27 maggio, 2007

Quesiti aperti

E’ complicato orientarsi. E dunque è utile il confronto. Vero.
So molto, molto bene che, per risolvere le cose, non basta l’indignazione (che pure assove a una funzione in democrazia) né solo chiedere le dimissioni – come ho fatto - di chi è responsabile del disastro che abbiamo davanti. Ma so altrettanto bene che il mio non è stato un gesto impulsivo o a-politico, come alcuni mi hanno contestato.
Volevo porre la questione da centro-sinistra e volevo farlo anche in un momento speciale, in cui era quasi doveroso dare il segnale di una opposizione al disastro campano e, al contempo, a un’idea del PD “che cambia per non cambiare nulla”, un’idea che pare ora prevalere, a giudicare da come si è formato il comitato dei 45. Per fare un esempio, la Campania significa solo Iervolino e Bassolino.
E aggiungo di aver incontrato con piacere le parole pubblicate, negli ultimi 3 giorni, per esempio da Luisa Bossa che si oppone a questo modo di pensare il PD o da Pietro Cerrito, segretario regionale CISL, che si chiede se non sia il caso di fare uno sciopero contro la regione e individua responsabilità gravissime nei nostri amministratori locali. E da molte altre persone. Posizioni tra loro diverse, certamente. E differenti dalle mie. Ma che – tutte! – fanno comunque un bilancio politico senza appello su chi deve rispondere della crisi irreversibile di questo centro-sinistra campano. E penso all’analisi di Amato Lamberti sull’intreccio tra omicidi di questi giorni, voto di scambio e crisi verticale della poltica nei comuni campani interessati al voto oggi e che ne descrive bene l’atmosfera terribile. Che avevo osservato anche io andando sabato scorso, con gli amici radicali, a Sant’Antimo: c’era un atmosfera che si tagliava col coltello e una grande consapevolezza tra le brave persone di centro-sinistra sul fatto che questa coalizione è arrivata al capolinea e che, se non cambia in fretta e bene, porterà a far vincere una terribile destra populista. E sono stato davvero sollevato dal fondo di Paolo Macry sul Corriere del mezzogiorno quando dice, contro Antonio Polito, che c’è una crisi democratica alla quale non si può più rispondere dicendo semplicemente che “sono stati votati”.
Ma ora voglio tornare a un lungo commento, molto bello, del 19 di maggio, scritto da Mario Mastrocecco. Pone un problema importante e che riguarda ogni ragionamento sulle possibilità di crescita democratica intesa in senso proprio.
Dice Mario, in buona sostanza: caro Marco, dove ti avvii… ma non lo vedi che il bipolarismo in generale – e quello italiano ancor più, per non parlare di quello partenopeo – contribuisce a creare quella casta politica inamovibile alla quale si può solo dare il placet perché “costringe il cittadino a schiacciare una volta ogni 5 anni il pulsante rosso o quello blu e poi, se proprio non ce la fa a 
stare zitto, a ritagliarsi "spazi pubblici e cittadinanza" dove vuole, ma non dove si 
comanda”? E, in aggiunta, insiste che il PD è il luogo dove più che altrove è questa la prospettiva.
Come è noto, in questi giorni, altre domande si levano. E proposte che hanno al centro preoccupazioni inverse a quelle di Mario, che conclude il suo commento:
“ho bisogno di continuare a credere che rafforzare la democrazia e "fare cose concrete" per le persone non siano due strade diverse”.
Si tratta di preoccupazioni che hanno al centro la supposta mancata efficacia del governo come azione centrale e centralistica e che si propongono un aggresivo ruolo supplente: Confindustria, una compagine della vita italiana che vuole decidere in diretta e senza perdere tempo con le persone e le procedure… paradosso a sua volta perché si tratta di una compagine che certo non ha avuto solo briciole dai partiti e dal bipolarismo e che spesso ha beneficiato proprio di decisioni centralistiche e sbrigative.
Le considerazioni di Mario, ovviamente, danno voce a molti dubbi e pensieri che ho anche io (credo che questo, oltre al suo metodo di dibattito, sempre molto corretto, spieghi i suoi toni misurati nei miei confronti: mi conosce).
E appaiono essere straordinariamente speculari (lui ne sarà felice, lo so) a quelle sollevate qualche giorno fa, in una intervista sulla Repubblica di Napoli contro Decidiamo Insieme e la sua esperienza di un anno fa da parte di – niente di meno che! – Cirino Pomicino. Pomicino, infatti, ha detto l’opposto: ma voi, che riempivate i cinema con giuste aspirazioni, avete dimostrato per l’ennesima volta che senza partiti niente si produce e da nessuna parte si va.
Monica Tavernini, esponente del comitato di indirizzo di Decidiamo Insieme e convinta sostenitrice del carattere non partitico di Decidiamo Insieme ieri l’altro su La Repubblica di Napoli ha risposto a Pomicino in modo molto bello, spiegando chiatto chiatto a Pomicino che i gesti di vera libertà hanno sempre un valore ma ammettendo, con grande onestà intellettuale, che effettivamente si va poco lontano senza arrischiare un rapporto con i partiti e dunque con i codici della politica i quali, a loro volta, devono però davvero accogliere una dialettica verso quel che si pensa, che si propone e che si muove fuori dal loro ristretto ambito. Cosa che non hanno fatto e che non fanno.
Cosa – aggiungo – che il PD dichiara urbi et orbi di voler fare ma che non riesce per ora o non sa o resiste a fare. O, nella ipotesi di Mario (ragionevole) non farà mai. “Un mostriciattolo dal codice genetico già segnato” – scrive Monica, che pure dichiara che la scommessa sarebbe, appunto, coniugare impegno partecipativo ed effettiva rigenerazione della politica.
E ecco ieri, sul Corriere del Mezzogiorno il fondo del suo direttore Marco Demarco:
“Forse è venuto il momento di scindere radicalmente le responsabilità: da una parte quelle dell'attuale «casta» dirigente e dall'altro quelle della Napoli che non intende lasciarsi coinvolgere in un fallimento ormai epocale. Com'è possibile tollerare ancora un governo locale che ormai non governa più nulla? Per anni Bassolino ha commissariato la Iervolino. Poi Prodi ha commissariato Bassolino. Infine Napolitano ha commissariato tutti con la forza morale dei suoi appelli. Sperare di poter arrivare così fino alla scadenza dei mandati elettorali della Iervolino e di Bassolino è pura follia. Né, d'altro canto, ci si può impiccare alla impraticabilità delle dimissioni che, nell'immediato, nulla risolverebbero. Una città che non è in grado di dare una spallata a questo ceto politico, fosse solo per scuoterlo come un albero e liberarlo dalle foglie morte, è una città condannata alla rassegnazione.
I partiti organizzino le loro manifestazioni pro e contro l'attuale maggioranza, ma i sindacati, gli imprenditori, il mondo delle parrocchie e delle associazioni democratiche incomincino a pensare a un'autonoma mobilitazione straordinaria. Il tempo è maturo, prova ne è l'entusiasmo suscitato da quel «Basta!» stampato sulla nostra prima pagina di qualche giorno fa. Chi ha idee e proposte si faccia avanti. Noi siamo pronti a raccoglierle.”


Egli invita dunque nuovamente a quel movimento che non teme di fare a meno dei partiti, in qualche modo nella direzione della nostra esperienza di un anno fa.
Siamo di nuovo lì. Ma questo non ci deve esaltare. Al contrario: non esalta avere avuto ragione e non averla potuto fare valere – per ragioni obiettive e errori soggettivi pur nello slancio coraggioso, libero e generoso che tanti non hanno fatto.
Mario, temo per te, per me, che si ripropone il problema della politica, del come scardinare questo sistema di potere. Perché "fare cose concrete" per le persone è stato dal 1975 – l’ho già scritto – la mia risposta individuale e professionale alla crisi costante della democrazia italiana. E va benissimo e –aggiungo - probabilmente, alla fine, sarò “portato dalle cose” a ritornare proprio a questo.
Ma si deve pur constatare che non basta, che i nodi tornano al pettine. E certo non si può eludere questo campo di confronto. E di battaglia.
E mi chiedo se le persone che credono che la crisi politica riguarda la vita dei cittadini possano ancora esplorare e tentare forme di denuncia, presenza, aggregazione e proposta senza per forza ogni volta pensarle solo come esterne ai partiti…
E’ una domanda che oggi ci riguarda in Campania ma che, in questi giorni, coinvolge i circuiti nazionali, blog ecc. delle persone vicine al futuro PD che non intendono tuttavia tollerare una ennesima operazione che riduca tutto a una politica ormai morta da tempo.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

La mia opinione, caro Marco , è che la questione di una politica rinnovata, capace di tenere fermo il criterio dell’ “assunzione di responsabilità”, sia una questione che riguarda tutti.
Mi pare che a te prema molto spiegare la convinzione circa la possibilità di incidere sul rinnovamento stando dentro i partiti. Più in particolare contribuendo alla costruzione del PD. Ovviamente riconosci pure tu ( come non potresti?) che le premesse sono del tutto insoddisfacenti. Che la rappresentanza campana, per esempio , nel comitato promotore affidata esclusivamente alla Iervolino e a Bassolino è la dimostrazione di un partito che “cambia per non cambiare nulla”.
Ma quello che non posso condividere nelle tue argomentazioni, è il voler attribuire, in maniera certo implicita, all’esperienza di Decidiamo Insieme un carattere movimentista, contro i partiti e contro la politica. Mi dispiace ma non è così.
Non sono certo io a doverti ricordare la genesi di Decidiamo Insieme. Né mi pare ci fosse stato mai un intento “antisistema”, “contro i partiti”, “contro la politica”. Al contrario mi pare che si sia voluto assumere che il passaggio della consultazione elettorale e della rappresentanza è l’elemento imprescindibile della democrazia.
Quindi, a parte il fatto che trovo errato interpretare le parole di Demarco come indirizzate a noi, temo che il punto sia esattamente la responsabilità che un soggetto collettivo e le persone che lo rappresentano, hanno nei confronti dei cittadini ai quali hanno chiesto il consenso. Il fatto che abbiamo scelto poi, dopo, di non diventare “una altro partito” del centrosinistra non cancella l’aver presentato una lista al comune di Napoli in alternativa alla coalizione che oggi amministra la città. Ammesso pure che parlando di associazioni Demarco chiami in causa anche noi, nel caso tuo e di noi tutti, c’è, di fatto, una particolarità di non poco conto: in questa città noi dovremmo essere l’opposizione. Quella opposizione che, non già in virtù di uno stupido ed impolitico spirito di rivalsa, ma nel rispetto delle idee, dei meccanismi della democrazia, della lotta politica, della convinzione di perseguire il bene comune, nel rispetto delle migliaia di persone alle quali si è chiesto impegno e sostegno, fa l’opposizione, chiede energicamente le dimissioni di chi le elezioni le ha vinte ma amministra male ed ha perso il consenso reale (sempre a giudizio di chi si oppone ovvio).
Il ruolo di opposizione(anche di una piccola forza di opposizione), il suo dovere, è dimostrare e rendere evidente il fallimento di chi governa.
C’è un problema quindi, che per noi è particolare: come immaginiamo di conciliare la nostra voglia di cambiare idea(cambiando dall’interno) con la responsabilità di fare opposizione? E’ un falso problema? Perché può anche essere ma vorrei mi fosse spiegato.

Anonimo ha detto...

Sono da discutere seriamente i risultati delle elezioni amministrative che stanno arrivando progressivamente?

Qui ci sono gli aggiornamenti man mano che mi arrivano notizie:
http://www.napolionline.org/la-cruna-dell-ago/la-cruna-dell-ago/il-risultato-delle-elezioni-1.html

Anonimo ha detto...

Risulta evidente che gli elettori chiedono continuamente un ricambio che non c'è.
E' successo con Prodi, poi Berlusconi, ora di nuovo Prodi.
Sono più di dieci anni che l'altalena continua inutilmente.
Se le regole non cambiano, prima di cambiare gli uomini, è perfettamente inutile andare a votare, anzi è dannoso.

Anonimo ha detto...

La questione del rinnovamento della politica italiana da tempo monopolizza le discussioni nel centro-sinistra. Intanto il Paese reale, quello dei comuni mortali poveri "cristi" che ogni giorno si confrontano con i piccoli (sic!) problemi comuni (bollette, traffico, assistenza, ecc.) procede indifferente a questi discorsi: qualcuno dei tanti "pensatori" della nostra sinistra si è per caso fermato a pensare il perché di questa indifferenza? O forse si crede che basta fondare un nuovo (ennesimo) partito per riavvicinare la gente alla politica nella sua accezione più positiva? Forse la gente (di destra e di sinistra) non è interessata a quelle che, in fondo, non sono altro che chiacchiere all'interno di una elitè impegnata nel mantenere il potere acquisito o nel raggiungerlo. Perché purtroppo la gente considera i politici una casta, con i suoi privilegi. E in questa casta include tutti gli esponenti politici: quelli di maggioranza, di opposizione, i "trombati", i "resuscitati", gli idealisti, i fondamentalisti. TUTTI. Il discorso apparirà qualunquista, ma se la gente si allontana dalla politica è per l'incapacità dimostrata da tanti, troppi, di affrontare i problemi reali e nessun rimescolamento delle carte (come forse si dimostrerà essere il PD) potrà far cambiare idea ai cittadini. Che si facciano proposte concrete, reali, non sulla politica ma sui problemi veri e forse la gente imparerà a riconoscere le persone serie (a destra come a sinistra) ed a credere nei cambiamenti.

Anonimo ha detto...

fujmmuncenne...