28 febbraio, 2008

Per esempio

“Non vado a votare”. “Stavolta non voto”; “Qui non si può votare”; “Se stessi a Torino voterei”; “Voterei forse se ci fosse un segnale vero di cambiamento”. Sentiamo questo ogni giorno. Ovunque.
Davvero ci vogliono buoni e nuovi motivi per andare oggi a votare in Campania. E io non me la sento certo di dare torto a questo enorme malessere. Che coinvolge anche me. Che nessuna pomposa dichiarazione di Bassolino o rimpasto “pezzottato” può credibilmente arginare. Tanto è radicato, forte, diffuso.
E confesso che mi dispiace avere questa fatica terribile di andare a votare per la rappresentanza al Parlamento.
Lo so, le elezioni politiche non esauriscono certo il campo della democrazia che è fatta di tanti modi di far politica, di azioni di cittadinanza e spinte partecipative. Tutte cose che, peraltro, la rappresentanza politica campana – di centro-sinistra innanzitutto - ha contribuito a erodere.
Ma il fatto che la rappresentanza sia stata cattiva non può avere come sola risposta la rassegnazione e la resa.
Si può esprimere anche sdegno, proposta e battaglia civile? Come?
Per esempio… Perché non fare un elenco di possibili nuovi rappresentanti? E perché, intanto, non chiedere ai parlamentari uscenti di esprimersi pubblicamente sulla crisi campana, le sue ragioni politiche e le proposte per affrontarla. E perché, intanto, non domandare loro di sostenere un voto anticipato alla regione entro l’anno, sostenere in Parlamento un sistema elettorale nel quale si possono scegliere davvero i rappresentanti e dire che si è per le primarie per stabilire chi sta in lista? E perché non chiedere di impegnarsi pubblicamente su un fronte almeno della nostra crisi: camorra o rifiuti e ambiente o formazione o controllo dei bilanci o superamento della scandalosa vicenda della nostra sanità?
Che ci sia almeno una presa di impegno chiara sui temi della rappresentanza democratica,sulle responsabilità della crisi e nel merito specifico di un tema chiave per le nostre vite quotidiane, magari con due o tre proposte ragionevoli.
Perché, intanto, non fare questo nell’attesa di andare o no a votare?
Per esempio…

26 febbraio, 2008

Risposte al mal di pancia

Federica, anche a me dalla pancia – in tutti questi mesi e oggi ancora – mi viene esattamente quello che tu dici. Ma cosa ho voluto fare “in più” , forse un po’ disperatamente, rispetto a questo stato di profondo disagio e di impotenza? Ho voluto dire, nel linguaggio del mio interlocutore, che si può – se si vuole – andare oltre quel “non aver mosso un dito” di cui tu a ragione parli. Gli ho voluto dire - con una lettera che ho davvero indirizzato a lui personalmente – che anche qui si può ridare speranza. Ma solo attraverso la riapertura di un dialogo tra cittadini e politica sulle nostre tristissime vicende campane, a patto che si parli di merito (monnezza, lavoro e ragazzi, camorra…) e che si vada anche qui a votare molto presto con una proposta di metodo, merito e candidati che segnino una autentica novità.
Ricevo telefonate su questa lettera a Veltroni. Alcune di approvazione, come Antonio 1949. Altre che non sono d’accordo: perché il Pd non piace, perché in Campania fa troppo schifo, perché è meglio dedicarsi solo alla politica del mestiere ben fatto o dell’impegno sociale, così come abbiamo sempre fatto in tanti in questi anni.
Quello che mi ha spinto a scriverla è una mia testarda idea – che mi pare essere, in qualche modo, comune anche con le sofferte decisioni prese, per esempio, dal Partito Radicale - che, nel mondo del possibile e cioè delle forze reali oggi in campo, si debba provare comunque a provocare spostamenti e possibilità. Anche se ci si crede appena o non ci si crede quasi più, come fa capire Sacripante. Anche se è difficile e ci vorrà molto lavoro, creatività e pensiero ulteriori. Si tratta del metodo liberale, sempre un po’ buono e un po’ illusorio, di prendere in parola l’interlocutore - che oggi è innanzitutto Veltroni – e dunque chiedergli rispetto per la congruenza tra le parole che usa e i fatti, sottolineando tutti gli aspetti promettenti.
E poi penso che le elezioni, pure con una legge abietta, comunque sono elezioni. E che ciò che ne esce cambia la nostra vita. Se vince questa destra o meno e se vince molto o poco non è indifferente. E se le liste del Pd – ma anche quelle dell’arcobaleno o dei socialisti – abbiano un numero maggiore o minore di nomi di persone possibili non è indifferente, anche se non cambia il mondo. Perché è comunque meglio avere degli interlocutori decorosi nel Parlamento della Repubblica tra gli eletti nella nostra regione. Perché è un po’ meglio se i processi partecipativi, faticosi, hanno una sponda almeno plausibile nella rappresentanza parlamentare.
Insomma ho scritto a Veltroni perché ci sia un nuovo segnale, dopo De Mita, contro la nomenclatura campana. E anche perché ci siano in lista un numero significativo di donne e uomini che sappiano parlare in Italiano, che siano ragionevolmente capaci di ascolto e di dubbio costruttivo, che non abbiano una biografia fondata sulla mera servitù alla casta politica e a quella nostrana in particolare, che se ne intendano di qualcosa che abbiano seriamente coltivato con il lavoro, lo studio e l’azione sociale e che abbiano anche uno stile improntato a un po’ di sana sobrietà e di libertà personale. Se c’è, Fabrizio, un segno vero in questa direzione forse si può votare. O no?

24 febbraio, 2008

Lettera a Walter Veltroni

Poiché la politica è il regno del possibile e una svolta in Campania è indispensabile; perché così non riusciamo proprio ad andare avanti nelle nostre concrete vite quotidiane e nella vita sociale, ho deciso di fare giungere questo appello a Walter Veltroni affinché ciò che è più che necessario possa almeno essere considerato come possibile da chi oggi sta prendendo l’iniziativa politica nel nostro Paese. Seppure con grande fatica proviamo ancora una volta a prender per buoni i proponimenti dichiarati.

Caro Walter Veltroni,

Grazie per quello che stai, che state facendo. Davvero.
Siamo in tanti ad essere profondamente risollevati dal vento nuovo di un Partito democratico che corre libero e sceglie sul serio l’innovazione – nelle proposte, nel metodo di confronto con le tante forze sane e competenti del Paese, nelle candidature. E’ un’aria che finalmente dà speranze e che cresce ogni giorno intorno al tuo “Si può fare”.

Tuttavia qui a Napoli e in Campania questo vento nuovo ancora fatica a soffiare. Molta parte – come sai – di chi qui si occupa di politica nel centro-sinistra locale è drammaticamente autocentrata e restia a ogni rinnovamento. Le persone competenti sui problemi della vita comune nei diversi campi sono da anni messe ai margini di ogni decisione. Le primarie di ottobre non sono state la festa democratica che si è vista nelle altre regioni, i circoli non si stanno ancora aprendo, De Mita se ne andato ma viene addirittura rimpianto da esponenti importanti del Pd campano. Resiste, come in nessun altro luogo e a fronte di un disastro che non ha paragoni, un’idea della politica che è diametralmente opposta a quella di cui tu parli da mesi in giro per l’Italia. E tutto intorno a noi e nella nostra vita quotidiana c’è, appunto, il disastro che c’è. Che mette in pericolo la stessa sfida del Pd.
Ieri sera Beppe Grillo, con cui certo non si può essere d’accordo, ha infiammato una piazza di ventimila persone perbene chiedendo di non votare.

C’è una sola risposta possibile a questo e alla sfiducia profonda che qui coinvolge tanti cittadini di centro-sinistra e non: imporre subito alla politica campana una svolta netta e che dia speranza. Diamo ai cittadini qui, adesso, tutti i buoni motivi per votare e per votare Pd anche in Campania e Napoli.
Si può fare un forum intorno al tuo pullman – con tanti giovani e cittadini che non aspettano altro - per costruire un programma essenziale e possibile su rifiuti, giovani, formazione e lavoro, legalità contro la camorra.
Si può fare che diciamo chiaro e tondo che ci vuole un nuovo governo di centro-sinistra - innovato nel metodo e negli uomini e le donne - per la Campania, nato col voto popolare entro quest’anno.
Si può fare un ricambio da cima a fondo nelle candidature campane per Camera e Senato che proponga competenti e giovani, una nuova classe dirigente per un nuovo Mezzogiorno.
La tua scelta, non facile, di escludere Ciriaco De Mita ha regalato a noi tutti un segnale forte in questa direzione.
Caro Walter, vai avanti. Ci sono tante, tante persone che se lo aspettano da te e dal Pd. Sono certo che il coraggio sarà premiato.

21 febbraio, 2008

Qui noi facciamo così

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia. Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.

Pericle - Discorso agli Ateniesi, 461 a.C.

19 febbraio, 2008

Vociferano

"la Repubblica Napoli" riprende oggi la voce, già pubblicata da "Il mattino" di domenica, circa una mia possibile partecipazione come nuovo assessore a un eventuale rimpasto della giunta comunale di Napoli.
Poiché conosco la tendenza di questa città a dare per vere o plausibili anche notizie che semplicemente non lo sono, mi preme precisare che le mie posizioni sul governo, della città come della regione, sono ben note.
Non penso che le cose siano emendabili con rimpasti ai quali comunque non sono interessato e che inoltre e in verità nessuno mi ha mai cercato a proposito.

13 febbraio, 2008

I talibani tra noi


Nella nostra città una donna decide di fare un aborto terapeutico entro la 21esima settimana. Aveva scoperto dai risultati dell’amniocentesi che il feto soffriva della sindrome di Klineferter, un’anomalia cromosomica che dà il 40% di possibilità di un deficit mentale alla nascita.
Tutto si è svolto in un ospedale universitario pubblico, con medici seri e responsabili, rigorosamente secondo il dettato della 194. Una legge dello stato.
Ma è bastata una segnalazione anonima – anonima! – perché gli agenti di polizia dell’Arenella, privi di mandato, facessero irruzione al policlinico sequestrando il feto, nato morto, e interrogando la donna nonostante l’ evidente condizione di sofferenza. In oltraggio alla legge e al rispetto per la donna, la cittadina e la persona.

Quanto è accaduto al policlinico della Federico II non nasce dal nulla. Vi è un nesso tra questo episodio e il clima da delirio ideologico instaurato dalla curia romana, contro lo stesso spirito dei Vangeli, nella sua forsennata lotta contro le leggi della Repubblica.
Infatti, nella storia, non sono mai senza conseguenze le parole di imposizione della propria parzialità su tutti, di discriminazione e di mancato riconoscimento dell’altro da sé.
A maggior ragione quando vengono ripetute per mesi, con protervia illiberale, a partire da propri convincimenti a cui si attribuisce, tuttavia, una validità universale, indimostrabile ma “garantita” da chi pretende di parlare in vece dell’Altissimo.
A maggior ragione quando le parole non sono tese al confronto ma sono, appunto, ontologicamente inappellabili.
A maggior ragione quando, conseguentemente, sono proferite in disprezzo e per rovesciare una legge della comunità nazionale, votata dal Parlamento, confermata con referendum popolare, tutto secondo Costituzione.
Bisogna stare attenti: che sia o no nelle intenzioni di chi le pronuncia, le parole dette in tal spirito e in tal modo prendono immancabilmente – per strane vie talvolta, per vie magari indirette eppure presenti - la strada che porta verso gesti, azioni, accadimenti molto brutti. E molto pericolosi. Perché rischiano non solo di ledere diritti e di recare danno e dolore alle persone ma anche di istigare alla rottura della pace civile e dei patti costitutivi di questo Paese.

Nella foto il titolare del policlinico, che ai suoi tempi i rapporti col papato sapeva come regolarli.

10 febbraio, 2008

Emigrazione e rispetto

Ho passato la settimana fuori per lavoro. Su un intercity plus per il Nord. Prima Bologna e Reggio Emilia, poi Monza e Milano, poi Torino.
Sono andato in giro per scuole a riflettere con i docenti sul nuovo obbligo e sulle indicazioni per la scuola di base.
Sul treno ho incontrato dei giovani che tornavano a lavorare dopo brevi vacanze a casa. Carmine non so cosa facesse in albergo a Rimini. Mario stava in una grossa officina a Verona: messa a punto di macchine movimento terra. Alfonso stava nella pizzeria del cugino a Modena. Guardando fuori abbiamo parlottato. Si inizia dal tempo. Erano contenti che vi fosse il sole e che la pianura si vedesse chiara: “La nebbia è brutta e non consola”. Dicevano che lavorano molto, che i salari non bastano e fa bene la tv a dirlo ma che erano rispettati. Non come qui. “Non riusciamo a mettere niente da parte. Ma almeno siamo rispettati”. “Però stiamo lì solo un po’; vogliamo tornare alle parti nostre. La gente è meglio da noi. Si parla. Non so…”.
Se ne vanno – sono quasi sempre i giovani - per disperata necessità di reddito. Ma anche di rispetto – appunto.
Il rispetto è il primo ingrediente della cittadinanza.
Eppure riconoscono l’appartenenza identitaria, una qualche forma di comunità accogliente a cui tenersi legati, a cui tornare. Anche se manca il rispetto da cittadini.

Siamo la seconda regione più popolosa d’Italia (5.790.187, nel 2006), con la densità di gran lunga più alta (426 ab. /Kmq). La popolazione della Campania è quella con un maggior numero di giovani (quelli fra 0 e 17 anni sono il 21,3%) ed è una popolazione stabile, che non diminuisce, come accade altrove. In un anno è diminuita di sole 742 unità.
Ma – attenzione! – se analizziamo questo dato in dettaglio ci accorgiamo subito che non è proprio così. Il saldo naturale (la differenza tra il numero dei nati e quello dei morti), infatti, è attivo per 15.102 unità mentre il saldo migratorio negativo per 15.874. Pertanto, nel corso di un solo anno, ha lasciato la Campania il 3 per mille della popolazione. E’ tanto e secondo le stime dell'Istat più recenti questo dato sale ancora, al 4,5 per mille. Secondo il recente dossier della Caritas sulla povertà in Campania si tratta di giovani, per lo più con titolo di studio medio-alto, che cercano altrove adeguata occupazione. Dunque è ben possibile che tra questi non vi siano Alfonso né Mario né Carmine. I quali probabilmente conservano la residenza qui. E dunque il saldo migratorio effettivo è probabilmente più alto di quello dichiarato.
Se ne vanno. Perché da noi sta calando la speranza di occupazione, reddito e… rispetto. Se ne vanno nonostante quel senso di appartenenza.

04 febbraio, 2008

Le domande vere di una politica che ci piacerebbe

La crisi politica sta avendo il suo corso. Su cui poco possiamo noi cittadini. Vedremo cosa succede. Con un pensiero, però: non è indifferente se ci sarà o meno questa stessa terribile legge elettorale. La quale ci costringe o a usare il “libero voto” solo per ratificare l’elenco degli eletti già deciso nel chiuso delle segreterie dei partiti oppure a non votare.
Ma la questione, ben più grande, che si apre ancora una volta – dal punto di vista della presenza civile e partecipativa – è racchiusa nelle domande che già stanno in giro tra le persone normali di questa città e delle altre. Sono le domande vere di una politica che ci piacerebbe avere.
Come faremo valere le istanze dei più deboli, le volontà costruttive, il lavoro sociale ed educativo in mezzo alla ennesima campagna elettorale urlata e furiosa?
Come farlo se tutto è appuntato sui leader e sugli insulti e sui balletti per i posti in lista tra i fedeli e gli eterni mestieranti della politica come arte separata da tutto?
Sarà possibile creare almeno un po’ di rete che parli ostinatamente del merito delle cose della vita: come far funzionare meglio le scuole, quali contratti di lavoro favoriscono produzione e redditi per chi è lavoratore e povero, come sostenere i poveri veri, come aggredire la distruzione dell’ambiente, a partire dalla Campania, come sostenere un po’ di regole e un po’ di effettiva concorrenza, come accogliere davvero le differenze tra noi tutti (grandi piccoli, maschi femmine, gay non gay, malati non malati, meno abili più abili, italiani stranieri, alfabeti analfabeti ecc.)?
E come favorire ricambio nella politica con gente più giovane e che ne sappia davvero di qualcosa e che sappia fare cose vere, non separate dal mondo?
Come provare a muoversi in questa direzione senza essere anti-politica ma senza neanche subire, depressi e disperati, l’ennesimo violento carosello dei mammasantissimi della politica politicante che non si sopporta più?