30 dicembre, 2011

Giro di boa?

Care e cari maestri e professori,

gli anni passati a insegnare in tre diversi continenti, ma in particolare gli ultimi tre, trascorsi in giro per l’Italia, osservando, ascoltando e confrontandomi con migliaia di colleghi di ogni ordine di scuole, scuole dell’agio e del disagio, scuole per chi a scuola non va più, licei, scuole di base e centri di formazione professionale, mi hanno consegnato una sorta di carta geografica, sicuramente approssimata per difetto, ma capace, credo, di descrivere il territorio della “scuola italiana”, dove si aggira, si impegna, si misura la figura del docente.
Un po’ come Caboto, credo che questa mia mappa, per quanto migliorabile, possa guidarmi nella nuova rotta che ho intrapreso come Sottosegretario all’istruzione.
Quando ci si ferma a parlare con le donne e gli uomini che “fanno la scuola”, tra le mille differenze e le tante somiglianze, nel cahier des doléances emerge spesso la voce profonda e affaticata di noi docenti: esausti per le tante, troppe cose che si pretendono da noi. Essere psicologi, sociologi, assistenti sociali, consulenti dei genitori. Edotti di organizzazione, di didattica, della disciplina e degli spazi tra discipline. Esperti del computer e dotati di capacità manageriali. Preparati nelle nostre materie, ma attenti al territorio. Una stanchezza che fa emergere la velata nostalgia per un tempo passato, in cui fare l’insegnante era più semplice, rassicurante, soddisfacente.
Quando la nostra professionalità si fondava sulla padronanza di contenuti disciplinari molto stabili e su alcune competenze pedagogiche; su certezza del tempo (l’ora) e dello spazio (l’aula).
E’ questa la crisi d’identità emersa di fronte ai cambiamenti e alle nuove incessanti richieste educative che ricadono sulla scuola pubblica. Un’instabilità accresciuta ed aggravata dalla sempre maggiore solitudine sociale degli insegnanti, dalla mancanza di un ruolo pubblicamente riconosciuto. E dal disprezzo di alcuni “soloni” che strombazzano contro di noi senza essere mai stati in classe. E’ questa la sofferenza del nostro lavoro, nel nostro tempo attuale. Tutto questo sento che un ministro, un sottosegretario, lo debbano ricordare. Innanzitutto per dire, ripetere “grazie” a chi fa questo lavoro. Che è bello, vario, prezioso e però poco riconosciuto e mal pagato.
Ma all’inizio di questo mio incarico e all’avvicinarsi del nuovo anno, mi sento di proporre a tutti noi anche un capovolgimento dell’ottica da cui osservare le trasformazioni.
La complessità sempre maggiore delle competenze e delle conoscenze, la necessità di ridefinire e forse allargare il ruolo svolto dall’istruzione e quindi dall’insegnamento, non segnano la decadenza della nostra professione, ma la sua rigenerazione, la sua inevitabile evoluzione.
Le difficoltà che ci investono, indicano dove siamo arrivati e dove dobbiamo andare. Ed è proprio sulla rivendicazione della complessità del mestiere di insegnare che dobbiamo basare la nostra richiesta di riconoscimento sociale, e non su una malinconica nostalgia del tempo passato.
La complessità su cui dobbiamo fondarci non è tanto quella di una scuola sempre più stretta tra le complicazioni organizzative e gestionali, tra nuove materie e curricula sempre più articolati. E’ la complessità delle fasi evolutive dell’infanzia e dell’adolescenza che ci troviamo davanti, la complessità crescente del sapere che ormai sfugge ai classici confini disciplinari, la complessità dei nuovi linguaggi e delle nuove domande sociali, la difficoltà nel riconoscere sempre negli studenti la capacità di trasmetterci a loro volta saperi ed esperienze.
Tutta questa complessità rende l’insegnamento una professione fondante dell’epoca in cui viviamo. Dobbiamo esserne fieri e consapevoli. E dobbiamo imparare.
L’augurio che rivolgo a tutti noi per l’anno che viene è di rinnovare il nostro impegno per la scuola pubblica. Innanzitutto per rendere più vivibile il lavoro quotidiano degli insegnanti. Alleggerendo le scuole da troppe complicazioni burocratiche, dando finalmente fiducia ad un’autonomia progettuale delle scuole e dei gruppi docenti, garantendo un po’ di stabilità in più al sistema nel suo complesso.
In secondo luogo, auguro a voi tutti di sentirvi sostenuti nella presa in carico della crisi educativa che si riverbera giorno dopo giorno nella scuola. E auguro a noi istituzioni di saper realizzare e trasmettere questo sostegno pieno alla professione docente, alla sua capacità di rigenerarsi, trasformarsi insieme al mondo. E’ evidente che non è un intento facile e che i soldi pubblici per operare sono molto pochi .
C’è da augurarsi di non ricevere dal nuovo anno nuovi sogni irrealizzabili, ma conquiste possibili e concrete sì. Seppure in una contingenza complicata come quella attuale, auguro di cuore a tutti noi un realistico giro di boa.


27 dicembre, 2011

Napoli fra degrado e riscatto: dialogo con Giorgio Bocca

È morto Giorgio Bocca. Partigiano. E azionista. Come mio padre. E cuneese. Con un’idea del Sud forse utilmente impietosa ma ferma nel tempo. E sovente incapace di cogliere le promesse che pure nel Sud resistono, provano, fanno…
Una volta con lui ho avuto un dialogo nel merito, che proprio oggi viene ripreso da Micromega, che lo pubblicò. Ero nel bel mezzo della campagna elettorale per sindaco di Napoli. Era uscito il suo ultimo libro sul Sud, Napoli siamo noi, e la “società civile” si divideva: ha ragione, ha torto.
Oggi, nel ricordarne la grande dirittura, mi piace segnalare questo nostro dialogo. Perché è grazie alla nettezza della posizione di Bocca che si è potuto parlar chiaro tra noi.

21 dicembre, 2011

La terza buona notizia

Le prime reazioni alla proposta di riaprire i concorsi per docenti dopo 13 anni di blocco mi sembrano complessivamente buone.
Nel merito ho risposto ieri alle domande de L’Unità. Certo, sono comprensibili le preoccupazioni di chi lavora in modo precario da tanti anni, in attesa del passaggio in ruolo. Come è comprensibile la cautela sulle cifre, su cui è impossibile fare stime accurate prima che i tecnici abbiano studiato gli effetti delle nuove norme sul pensionamento.
Resta il fatto che il mondo della scuola sente con forza la necessità di dare accesso all’insegnamento a una nuova generazione. Anche nella vita capita spesso di dover tenere insieme due principi. Non per rispettare chissà quale equilibrio, ma perché in cattedra serve sia l’esperienza, sia le energie nuove. Sia la tradizione pedagogica, sia una nuova missione educativa adatta al nostro tempo. Sia carta e penna, sia computer e lavagne multimediali.
Dobbiamo anche pensare a chi ha subito anni di precariato, suo malgrado. Sono decine di migliaia di insegnanti che hanno maturato pratica ed esperienza anche in contesti difficili, bisogna tenerne conto. Per questo la metà dei posti disponibili verrà coperta dalle Graduatorie ad esaurimento. L’orizzonte a cui guardare è la stabilità sia per i docenti sia per i ragazzi. La formazione e l’aggiornamento. Non vogliamo creare false speranze o dare inizio al balletto delle cifre sui posti disponibili: il mondo della scuola è un mondo complesso e adulto. Sa quanto sia difficile oggi rimettere in moto il sistema. Ma è almeno altrettanto necessario.
I nuovi concorsi sono la terza buona notizia in pochi giorni: le altre due sono lampanti, perché per ora non si parla più di tagli. Anzi. Con il Piano Coesione si recuperano fondi per l’edilizia scolastica e la lotta alla dispersione. Proprio domani vado a parlarne con gli assessori campani.

19 dicembre, 2011

Si comincia da qui

“Aiutami a essere me stesso”. Secondo Alessandro D’Avenia, è questo che i ragazzi chiedono ogni giorno ai propri insegnanti. Essere adulti di riferimento senza diventare mai degli amici. Senza mai giudizi sprezzanti, saper ascoltare e presidiare il limite. Ne ho discusso in questa intervista, dove però ho voluto ribadire quanti insegnanti siano guide competenti per i loro studenti. È giusto riconoscerlo, perché chi ogni mattina si sveglia, e per uno stipendio poco superiore a quello di un operaio, si occupa dei nostri figli in un contesto mutato, molto più complesso che nel passato, merita un riconoscimento. Ci stiamo lavorando, anche se forse non sarà possibile un aumento di stipendio, non subito. E stiamo lavorando per portare la scuola nell’era contemporanea. Tutte le più importanti indagini sul confronto tra i risultati scolastici in Italia e in Europa mettono in evidenza i divari preoccupanti tra Nord e Sud, e tra scuola e scuola. Sono queste differenze troppo forti, le opportunità diseguali dei nostri ragazzi a rallentare tutto il sistema e a creare ingiustificabili discriminazioni. Il  Piano Azione e Coesione si occupa anche di questo: l’istruzione, il suo primo capitolo, ha un posto centrale. Si prevede quasi un miliardo di nuovi finanziamenti che si sommano a due miliardi di fondi europei non ancora spesi dalle quattro Regioni del Sud. Il Piano si prefigge di fornire computer collegati a Internet e lavagne multimediali nel 54% delle scuole del Sud.  Riqualificare gli edifici scolastici nel 43%. Innalzare i livelli dell’apprendimento dei ragazzi con i risultati scolastici meno soddisfacenti. Promuovere e sostenere i percorsi formativi che limitano e prevengono la dispersione scolastica.
Queste non sono belle parole, ma investimenti concreti sulla scuola pubblica. Sono segni meno, che diventano segni più. Più risorse per la scuola, più fiducia nel sistema e nei professori, più inclusione e opportunità per i ragazzi. E’ da qui che si comincia.

16 dicembre, 2011

Pensare di più

Veniamo da anni orribili, per quanto riguarda fatti, linguaggi e messaggi di chiusura, odio e paura per gli altri. Sì, gli altri. Perché siamo tutti uguali e, per fortuna, diversi. Eppure pare che ce ne siamo dimenticati. Che abbiamo digerito senza tanti problemi le immagini dei barconi a fondo a largo di Lampedusa, le notizie di pestaggi, caccia alle streghe contro immigrati e rom nelle nostre città- l’ultima di queste proprio in questi giorni, a Torino (due anni e mezzo fa, a Ponticelli) . Pensando a quel che è accaduto a Firenze, mi viene in mente che ha ragione Adriano Sofri quando chiede di non appellarci alla follia per spiegare i fatti. Nell’essere contro gli altri in modo estremo, certo, c’è sempre un “tratto di follia”- Una follia specifica- la paranoia. La follia non può essere negata, ma non aiuta a capire, a guardare oltre la superficie, a ragionare sul collettivo, sulla comunità in cui matura e poi esplode il gesto tremendo.

Ed è troppo facile spiegare il tutto con le categorie degli estremi: estrema destra, in questo caso.
In Italia c’è un humus razzista che si riproduce tra antichi pregiudizi e una nuova paura di fronte alla crisi economica globale e anche al “senso di retrocessione” del Paese a confronto con i vicini europei. Alla paura più antica del mondo, quella del diverso da noi, si somma il senso di vertigine per una caduta che ci allontana dall’Europa e forse evoca dentro ciascuno il fantasma di essere schiacciati contro l’altra sponda del Mediterraneo, proprio là da dove arrivano i disperati e diversi. Le paure prendono strade loro proprie: “Non è che chi arriva cerca futuro e noi qui lo stiamo perdendo?”. I gesti tremendi sono frutto di follia e di perfidi convincimenti- ideologie malate e orrende. Che salgono come rigurgiti dal “secolo breve”. Ma sono anche nutriti dalla paura.

Casapound è espressione di questo humus: luoghi in cui condividere ed esprimere la predica fanatica e il linguaggio dell’odio, contro le banche, la finanza, le razze “nemiche”.Luoghi della paura e delle semplificazioni che servono a rimuoverla. Scrivevo qui della necessità di entrare nelle sedi di Casapound per aprire un dialogo, per quanto difficile. Chiedevo anche che quelle sedi si aprissero per moto proprio. Sono ancora convinto di quel che affermavo. Ma oggi Casapound deve scusarsi. Non basta dichiarare folle un loro militante oggi omicida, né incontrare la comunità senegalese, seppure sia un gesto apprezzabile. Sarebbe il momento per loro di aprire una seria riflessione sui linguaggi e sui messaggi. Accettare la complessità del mondo in cui viviamo. E aprire un dialogo, per quanto le posizioni di partenza siano lontane fra loro. Questo Paese ha bisogno di una riflessione profonda sui diritti dell’uomo e sui principi fondanti della comunità. Fatti come quello di Firenze non possono semplicemente essere archiviati con la retorica dei buoni sentimenti, nell’assenza della politica e nella semplificazione mediatica. Occorre pensare e discutere. Molto di più. Pensare a quali parole, occasioni, esperienze servono per guardare diversamente, sì agli altri, ma innanzitutto a noi stessi.

15 dicembre, 2011

Istantanee

Sanzioni disciplinari come per l’hockey: per punire un’infrazione grave, si va in panchina per un breve tempo in cui accogliere la regola e poi di nuovo in classe, dopo aver riflettuto e svolto qualche attività “riparatrice”. Lunedì il Corriere della Sera ha riportato quello che penso sulle sospensioni degli studenti. Se ne è parlato ben più ampiamente nel convegno della rete Context tenuto a Trento. Martedì Giorgio Israel mi risponde sul Giornale, definendo allarmanti le mie idee e dandomi del “tecno-buonista”. Credo nel ruolo educativo della sanzione, a patto che non sia una scusa comoda per restare a casa a dormire.

Poi in serata a Genova, per parlare con Cesare Moreno e Andrea Ranieri di lotta alla dispersione scolastica. Ho incontrato alcune maestre che qualche settimana fa hanno portato in salvo dall’acqua qualche centinaio di alunni: l’acqua scendeva da un lato dell’edificio, giù per le scale, dal tetto che dava sul lato del fiume in esondazione. Hanno messo i bimbi in fila. Controllato che le altre scale fossero sicure. E sono andati in cima all’ala opposta, ancora sicura. In pochissimi minuti. Sono situazioni complesse. Sono da valutare anche queste.

Gli insegnanti hanno tanti dubbi e poca fiducia nel Governo, ed è su questo che occorre fare subito qualcosa. Primo, cambiare il nostro linguaggio e abbandonare il nostro atteggiamento giudicante.
Davvero, non è facile far scuola tutti i giorni. Il rispetto per chi svolge un ruolo difficile, complesso e prezioso è la precondizione per poter migliorare questo bel lavoro.

Martedì notte ho partecipato a Crash, una trasmissione del canale educativo della Rai: abbiamo discusso di inclusione, integrazione e apprendimento. Su Rai Educational il video; le repliche in TV a partire da Domenica, ore 23 su Rai Storia.

Queste sono alcune fotografie istantanee degli ultimi giorni: tante cose affollano il mio nuovo incarico. Posso soltanto cercare di elencarle in modo breve e un po’ didascalico, quando trovo il tempo. E non dimenticare nessuno. Perché ogni aspetto di questa responsabilità ha la sua importanza.

11 dicembre, 2011

Muoversi

C'è da insistere sul cambiare, in meglio, la scuola.
La sua funzione pubblica è difendibile solo se migliora, se sta sull'agenda vera. Venerdì su questo è uscita una mia intervista a Repubblica Napoli. Sabato mattina sono stato con il ministro a Napoli, ho incontrato il presidente della Campania, Caldoro e il sindaco di Napoli, de Magistris.
Si è parlato di cose concrete: ottimizzare l'uso dei pochi soldi che ci sono per ricerca e università, rimettere in moto un po' di soldi per l'edilizia scolastica, partire da ciò che funziona e migliorarlo, aggredire povertà minorile e dispersione scolastica.
La strada non è facile ma è ora di muoversi, dare segnali, presto. Poi bisogna vigilare che le cose vengano attuate e sui tempi. Muoversi.

04 dicembre, 2011

Un po' sottosegretario

Eccomi qui finalmente. Scusate.

Ho letto tutti i vostri commenti, come ho letto gli sms e le email. Tanti, che mi sono arrivati in questi giorni di frenetico lavoro, inatteso e di cui mi sento onorato.
Grazie. capisco che le attese sono tante, anche io le ho. Ma la situazione è veramente difficile, il tempo è poco.
Capisco che bisogna concentrarsi sulle cose possibili e essenziali. Perché sotto sotto sono anche un po' sottosegretario.
Direi così: nessun ulteriore taglio al budget della scuola (se la manovra non lo intacca, sarà già un buon segnale), riprendere la strada dell'autonomia delle scuole e ascoltarle. E poi pensare ai ragazzi, a come e se imparano e a quelli che partono con meno.

Proverò a raccontare, di questo e anche di alcune cose divertenti che accadono a uno come me. Ancora grazie