21 novembre, 2011

Changes a Napoli


Changes Napoli si terrà domenica prossima, una occasione per riflettere sui cambiamenti possibili e la politica.
Ecco luogo, tempi, programma:

Domenica 27 novembre 2011
Palazzo Forum Universale delle Culture, ex asilo Filangeri, Vico Maffei 4 (nei pressi di S.Gregorio Armeno)


Questi i temi:
Il cambiamento è cultura: Ricerca, sapere, giovani: le fondamenta del cambiamento

Il cambiamento è partecipazione: Partiti, persone, cittadinanza: i soggetti del cambiamento

Il cambiamento è politica: Il mezzogiorno, l'Italia, le cose da fare: le leve del cambiamento

20 novembre, 2011

Giornata mondiale dei diritti dei bambini e adolescenti – appello a Monti

Oggi esce questo mio articolo-invito al nuovo governo, su La Stampa.

Il 20 novembre ricorre l’anniversario della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Che stabilisce che ogni persona che nasce deve avere uguali possibilità di riuscita nella vita. In queste giornate il Presidente del Consiglio, Mario Monti, ha più volte rivolto al Parlamento della Repubblica l’impegno di combattere iniquità e privilegi e di dedicare forti energie alle giovani generazioni del nostro Paese, a partire da chi sta peggio.

Milioni di persone – nella scuola, nelle famiglie, nel privato sociale – si occupano del benessere di bambini e adolescenti. Abbiamo posizioni politiche spesso divergenti. Ma condividiamo le stesse crescenti preoccupazioni. Innanzitutto per la piaga della povertà minorile in un grande paese qual è l’Italia.
Infatti l’Istat conta 2 milioni e 734 mila famiglie povere, l’11%, di cui, però, 1 milione e 829 mila nel Sud, il 23% delle famiglie meridionali. E se le persone povere sono 8 milioni e 272, pari al 13,8% della popolazione, i minori poveri sono 1 milione 876 mila, il 18,2% di tutti i minori! E, secondo i parametri dell’UE, i nostri bambini e ragazzi a rischio di povertà sono il 24,4% del totale, il tasso più elevato della UE. Tanto è vero che, in Italia, più fai figli e più questi rischiano la povertà: il 30,5% delle famiglie con tre o più figli è povera. E – anche qui – il 70 % dei bambini e adolescenti poveri vive nel Mezzogiorno: 1 milione 266 mila persone in crescita, un terzo dei minori di anni 18 che vivono nel nostro Sud. Sono cifre terribili.
I bambini e ragazzi poveri sono la parte più debole, meno protetta della popolazione; e non votano. Ogni bolletta e ogni piccola spesa imprevista che capita nelle loro case sono un dramma, l’affitto o il mutuo sono spesso a rischio, insieme al lavoro dei genitori, quasi sempre precario. E sono a rischio le ormai brevissime vacanze estive, i vocabolari per la scuola, le rate del computer, l’invito agli amichetti per il compleanno. Lo racconta sempre l’Istat. E i quartieri dove vivono hanno meno verde, palestre, piscine, tempo pieno a scuola, asili nido.
L’Italia ha, al contempo, una grande risorsa: le persone che si occupano di infanzia e adolescenza in difficoltà sono molto esperte, le meno inclini a buttarla in protesta e le meno litigiose. Perché devono poter aiutare. Perché sono il front office di chi se la passa male, conoscono le persone, sanno trovare soluzioni perché tante volte si sono cimentate in questa opera. E oggi sono anche disposte ad abbandonare posizioni rigide e modelli vecchi pur di riequilibrare le cose a favore di chi parte con meno nella vita.
Perciò – per la giornata del 20 novembre - verrebbe da fare un appello semplice al Presidente Monti, al ministro dell’istruzione, a quello del welfare, al ministro della coesione territoriale. Si crei subito una camera di regia a Palazzo Chigi. Come quella che oltre dieci anni fa fu costituita a Downing street. Si metta su una squadra di persone che pensi - sulla base sì dei conti pubblici ma anche dell’urgenza del riequilibrio e sulla scorta dell’esperienza vasta che l’Italia possiede in questo campo - al come costruire un nuovo grande sforzo a favore dei bambini e ragazzi poveri. Uno sforzo insieme pubblico e privato. Da metter in campo entro due mesi. Per ridare sostegno all’auto-impresa dei giovani, agli asili nido e alle mense, alle famiglie e alle donne sole e alle scuole, innanzitutto quelle di base, nelle aree dove si concentra la povertà minorile. Programmi snelli, rigorose procedure di controllo. Cose realistiche affidate a chi sa fare, secondo i modelli che hanno funzionato meglio in questi anni. D’accordo con la Conferenza stato-regioni, per concentrare bene tutte le risorse. Un segnale forte dal nuovo governo. Subito.

15 novembre, 2011

Quale scuola vogliamo davvero


Sì, c’è la crisi economica, quella di governo e della politica in senso vero, ampio. Che vuole dire, però, la vita della società e delle persone. Ed è su questa che va mantenuta la sbarra della riflessione collettiva. A tal proposito ecco cosa ho detto (file word 45k) al congresso nazionale di Legambiente – scuole e formazione
Solo una parte dell’apprendimento avviene a scuola. E’ stato sempre così. Ma, nel tempo, si sono anche perduti alcuni decisivi apprendimenti. I quali da un lato afferivano più direttamente alla relazione tra uomo e natura e, dall’altro, erano appresi non in un luogo separato ma entro le comunità di appartenenza. Nelle società umane, da quelle dette primitive fino a metà del secolo scorso, l’apprendimento largo ha affiancato quello che avveniva a scuola. Le pagine nelle quali i ragazzi di Barbiana mostrano il loro sapere sulla terra, sulle coltivazioni, sul bosco e sugli uccelli sono gli ultimi echi di questo “mondo dell’apprendere” che era largo. E che poteva riverberarsi in una scuola ben fatta, consolidarsi in sapere scientifico, scrittura, calcolo e rappresentazione. Senza svilire quel piano primo dell’imparare. Era un apprendere nel quale la scuola era una parte, con suoi canoni distinti, che assumevano l’insieme più esteso degli apprendimenti. L’urbanizzazione non ha smentito completamente questa scena. Piuttosto la ha trasferita e modificata. E anche nelle città vi erano costanti attività dove i ragazzi erano in giro ad imparare, in vera autonomia, a fare cose e a misurarsi con socialità e conflitto, libertà e responsabilità, fuori dalla scuola. Certo, c’era la durezza del lavoro infantile. Ma c’erano, al contempo, esplorazioni, costruzioni, cacce, aquiloni, combattimenti. Vi è stato, dunque, un mondo di avvenimenti complessi, carichi di saperi e competenze che venivano svolti altrove dalla scuola. In modo per lo più auto-organizzato. E dove era possibile provare e provarsi. Molti di questi apprendimenti hanno sempre anche comportato la verifica “naturale” della competenza. “Sono bravo a…” Il mondo adulto era parte di tale riconoscimento, grazie ai riti di passaggio, comunitari e sapeva dire ai ragazzi: “Ora tu sai, ora tu sai fare”. E gli adulti - una volta riconosciuto ciascun sapere e apprendimento - delegavano compiti, funzioni, responsabilità diretta.
Ancora oggi la maggioranza dei bambini e ragazzi del pianeta conoscono queste cose nella loro esperienza di apprendimento. Invece, nei nostri luoghi – che sono una minoranza del mondo – la scuola ha progressivamente imposto il monopolio dei codici e dei metodi di apprendimento. Questo ha relegato in spazi secondi e terzi il corpo, l’autonoma organizzazione, il contatto diretto con le materie e la loro trasformazione, il rischio di fare, disfare, scegliere, provare conseguenze dei gesti, assumere presto compiti, eseguire opere. Ma questo ha recato un lutto e una nostalgia. E’ possibile elaborare quel lutto e rendere desiderio quella nostalgia. E’ possibile riscoprire l’apprendimento diffuso, basato sul compito, autonomo, in diretto rapporto con le cose del mondo. Ma solo se la scuola, insieme alle altre agenzie educative, ritrovano il modo di educare al rapporto con la natura, alla scoperta della biosfera e, insieme, al senso delle relazioni umane che servono a custodirla.
Intanto, oggi sta avvenendo qualcosa che disegna un nuovo gigantesco apprendistato cognitivo. Che è globale. Che proietta tutte le discipline del sapere fuori dalle mura scolastiche, su un piano di libero accesso, in mille forme e in ogni luogo. Con la possibilità di essere rapidamente manipolate, variate, confuse, confrontate, espanse. Lo stesso funzionamento del cervello umano viene chiamato in causa: organizzazione della memoria, presenza simultanea di molti codici e dispositivi che stimolano i diversi sensi insieme, compresenza di procedure analogiche e logiche, relazione immediata tra produzione costruita e fruita, tra rapidità e pazienza, tra rigore e invenzione.
Di fronte a questo scenario - una volta consolidati i saperi irrinunciabili durante l’infanzia – l’idea di scuola non può che mutare radicalmente. Perché il tema centrale dell’apprendimento umano passa dai modi della trasmissione del sapere in un tempo-luogo dati a tutt’altro: intreccio complesso tra nuovi media e salvaguardia del rigore del metodo, cura del sapere di base insieme a graduale acquisizione delle procedure di ricerca, sviluppo del protagonismo personale in risposta al rischio di subalternità ai gadgets. L’intero dibattito delle neuroscienze sul come si apprende, il rapporto tra teoria e operatività, tra modelli e laboratorio, tra apprendimento individuale e co-costruzione di competenze insieme agli altri, tra conoscenze fondative delle discipline e conoscenze atte a guardare ai grandi problemi del mondo entro campi di sapere pluri-disciplinari, complessi, con ampie zone di cerniera tra saperi, tra certezze da conquistare e dubbi indispensabili per farlo: è tutto questo che può essere oggi spostato in uno spazio x, che si trova in bilico perenne tra scuola e fuori.
Siamo già dentro questo nuovo orizzonte. Da trasmettitori di saperi ci stiamo facendo metodologi della loro selezione. Da detentori di un corpus di nozioni stabilite e rigidamente divise in discipline stiamo trasformandoci in esploratori e co-produttori di ricerca, sorveglianti di procedure, esperti dei rapporti mutanti tra forme e contenuti, tra acquisizioni e comunicazioni, tra aree diverse di sapere che hanno rimandi e campi comuni. Per farlo scopriamo che stiamo agendo in almeno tre direzioni tra loro complementari. Prima: ricostruire in altro modo i riferimenti fondativi delle discipline e far riscoprire i “classici” in ogni area di conoscenza. E anche i mezzi classici: il buon libro, il vocabolario, gli appunti, l’atlante, il calibro, la china, l’acquarello. Seconda: condividere una navigazione curiosa attraverso le scritture on line, i giochi di ruolo, i programmi di simulazione, scovando il sapere economico, geografico, storico, giuridico, scientifico e i passaggi logici che contengono o esplorare insieme gli immensi giacimenti informatici di letteratura mondiale o matematica, scienze, arte, musica. Terza: produrre opere in ogni campo, promuovere prove d’opera, creare produzioni e scambi globali.
E’ tutto questo che sta accadendo. Ed è così che siamo costretti ad imparare a spezzare il nesso rigido e il controllo deterministico tra l’informazione erogata (il testo, la lezione) e l’informazione richiesta (il test, l’interrogazione) e a fare ingresso nei campi proficui delle procedure di ricerca: l’elaborazione di progetti e produzioni, la decodificazione e l’interpretazione, l’analisi e l’attribuzione di significati, l’espressione di giudizi personali entro procedure sorvegliate e legittime, la validazione di ipotesi e percorsi.
E’ un universo. Che ha bisogno urgente di una nuova scuola.

13 novembre, 2011

Passaggio


Passaggio: è il momento del cambiamento, il variare di stato, di condizione, di prospettiva. Come quando in una sinfonia si passa da una tonalità all’altra. Sentiremo altri suoni. Vedremo le stesse e altre cose in una scena cambiata e in un’atmosfera mutata. Ieri B. ha attraversato Piazza del Quirinale tra i fischi. I clacson hanno suonato a festa: “e da quel suon diresti che il cor si riconforta”. Ma non è una liberazione e non è ancora finita questa storia. Può esserci una bruttissima musica o una musica necessariamente molto seria. Al contempo, è stato rimosso un peso grandissimo, un impedimento che interrompeva ogni strada futura e che ci ha angosciato ogni giorno nel quotidiano dell’anima oltre che nelle relazioni sociali e nell’ecomomia reale. Nel passaggio della vicenda comune non è male ragionare ad alta voce. Con gli altri e più del solito. Ragionare e non aderire e semplificare. Cosa non facile, opera incerta. Con molti dubbi.

Giustino Fortunato
Un po’ la crisi mostra meglio le cose; le distilla.
La crisi politica nasce dall’economia oltre che dal logoramento della politica degli ultimi tempi. E’ il segno di una mancata autonomia e di una marcata incapacità della politica. La roba economica non è una macchinazione, non si tratta di un trucco.
Il capitale e i suoi cicli determinano le cose, spingono alle scelte, soprattutto nei passaggi più critici. La crisi della finanza oggi punisce l’Italia per il suo debito abnorme e per le sue debolezze specifiche e la grave stagnazione economica europea e italiana sono cose vere. Poi determina anche e accellera la vicenda politica. Ma non accettare il dato di fatto di dover dare risposte alla situazione economica con un nuovo assetto della politica, con un senso della straordinarietà della situazione vuole dire fingere di non capire la portata concreta delle cose, il peso del debito e i pericoli effettivi delle speculazioni, della concorrenza accanitissima, della forte recessione che è in atto.
Chi, a sinistra, fa questo errore e continua in giocarelli di bottega non vuole proprio capire; chi, poi, racconta che il default vero e proprio è cosa gestibile sottovaluta colpevolmente il fatto che il peggio davvero non è mai morto in questi casi.

09 novembre, 2011

Italian politics


Squilla il cellulare. “Can you explane all this to me, I really can’t grasp Italian politics” – “Che sta succedendo, davvero non riesco ad afferrare la politica italiana”. Così mi dice l’informatissimo Jack, avvocato, studi in scienze politiche e amico americano.
Gli racconto che sì, mister B. si è dimesso, anche se tecnicamente è un sospeso, il Capo dello stato ha le sue prerogative, vi è un tempo intermedio…
Jack capisce fino a un certo punto: nel mondo o ti dimetti o non ti dimetti. Parto da un altro argomento, che si intreccia con quello sulle procedure e le loro italiche interpretazioni. Gli dico che l’uomo è folle. In due sensi. Continuerà manovre, dilazioni, trappole e colpi di coda. Per provare la rivincita, che è il suo demone profondo. E per ridurre i danni, salvaguardare i suoi fortilizi e interessi, da qui in avanti, anche con l’uso di un eventuale ruolo di “capo anziano” e manovratore indiscusso dell’opposizione (se vincesse l’opposizione di ora), con i suoi deputati eletti con la vecchia legge elettorale, suoi servi, nella prossima legislatura, schierati assieme alle tv per non fare toccare, neanche se perdesse le elezioni, i suoi personali lucri e potentati. Ma è folle anche nel senso che la realtà coincide con il suo sé, come Gheddafi e dunque può anche fare cose per lui non utili…
Chi governerà? – mi chiede Jack. Gli spiego del governo tecnico che se fosse vero sarebbe utile… Ma che è improbabile. E più mi avviluppo nei meandri dei nostri tatticismi, meno capisce. A un certo punto taglia corto: “What are the issues, the debt and then? What would be your political agenda… the nine (not ten) things that you think should be done?” – “Quali sono i punti di merito, il debito sì, e poi? Quale sarebbe la tua agenda politica… le nove (non dieci) cose che tu pensi che andrebbero fatte…”
Venti secondi di silenzio. Poi enumero, uno in fila all’altro i punti, come so che piace a Jack:
1. un anti-trust contro il monopolio in tutto il sistema di informazione;
2. un provvedimento anti-evasione draconiano per chi evade e premiante per imprese e cittadini virtuosi, dedicata direttamente a coprire il debito e se necessario, l’Iva sulle case, secondo ragionevole misura;
3. una patrimoniale sui grandi patrimoni per cinque anni da utilizzare per allentare la pressione fiscale su imprese e lavoro, per riportare al 2006 il budget per la scuola e per politiche contro la povertà e a sostegno dell’auto-impresa vera, per i ragazzi del Mezzogiorno in particolare;
4. l’aumento dell’età pensionabile tranne per i lavori usuranti, con maggiore flessibilità nella sua gestione e un patto tra generazioni che ridia il diritto a una vecchiaia protetta a chi entra oggi al lavoro;
5. una seria flex-security anzicché il brutale diritto di licenziare;
6. un piano di dismissioni pubbliche che contribuisca a coprire il debito ma anche a creare un fondo per valorizzare il patrimonio e difendere terriorio e ambiente;
7. il superamento del bicameralismo perfetto, il senato delle autonomie locali, la diminuzione dei parlamentari nazionali e ragionali e l’abbassamento dei loro stipendi al 10 per cento sotto la media europea;
8. una legge elettorale a doppio turno, con collegi uninominali e le primarie per legge;
9. e due diritti subito esigibili: i pat e una norma di fine vita decente.