche giorno fa, in una intervista sulla Repubblica di Napoli contro Decidiamo Insieme e la sua esperienza di un anno fa da parte di – niente di meno che! – Cirino Pomicino. Pomicino, infatti, ha detto l’opposto: ma voi, che riempivate i cinema con giuste aspirazioni, avete dimostrato per l’ennesima volta che senza partiti niente si produce e da nessuna parte si va.
Monica Tavernini, esponente del comitato di indirizzo di Decidiamo Insieme e convinta sostenitrice del carattere non partitico di Decidiamo Insieme ieri l’altro su La Repubblica di Napoli ha risposto a Pomicino in modo molto bello, spiegando chiatto chiatto a Pomicino che i gesti di vera libertà hanno sempre un valore ma ammettendo, con grande onestà intellettuale, che effettivamente si va poco lontano senza arrischiare un rapporto con i partiti e dunque con i codici della politica i quali, a loro volta, devono però davvero accogliere una dialettica verso quel che si pensa, che si propone e che si muove fuori dal loro ristretto ambito. Cosa che non hanno fatto e che non fanno.
Cosa – aggiungo – che il PD dichiara urbi et orbi di voler fare ma che non riesce per ora o non sa o resiste a fare. O, nella ipotesi di Mario (ragionevole) non farà mai. “Un mostriciattolo dal codice genetico già segnato” – scrive Monica, che pure dichiara che la scommessa sarebbe, appunto, coniugare impegno partecipativo ed effettiva rigenerazione della politica.
E ecco ieri, sul Corriere del Mezzogiorno il fondo del suo direttore Marco Demarco:
“Forse è venuto il momento di scindere radicalmente le responsabilità: da una parte quelle dell'attuale «casta» dirigente e dall'altro quelle della Napoli che non intende lasciarsi coinvolgere in un fallimento ormai epocale. Com'è possibile tollerare ancora un governo locale che ormai non governa più nulla? Per anni Bassolino ha commissariato la Iervolino. Poi Prodi ha commissariato Bassolino. Infine Napolitano ha commissariato tutti con la forza morale dei suoi appelli. Sperare di poter arrivare così fino alla scadenza dei mandati elettorali della Iervolino e di Bassolino è pura follia. Né, d'altro canto, ci si può impiccare alla impraticabilità delle dimissioni che, nell'immediato, nulla risolverebbero. Una città che non è in grado di dare una spallata a questo ceto politico, fosse solo per scuoterlo come un albero e liberarlo dalle foglie morte, è una città condannata alla rassegnazione.
I partiti organizzino le loro manifestazioni pro e contro l'attuale maggioranza, ma i sindacati, gli imprenditori, il mondo delle parrocchie e delle associazioni democratiche incomincino a pensare a un'autonoma mobilitazione straordinaria. Il tempo è maturo, prova ne è l'entusiasmo suscitato da quel «Basta!» stampato sulla nostra prima pagina di qualche giorno fa. Chi ha idee e proposte si faccia avanti. Noi siamo pronti a raccoglierle.”
Egli invita dunque nuovamente a quel movimento che non teme di fare a meno dei partiti, in qualche modo nella direzione della nostra esperienza di un anno fa.
Siamo di nuovo lì. Ma questo non ci deve esaltare. Al contrario: non esalta avere avuto ragione e non averla potuto fare valere – per ragioni obiettive e errori soggettivi pur nello slancio coraggioso, libero e generoso che tanti non hanno fatto.
Mario, temo per te, per me, che si ripropone il problema della politica, del come scardinare questo sistema di potere. Perché "fare cose concrete" per le persone è stato dal 1975 – l’ho già scritto – la mia risposta individuale e professionale alla crisi costante della democrazia italiana. E va benissimo e –aggiungo - probabilmente, alla fine, sarò “portato dalle cose” a ritornare proprio a questo.
Ma si deve pur constatare che non basta, che i nodi tornano al pettine. E certo non si può eludere questo campo di confronto. E di battaglia.
E mi chiedo se le persone che credono che la crisi politica riguarda la vita dei cittadini possano ancora esplorare e tentare forme di denuncia, presenza, aggregazione e proposta senza per forza ogni volta pensarle solo come esterne ai partiti…
E’ una domanda che oggi ci riguarda in Campania ma che, in questi giorni, coinvolge i circuiti nazionali, blog ecc. delle persone vicine al futuro PD che non intendono tuttavia tollerare una ennesima operazione che riduca tutto a una politica ormai morta da tempo.
24 maggio, 2007
Un democratico, un galantuomo
Oggi è un giorno di difficile battaglia per la nostra città. Altri ne verranno.
Profondamente rattristato per la recente scomparsa di Carlo Ciccarelli riporto qui di seguito il bellissimo suo ricordo scritto da Monica Tavernini per il sito Decidiamo Insieme.
Grazie Carlo.
Per Carlo Cicarelli
di Monica Tavernini
Chi è stato impegnato nell’organizzazione della campagna elettorale di “Decidiamo Insieme”, un anno fa, ha conosciuto Carlo Cicarelli. Abbiamo saputo solo ieri della sua scomparsa, avvenuta qualche settimana fa. Avvocato, di cultura saldamente laica, dirigente dell’ISVEIMER, e poi, dopo la pensione, Giudice di pace, Carlo non era più un giovanotto - aveva 75 anni - ed era anche già un po’ acciaccato, ma si sobbarcò con una disponibilità straordinaria il duro impegno di autenticare le firme necessarie a presentare la lista e la candidatura di Marco. Presenziò ai banchetti di piazza, alle manifestazioni pubbliche, si rese disponibile presso le sedi e ci permise perfino di disturbarlo a casa per portargli di persona gli ultimi sottoscrittori e gli atti necessari alla presentazione delle candidature: con Antonio Pezzano ci siamo presentati da lui, mettendoci un po’ “scuorno”, la sera tardi come al mattino presto, e sempre, con un sorriso un po’ enigmatico (”ci manderà a quel paese prima o poi?”), prendeva dal cassetto la stilografica e il timbro, meticoloso com’era, e ci risolveva il problema. Non sono mai riuscita a capire se fosse più intenerito o più incazzato per gli aspetti ingenui e disorganizzati della nostra campagna elettorale; forse tutte e due le cose insieme, ma questo non gli impediva di fare tutto quello che gli era possibile.
Quando ho presentato la lista, uno dei “soloni” presidenti delle commissioni elettorali mentre mi contestava la mancanza del timbro dell’Ufficio Giudici di Pace del Tribunale sotto la firma di Carlo (anche questo è successo!), ricordo che mi chiese: “Ma perché vi siete rivolti ai giudici di pace?” E io sbottai: “Perché gli altri, i partiti, hanno i consiglieri comunali e provinciali per far autenticare le firme, e chissà pure se è vero che le hanno raccolte davanti a loro!” Ecco: noi non avevamo quasi nulla per quell’opera improba, ma abbiamo avuto Carlo Cicarelli.
E’ stato dalla nostra parte perché da decenni si era impegnato in politica avendone l’idea alta e nobile di un gran signore, borghese ma non snob, e non sopportava di vedere i partiti affondare nelle pratiche che, ancora una volta nella sua storia, stanno spalancando il baratro nel quale la città precipita. Decise di aiutarci, senza troppe parole: firmando, autenticando, timbrando. Lo stesso spirito lo animava all’inizio degli anni ‘90, quando Ernesto Mostardi ed io l’abbiamo conosciuto: dai referendum elettorali, al circolo di Alleanza Democratica che fondammo nel ‘93. Nella campagna elettorale di quell’anno sostenne con passione ed impegno la candidatura di Tino Santangelo: anche allora i partiti erano ridotti a larve e Carlo sognava ante litteram un “Partito Democratico”. Ma uno di una qualità politica, civile ed umana che non si intravvede oggi, purtroppo. Insomma, ogni volta che annusava nell’aria che qualcosa si era messo in moto per rinnovare la politica, Carlo c’era sempre. Poi, forse, anche a lui come ad altri, quei tentativi lasciavano in bocca l’amaro della delusione, ma … al prossimo ci sarebbe stato di nuovo, potete scommetterci! Grazie di tutto, Carlo, è stato un onore conoscerti. ::
ps. Ieri Monica mi aveva scritto la notizia triste, saputa in ritardo. E solo in ritardo possiamo quindi associarci tutti alle cose che Monica dice qui sopra: Ciao, Carlo. Grazie. E’ stato un onore conoscerti, per tutti noi.
Profondamente rattristato per la recente scomparsa di Carlo Ciccarelli riporto qui di seguito il bellissimo suo ricordo scritto da Monica Tavernini per il sito Decidiamo Insieme.
Grazie Carlo.
Per Carlo Cicarelli
di Monica Tavernini
Chi è stato impegnato nell’organizzazione della campagna elettorale di “Decidiamo Insieme”, un anno fa, ha conosciuto Carlo Cicarelli. Abbiamo saputo solo ieri della sua scomparsa, avvenuta qualche settimana fa. Avvocato, di cultura saldamente laica, dirigente dell’ISVEIMER, e poi, dopo la pensione, Giudice di pace, Carlo non era più un giovanotto - aveva 75 anni - ed era anche già un po’ acciaccato, ma si sobbarcò con una disponibilità straordinaria il duro impegno di autenticare le firme necessarie a presentare la lista e la candidatura di Marco. Presenziò ai banchetti di piazza, alle manifestazioni pubbliche, si rese disponibile presso le sedi e ci permise perfino di disturbarlo a casa per portargli di persona gli ultimi sottoscrittori e gli atti necessari alla presentazione delle candidature: con Antonio Pezzano ci siamo presentati da lui, mettendoci un po’ “scuorno”, la sera tardi come al mattino presto, e sempre, con un sorriso un po’ enigmatico (”ci manderà a quel paese prima o poi?”), prendeva dal cassetto la stilografica e il timbro, meticoloso com’era, e ci risolveva il problema. Non sono mai riuscita a capire se fosse più intenerito o più incazzato per gli aspetti ingenui e disorganizzati della nostra campagna elettorale; forse tutte e due le cose insieme, ma questo non gli impediva di fare tutto quello che gli era possibile.
Quando ho presentato la lista, uno dei “soloni” presidenti delle commissioni elettorali mentre mi contestava la mancanza del timbro dell’Ufficio Giudici di Pace del Tribunale sotto la firma di Carlo (anche questo è successo!), ricordo che mi chiese: “Ma perché vi siete rivolti ai giudici di pace?” E io sbottai: “Perché gli altri, i partiti, hanno i consiglieri comunali e provinciali per far autenticare le firme, e chissà pure se è vero che le hanno raccolte davanti a loro!” Ecco: noi non avevamo quasi nulla per quell’opera improba, ma abbiamo avuto Carlo Cicarelli.
E’ stato dalla nostra parte perché da decenni si era impegnato in politica avendone l’idea alta e nobile di un gran signore, borghese ma non snob, e non sopportava di vedere i partiti affondare nelle pratiche che, ancora una volta nella sua storia, stanno spalancando il baratro nel quale la città precipita. Decise di aiutarci, senza troppe parole: firmando, autenticando, timbrando. Lo stesso spirito lo animava all’inizio degli anni ‘90, quando Ernesto Mostardi ed io l’abbiamo conosciuto: dai referendum elettorali, al circolo di Alleanza Democratica che fondammo nel ‘93. Nella campagna elettorale di quell’anno sostenne con passione ed impegno la candidatura di Tino Santangelo: anche allora i partiti erano ridotti a larve e Carlo sognava ante litteram un “Partito Democratico”. Ma uno di una qualità politica, civile ed umana che non si intravvede oggi, purtroppo. Insomma, ogni volta che annusava nell’aria che qualcosa si era messo in moto per rinnovare la politica, Carlo c’era sempre. Poi, forse, anche a lui come ad altri, quei tentativi lasciavano in bocca l’amaro della delusione, ma … al prossimo ci sarebbe stato di nuovo, potete scommetterci! Grazie di tutto, Carlo, è stato un onore conoscerti. ::
ps. Ieri Monica mi aveva scritto la notizia triste, saputa in ritardo. E solo in ritardo possiamo quindi associarci tutti alle cose che Monica dice qui sopra: Ciao, Carlo. Grazie. E’ stato un onore conoscerti, per tutti noi.
23 maggio, 2007
Priorità
Ci sarà tempo per altri ragionamenti nelle prossime ore e giorni e anche di commenti al dibattito in giro sui blog.
Oggi vi è una priorità. Senso di responsabilità vuole che ora si segua Bertolaso e quanto deciso dal governo - come chiede il Presidente Napolitano.
Ma tale priorità porta con sé una conseguenza politica immediata.
Contestualmente e proprio per dare valore a tale ineludibile richiamo all'interesse generale vanno chieste le dimissioni del sindaco e del governatore.
Va chiesta la apertura della crisi politica in Campania.
Perché il sacrificio dei convincimenti particolari ha senso dinanzi al disastro solo se i responsabili politici del disastro stesso fanno a loro volta un passo di decoro e di onore.

Ma tale priorità porta con sé una conseguenza politica immediata.
Contestualmente e proprio per dare valore a tale ineludibile richiamo all'interesse generale vanno chieste le dimissioni del sindaco e del governatore.
Va chiesta la apertura della crisi politica in Campania.
Perché il sacrificio dei convincimenti particolari ha senso dinanzi al disastro solo se i responsabili politici del disastro stesso fanno a loro volta un passo di decoro e di onore.
22 maggio, 2007
Se ne devono andare
Pubblico oggi, volutamente con ritardo – il suo senso si rafforza con il passare dei giorni - il testo del mio articolo su la Repubblica di Napoli di qualche giorno fa.
Intanto la situazione sta peggiorando, come previsto. Da cittadino ne sono anche spaventato. Quando c’è il rischio di epidemie, quelle vere e i ratti aumentano e entrano nelle scuole non si può certo gioire del fallimento politico di un sistema di potere che ho criticato e contro il quale ho condotto una battaglia democratica un anno fa. Anche perché i suoi rappresentanti a tutto pensano fuorché a dimettersi, che sarebbe l’unico atto civile e sensato da fare.
Domani risponderò ai commenti.

E’ davvero tempo di un crudo bilancio politico.
La Campania, incapace di essere pattumiera di se stessa, è anche la pattumiera dei veleni d’Italia. Ne raccoglie il 43%, per lo più sotto il controllo delle eco-mafie. Ha a tal punto intossicato i terreni e le acque che le percentuali di probabilità di cancro per noi sono 400 per cento quelle della media nazionale, un danno irreparabile, che resterà per molti secoli. Al contempo la Campania, le sue province e i suoi comuni, con rare, encomiabili eccezioni, hanno permesso – ciascuno per le sue responsabilità - che si protraesse nel tempo un ciclo doloso dei rifiuti che non ha pari in Europa: la mancanza di impianti moderni corrisponde a una raccolta dei rifiuti che non consente di trattarli facilmente per creare energia e combustile e questo corrisponde a mancata raccolta differenziata, riciclaggio e rigenerazione che, a sua volta, corrisponde all’uso, fuori da qualsiasi misura accettabile, sia delle discariche che del trasporto con treni fuori dal territorio, due opzioni che drenano denaro pubblico per miliardi di euro a favore della speculazione nella compravendita dei suoli e negli appalti sui trasporti. A tale ciclo si è aggiunto il fatto che, per trattare – si fa per dire - i rifiuti campani sono stati assunti un numero di addetti per abitante almeno 7 volte la media delle altre regioni.
I legami, reali o potenziali, tra politica e camorra su ognuno di questi fronti è tale da far tremare i polsi.
Tutto questo è avvenuto contro la legge nazionale in materia ambientale, che è una buona legge perché funziona ovunque, tranne in Campania. E questa deroga alla legge ha prodotto un tale disastro che il governo nazionale è dovuto intervenire, per decreto, a sua volta in deroga alle leggi dello stato, un paradosso che non trova paragoni.
Così si perpetua l’emergenza, si delega all’ennesimo salvatore della patria il quale almeno assume responsabilità e agisce in extremis e di fronte al pericolo di epidemie. Ma al contempo le maniere a dir poco sbrigative avviliscono la responsabilità partecipativa e i diritti dei cittadini.
E’ su questa scena tragica che accade, grottescamente, quel che cento volte è avvenuto nel Mezzogiorno. Gli esponenti della classe dirigente locale, responsabili del disastro - proprio come raccontava Salvemini cento anni fa – si permettono di criticare l’operato del governo, assumendo il noto ruolo del notabilato sovversivo meridionale che critica in nome dell’antica arte: salvare i voti, la sedia e non assumere responsabilità. Il notabilato più sapiente non si arrischia su tale terreno ma o tace o dice poche cose, lascia ancora una volta passare tempo, tesse le relazioni con il centro, alza i soliti muri di gomma.
Quel che avviene per i rifiuti accade su ogni altro tema della vita comune. Non abbiamo un piano strategico di sviluppo? Non si danno deleghe e soldi promessi alle municipalità? Non si capisce che succede a Bagnoli o perché il comune ha elargito nuovo denaro per la STU di Scampia? Lo stadio di Scampia appare e sparisce come nel gioco delle tre carte? Aumenta la forbice tra ricchi e poveri e le politiche di inclusione non mordono mentre la povertà cresce? Notizia. Breve polemica locale dell’uno o dell’altro. Ogni tanto qualche timido o meno timido intervento del governo centrale a secondo della gravità del tema. Fuoco di fila o muro di gomma del notabilato locale.
Ma intanto muore la politica e la speranza civile. La politica, infatti, non si misura solo con i suoi fallimenti in termini di risultati concreti e di sperpero del nostro denaro. Si misura, in democrazia, anche con l’etica pubblica, legata ad una funzione educativa. Da tale punto di vista la nostra classe politica locale ha condotto una sistematica azione diseducativa verso i cittadini perché è stato insegnato che le cose non si possono risolvere, che non esiste una regola, che quel che si dichiara non ha alcuna corrispondenza con quello che si fa, che nessuno porta responsabilità e che illudersi di proporre nel nome del bene comune è mera ingenuità.
Durante la campagna elettorale, ieri a Napoli e oggi a Palermo, si racconta che si usano i telefonini a prova del voto per ottenere regalie, che si pagano prebende per mettere manifesti nei quartieri difficili e portare i fac-simili – i famosi santini – nelle scale dei palazzi, casa per casa. C’è chi lo fa e chi no. A destra e a sinistra. C’è chi lo denuncia nelle aule dei tribunali o sulla stampa e in tempo utile per ridare forza alla legge. E chi no.
Se accade questo è davvero tempo di ricostruire la politica nel nostro territorio. Su tutta la linea: rifiuti, gestione dei progetti per la città, politiche sociali ma anche modalità di costruzione del consenso.
Ma, per farlo – si tratta di un’opera quasi disperata - va respinta la retorica della volontà e dell’ottimismo. Ci vuole invece una analisi pessimista e intelligente di questi anni disastrosi. Una analisi pubblica. Una riflessione civile. Che implica un ampio, serrato giudizio politico su chi li ha condotti. E che deve evitare l’altalena tra richiami moralistici e salvaguardia della continuità. Non basta il cauto e ben manovrato avvicendamento generazionale qui da noi. Ci vuole, invece, una chiara rottura di continuità. E non solo se ne devono andare i vecchi. Se ne deve andare un modo di intendere la politica che troppo spesso hanno trasmesso, addirittura peggiorato, ai loro eredi.
Intanto la situazione sta peggiorando, come previsto. Da cittadino ne sono anche spaventato. Quando c’è il rischio di epidemie, quelle vere e i ratti aumentano e entrano nelle scuole non si può certo gioire del fallimento politico di un sistema di potere che ho criticato e contro il quale ho condotto una battaglia democratica un anno fa. Anche perché i suoi rappresentanti a tutto pensano fuorché a dimettersi, che sarebbe l’unico atto civile e sensato da fare.
Domani risponderò ai commenti.
E’ davvero tempo di un crudo bilancio politico.
La Campania, incapace di essere pattumiera di se stessa, è anche la pattumiera dei veleni d’Italia. Ne raccoglie il 43%, per lo più sotto il controllo delle eco-mafie. Ha a tal punto intossicato i terreni e le acque che le percentuali di probabilità di cancro per noi sono 400 per cento quelle della media nazionale, un danno irreparabile, che resterà per molti secoli. Al contempo la Campania, le sue province e i suoi comuni, con rare, encomiabili eccezioni, hanno permesso – ciascuno per le sue responsabilità - che si protraesse nel tempo un ciclo doloso dei rifiuti che non ha pari in Europa: la mancanza di impianti moderni corrisponde a una raccolta dei rifiuti che non consente di trattarli facilmente per creare energia e combustile e questo corrisponde a mancata raccolta differenziata, riciclaggio e rigenerazione che, a sua volta, corrisponde all’uso, fuori da qualsiasi misura accettabile, sia delle discariche che del trasporto con treni fuori dal territorio, due opzioni che drenano denaro pubblico per miliardi di euro a favore della speculazione nella compravendita dei suoli e negli appalti sui trasporti. A tale ciclo si è aggiunto il fatto che, per trattare – si fa per dire - i rifiuti campani sono stati assunti un numero di addetti per abitante almeno 7 volte la media delle altre regioni.
I legami, reali o potenziali, tra politica e camorra su ognuno di questi fronti è tale da far tremare i polsi.
Tutto questo è avvenuto contro la legge nazionale in materia ambientale, che è una buona legge perché funziona ovunque, tranne in Campania. E questa deroga alla legge ha prodotto un tale disastro che il governo nazionale è dovuto intervenire, per decreto, a sua volta in deroga alle leggi dello stato, un paradosso che non trova paragoni.
Così si perpetua l’emergenza, si delega all’ennesimo salvatore della patria il quale almeno assume responsabilità e agisce in extremis e di fronte al pericolo di epidemie. Ma al contempo le maniere a dir poco sbrigative avviliscono la responsabilità partecipativa e i diritti dei cittadini.
E’ su questa scena tragica che accade, grottescamente, quel che cento volte è avvenuto nel Mezzogiorno. Gli esponenti della classe dirigente locale, responsabili del disastro - proprio come raccontava Salvemini cento anni fa – si permettono di criticare l’operato del governo, assumendo il noto ruolo del notabilato sovversivo meridionale che critica in nome dell’antica arte: salvare i voti, la sedia e non assumere responsabilità. Il notabilato più sapiente non si arrischia su tale terreno ma o tace o dice poche cose, lascia ancora una volta passare tempo, tesse le relazioni con il centro, alza i soliti muri di gomma.
Quel che avviene per i rifiuti accade su ogni altro tema della vita comune. Non abbiamo un piano strategico di sviluppo? Non si danno deleghe e soldi promessi alle municipalità? Non si capisce che succede a Bagnoli o perché il comune ha elargito nuovo denaro per la STU di Scampia? Lo stadio di Scampia appare e sparisce come nel gioco delle tre carte? Aumenta la forbice tra ricchi e poveri e le politiche di inclusione non mordono mentre la povertà cresce? Notizia. Breve polemica locale dell’uno o dell’altro. Ogni tanto qualche timido o meno timido intervento del governo centrale a secondo della gravità del tema. Fuoco di fila o muro di gomma del notabilato locale.
Ma intanto muore la politica e la speranza civile. La politica, infatti, non si misura solo con i suoi fallimenti in termini di risultati concreti e di sperpero del nostro denaro. Si misura, in democrazia, anche con l’etica pubblica, legata ad una funzione educativa. Da tale punto di vista la nostra classe politica locale ha condotto una sistematica azione diseducativa verso i cittadini perché è stato insegnato che le cose non si possono risolvere, che non esiste una regola, che quel che si dichiara non ha alcuna corrispondenza con quello che si fa, che nessuno porta responsabilità e che illudersi di proporre nel nome del bene comune è mera ingenuità.
Durante la campagna elettorale, ieri a Napoli e oggi a Palermo, si racconta che si usano i telefonini a prova del voto per ottenere regalie, che si pagano prebende per mettere manifesti nei quartieri difficili e portare i fac-simili – i famosi santini – nelle scale dei palazzi, casa per casa. C’è chi lo fa e chi no. A destra e a sinistra. C’è chi lo denuncia nelle aule dei tribunali o sulla stampa e in tempo utile per ridare forza alla legge. E chi no.
Se accade questo è davvero tempo di ricostruire la politica nel nostro territorio. Su tutta la linea: rifiuti, gestione dei progetti per la città, politiche sociali ma anche modalità di costruzione del consenso.
Ma, per farlo – si tratta di un’opera quasi disperata - va respinta la retorica della volontà e dell’ottimismo. Ci vuole invece una analisi pessimista e intelligente di questi anni disastrosi. Una analisi pubblica. Una riflessione civile. Che implica un ampio, serrato giudizio politico su chi li ha condotti. E che deve evitare l’altalena tra richiami moralistici e salvaguardia della continuità. Non basta il cauto e ben manovrato avvicendamento generazionale qui da noi. Ci vuole, invece, una chiara rottura di continuità. E non solo se ne devono andare i vecchi. Se ne deve andare un modo di intendere la politica che troppo spesso hanno trasmesso, addirittura peggiorato, ai loro eredi.
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