21 dicembre, 2012

Qualche notizia e un augurio di buona pausa


Tra un po’si andrà al voto. In ogni caso rimangono pochi giorni per fare molte cose ed è su questo che siamo concentrati. Le Camere lavorano a pieno ritmo per portare a compimento gli ultimi provvedimenti, noi cerchiamo di finalizzare al meglio le azioni messe in campo.
In questi giorni si è svolta la preselezione del concorso per i docenti, accompagnati da molte critiche e qualche polemica. Ho avuto occasione di spiegare il mio pensiero in alcune trasmissioni radio e tv. Questo concorso- il primo concorso dopo tredici anni- si svolge in evidenti condizioni di emergenza e difficoltà, frutto di anni di graduatorie e precariato per migliaia di docenti.
Penso che sia naturale che la procedura di selezione, se finalmente tornerà regolare ogni due anni, possa essere migliorata rispetto a quella di questa prima edizione. 
E’ in ogni caso un giro di boa: d’ora in avanti ci possono essere due canali per accedere all’insegnamento. Le graduatorie, fino al loro esaurimento. E il concorso per la metà dei posti disponibili con il turn over. 
Debbo invece esprimere il mio ringraziamento a tutte le persone che hanno lavorato alla preparazione e all’organizzazione di queste giornate, senza errori e senza intoppi, con ogni difficoltà ben gestita.
Lunedì, poi, ho avuto l’onore di ricevere la cittadinanza onoraria del Comune di Monasterace (RC). E’ un posto con tante difficoltà, dove – come spesso accade in Italia – si riescono a fare cose importanti e belle. Una di queste è venuta proprio da una scuola: la Campagna “Adotta il Drago”, che il MIUR ha deciso di sostenere, promossa dai ragazzi, dagli insegnanti e dalla dirigente dell’Istituto Comprensivo Statale Amerigo Vespucci di Vibo Marina. Durante un progetto di conoscenza del patrimonio archeologico, gli studenti si sono imbattuti  a Monasterace in uno scavo di un mosaico greco raffigurante un drago, per cui mancavano fondi. E si sono attivati per cercarli. Un bell’esempio di come la scuola e il territorio possono fare cose insieme, che contano.
Un grande augurio a dirigenti, docenti, personale e studenti e alle loro famiglie. Per delle feste serene e un nuovo anno proficuo per l’apprendimento e la crescita di ciascuno. 


20 dicembre, 2012

Una risposta ai docenti diplomati magistrali


Da diversi mesi ricevo continue sollecitazioni da un gruppo di insegnanti della scuola primaria
e dell’infanzia. Si tratta di maestri che hanno conseguito il diploma magistrale entro l’anno 2001-02, che chiedono di essere riconosciuti come abilitati all’insegnamento e con pari dignità con gli altri docenti abilitati. Scrivono a me in virtù del fatto che nel lontano 1974 ho preso il diploma magistrale e due anni dopo ho iniziato a fare il maestro, mestiere che ho svolto per tutta la vita. In quanto Sottosegretario “diplomato magistrale”, insomma, ritengono contraddittoria e insoddisfacente la risposta all’interrogazione parlamentare che ho fornito alla Camera sulla loro ammissione al concorso per il reclutamento dei nuovi docenti.
Ho dato disponibilità ai loro rappresentanti per un incontro istituzionale in cui fornire risposte adeguate, ma non è stato loro possibile recarsi a Roma. Dato che non mi sembra il caso di liquidare la questione con una telefonata, voglio dare a questo punto una spiegazione pubblica - il più possibile chiara anche ai non addetti ai lavori - della mia posizione sul tema.

Ho conseguito il diploma magistrale nel 1974 perché volevo fare l’insegnante. In seguito tentai due concorsi: il primo non lo passai e ho quindi trascorsi due anni svolgendo alcune supplenze nelle scuole elementari di Roma. Nel 1976 vinsi il concorso e pochi mesi dopo entrai in classe con il mio primo incarico di ruolo a Primavalle. Ci tengo a specificare come all’epoca i concorsi fossero l’unico sistema per accedere a tempo indeterminato all’insegnamento. Ogni due anni veniva offerta una possibilità di vincere il concorso: chi vinceva, aveva il posto. Chi perdeva, se voleva, poteva ritentare dopo due anni e fare il supplente nel frattempo. Era un sistema chiaro, che garantiva delle certezze.

Quel che è successo dopo è storia: nel 1998 si decise di prevedere che gli insegnanti - tutti gli
insegnanti, anche quelli della scuola primaria – dovessero essere laureati e abilitati. Una scelta a mio avviso adeguata ai tempi perché, come è noto, avere insegnanti laureati è in tutto il mondo una garanzia di qualità dell’istruzione, in epoca di grande vastità e complessità del sapere. Si propose un modello nel quale per essere insegnanti occorreva anche avere svolto un percorso professionale che conferiva l’abilitazione. Questo percorso aveva due strade possibili: aver completato il corso di laurea in scienze della formazione primaria, che già prevede al proprio interno ore di tirocinio e messe in prova professionali, oppure, per chi aspirava ad insegnare alle secondarie, frequentare le SSIS. Nel 2008/09 le SSIS sono state sospese e si è deciso di sostituirle con il Tirocinio Formativo Attivo (TFA), attivato per la prima volta nel 2011/12 dall’attuale Governo.

Occorre sottolineare, però, che dal 1999 al 2012 non si sono più svolti concorsi ordinari.Tuttavia, al solo fine di conseguire l’abilitazione/idoneità e la successiva iscrizione nelle graduatorie ad esaurimento, nel 2004 sono stati indetti concorsi riservati a coloro che erano in possesso del titolo di studio necessario e con esperienza professionale di 360 giorni di servizio In questo modo, le nomine in ruolo sono avvenute, nel frattempo, scorrendo per il 50% le graduatorie dei concorsi precedenti e per l’altro 50% scorrendo le graduatorie permanenti. rese giustamente ad esaurimento dal Ministro Fioroni e poi riaperte dal Parlamento per sanare la situazione di categorie di docenti per varie ragioni rimasti esclusi. In 13 anni di lunghe code, tagli agli organici e innalzamento dell’età pensionabile la situazione è diventata ancor più complessa.

In questo quadro è giunto il Governo di cui faccio parte. Abbiamo ereditato una situazione complessa, che coinvolge centinaia di migliaia di docenti o aspiranti tali con storie diverse, esperienze diverse, percorsi formativi e titoli diversi. Non abbiamo creato la precarietà. L’abbiamo ereditata.

Così siamo partiti da due domande: può un paese normale permettersi ancora anni senza concorso? Può d’altra parte chiudere le porte a tanti docenti precari che già lavorano a scuola? 

19 dicembre, 2012

"Scuola di classe"


Sabato 15 Dicembre sul quotidiano La Repubblica, nelle pagine culturali, grazie a un’intervista di Francesco Erbani ho avuto la possibilità di una riflessione pacata attorno al tema della scuola, delle politiche italiane per il settore, con uno sguardo ampio, oltre la stretta attualità. 
L’occasione è legata al convegno dell’Associazione Forum del Libro tenutosi lo stesso giorno a Napoli, dal titolo “Perché almeno 333.333 napoletani leggono libri”, a cui ho partecipato.
Ho anticipato in questa intervista alcuni punti del mio intervento, provando a ragionare su come le classi dirigenti italiane hanno considerato nel tempo il legame tra istruzione e cultura, con quali scelte, con quali limiti.
In attesa di dare aggiornamenti sui tanti eventi e impegni di questi giorni – uno fra tutti lo svolgimento delle preselezioni del concorso per i docenti- ripropongo l’intervista qui in versione integrale.

08 dicembre, 2012

Il tempo corre


Il tempo corre e corriamo anche noi, per portare a termine ciò che abbiamo iniziato, in mezzo a un clima politico sempre più turbolento.

Il 6 Dicembre si è svolto al Ministero il seminario “La via italiana all’inclusione scolastica. Valori, problemi, prospettive”. Lo abbiamo organizzato per fare una riflessione approfondita, seria e serena, a 35 anni dalla legge 517/77, sui risultati ottenuti dal modello di integrazione dei disabili nelle scuole e sulle idee in campo per risolvere alcune criticità del sistema.
Siamo un’eccellenza nel mondo e tanti Paesi OCSE studiano il nostro modello: soltanto pochi giorni fa ho incontrato una delegazione dell’ambasciata francese proprio su questo tema. 
Abbiamo permesso, in questi 35 anni, uno splendido incontro con la diversità e la fragilità a tutte le persone in crescita. Abbiamo dato un senso alla crescita a centinaia di migliaia di persone. E’ un patrimonio relazionale importantissimo che va preservato. E per farlo è importante poter ragionare con tutte le istituzioni coinvolte, con le scuole, con le associazioni e le fondazioni. E con le famiglie e i ragazzi.
Per una volta in Italia, siamo tutti d’accordo sul mantenimento di questo modello. La nuova direttiva del MIUR propone un’ulteriore innovazione: l’approccio dei bisogni educativi speciali, un passo deciso verso la scuola di tutti e di ciascuno. Tutte le fragilità, anche quelle temporanee, devono trovare appoggio: il sostegno può diventare una risorsa per l’intero gruppo classe e le competenze degli insegnanti vanno estese e rafforzate. In questa direzione va anche la riorganizzazione territoriale dei CTS (Centri territoriali di supporto).

Ho risposto alla bella lettera pubblica che mi ha inviato su Repubblica.it il mio amico maestro Franco Lorenzoni. Lui propone di lasciare le classi elementari fino agli otto anni senza schermi né pc. Condivido parte del suo ragionamento, ma non ho mai creduto alle proibizioni. Per insegnare il vento oggi, occorre sia costruire aquiloni e farli volare, sia navigare sul web alla ricerca di informazioni. E’ una bella importante discussione e ringrazio Franco per averla avviata.

La scuola non può più sottrarsi alla necessità di regalare a bambini e ragazzi una quantità di esperienze diverse, laboratoriali e fattive. Bisogna parlare linguaggi diversi, esplorare i diversi territori del sapere organizzato e delle emozioni. Anche per questo, come supporto fattivo alle scuole autonome, abbiamo insediato al Miur un tavolo tecnico su Cinema e Teatro. Dovrà dare una ricca impronta pedagogica ai laboratori teatrali nelle scuole, riconoscendo le tantissime professionalità ed esperienze già attivate.


07 dicembre, 2012

Scampia: le maestre sono lo Stato

La foto viene da qui

In alcuni territori difficili le maestre sono lo Stato (l’ho detto qui e qui). E dimostrano professionalità, coraggio, determinazione proprio nei momenti più duri. E’ questo il caso delle maestre della scuola materna di Scampia nel cui cortile pochi giorni fa è avvenuto l’ennesimo omicidio di camorra.
Napoli sta vivendo una nuova recrudescenza della violenza criminale. L’opera repressiva ha consentito di chiudere alcune piazze di spaccio, ma la difficoltà e la complessità sono grandi.

Un fatto come questo fa orrore a tutti e diffonde la paura tra chi ogni mattina manda in quel quartiere i bimbi a scuola. Ci sono momenti in cui i gesti simbolici contano. E’ per questo che stamattina mi sono recato nella scuola dell’infanzia “Eugenio Montale”. Ho trascorso del tempo con il dirigente scolastico, le maestre, i bimbi e le mamme, insieme all'amico Don Fabrizio Valletti. Tanti vecchi amici. E’ arrivato il Ministro Cancellieri, lo staff del Ministero dell'Interno, il prefetto. Abbiamo parlato con il presidente della municipalità e parlato  ancora con le mamme e le maestre. Un segnale forte di presenza istituzionale. Il Ministro ha raccontato il lavoro di repressione che si sta svolgendo. Che è importantissimo, perché senza il controllo del territorio è impossibile fare le cose.

Ho pensato: cerchiamo di non dividerci come al solito tra favorevoli all’invio dell’esercito “perché questa è una guerra” e contrari perché “serve ben altro”. 
E proviamo per una volta a capire e ascoltare chi in questo territorio vive, lavora, fa volontariato. Persone in mezzo a tante difficoltà, che in questo momento hanno anche paura e hanno diritto alla sicurezza. 
Allora questo è il mio pensiero: serve una strategia ampia, di lungo respiro, perché non sono cose che si risolvono in un mese. Serve dare un orizzonte largo, con tante azioni diverse che si tengono la mano. La repressione e la presenza di mezzi ingenti per il controllo del territorio è un aspetto. Non sono un esperto di ordine pubblico, ma di questo son convinto. Insieme a questo ci sono gli altri aspetti indispensabili: la cura dell’infanzia, l’istruzione, la lotta alla povertà. Le due cose insieme. L’ho scritto tante volte, abbiamo lavorato in molti a ciò, abbiamo studiato i modelli in giro per il mondo. 

E su questo, in questi mesi, qualcosa abbiamo messo in campo: partiranno con il nuovo anno i prototipi contro la dispersione scolastica nelle zone di massima esclusione sociale ed economica del Mezzogiorno, finanziati con 100 milioni, che prevedono anche il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie per spazi di aggregazione giovanile e il coinvolgimento del privato sociale.  In queste stesse aree arriveranno anche un po’ di fondi per gli asili nido. E' un lavoro lungo e complesso e mancano ancora altri tasselli, fra cui qualche azione decisa per combattere la povertà e promuovere l’autoimpiego dei giovani, anche con qualche prestito bancario vero, magari. 

La scuola è un presidio fondamentale. E sta davvero facendo la sua parte. Dobbiamo fare costante manutenzione delle cose che funzionano, aprire presto i cantieri promossi con i soldi europei, evitare sprechi, dare soldi al buon privato sociale napoletano che è allo stremo, rigenerare bene le risorse sui tempi lunghi, valutare con rigore i risultati. E’ un impegno culturale e concreto possibile.

23 novembre, 2012

Rispetto e prudenza.


A Roma martedì è successa una cosa drammatica: un ragazzo di 15 anni, studente del liceo Cavour, si è tolto la vita nella propria abitazione. Di fronte ad episodi di questa portata, vengono a mancare le parole. Ed è bene che ne vengano usate il meno possibile. Di fronte al profluvio di ricostruzioni giornalistiche, mediatiche, pubbliche apparse in questi giorni, su possibili atteggiamenti omofobi di qualche compagno di scuola, su presunti episodi di cyber-bullismo, mi sento di richiamare soltanto due parole: rispetto e prudenza.
Rispetto per il dolore inimmaginabile che ha colpito i familiari del ragazzo e anche gli amici, gli insegnanti, la dirigente scolastica del liceo Cavour. Rispetto per una vicenda che si colloca nell’ambito del mistero della vita umana e della sua fine. E prudenza sulle ragioni di un gesto simile, che sono impossibili da trovare, per chi non ha fatto parte da vicino della vita quotidiana di questo ragazzo.
I numeri ci dicono qualcosa di terribile, ma di reale: l’adolescenza è un periodo di sconvolgimento senza pari nell’identità di ciascuno. Cambia il corpo e ancor più cambia la testa. E la vita comincia a mostrare ai ragazzi una dose ineliminabile di pericolo e cattiveria. Un piccolo, sempre troppo grande, numero di adolescenti, non regge, non ce la fa. E sceglie di mollare, a volte con gesti che si vogliono dimostrativi, a volte con suicidi veri e propri. Non voglio dire affatto che si tratta di vicende ineluttabili. Voglio dire con forza, però, che prima di coinvolgere in un turbine mediatico il ragazzo e la sua famiglia, i professori e i compagni, additando colpe e responsabilità, serve rispetto e prudenza.
Il resto spetta ad eventuali indagini, ma soprattutto a interventi educativi condotti di concerto con la scuola e con le famiglie, all’interno di un luogo “salvo” quale deve essere sempre la scuola. Capace di accogliere e di fare spazio anche al dolore dei giovani, capace di farsene carico in modo adulto, dentro la relazione educativa.
A questo proposito ricordo che il Ministero dell’Istruzione, per la prima volta il 17 maggio scorso, ha inviato una circolare alle scuole invitando a mettere in campo interventi educativi sul tema. Alcuni materiali sono disponibili sul nuovo sito www.noisiamopari.it
Si deve fare di più, ma un cammino la scuola lo ha già cominciato.

20 novembre, 2012

Inizi e iniziative


Il 20 Novembre è la Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ci ricorda che la priorità assoluta deve essere la lotta alla povertà e all'esclusione sociale. Due milioni di bambini poveri rappresentano una vera e propria emergenza nazionale, aggravata dalla crisi economica.
Occorre porre questi proprio questi bambini e ragazzi in cima all'agenda politica e istituzionale. Aumentare il numero e l’entità delle azioni di sostegno e prevenzione rivolte alle famiglie e all'infanzia. Una prima importante azione sta arrivando al suo traguardo: stiamo selezionando gli oltre cento prototipi di prevenzione e contrasto alla dispersione scolastica in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, finanziati con 100 milioni di euro.
In questi giorni, poi, il Ministero dell’Istruzione presenta numerose iniziative in vista della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne del 25 Novembre. Anche questo drammatico tema riguarda, direttamente o indirettamente, tanti ragazzi e giovani.
 Ieri al Teatro Quirino di Roma abbiamo presentato insieme al Dipartimento per le Pari Opportunità, all’UNAR e al Telefono Rosa lo spettacolo “15 22” e il percorso musicale “Dedicato a Lea”. E’ on line il nuovo sito www.noisiamopari.it, che raccoglie progetti e iniziative realizzate dalle scuole sul tema delle pari opportunità, mentre una circolare è stata inviata a tutte le scuole.
E’ tempo di riflessione, di proposta per la stagione che verrà. Servono spazi e luoghi per scambiare esperienze, per aprire le porte a riflessione e innovazione. Perché questa scuola dobbiamo proprio cambiarla. Con tanto dialogo e un po’ di soldi in più. Stamattina, su Twitter, il trend topic era #comecambiereilascuola. Hanno scritto tanti insegnanti e tantissimi ragazzi. Una lettura importante, per chiunque abbia voglia, tra scherzi e idee più serie, di vedere per un attimo la scuola con i loro occhi e di ascoltarla con i loro cinguettii in 140 caratteri.

26 ottobre, 2012

Dalla parte degli insegnanti

Nino Migliori, Gente dell'Emilia, 1957
Un mio intervento sulle pagine dell'Unità del 26 Ottobre.

Ho letto con estremo interesse quanto comparso ieri sulle pagine dell’Unità: insegnanti palermitani si riuniranno oggi per discutere del tema dell’orario da un punto di vista che sento di condividere. Come maestro elementare prima ancora che per il ruolo istituzionale che ricopro. E’ sempre importante, infatti, quando si creano degli spazi per parlare della scuola e di cosa significhi oggi fare questo complesso mestiere.

Stiamo lavorando in questi giorni in Parlamento per modificare la legge di stabilità: sono convinto che non sia pensabile intervenire sull’organizzazione del lavoro dei docenti e delle scuole all’interno delle norme sui conti pubblici, provocando ulteriori perdite di posti di lavoro. Serve una grande discussione nazionale, fondata sulla partecipazione di chi va a scuola tutti i giorni, di chi può offrire, come scrivono i docenti palermitani, una “narrazione collettiva” al di fuori di stereotipi e luoghi comuni. Questa discussione deve basarsi sulla necessità di innovare la nostra scuola e di garantire a tutti apprendimenti solidi in un contesto fortemente cambiato nel tempo.

L’innovazione che serve alla scuola deve fondarsi sulla rottura dello standard- una didattica uguale per tutti- per andare con coraggio verso attività organizzate in modi anche diversi dal gruppo classe, frutto di una programmazione collegiale dei docenti, di una riflessione ed autovalutazione su punti di forza e debolezza delle strategie e azioni messe in campo, come in parte già avviene in molte scuole. Il tema che la politica e le istituzioni devono affrontare è trovare le risorse, mano a mano che l’economia nazionale darà segni di ripresa. Infatti quei Paesi che hanno investito in sapere sono stati quelli che si sono difesi meglio dalla crisi. Conoscenze diffuse, acquisite in modo rigoroso e nuovo, creeranno maggiore crescita.

E’ in questa visione che può trovare spazio la importante discussione tra i docenti palermitani.
So bene, per la mia esperienza, che il nostro dovere non termina alla fine delle lezioni. Ci sono i compiti da correggere, il materiale didattico da preparare. Un progettare e riflettere educativo per il quale serve il confronto nella comunità docente. Oggi, tranne che per la scuola primaria, questo è un lavoro svolto prevalentemente a casa, che dunque fatica ad emergere, ad essere riconosciuto dalla collettività. E ci sono poi le numerose “attività funzionali”: collegi docenti, colloqui con le famiglie, riunioni. Attività oggi quantificate con un monte ore annuale. Infine vi sono le attività in più: i corsi di recupero, i progetti inseriti nel piano dell’offerta formativa, le uscite didattiche. Questi sono considerati degli extra - poco e mal pagati - ma sono in realtà parte integrante della vita ordinaria delle scuole.

Ritengo allora che il punto di partenza di un vero confronto sul mestiere di insegnare debba puntare a rendere esplicito, riconoscibile e riconosciuto il lavoro svolto, nel suo complesso. Un tema non separabile da quello della retribuzione: i nostri insegnanti sono tra i mal pagati in Europa, non è prevista alcuna forma di carriera e si fatica a riconoscere economicamente e professionalmente chi compie sforzi maggiori in termini di programmazione ed attività. Penso sia inevitabile che anche questi aspetti entrino nella discussione. E’ tempo di ridare slancio e prospettiva a un dibattito culturale e pedagogico sulla scuola che serve al Paese per il 2020.


23 ottobre, 2012

Salvaguardare, esplicitare e riconoscere il lavoro dei prof


Sono contrario a tagliare altri posti di lavoro nella scuola e penso che dobbiamo salvaguardare la qualità dell’insegnamento. Ho ribadito ancora la mia posizione in merito alla legge di stabilità in un’intervista a Repubblica. Il mio impegno è per modificare il testo nel corso della discussione parlamentare.

Nel fine settimana ho letto quello che in tanti mi hanno scritto. Quando sono diventato Sottosegretario, ho scelto di tenere aperto questo spazio di confronto. Leggo sempre, mi è utile scambiare punti di vista. Credo che tutti i contributi potranno esserci utili in futuro, quando- speriamo presto- si potrà avviare una grande discussione nazionale sulla professione dell’insegnante. Una discussione necessaria ed auspicabile, nel primario interesse degli insegnanti e della qualità della scuola.

Non serve pensare ad aumenti del carico di lavoro, ma dobbiamo ridiscutere cosa significhi oggi svolgere questo complesso mestiere. So bene che il lavoro dell’insegnante continua anche dopo il termine delle lezioni. Questo lavoro in più - che spesso avviene a casa-  deve diventare esplicito e riconoscibile.

Ma non si possono prendere decisioni che riguardano il cuore pulsante della scuola all’interno delle norme sui conti pubblici e senza alcun dibattito preliminare. Serve un tempo lungo e un’ampia partecipazione.

18 ottobre, 2012

Innovazione e stabilità


Troveremo una soluzione diversa per la legge di stabilità. Perché la scuola, in questo momento, non ha bisogno di perdere posti di lavoro. Anzi, in alcune zone del Paese siamo sottodimensionati di fronte all'aumento di alunni, anche stranieri. E c’è la necessità di un orario più pieno, per coprire almeno una parte del pomeriggio.
Ho spiegato il mio punto di vista sulla proposta contenuta nella legge di stabilità sull'aumento dell’orario dei docenti a 24 ore settimanali in un’intervista su Il Messaggero.
La scuola viene da anni difficili e non ha bisogno di stravolgimenti. Ha bisogno di un giro di boa che la porti fuori dalle secche finanziarie e che stabilizzi progressivamente il personale. E ha tanto bisogno di innovazione. Su questo il Ministro Profumo ha pienamente ragione.
Penso che il modello delle scuole elementari possa essere esteso alle secondarie: una parte dell’orario da contratto deve essere previsto per la programmazione didattica, per i rapporti con le famiglie, per i collegi, per il lavoro di recupero delle carenze formative e di promozione delle eccellenze, anche scomponendo le classi e lavorando per gruppi. Questa discussione è importante e va affrontata. In Europa siamo gli unici a far coincidere l’orario di lavoro con le ore di didattica curricolare in classe. Un modello che può essere superato attraverso un grande dibattito nazionale. Che deve guardare, però, anche al tema della retribuzione, che può essere differenziata introducendo forme di carriera per gli insegnanti. Possiamo pensare di superare il patto “poche ore e bassi salari”.
Ci vuole un grande patto nazionale per la scuola che sappia riparare e innovare, pensando alla qualità della didattica e all'apprendimento assicurato a ciascun bambino e ragazzo.

Qui la risposta del Ministro Giarda a un'interrogazione parlamentare sul tema dell'aumento dell'orario

11 ottobre, 2012

Una risposta agli studenti

Di Salvo Intravaia, Repubblica.it


La risposta del governo alle questioni poste dagli studenti italiani, attraverso una lettera inviata a Repubblica.it non si fa attendere. A prendere carta e penna è stato il sottosegretario all'Istruzione Marco Rossi Doria che, ai ragazzi che scenderanno in piazza domani, non nasconde neppure per un attimo la responsabilità della propria generazione nei confronti dei giovani. "Alla loro età - scrive - chiedevo risposte a mio padre, mettendolo - a nome della sua generazione - di fronte alle mancanze della società in cui stavo crescendo. Mio padre poteva rispondermi che comunque io avevo ereditato un Paese migliore di quello in cui lui stesso era cresciuto".

Ma adesso le cose sono molto diverse. "Noi - ammette Rossi Doria - non sempre possiamo fare altrettanto con i nostri figli. Ed è per questo che alle loro sollecitazioni siamo chiamati a rispondere sempre, anche quando manca la possibilità di offrire facili promesse e comode rassicurazioni. Con onestà e responsabilità". "La nostra generazione - risponde agli studenti dell'Unione degli universitari e della Rete degli studenti medi - non è stata all'altezza delle grandi questioni che avevamo davanti e i risultati sono adesso sotto gli occhi preoccupati dei più giovani". "Il Paese ha estremamente bisogno del loro contributo ideale e fattivo per cambiare ciò che non funziona più, per trovare le risposte che noi non abbiamo saputo dare".

Risponde anche nel merito di alcune delle dieci domande indirizzate al governo Monti dagli studenti universitari e della scuola su edilizia scolastica, didattica da svecchiare, democrazia scolastica, diritto allo studio, tasse universitarie, qualità dell'offerta formativa, numero dei laureati, finanziamento degli atenei e merito, disoccupazione giovanile. "Alcune risposte stiamo provando a darle", spiega il sottosegretario.

E illustra la strategia messa in campo dal ministro dell'Istruzione, Francesco Profumo, che "ha deciso di lavorare intorno a tre direttrici: far funzionare al meglio le leggi esistenti, evitando di stravolgere il sistema con nuove riforme; ottimizzare l'uso delle risorse disponibili; contribuire a una grande discussione nel Paese sul tema educativo, della formazione, della ricerca".

Ecco le risposte su alcune delle questioni poste dagli studenti.

Edilizia scolastica. "Abbiamo investito quasi un miliardo per l'edilizia scolastica, sia per ristrutturare le scuole, sia per costruirne di nuove, migliori".

Innovazione della didattica. "Abbiamo investito in dotazione di nuove tecnologie per la didattica, consapevoli che innovazione e tradizione nell'insegnamento di qualità si tengono per mano. E' per questo che abbiamo reintrodotto il reclutamento tramite concorso, per favorire in prospettiva l'ingresso in classe di un po' di insegnanti giovani".

Diritto allo studio. "Abbiamo investito nelle regioni del Sud quasi un miliardo di euro, con cui stiamo costruendo oltre cento prototipi di contrasto alla dispersione scolastica".

Riforma scolastica. "Abbiamo introdotto nel decreto semplificazioni alcune norme che consentiranno, mano a mano che ci saranno più risorse, di stabilizzare gli organici e rendere più flessibile l'organizzazione dei tempi e degli spazi scolastici. Abbiamo revisionato le indicazioni nazionali per il curriculum della scuola di base in modo da rafforzare gli apprendimenti fondamentali nei primi anni di scuola per tutti i bambini. E, soprattutto, abbiamo contribuito a riprendere una discussione pubblica su ciò che serve ai ragazzi, veri destinatari e protagonisti del sistema d'istruzione. La discussione aperta da diversi mesi sulle possibili riforme dei cicli scolastici ne è un esempio".

Rossi Doria ammette, tuttavia, che "non tutto si poteva affrontare". "Alcune grandi questioni che gli studenti sentono in modo forte rimangono sul tavolo e noi possiamo soltanto raccogliere la richiesta di aprire un grande dibattito nazionale. Tali questioni potrebbero far parte di un patto costituente per l'istruzione, che tenga insieme le maggiori forze politiche e tutti i livelli istituzionali coinvolti, alla ricerca delle migliori idee e delle migliori pratiche realizzate". Eccone alcune.

Tasse universitarie. "La ricerca di un nuovo equilibrio fra tasse universitarie, servizi erogati e borse di studio, attorno a un'idea ricca di eguaglianza che sostenga maggiormente chi parte con meno, un'idea di merito per conquista e non per destino".

Innovazione della didattica. "Il rilancio della formazione in servizio dei docenti per sostenere innovazione e sperimentazione; la graduale stabilizzazione del personale e un sistema regolare di concorsi ogni due anni e la riorganizzazione dei percorsi formativi in modo flessibile, rompendo la rigida demarcazione fra tempo dello studio e tempo del lavoro".

"Alla base di questo Patto - continua Rossi Doria - andrebbe posta la necessità inderogabile di destinare all'istruzione e alla ricerca parte delle risorse che si renderanno disponibili mentre miglioreranno i conti pubblici. Infatti la crescita e il sapere sono intimamente legati". "Questi temi - conclude - vanno proposti a una discussione nazionale, dal tratto fortemente partecipativo, tenendo in grande considerazione le sensibilità e le proposte degli studenti. Anche quelle che emergono dalle proteste di questi giorni. Proteste che, se caratterizzate da uno svolgimento pacifico, ci troveranno pronti all'ascolto e disponibili al dialogo".

Restano senza risposta le domande sul diritto allo studio, sulla democrazia partecipativa all'interno delle scuole, sul numero di laureati, sulla qualità dell'offerta formativa universitaria e sul merito, sui finanziamenti agli atenei e, in cima a tutte, quella sulla disoccupazione giovanile.

(11 ottobre 2012)

29 settembre, 2012

Due strade per combattere l'abbandono scolastico

 In tanti paesi del mondo si sta oggi affrontando con strategie diverse il tema della qualità e dell'inclusività dei sistemi di istruzione. Anche l'Italia, tra ritardi e nuove sfide, sta cercando la via per ridurre gli abbandoni scolastici. Una mia riflessione su La Stampa di venerdì 28 Settembre.

In occasione dell’apertura dell’anno scolastico Il Presidente Giorgio Napolitano ha ricordato che in generale l’istruzione nel nostro Paese è migliorata, ma che nuovi compiti – di consolidamento e innovazione – sono all’ordine del giorno. Oggi a Torino si apre un confronto sulla lotta al fallimento formativo. Ma quali sono le tendenze nel mondo riguardo alla scuola per tutti?
Ovunque le politiche per l’istruzione seguono traiettorie ricorrenti, legate alle tappe dello sviluppo. Con la prima industrializzazione e l’ammodernamento dell’agricoltura si edifica il sistema scolastico nazionale, con il compito della lotta all’analfabetismo. Successivamente si rafforza il settore tecnico, per formare un’ampia fascia di lavoratori dell’industria qualificati. Infine, nel momento di massima espansione e crescita, si utilizza parte delle risorse per aumentare la qualità generale dell’istruzione e della formazione. E’ il momento in cui le politiche pubbliche investono fortemente e per periodi prolungati in quattro direzioni: ricerca e ricerca applicata, generalizzazione degli studi universitari o tecnici superiori, azioni dedicate alle fasce più povere rimaste escluse, apprendimento lungo tutto l’arco della vita.
Mentre queste fasi nel mondo occidentale hanno impiegato oltre un secolo, nei paesi emergenti a partire dagli anni ’70 l’intero processo corre a velocità doppia. Il Brasile negli ultimi dieci anni ha dedicato idee e risorse per innalzare il tasso di istruzione universitaria specialmente tra i soggetti più deboli. L’India, che dalla metà degli anni Ottanta dispone di un sistema di istruzione selettivo e di buona qualità, in particolare per i settori tecnici e scientifici, oggi è chiamata ad affrontare il tema della disuguaglianza. Una situazione analoga riguarda la Cina, dove fino ad oggi l’obiettivo principale è stato quello della produttività. Da quando nel 1998 è stato lanciato un programma per l’istruzione superiore, le iscrizioni all’università sono aumentate subito del 165% e poi del 50% per ulteriori quattro anni. E tutti ripetono: non uno deve restare indietro, ognuno deve riuscire secondo le sue possibilità.
L’Italia - che aveva combattuto l’analfabetismo fin dall’Unità – insieme al decollo industriale degli anni ’50-‘70, è riuscita ad ampliare la base di accesso all’istruzione superiore e poi anche a creare una buona rete di istituti tecnici. E’ riuscita invece peggio degli altri paesi europei, purtroppo, a diminuire il tasso di abbandono precoce degli studi, soprattutto nelle sacche di maggiore esclusione economica e sociale. E non ha aumentato a sufficienza il numero di laureati, che inoltre fatica a inserire nel lavoro.
Continuiamo a perdere prima del diploma o della qualifica professionale quasi uno studente su cinque, il 18,8%, con enormi e intollerabili disparità geografiche e sociali. Questa disuguaglianza delle opportunità, oltre ad essere un fallimento per un Paese collocato nel solco del modello sociale europeo, è anche una grave perdita di risorse.
Il libro bianco sulla scuola del 2007  stimava che la dispersione scolastica, all’epoca del 20,6%, costasse all’Italia 2 miliardi e mezzo di euro.
Il nostro Paese si trova dunque di fronte a una duplice sfida: dover correre ai ripari e doverlo fare in un contesto economico profondamente mutato, senza poter utilizzare programmi estensivi, centralizzati e basati sull’aumento della spesa pubblica.
Dobbiamo affrontare questa sfida sapendo che l’abbandono precoce degli studi non è la malattia della nostra scuola, ma un suo sintomo. La malattia è la standardizzazione dell’apprendimento e delle strade a disposizione dei giovani per costruire la propria vita autonoma.
Una possibile cura può partire da due elementi: la rottura dello standard, attraverso una personalizzazione della didattica fin dalla prima infanzia; la partecipazione dello straordinario esercito civile che abbiamo a disposizione- gli insegnanti e gli operatori sociali- per costruire nei territori più difficili delle vere e proprie comunità educanti. E’ il lavoro che il Governo ha avviato nel Mezzogiorno e che speriamo possa tracciare un inizio di strada verso l’obiettivo più importante: sostenere equità e sviluppo a partire dai diritti dell’infanzia e dal futuro dei giovani.

22 settembre, 2012

Una gioiosa macchina di pace

Scampia, istituto comprensivo Virgilio 4, proprio a un passo dalle famigerate vele. Il Ministro Barca ed io siamo qui per presentare il bando di concorso per il contrasto alla dispersione scolastica rivolto a Campania, Calabria, Sicilia e Puglia, per un investimento complessivo di oltre 100 milioni di euro.  23 milioni di fondi europei del Ministero per la Coesione, 77 milioni di PON per il programma “giovani, sicurezza e legalità” del Ministero dell’interno.

Ci accoglie un clima sereno. I ragazzi e le ragazze dell’istituto alberghiero sostenuti da prof e dirigente, fanno accoglienza e gestiscono il buffet, tirati ed emozionati nelle loro uniformi. Il dirigente scolastico, che ha lavorato duro per preparare tutto, rifugge da ogni complimento:”Come dico sempre, siamo una gioiosa macchina di pace.” Quant’è vero. Non è un caso se siamo qui, se siamo a Scampia, dove è in atto una recrudescenza criminale.
Qualche mese fa accompagnai il Commissario europeo Hahn nella visita di una scuola in cui una volta c’era il padiglione di Chance, la scuola di seconda occasione messa in piedi dai maestri di strada. Quel padiglione era distrutto e vandalizzato e non fu facile per me andare oltre la commozione e presentare ad Hahn le idee del Governo per rilanciare il contrasto alla dispersione scolastica.
Diversi mesi dopo ce l’abbiamo fatta ad avviare una vera inversione di tendenza: il bando, già pubblico, permetterà ad oltre 100 esperienze di rete di accedere a finanziamenti certi fino al 2014 e riprogrammabili fino al 2021. Questa azione ha le gambe per camminare, come ha detto giustamente  il Ministro Barca. Nel Mezzogiorno si prova a costruire una politica pubblica duratura a supporto dei bambini e ragazzi che ne hanno piu' bisogno.
E questa politica conta su un esercito civile composto da due reparti: gli insegnanti e gli operatori del privato sociale.
Noi chiediamo a entrambi i reparti di lavorare in sinergia e vogliamo sostenere ciò che in questi anni ha funzionato. So bene quali eroici sforzi quotidiani tanti di loro compiono per portare avanti qualche esperienza che dà risultati giorno per giorno. E’ la magia di questo bellissimo e difficile lavoro: Pasquale che arriva alla licenza media. Antonietta che decide che un’idea per la sua vita ce l’ha. E qui imparare un mestiere e avere un pezzo di carta in tasca vale molto e non è scontato.  So bene come vanno le cose. Perché è quello che ho fatto fino a pochi anni fa. So bene che l’appoggio dello Stato non è tutto. So bene che è qualcosa, però. E soldi, regia, azione pubblica per fare le cose sono importanti!
Pensare a e occuparsi di questi ragazzi, in maniera sistematica e non randomica, come finora è avvenuto, significa molto, per la scuola e per l’intera società. Sono diventato maestro elementare nel 1975, ho avuto la fortuna di insegnare in contesti molto differenti l’uno dall’altro. Con Chance ho fatto l’insegnante di chi a scuola non ci va più, insegnando  le conoscenze di base a chi non le aveva apprese all’età giusta, ad adolescenti e non a bambini. Successivamente, ho progettato e coordinato progetti e azioni per costruire contesti di apprendimento “altri e diversi” rispetto a quelli della scuola ordinaria, a misura di chi non ci va.
Oltre - e proprio grazie a - ad avere insegnato ho imparato molto. Qualche anno fa ne ho scritto così:

"La cosa più importante che ho imparato è che – esattamente come i sintomi ci spingono a misurarci con le malattie - i ragazzi che a centinaia di migliaia non riescono a scuola, suggeriscono molte cose sul mancato funzionamento generale della scuola stessa. E proprio come i sintomi – che si rendono palesi attraverso il dolore e le sofferenze – invitano a trovare i lenimenti per i sintomi stessi ma, al contempo, a scoprire i perché di tale condizione, questi nostri ragazzi non chiedono solo sollievo momentaneo, che pure serve, ma esigono un’analisi più profonda, una ricerca delle cause della malattia e una cura capace di guarirla davvero. (…)
Nel misurarmi con le cause di tale malattia, ho dovuto ritornare inevitabilmente a considerare le funzioni generali della scuola, le sue prime ragioni d’essere. E sono ripartito, necessariamente, dal guardare alla scuola come “spazio sociale dedicato all’apprendimento”. In tale prospettiva funzionale – che risponde alla domanda basilare su cosa sia e a che serva la scuola – mi sono persuaso che, in qualche maniera, una richiesta di speciale attenzione e di aiuto da parte del gruppo più debole di ragazzi non va intesa solo per loro ma, invece, riguarda tutti. "


Un’ultima cosa: al cinema è uscito il film di un amico regista, Leonardo Di Costanzo. Si chiama “L’intervallo” e parla di ragazzi così e di ragazzi, di adolescenti in generali. E' bello da vedere.

 Qui le slide di presentazione dell'azione contro la dispersione scolastica.

14 settembre, 2012

Il pane e le scarpe


Il rapporto Ocse “Education at a glance” 2012 pubblicato in questi giorni ci conferma alcuni aspetti che già conosciamo. Il nostro sistema scolastico ha due problemi storici: gli stipendi dei docenti sono inferiori al resto d’Europa; i finanziamenti non crescono abbastanza con l’aumentare dei gradi dell’istruzione.
Nel periodo considerato dal rapporto, tra il 2000 e il 2009,  le risorse per l’istruzione sono diminuite dello 0,8%. Da quando si è insediato il Governo Monti, stiamo lavorando per una prima inversione di tendenza, ottimizzando l’uso delle risorse esistenti. Però servirà anche reperire risorse fresche per la scuola, mano a mano che l’Italia esce dalle difficoltà.
All’avvio di questo anno scolastico dobbiamo rinnovare il nostro impegno per una grande riparazione nazionale. Senza mai perdere di vista, però, quello che le scuole portano avanti con successo. Da qui a dicembre, dobbiamo portare a compimento le cose avviate: il 20 Settembre presenteremo a Napoli il bando per i prototipi contro la dispersione scolastica, che partiranno in autunno. Per il concorso abbiamo un lavoro serrato: farlo bene, fornendo tutte le indicazioni per tempo e con precisione, tenendo in grande considerazione le legittime preoccupazioni dei docenti precari. Che sostengono le nostre scuole con professionalità da tanti anni.
La conferenza stampa tenuta dal Ministro Profumo per l’apertura dell’anno scolastico ha sottolineato la capacità di innovazione che tante scuole ed Enti locali stanno dimostrando. Una buona novità è anche il progetto “Messaggeri”, presentato dai Ministri Profumo e Barca. Cento ricercatori italiani all’estero verranno selezionati per portare innovazione nelle Università del Mezzogiorno, seguendo il lavoro di gruppi di ricerca italiani.
Perché, anche se è certamente difficile, noi dobbiamo fare entrambe le cose insieme: riparare e innovare.
Nel romanzo “La Tregua”, il giovane Primo Levi cerca il pane per mangiare, nella Cracovia devastata dalla guerra. Mordo Nahum, ebreo di Salonicco, gli dice “Quando c’è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo luogo alla roba da mangiare; e non viceversa”.
E’ un po’ così anche per l’Italia della crisi: per occuparci delle difficoltà del presente, ci servono scarpe per camminare. Le scarpe sono il metodo per riparare e innovare insieme.  Per portare il Paese fin dove deve e può arrivare, con un orizzonte di impegno e speranza.


30 agosto, 2012

Importanti novità


Il Consiglio dei Ministri del 24 Agosto ha approvato il decreto di regolamento del Sistema Nazionale di Valutazione (SNV) e ha dato il via libera ai nuovi concorsi per il reclutamento dei docenti. Attorno a entrambe le tematiche ferve il dibattito e sento di dover contribuire con qualche pensiero.
Ritengo che dotare il nostro sistema-scuola, dopo 15 anni di parole e sperimentazioni, di metodi e strutture permanenti di valutazione sia cosa indispensabile per poter analizzare punti di debolezza, punti di forza e impatto delle scelte centrali e periferiche sugli apprendimenti dei ragazzi. E’ un passo che l’Europa ci chiede da tempo, perché garantisce alla nostra scuola di potersi confrontare- che non significa necessariamente o soltanto competere- con altri sistemi di altri paesi.
Mi rende particolarmente felice che nel decreto sia presente la parola “Autovalutazione”: non solo test standardizzati, quindi. Anche e soprattutto responsabilità degli insegnanti, trattati come conviene e cioè da professionisti riflessivi capaci di valutare il proprio lavoro. Quella cosa che già in migliaia applicano ogni giorno insieme alla ricerca, nel proprio lavoro quotidiano in classe e con i colleghi. Curiosità, voglia di sperimentare, di confrontare metodi diversi, di riflettere in modo cooperativo e collegiale sull’andamento e sui risultati. E’ questa la famosa cultura della valutazione di cui si è discusso ultimamente anche su questo blog.
Secondo punto, il reclutamento. Noi ereditiamo una situazione tremenda e intricatissima, frutto di molti anni in cui si è implementato il precariato attraverso il sistema delle graduatorie. Causando danni gravissimi alla scuola, agli studenti e a migliaia di persone intrappolate nei contratti a termine per anni, persino per decenni. Il Ministro Profumo ha voluto fare un primo passo, particolarmente significativo dato il momento di pesante difficoltà finanziaria del Paese. Mentre quest’anno - come negli ultimi anni - i posti liberati dal turn over sono stati coperti al 100% prendendo i docenti dalle graduatorie, dal prossimo anno decidiamo di tornare alla Costituzione, che prevede il concorso pubblico, e alla legge (n. 124/99) che prevede il 50% dei posti a chi sta nelle graduatorie e l’altro 50% attraverso il concorso. Metà dei posti disponibili, dunque, verranno banditi in una gara concorsuale aperta a tutti gli abilitati all’insegnamento.
L’altra metà dei posti, invece, continuerà a essere coperta attraverso lo scorrimento delle graduatorie. Anche i docenti precari, dunque, potranno partecipare al concorso. Se non vogliamo rassegnarci a parlare di una “generazione perduta”, dobbiamo tutelare coloro che in questi anni hanno insegnato e che aspettano da troppo tempo la stabilizzazione. Ma se vogliamo scongiurare il rischio di ritrovarci con più “generazioni perdute”, dobbiamo tenere insieme a queste potenti ragioni anche la speranza di chi, abilitato di recente o nel prossimo futuro, desidera insegnare. L’esperienza a scuola conta. Ma conta tanto anche la mescolanza di esperienze e generazioni diverse. Conta anche l’energia e l’entusiasmo di chi entra in classe per la prima volta.
Non è un sistema perfetto, ma è una scelta importante, che indirizza il sistema verso l’esaurimento delle graduatorie e verso concorsi regolari ogni due anni. Concorsi in cui si vince oppure si perde. Senza code, con possibilità di riprovarci, perché torna la stagione dei concorsi frequenti.
 Ora tutto il nostro sforzo si concentra sulla costruzione di prove rigorose e ben fatte, capaci di valutare non soltanto la preparazione nelle discipline, ma anche la capacità didattica e pedagogica dei candidati. Cose normali, insomma. Che troppe volte e per troppo tempo sono sembrate a tutti noi impossibili o straordinarie.

09 agosto, 2012

Cose buone prima della pausa

Prima di segnalare qualche buona notizia, torno ancora sulle prove INVALSI - o più in generale - sulla valutazione: come sottolineato in alcuni commenti qui sul blog, non possiamo pensare che bastino prove standardizzate per rilevare differenze ampie nelle forme e nei modi, oltre che nella quantità e qualità degli apprendimenti. E nessuno lo pensa all’Invalsi, infatti. Sono stato alla presentazione, ben curata dall’Invalsi, dei dati: era molto evidente un metodo aperto, riflessivo, pronto a recepire ogni necessario miglioramento, consapevole che l’opera di valutazione di un sistema complesso è una cosa difficile e che si costruisce solo insieme a scuole e docenti. Non esiste nessun test al mondo che basti a se stesso.  Gli insegnanti sanno - ne danno prova ogni giorno - che la valutazione è sempre anche auto-valutazione ed è materia complicata, movimentata e incerta, che non può prescindere dal contesto, dal metodo, dai molti ingredienti della didattica, dalla persona in formazione e dalla relazione educativa che si instaura tra il docente e lo studente e tra il docente e la classe. Rimane però la necessità dell’accountability nella e della scuola e dunque anche di avere dei parametri comuni sui quali confrontarsi liberamente e collegialmente, per individuare differenze, forze e debolezze in rapporto a quelle di altre scuole, di altre zone, di altri paesi. Nessun Paese europeo oggi prescinde da strumenti di questo tipo per il sistema di istruzione. All’interno, dunque, della necessità assoluta, per l’Italia e per la nostra scuola, di costruire e rafforzare una cultura della valutazione dell’intero sistema - dallo studente al docente, al dirigente, ai vertici ministeriali - possiamo e dobbiamo proseguire la discussione su quali siano gli strumenti e le modalità più adatte. Grazie alla libertà di insegnamento e all’autonomia scolastica questo già avviene in molte scuole, le quali, da sole o in rete, da tempo iniziano a valutare le prove in gruppi di lavoro e nel collegio dei docenti e usano bene questi materiali, insieme a molti altri, spesso auto-prodotti per riflettere sui risultati del proprio lavoro, che è un lavoro di una comunità professionale e umana. Ecco: la cultura dei risultati è una cosa preziosa, di decisiva importanza. Che va sostenuta, in modo ricco. Si tratta di un compito politico, in senso proprio: ragionare sui risultati della scuola serve alla nostra polis perché rappresenta un antidoto alla cultura della rendita di posizione e dà valore al tanto buon lavoro che le scuole, nella loro maggioranza, già fanno, propone criticità da affrontare, mostra nuove sfide, indica compiti e trasformazioni necessari. Insomma: decidere che uso fare e come trattare le prove INVALSI è già possibile ed è un tassello importante per sviluppare il nostro sistema di valutazione in senso cooperativo e per far crescere una cultura di valutazione dei risultati che la scuola pubblica ottiene.
Ci avviciniamo alla pausa estiva - breve, per evidenti ragioni- con qualche buona notizia in più. E’ stato ultimato il bando di concorso per i prototipi contro la dispersione scolastica, che saranno circa 120 nelle quattro Regioni obiettivo (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia). Le scuole, capofila di progetti di rete sul territorio con istituzioni e privato sociale, hanno tempo fino alla metà di settembre per partecipare. E’ la prima volta che in Italia si profila una policy pubblica di contrasto del fallimento formativo, fortemente condivisa con gli enti locali e tra scuole e altri agenti educativi di ogni territorio - ognuno individuato secondo parametri sia di densità del fenomeno della dispersione sia di presenza di un esercito civile capace di contrastarlo. A inizio settembre saranno anche pronte le linee-guida per facilitare l’azione e una struttura di coordinamento fortemente partecipativa. E’ un primo vero passo verso le zone di formazione prioritaria anche nel nostro Paese. Qui la lettera dell'Assessore all'Istruzione del Comune di Napoli indirizzata a tutti i dirigenti scolastici.
Nel frattempo il MIUR ha avuto il via libera per procedere al piano di immissioni in ruolo sui posti vacanti: si tratta di 21.112 unità di personale docente ed educativo per l’anno scolastico 2012/13. Sono persone che inizieranno a lavorare in modo stabile dal 1 settembre. E, al contempo, stiamo lavorando per predisporre i concorsi.
Non mi resta che augurare a tutti una buona pausa estiva, per ritrovarci presto con le tante cose che ci aspettano alla riapertura dell’anno scolastico.

30 luglio, 2012

Prove e sfide


I dati emersi dalle prove INVALSI 2012 sono interessanti e meritano qualche riflessione. Non perché queste prove siano esenti da limiti o imperfezioni, ma perché sono l’unico strumento, migliorato e migliorabile, in grado di restituirci ogni anno fotografie degli apprendimenti standard e quindi confrontabili tra loro.
Il problema della scuola è sempre lo stesso: i gap nei livelli di apprendimento tra zone diverse, che tendono ad aggravarsi anziché a diminuire con l’aumentare dei gradi dell’istruzione. Esistono, lo sappiamo, almeno due “Italie” anche per quanto riguarda la scuola. Non possiamo accontentarci di facili quanto fallaci interpretazioni, volte soltanto a screditare insegnanti e studenti di mezza Italia. Sono infatti soprattutto le differenze profonde tra le scuole e tra i territori e le effettive condizioni di vita a pesare sui risultati nel Mezzogiorno. Lo dimostrano da anni anche i dati di Banca d’Italia e della Commissione Povertà. Differenze presenti fin dalla primaria, che esplodono nelle prove del secondo anno delle superiori.
La nostra scuola primaria si conferma comunque all’altezza dei confronti internazionali, sebbene, essendo chiamata a numerosi nuovi compiti- dall’integrazione degli alunni non italiani alle forme di apprendimento dei nativi digitali- cominci a presentare più marcate divergenze nelle prove di quinta elementare, che tendono poi nel tempo a riproporsi e aggravarsi.
Sono temi che stiamo affrontando nelle nuove indicazioni nazionali per il curricolo della scuola di base, approvate da poco dal CNPI.
Il quadro emerso ci spinge a proseguire il lavoro di rafforzamento delle competenze di base e di contrasto alla dispersione scolastica avviato con il Piano Azione Coesione nelle regioni meridionali.
Vale la pena continuare a impegnarsi per questa scuola nonostante le difficoltà. E’ questo che vorrei dire a Silvia Avallone. Ma voglio ricordare l’immensa difficoltà per un paio di generazioni di accedere al lavoro in generale. E' sotto i nostri occhi come gli equilibri consolidati non bastino più. Il Paese non può uscire dai problemi se ai giovani non sarà consentito, attraverso una rottura degli equilibri, di esprimere se stessi contribuendo alla crescita. La scuola ha estremo bisogno di insegnanti giovani e preparati. Se io, come tanti, siamo potuti entrare a scuola a 20 anni, è perché un sistema di concorsi regolari consentiva di vincere o perdere, senza liste d’attesa infinite. Noi stiamo provando a ripristinarli e sappiamo purtroppo che se nulla può cambiare, se non si faranno delle scelte anche difficili, non ci riusciremo.
La nostra generazione non è in grado di trovare da sola le risposte al nuovo contesto. Questo sono andato a dire anche al Revolution Camp della Rete degli Studenti Medi: abbiamo bisogno che voi non vi arrendiate, della vostra pressione, del vostro conflitto, della vostra azione. Soltanto così l’Italia saprà reagire.

12 luglio, 2012

Di quando i clan cacciarono i bimbi rom


La foto è presa da qui

E’ giunta notizia dell’arresto di 18 persone a Napoli per l’incendio del campo nomadi di Via Gianturco, a Ponticelli, nel dicembre del 2010. Sono accusate, oltre che di estorsione e di associazione di stampo mafioso, dell’aggravante dell’odio razziale.
E’ un fatto importante, che ci riporta alla memoria alcuni gravissimi episodi verificatisi a Napoli, nello stesso quartiere Ponticelli, tra il 2008 e il 2010. Nel primo caso, un vero e proprio pogrom costrinse alla fuga notturna 500 persone dal campo rom incendiato, tra gli insulti di due ali di folla. La scuola del quartiere, l’88° circolo didattico, aveva unito i bambini attraverso le fiabe rom: i compagni di scuola dei bambini costretti a fuggire, il giorno dopo il pogrom, piangevano disperati.
Nel 2010 è stata proprio la scuola al centro delle “attenzioni”: boss locali minacciano le famiglie rom e fanno pressioni sulla preside perché non permetta a questi bambini di frequentare la scuola dove vanno i loro figli. La preside resiste, il campo brucia. Ma grazie a numerose denunce oggi si arriva a questi arresti.
Stiamo lavorando in stretto raccordo con il Ministro Fabrizio Barca, il Ministro Cancellieri, con le Regioni Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, con le realtà del privato sociale che spesso in quartieri come Ponticelli svolgono un delicatissimo ruolo di mediazione, per integrare le azioni di contrasto alla dispersione scolastica con azioni dedicate all’integrazione dei bambini e dei ragazzi rom nelle scuole.
Abbiamo inserito le diverse azioni per l’istruzione all’interno della Strategia nazionale d'inclusione dei rom, sinti e caminanti voluta dal Ministro Riccardi.
Si tratta di riannodare i fili tra scuole, insegnanti, famiglie rom, privato sociale e istituzioni per fare delle cose mirate, misurabili nell’impatto e nei risultati. Abbattere il tasso di abbandono scolastico precoce dei bambini rom, oggi quasi al 42%; favorire percorsi di istruzione ad hoc per le giovani madri che hanno abbandonato la scuola; lavorare fin dalla prima infanzia sull’autorappresentazione della cultura rom (le fiabe, la lingua, la musica), anche attraverso progetti che uniscano le orchestre rom alle orchestre dei conservatori. Ci stiamo confrontando con la Roma Foundation, forte di una grande esperienza in Centro Europa.
Casa, lavoro e istruzione sono le cose che possono cambiare i destini di chi nasce in un campo. Come a Lamezia Terme ci ha raccontato Ciaiò.
Da qui passa il rispetto dei diritti e della dignità di ogni essere umano. Che quando le istituzioni lasciano un vuoto, possono essere cancellati in pochi secondi. Lo spazio di un incendio di baracche. Il tempo di una minaccia alla scuola e al suo ruolo costituzionale.
C’è molto lavoro concreto e utile da fare.

25 giugno, 2012

La scuola non abbandoni i più deboli


La scuola italiana racchiude un immenso  patrimonio di coesione sociale, solidarietà, inclusione, equità. Ed è  ancora la porta attraverso cui tutti crescono, diversi ed eguali, nell’incontro con l’altro da sé. E’ per questo che la scuola è il retroterra forse più importante per la tenuta del Paese. E non può cedere alla più semplice e ingiusta delle risposte che è quella di rifarsi sui più deboli e scaricare su di loro le nostre responsabilità. Un mio articolo ieri su La Stampa.

Caro direttore,
in pochi sanno che nel ministero dell’Istruzione c’è una meravigliosa biblioteca, che racchiude i tesori di 150 anni di scuola. Tra questi c’è un registro del 1944-45, di una scuola elementare di San Lorenzo, Roma. La maestra racconta nel diario di classe di tutti gli alunni che perde. Per fame, povertà, malattia. Della difficoltà di fare lezione d’inverno, con le finestre rotte dalle bombe. E della fatica di andare avanti tutti insieme.
Sono pagine commoventi che raccontano un’Italia che è esistita. E che esiste ancora, per fortuna entro nuove condizioni. E’ un’Italia fatta d’insegnanti che ogni giorno entrano in classe, in mezzo a difficoltà più o meno grandi, e si rivolgono con fiducia ai loro alunni. Mantengono alta la speranza nel futuro operando con dedizione. E che fanno anche un’altra cosa che è forse la più preziosa per qualsiasi comunità. Distinguono ogni volta “il fare scuola” e, cioè, l’accompagnare i bambini e i ragazzi nell'apprendimento e nella crescita dal fatto che si può essere scontenti – come insegnanti e come cittadini – per le condizioni entro le quali si è chiamati a operare.
Le classi numerose, la mancanza di mezzi, le altre difficoltà vanno sì combattute. E va sì sostenuto che ogni soldo per la scuola, se lo si usa bene, è un investimento per la crescita e la coesione del Paese. Ma le difficoltà non possono essere mai usate oltre il limite dato dalla sua stessa funzione sociale. Perché la scuola è il luogo che fa prevalere la responsabilità come base per l’assunzione della funzione educativa adulta. Ed è proprio per questa sua capacità di essere responsabile che intorno alla scuola vive e cresce un senso di “essere parte di”. Lo si vede ogni giorno nelle migliaia di azioni volontarie dei genitori a suo vantaggio, nella difficile mediazione tra genitori e docenti sul tema di come educare oggi, nella sapienza con la quale riesce a integrare 710 mila bambini e ragazzi di cittadinanza non italiana e 184 mila studenti disabili. O nel costruire azioni per riconquistare le migliaia di ragazzi che ancora perde. O, anche, in episodi simbolicamente forti. Come è stato quello di aver saputo inviare la settimana scorsa le prove di esame di maturità con i nuovi media, dopo anni di proponimenti disattesi per troppa timidezza quando, invece, la scuola sa e può osare moltissimo.
Poi, certo, le cronache raccontano di una scuola primaria, dove in 2 prime classi per un totale di 59 bambini si è voluto bocciarne 5. E quando il Ministero ha chiesto di ripensarci, li si è nuovamente bocciati. Con alcuni genitori che hanno detto che è colpa delle classi numerose…. Cinque bocciati su 59, l’8,5%! Quando la media di bocciature in Italia nella scuola primaria – dalla prima alla quinta – è molto meno dell’1%. Con ottimi risultati nelle prove internazionalmente vagliate. Perché non è la bocciatura che fa la qualità. Poi, certo, può capitare di bocciare. In 35 anni due volte l’ho fatto. Ma la riflessione coi colleghi non verteva sulla classe numerosa, che pur c’era. E so che per fortuna nelle scuole quando si boccia le ore sono dedicate agli errori comuni, alle strategie di recupero e al parlare a lungo e per tempo per condividere con genitori in difficoltà.
Può essere utile prendere a pretesto questo episodio per riflettere sul momento che tutti stiamo vivendo, di fronte al protrarsi della crisi. L’impegno del governo sta mettendo al riparo il sistema-Paese dalle conseguenze più gravi, anche chiedendo grandi sacrifici. Ma ci vorrà tempo e forza comune per uscirne. E, intanto, cresce la disoccupazione. Oltre 3 milioni le persone vivono in povertà di cui 1 milione e 800 mila sono minori. Sono dati che evidenziano un rischio per la tenuta della coesione sociale, quella che Durkheim descriveva come la «durezza del bronzo»: una forza che non risiede nei suoi singoli componenti, ma nel loro insieme. Si tratta della capacità di una comunità di stare unita nelle difficoltà.
La scuola coinvolge quasi 10 milioni di bambini e ragazzi, le relative famiglie e un milione di lavoratori. Ed è ancora la porta attraverso cui tutti crescono, diversi ed eguali, nell'incontro con l’altro da sé. E’ per questo che la scuola è il retroterra forse più importante per la tenuta del Paese. E non può cedere alla più semplice e ingiusta delle risposte che è quella di rifarsi sui più deboli e scaricare su di loro le nostre responsabilità. Lorenzo Milani riassumeva tutto questo nello slogan I care. Il tuo problema è un mio problema. Mi interessa. Non mi posso girare dall'altra parte. Perciò l’immenso patrimonio di coesione sociale, solidarietà, inclusione, equità - e anche di merito ottenuto per conquista e non per destino - che è presente nella scuola italiana deve essere accudito. Da un rinnovato patto sociale per la scuola. Che sappia trovare risorse e innovare quel che va innovato. Ma che deve salvaguardare la priorità del principio di responsabilità.

19 giugno, 2012

Dopo l'ultima campanella


Un augurio va a tutti gli studenti per la fine dell’anno scolastico e per l’inizio degli esami di Stato. Un pensiero particolare va a tutti i ragazzi impegnati negli esami in Emilia Romagna, nelle zone terremotate. Il Miur si è impegnato per garantire loro uno svolgimento delle prove più sereno possibile.
Il nostro lavoro continua, in vista del prossimo anno scolastico. Purtroppo il nostro Paese non è ancora al riparo dalle tempeste finanziarie internazionali. Ma il lavoro del Governo di questi mesi ci sta consentendo- anche con tanti sacrifici- di evitare i guai peggiori. Tutto questo rende difficile reperire risorse fresche per la scuola. Che però andranno trovate, come ho ribadito nella trasmissione Agorà   e nella mia intervista all’Unità.
Anche gli studenti di Brindisi ci chiedono di andare avanti e di dare loro risposte concrete agli interrogativi che sollevano in una bella lettera pubblica ai Ministri Profumo e Riccardi. Chiedono che si difenda la scuola. Cambiandola, però. Sono d’accordo con loro.

08 giugno, 2012

Un merito per conquista. Non per destino.


Va dato atto al Ministro Profumo di aver aperto un dibattito importante: come valorizzare il merito- l’impegno e le capacità- degli studenti; e insieme a questo, cosa significa promuovere equità ed inclusione attraverso la scuola.
Io penso che valorizzare il merito significhi dare fiducia ai ragazzi portandoli prima di tutto ad accettare la sfida e la competizione con se stessi. Per rafforzare le loro parti deboli e sviluppare quelle forti, per scoprire le loro parti nascoste, interessandoli a quello che studiano. E che sia necessario riconoscere il merito di quei docenti che si impegnano in zone difficili, con buoni risultati.
Dobbiamo tutti chiederci, però, se oggi uno studente che si è impegnato ed è riuscito bene a scuola viene considerato meritevole dalla società che lo attende fuori. Se riesce nella vita grazie al suo impegno oppure più di frequente grazie a conoscenze, rendite e privilegi.
E’ un tema importante, per questo stiamo seguendo la discussione in corso con grande attenzione.
Come ho dichiarato a La Repubblica, il nostro faro non può che essere l’articolo 34 della Costituzione. Che va letto nella sua interezza: in principio afferma che la scuola è aperta a tutti, poi si concentra sui meritevoli privi di mezzi, che lo Stato deve sostenere.
Come sappiamo la scuola italiana è aperta a tutti, ma perde il 20% dei ragazzi prima del diploma. Per questo il Governo ha fatto tanto: 102 milioni per la lotta alla dispersione scolastica in oltre 100 micro-aree,  400 milioni per 18.000 posti in più nei nidi in Campania, Calabria, Sicilia e Puglia.
C’è da fare ancora molto. Ho indicato alcune priorità nel corso della trasmissione di Rai Tre Agorà: corsi di recupero dei debiti formativi, lotta alla dispersione anche nel Centro-Nord, borse di studio per gli studenti universitari. Negli ultimi cinque anni sono 175mila gli studenti con redditi bassi che non hanno ricevuto la borsa pur essendo meritevoli. Dobbiamo lavorare su questo nonostante la difficile situazione economica, cercare delle strade per trovare un po’ di risorse in più.

02 giugno, 2012

Il Mezzogiorno per l'Europa

La palestra di arrampicata nella scuola Don Milani
Girando per il Mezzogiorno insieme al Ministro Barca si scoprono cose che sappiamo, ma che non sono scontate e meritano di essere raccontate.
La settimana scorsa a Napoli, le straordinarie capacità dei ragazzi che studiano la ceramica all’istituto professionale di Capodimonte. Chiedono più ore di pratica e la possibilità di trovare un lavoro.
Questa settimana, in Calabria:l’ITIS Fermi di Fuscaldo Marina  guarda al Mediterraneo. Ha messo in piedi uno scambio con centinaia di ragazzi egiziani. Imparano la lingua, vanno in laboratorio, vivono a casa dei compagni italiani.
E la scuola Don Milani di Lamezia Terme, dove i bambini si allenano alla scalata della vita sulla palestra artificiale per l’arrampicata. Imparano a gestire le emozioni, a non farsi prendere dal panico, a usare la testa per uscire da un momento di crisi.
Anche in condizioni molto difficili sorgono esperienze innovative e coraggiose, le scuole si raccordano con il privato sociale. A Scampia, presso il Centro Hurtado, abbiamo discusso di un possibile futuro per uno dei quartieri più disagiati di Napoli.
Con Don Panizza nella Comunità Progetto Sud
A Lamezia Terme abbiamo incontrato 38 associazioni del Terzo Settore in un bene confiscato alla ndrangheta, dove è sorta la Comunità Progetto Sud di Don Panizza.
Ascoltiamo racconti e riflessioni sul modo di fare le cose bene. Ascoltiamo la storia di Ciaiò, il rom che è uscito dal campo grazie al diritto alla scuola, alla casa e a un lavoro.
Quest’aria che si respira non è la richiesta di aiuto o assistenza. E’ la voglia di concretezza e di risposte costruite insieme, nel mare aperto dei dubbi e delle difficoltà. E’ la rivendicazione di un ruolo per il Sud, è la voglia di contribuire allo sviluppo dell’Italia in un momento di crisi. Il bisogno di capire cosa si può fare, come si può fare. Non il Nord per il Sud. Il Mezzogiorno per l’Europa.

22 maggio, 2012

Nessuno tocchi la scuola


La giornata di Sabato 19 Maggio verrà ricordata a lungo, purtroppo. Per il terribile atto di stampo terroristico che ha insanguinato- per la prima volta nella Storia d’Italia- l’ingresso di una scuola. Togliendo la vita a Melissa Bassi- di 16 anni- e ferendo gravemente altri studenti.
Il Ministro Profumo, in una lettera indirizzata a tutte le scuole, ha rivolto agli studenti del Paese parole di vicinanza, chiedendo a tutti di non cedere alla rabbia e al dolore.
Ancora non sappiamo chi e perché abbia voluto compiere un simile gesto. Le domande sono troppe e troppo poche, ancora, le risposte. Di sicuro si voleva terrorizzare la popolazione- in particolare le scuole- ed è per questo che abbiamo detto che loro- chiunque siano- non hanno vinto.
Perché Sabato le piazze italiane si sono riempite della solidarietà e della vicinanza di migliaia di persone alle famiglie, agli studenti, agli insegnanti colpiti. Perché Domenica alle ore 18 tante scuole in tutta Italia hanno fatto un’apertura straordinaria. Perché da ieri si entra in classe normalmente- e proprio ieri insieme al Ministro Barca siamo stati nelle scuole di Napoli . E perché stasera migliaia di studenti si imbarcheranno con le Navi della legalità, destinazione Palermo. Dove domani celebreremo insieme alle alte cariche dello Stato il ventennale delle stragi di Capaci e Via D’Amelio.
Lo dobbiamo a questi ragazzi- attenti, curiosi, impegnati. Alla forza e alla speranza che ho sentito nelle parole di una studentessa di Brindisi dal palco della manifestazione a poche ore dalla tragedia. E dobbiamo dare più forza alle scuole soprattutto nel Mezzogiorno. E’ quel che ho detto ieri alla Camera alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

14 maggio, 2012

Crescita, Coesione, Equità


La spending review servirà a tagliare sprechi e inefficienze dell’amministrazione: ne ho parlato in un’intervista pubblicata Domenica sul Corriere della Sera. Le scuole non si toccano. La spesa per l’istruzione è investimento vivo per il futuro del Paese. Ci crediamo e ci battiamo per questo, seppure in un momento difficilissimo.
Dopo i primi sei mesi di lavoro, si raccolgono alcuni frutti. Con il Ministro Profumo siamo in grado di  presentare  i primi risultati concreti di un impegno volto a rimettere la scuola al centro dell’agenda politica italiana. Perché serve alla crescita e serve all’equità. Tutte e due le cose insieme.
Venerdì scorso, alla conferenza stampa del Presidente del Consiglio Monti, il Ministro Fabrizio Barca ha presentato le misure per l’inclusione e la coesione, realizzate con i fondi europei non spesi dalle Regioni del Sud. Tra queste misure, le oltre 100 microaree in cui collocheremo le azioni integrate contro la dispersione scolastica: a inizio giugno la mappa sarà completa, a settembre si parte.
Lavoriamo per sostenere i soggetti più deboli della società, per ridurre la povertà minorile: in questo quadro vanno collocate le misure per la scolarizzazione dei rom, in particolare delle donne e delle giovani madri, ma anche interventi sui nidi e prima infanzia (Qui il documento completo:  “Strategia nazionale d’inclusione dei rom, sinti e caminanti. “).
E poi c’è il piano culturale e degli apprendimenti, dove stiamo lavorando per consolidare il lavoro delle scuole introducendo anche qualche novità. Sono alla revisione finale le indicazioni nazionali per il curriculum della scuola di base. Con la partecipazione e la consultazione delle scuole verrà pubblicato un documento di indirizzo,  per definire i traguardi da raggiungere entro la fine della terza media per ogni alunno.
Infine, due azioni per raccordare le iniziative delle scuole su due temi cruciali per la formazione delle giovani generazioni: le pari opportunità- con particolare attenzione al tema della violenza sulle donne- e il contrasto all’omofobia. Per la prima volta il Ministero dell’Istruzione ha inviato una circolare per la giornata mondiale contro l’omofobia del 17 maggio.


04 maggio, 2012

Scuola malata, è ora di tornare a Barbiana

Adele Corradi nel libro "Non so se Don Lorenzo" (Feltrinelli) racconta la sua esperienza nella scuola di Barbiana. Da quell'esperienza alle periferie di oggi dobbiamo riuscire a dare di più a chi parte con meno nella vita. E la scuola va ancora ben sostenuta perché non vi è altro luogo che possa essere leva precoce di emancipazione e riequilibrio sociale. Un mio articolo ieri su La Stampa. 



Eravamo nel pieno del boom economico e tutto sembrava finalmente andare per il meglio. Quando, nel 1967, uscì Lettera a una professoressa e arrivò in ogni angolo d’Italia il monito, severo e profetico, di don Milani: “la scuola ha un solo problema: i ragazzi che perde”.
In quel libro c’erano i dati che mostravano che la classe sociale dei genitori determinava il successo o l’insuccesso scolastico, in larghissima misura. Quel monito ci sta ancora addosso. Perché è ancor oggi così. Sono i figli dei poveri a fallire a scuola. E sono tanti: il venti percento del totale dei nostri ragazzi. Che tendono a diventare il trenta percento e più nel Sud come nelle periferie del Centro e del Nord. Lo dicono i dati del Ministero dell’Istruzione, quelli Istat, la Banca d’Italia, la relazione della Commissione indagine sulla povertà. Lo mostra, pezzo per pezzo, il bellissimo Atlante dell’infanzia a rischio, curato da Save the children - che ci ricorda che mentre nella maggior parte d’Europa il figlio di un genitore di medio reddito e istruito ha 2 o 3 volte più probabilità di completare l’intero ciclo di studi, da noi ha 7,7 più probabilità! Il più grande scandalo d’Italia.
Così, è passato quasi mezzo secolo. Ma resta questo il principale problema non solo della scuola ma dell’intera società italiana. Dobbiamo riuscire a dare di più a chi parte con meno nella vita e la scuola va ancora ben sostenuta perché non vi è altro luogo che possa essere leva precoce di emancipazione e riequilibrio sociale.
Per questo l’Unione Europea dal 2000 – la famosa agenda di Lisbona - ci chiede di scendere sotto il dieci percento di fallimento formativo. E la questione è che noi non ci siamo ancora riusciti. Benché siamo ben consapevoli che il non riuscirci, oltre a essere una minaccia alla coesione sociale, ci priva di enormi risorse umane capaci di azioni positive, un fatto che condiziona la stessa crescita economica. Perciò: l’agenda politica, le scelte nella revisione delle spese e degli investimenti pubblici deve tenere conto innanzitutto di questa questione.
Ma più che i dati, come spesso accade, le vie da imboccare per riparare alle ingiustizie generali le descrivono bene i libri che parlano di gesti, di giorni, di vicende umane.
Nelle bellissime pagine di Insegnare al principe di Danimarca la molto compianta Carla Melazzini racconta del lungo nostro lavoro con i ragazzi che avevano abbandonato la scuola a S. Giovanni a Teduccio, Barra, Quartieri Spagnoli, Soccavo, Ponticelli. E’ una scrittura sorvegliata, severa – come Carla era - che mostra, con fatica e poesia, il lavoro della scuola che sa andare verso chi ne è stato escluso. Lavoro di grande complessità artigianale, fatto a Napoli eppure simile a quello svolto da altri insegnanti ed educatori a Torino, a Verona, a Palermo, a Reggio Emilia, a Milano. Il creare un luogo salvo, una zona franca, una chance. Dove curare - nel bel mezzo delle devastazioni - le ferite sociali ed emotive. Per restituire la guida adulta, la via dell’apprendimento, della motivazione, della cura di sé. Per ridare la capacità di aspirare, the capacity to aspire - come viene definita in un importante saggio di Arjun Appadurai.
Sono pagine difficili quelle di Carla Melazzini. Perché chiedono di ritornare a pensare alle persone che crescono. Perché chiamano l’intero sistema d’istruzione e formazione a rimettere insieme i pezzi, a coniugare meglio il sapere e il saper fare. E a misurarsi molto di più con l’essere quotidiano di ciascun ragazzo. Com’era a Barbiana, dove nell’aula di sopra c’erano i libri, le figure geometriche e le mappe, nell’aula di sotto gli arnesi per costruire e manutenere oggetti e il laboratorio di esplorazione scientifica e in ogni momento la possibilità di fermarsi e “parlare di noi”, di quel che sta succedendo e di come va, senza mai dimenticare che si sta lì per imparare.
Quattro anni prima dell’uscita di Lettera a una professoressa Adele Corradi salì a Barbiana.  Ora finalmente lo racconta nel libro Non so se don Lorenzo. Era il 29 settembre del 1963. Chi si è recato lì se la può immaginare, una professoressa non ancora quarantenne che percorre in salita la via in mezzo al bosco, per capire, per fare. Adele oggi decide di lasciare indietro la sua riservatezza e ci riporta proprio lì. Con un avvertimento: “Non si racconta in questo libro la storia di don Milani…. Si parla di lui, ma non se ne racconta la storia. Chi la volesse conoscere dovrà rivolgersi altrove…. Qui sono messi a fuoco frammenti di vita, frammenti sparsi, affiorati alla memoria col disordine dei ricordi”. Adele ricorda il giorno dell’inizio, domenica, S. Michele. Ma non ricorda che lezione avesse tenuto. Rammenta, però, che don Lorenzo, in modo per lui inconsueto, le disse: “ritorni”. E lei si è da allora sempre chiesta perché: “.. o gliel’ha suggerito lo Spirito Santo o io con la telepatia”. Così, dopo qualche giorno ritornò. E partecipò alla prima vera lezione, un esercizio di scrittura collettiva. E di lì si va avanti nel racconto, scena dopo scena, con i gesti e il parlato riportati entro un interrogarsi profondo e semplice. Perché questo libro rimette ogni lettore nel ritmo e nella parola di quel luogo, nel suo senso quotidiano. E così Adele ci fa un regalo immenso: toglie il peso del mito a Barbiana. E finalmente restituisce quella scena alla magica imperfezione delle persone al lavoro, che tentano, che riparano, che si chiedono, che litigano, che non sanno e che comunque riescono.
Ritrovare l’occasione e il modo di fare bene scuola provando a capire il proprio tempo e il mondo è sempre possibile. E rimettersi in gioco è la chiave dell’educare. Come ci dice ancora Adele, oggi quasi novantenne: “Sono stata insegnante di lettere alle medie fino alla pensione a sessantasette anni. Devo confessare che ero un’insegnante identica alla destinataria di Lettera a una professoressa… L’incontro con la scuola di Barbiana ha scavato un solco nella mia vita. Mi sono vista come non mi ero mai vista. E non solo come insegnante, ma come persona”.
Dunque, la vicenda di Barbiana e delle buone scuole delle nostre troppe periferie non è solo un’azione a sostegno dell’equità e a vantaggio di una società democratica. Ma permette trasformazioni. E ci dice la direzione da prendere per tutta la scuola. Perché l’azione pedagogica diretta a chi ha più bisogno spesso muta gli approcci profondi e sa indicare vie innovative. La necessità fa virtù. Perciò don Milani diceva: “Verrà un giorno in cui coloro che vogliono guarire le scuole malate dovranno salire a Barbiana”
E’ ora di ripartire da una scuola a tutto tondo, che integri studio, esperienza, riflessione ben organizzata sul mondo e sul sé. E che consenta di riportare anche tutta la meraviglia del sapere diffuso dai nuovi media entro l’azione composita e costante di un luogo accogliente e rigoroso. Un luogo salvo e innovato.

Save the Children
Atlante dell’infanzia a rischio
2011

Carla Melazzini
Insegnare al Principe di Danimarca
Sellerio, 2011

Arjun Appadurai
Le aspirazioni nutrono la democrazia
et.al, 2011

Adele Corradi
Non so se don Lorenzo
Feltrinelli, 2012