La vicenda degli sprechi nelle neonate municipalità (vicenda antica ma esposta finalmente ai cittadini solo grazie all’azione del consigliere di municipalità di Decidiamo Insieme Norberto Gallo che ha sollevato il coperchio, unico tra i trecento consiglieri di ogni parte politica) e poi del costo pauroso delle società miste in Campania, spesso o inutili o dannose, ci ricordano il problema centrale della responsabilità della politica in ogni scandalo nella gestione della cosa pubblica. E’ questo il senso delle rinate puntuali campagne di stampa che troviamo sulle pagine locali, per un lungo periodo abituate alla lode o alla ossequiosa e garbata osservazione una tantum. Prendete una qualsiasi pagina napoletana di Repubblica di uno o due anni fa e quelle di oggi: sono due diversi mondi. Si annuncia una nuova stagione. E tale stagione implica la indicazione delle responsabilità politiche.
In altre parole è vero – qui come negli Stati Uniti o in Kenya o in Spagna o in Argentina ecc. ecc. - quel che diceva Pasolini: chi governa è responsabile in primis, che abbia o no responsabilità diretta in singoli episodi o vicende, che abbia o no ragionevoli attenuanti. Quando, ai suoi tempi, parlava di processare la DC non intendeva se non questo: al di là della vittoria elettorale, che va sempre riconosciuta, nelle vicende di cattiva gestione delle pubbliche risorse, si rende necessario anche un civile dito puntato contro chi, a furia di amministrare male, porta sciagura alla cosa pubblica. Uno studioso attento della funzione e della degenerazione della politica in Campania come Percy Allum dice – a tal proposito - sull’ultimo numero dell’Espresso che ancora oggi il modello di chi è al potere a Napoli e in Campania ha i tratti che egli aveva studiato nel periodo di Gava. Se, poi, allo sperpero delle risorse, colposo o colpevole che sia, si aggiungono i grandi temi della quotidianità che non rende possibile il vivere civile – non sapere gestire i nostri rifiuti in modo responsabile e razionale, non sapere contrastare il crimine che nega di fatto i diritti fondamentali alla sicurezza e alla libertà, non dare speranza ai giovani e a chi sta peggio – beh, allora, oltre alla difesa del denaro pubblico c’è il tema della funzione stessa della politica come leva per salvaguardare e migliorare la vita da una generazione all’altra. Insomma: nella crisi napoletana e campana che oggi torna prepotente su tutti i media nazionali, vi è comunque il segno sicuro che gli ultimi 15 anni di esperienza politica di centro-sinistra hanno portato a un vicolo cieco e tradito ogni promessa.
E questo è. Ben oltre le difficoltà obiettive che noi tutti riconosciamo e i compiti complessi.
E questo significa un’altra cosa. Da parte di questo gruppo dirigente di centro-sinistra la candidatura alla guida politica del risanamento e del riscatto è improponibile. Si sta aprendo, infatti, la stagione della constatazione dei danni a cui va affiancata la stagione delle alternative di metodi e di uomini e donne. Queste stagioni, in politica, sono interdette a chi i danni ha contribuito a farli.
30 ottobre, 2006
24 ottobre, 2006
Povertà, democrazia, scuola
Ho riguardato con cura i dati sulla povertà relativa in Italia e nella nostra regione e città.
Mi occupo di povertà da anni perché un indicatore importante del fatto che la scuola pubblica assolva alla sua primaria funzione, in un qualsiasi paese del mondo – secondo tutti i documenti ONU e tutti gli studi - risiede nel fatto che vi sia mobilità sociale ossia che i figli di operai o disoccupati o contadini o impiegati abbiano la scelta di fare cose diverse dai propri genitori e guadagnare anche meglio, che abbiano, dunque, scelte disponibili e opportunità tendenzialmente sempre più uguali agli altri cittadini più fortunati. Si tratta della scuola nella sua funzione di leva per la “discriminazione positiva” che è quella cosa per la quale si dà di più a chi parte svantaggiato e si evita di perpetuare l’ineguaglianza dando cose standard e uguali a persone in condizioni di partenza non uguali. Per i giovani cittadini in crescita questa possibilità di emancipazione dalla condizione di partenza grazie alla scuola pubblica è internazionalmente considerato anche un indicatore di democraticità della società perché è acclarato che maggiore sapere facilita cittadinanza e possibilità partecipative che, a loro volta, nella società della conoscenza, favoriscono competenza deliberativa a livello locale e nazionale. Democrazia e mobilità sociale verticale sono tra loro legate e hanno origine in un buon sistema scolastico pubblico. E il primo passo in questa direzione sta nella possibilità che un figlio o figlia di poveri, grazie alla scuola, non riproduca la condizione di partenza ma, invece, esca dallo stato di povertà.
Chi è un povero oggi in Italia? Si considera povera una famiglia di due persone che vive con meno di 936,58 euro al mese. Si ottiene questa cifra moltiplicando la spesa media pro-capite nel Paese per un coefficiente che calcola le ottimizzazioni ed è al contempo legato al numero dei membri della famiglia. Così un single è povero se guadagna meno di 561,95 euro al mese mentre una famiglia di quattro persone lo è sotto i 1.526,63 euro al mese.
Ebbene. La povertà relativa riguarda l’11,1% della famiglie italiane, ben 7.577.000 persone che sono il 13,1% dell’intera nostra popolazione. La percentuale aumenta per le famiglie con 1 lavoratore dipendente, per quelle con più persone in cerca di occupazione, per le donne sole e per famiglie più numerose, tanto che la percentuale di poveri ragazzi e bambini è maggiore della media. Ma attenzione: quasi tutti questi fattori trovano i picchi al Sud e si tratta, negli ultimi 2 anni, del 24% - 25% della famiglie meridionali – 1 su 4 ! – che sono povere nel Mezzogiorno. Ciò a fronte del 6,0% - 7,3% delle famiglie del Centro dell’Italia e del 4,5% – 4,7% delle famiglie del Nord. Inoltre la percentuale è sostanzialmente ferma per il Centro, è in lieve diminuzione per il Nord ma aumenta, invece, di circa 3 punti percentuali al Sud e l’intensità di povertà – il quanto si è sotto quella soglia – è ben più elevata a Sud.
La situazione in assoluto più grave è quella della Campania dove il 27% delle famiglie è povera e in costante aumento. E, entro la Campania, i picchi della crisi sono le zone metropolitane della Provincia di Napoli e, in modo esponenziale, le periferie e i quartieri interni della città di Napoli in particolare. Se si incrociano questi dati con quelli relativi a disattesa scolastica e fallimento formativo vi è piena corrispondenza: nelle aree territoriali di massima povertà aumenta il fallimento scolastico.
Inoltre la mobilità sociale verticale in Italia è sostanzialmente ferma, in generale, da circa 15 anni ed è chiaramente peggiorata dal periodo 1960- 1980. Allora i figli di operai e braccianti avevano più possibilità di emanciparsi e migliorare di quanto non lo abbiano oggi i figli di operai, impiegati e poveri a lavoro precario. E’ una situazione estrema tra i paesi sviluppati. La mancata mobilità sociale verticale è, poi, letteralmente precipitata nel Sud, in Campania e nell’area di Napoli in modo ancor più grave che altrove. E ciò spiega largamente la ripresa dell’emigrazione interna dalle nostre zone verso il Centro- Nord. La scuola italiana è dunque tra quelle meno capaci di favorire emancipazione, è una scuola più “di classe” delle altre dei cosiddetti paesi sviluppati ed è più “di classe” oggi che ai tempi di Don Milani. Non promette molto ai soggetti più deboli in termini di conoscenze e possibilità di lavoro futuro, non favorisce i processi democratici nella società della conoscenza per chi ne è fuori alla nascita, immette pochi ragazzi più esclusi nei processi di orientamento e nel mercato del lavoro locale, intercetta poco la fascia in assoluto più debole della popolazione adolescenziale che è quella che non termina o termina a stento gli 8 anni di obbligo, consente pochissima formazione continua nelle diverse età della vita in generale e per chi non l’ha fatta prima. Tutti questi indicatori sono ancor più marcati in Campania e a Napoli.
Non tutto dipende dalla scuola e un miglioramento della scuola senza strategie di sviluppo equilibrato sarebbe una politica monca. Tuttavia la scuola deve cambiare. E solo se cambia conserva la sua ragione d’essere. Altrimenti serve per dare buona scuola pubblica quasi gratis a chi ne ha meno bisogno – come acutamente osservava Domenico Starnone qualche anno fa. Questa constatazione significa porsi il problema di cosa cambiare nel modo di fare scuola a favore dell’apprendimento, coinvolgimento e sostegno maggiore ai ragazzi. Qual è la direzione per ritrovare la missione primaria della scuola? Non è facile indicare gli indirizzi. Ma alcune cose sono evidenti. Se i cambiamenti implicano più soldi ai docenti ma anche una trasformazione radicale nel modo di essere docenti in termini di reale maggiore libertà e di maggiore diretta responsabilità sull’organizzazione scolastica e sui processi di apprendimento si va nella direzione giusta. Se si superano le logiche di brutale standardizzazione dei processi di apprendimento a scuola (stesse lezioni, stessi compiti, stessi assetti didattici a tutti) a favore di un sistema misto che salvaguardi cose comuni ma sappia anche differenziare per dare di più o diverso a chi ne ha bisogno si va nella direzione giusta. Se si applica il principio “uguale salario a uguale lavoro” (tanto per usare la formula classica che fu addirittura di Marx ed Engels) e si abbandona la pretesa di dare “uguale salario a tutti” si va nella direzione giusta. Se i soldi vanno a premiare chi sta con i ragazzi e promuove innovazione, al contempo, ma come gruppo di docenti e non come singolo si va nella direzione giusta. Se si smontano le burocrazie e il delirio aziendalista, per di più anacronistico anche nelle aziende, a favore di vera autonomia scolastica per la quale le scuole rispondono al territorio del loro lavoro e concordano le modalità entro le quali possa avvenire una valutazione partecipata e premiano il protagonismo dei gruppi docenti organizzati come comunità di pratiche d’accordo con i dirigenti si va nella direzione giusta. Se si accoglie l’emergenza campana e napoletana e di altre aree di grave crisi nel Mezzogiorno e si dà sostegno straordinario alle buone cose ordinarie che si fanno ogni giorno a scuola e alle azioni che combattono la dispersione scolastica di massa si va nella direzione giusta. Se si premiano le innovazioni che funzionano si va nella direzione giusta. E’ questo di cui si deve discutere. Si tratta di una battaglia difficile e lunga che è “di democrazia”.
Non mi pare che oggi dalle nostre parti si intenda la politica come discussione di merito su queste cose.
Mi occupo di povertà da anni perché un indicatore importante del fatto che la scuola pubblica assolva alla sua primaria funzione, in un qualsiasi paese del mondo – secondo tutti i documenti ONU e tutti gli studi - risiede nel fatto che vi sia mobilità sociale ossia che i figli di operai o disoccupati o contadini o impiegati abbiano la scelta di fare cose diverse dai propri genitori e guadagnare anche meglio, che abbiano, dunque, scelte disponibili e opportunità tendenzialmente sempre più uguali agli altri cittadini più fortunati. Si tratta della scuola nella sua funzione di leva per la “discriminazione positiva” che è quella cosa per la quale si dà di più a chi parte svantaggiato e si evita di perpetuare l’ineguaglianza dando cose standard e uguali a persone in condizioni di partenza non uguali. Per i giovani cittadini in crescita questa possibilità di emancipazione dalla condizione di partenza grazie alla scuola pubblica è internazionalmente considerato anche un indicatore di democraticità della società perché è acclarato che maggiore sapere facilita cittadinanza e possibilità partecipative che, a loro volta, nella società della conoscenza, favoriscono competenza deliberativa a livello locale e nazionale. Democrazia e mobilità sociale verticale sono tra loro legate e hanno origine in un buon sistema scolastico pubblico. E il primo passo in questa direzione sta nella possibilità che un figlio o figlia di poveri, grazie alla scuola, non riproduca la condizione di partenza ma, invece, esca dallo stato di povertà.
Chi è un povero oggi in Italia? Si considera povera una famiglia di due persone che vive con meno di 936,58 euro al mese. Si ottiene questa cifra moltiplicando la spesa media pro-capite nel Paese per un coefficiente che calcola le ottimizzazioni ed è al contempo legato al numero dei membri della famiglia. Così un single è povero se guadagna meno di 561,95 euro al mese mentre una famiglia di quattro persone lo è sotto i 1.526,63 euro al mese.
Ebbene. La povertà relativa riguarda l’11,1% della famiglie italiane, ben 7.577.000 persone che sono il 13,1% dell’intera nostra popolazione. La percentuale aumenta per le famiglie con 1 lavoratore dipendente, per quelle con più persone in cerca di occupazione, per le donne sole e per famiglie più numerose, tanto che la percentuale di poveri ragazzi e bambini è maggiore della media. Ma attenzione: quasi tutti questi fattori trovano i picchi al Sud e si tratta, negli ultimi 2 anni, del 24% - 25% della famiglie meridionali – 1 su 4 ! – che sono povere nel Mezzogiorno. Ciò a fronte del 6,0% - 7,3% delle famiglie del Centro dell’Italia e del 4,5% – 4,7% delle famiglie del Nord. Inoltre la percentuale è sostanzialmente ferma per il Centro, è in lieve diminuzione per il Nord ma aumenta, invece, di circa 3 punti percentuali al Sud e l’intensità di povertà – il quanto si è sotto quella soglia – è ben più elevata a Sud.
La situazione in assoluto più grave è quella della Campania dove il 27% delle famiglie è povera e in costante aumento. E, entro la Campania, i picchi della crisi sono le zone metropolitane della Provincia di Napoli e, in modo esponenziale, le periferie e i quartieri interni della città di Napoli in particolare. Se si incrociano questi dati con quelli relativi a disattesa scolastica e fallimento formativo vi è piena corrispondenza: nelle aree territoriali di massima povertà aumenta il fallimento scolastico.
Inoltre la mobilità sociale verticale in Italia è sostanzialmente ferma, in generale, da circa 15 anni ed è chiaramente peggiorata dal periodo 1960- 1980. Allora i figli di operai e braccianti avevano più possibilità di emanciparsi e migliorare di quanto non lo abbiano oggi i figli di operai, impiegati e poveri a lavoro precario. E’ una situazione estrema tra i paesi sviluppati. La mancata mobilità sociale verticale è, poi, letteralmente precipitata nel Sud, in Campania e nell’area di Napoli in modo ancor più grave che altrove. E ciò spiega largamente la ripresa dell’emigrazione interna dalle nostre zone verso il Centro- Nord. La scuola italiana è dunque tra quelle meno capaci di favorire emancipazione, è una scuola più “di classe” delle altre dei cosiddetti paesi sviluppati ed è più “di classe” oggi che ai tempi di Don Milani. Non promette molto ai soggetti più deboli in termini di conoscenze e possibilità di lavoro futuro, non favorisce i processi democratici nella società della conoscenza per chi ne è fuori alla nascita, immette pochi ragazzi più esclusi nei processi di orientamento e nel mercato del lavoro locale, intercetta poco la fascia in assoluto più debole della popolazione adolescenziale che è quella che non termina o termina a stento gli 8 anni di obbligo, consente pochissima formazione continua nelle diverse età della vita in generale e per chi non l’ha fatta prima. Tutti questi indicatori sono ancor più marcati in Campania e a Napoli.
Non tutto dipende dalla scuola e un miglioramento della scuola senza strategie di sviluppo equilibrato sarebbe una politica monca. Tuttavia la scuola deve cambiare. E solo se cambia conserva la sua ragione d’essere. Altrimenti serve per dare buona scuola pubblica quasi gratis a chi ne ha meno bisogno – come acutamente osservava Domenico Starnone qualche anno fa. Questa constatazione significa porsi il problema di cosa cambiare nel modo di fare scuola a favore dell’apprendimento, coinvolgimento e sostegno maggiore ai ragazzi. Qual è la direzione per ritrovare la missione primaria della scuola? Non è facile indicare gli indirizzi. Ma alcune cose sono evidenti. Se i cambiamenti implicano più soldi ai docenti ma anche una trasformazione radicale nel modo di essere docenti in termini di reale maggiore libertà e di maggiore diretta responsabilità sull’organizzazione scolastica e sui processi di apprendimento si va nella direzione giusta. Se si superano le logiche di brutale standardizzazione dei processi di apprendimento a scuola (stesse lezioni, stessi compiti, stessi assetti didattici a tutti) a favore di un sistema misto che salvaguardi cose comuni ma sappia anche differenziare per dare di più o diverso a chi ne ha bisogno si va nella direzione giusta. Se si applica il principio “uguale salario a uguale lavoro” (tanto per usare la formula classica che fu addirittura di Marx ed Engels) e si abbandona la pretesa di dare “uguale salario a tutti” si va nella direzione giusta. Se i soldi vanno a premiare chi sta con i ragazzi e promuove innovazione, al contempo, ma come gruppo di docenti e non come singolo si va nella direzione giusta. Se si smontano le burocrazie e il delirio aziendalista, per di più anacronistico anche nelle aziende, a favore di vera autonomia scolastica per la quale le scuole rispondono al territorio del loro lavoro e concordano le modalità entro le quali possa avvenire una valutazione partecipata e premiano il protagonismo dei gruppi docenti organizzati come comunità di pratiche d’accordo con i dirigenti si va nella direzione giusta. Se si accoglie l’emergenza campana e napoletana e di altre aree di grave crisi nel Mezzogiorno e si dà sostegno straordinario alle buone cose ordinarie che si fanno ogni giorno a scuola e alle azioni che combattono la dispersione scolastica di massa si va nella direzione giusta. Se si premiano le innovazioni che funzionano si va nella direzione giusta. E’ questo di cui si deve discutere. Si tratta di una battaglia difficile e lunga che è “di democrazia”.
Non mi pare che oggi dalle nostre parti si intenda la politica come discussione di merito su queste cose.
16 ottobre, 2006
Ci si può credere o no
Stavolta un po' di risposte a chi viene e commenta.
Giovanna: con "yé-yé" non volevo intendere “paperetta” bensì “di grido”. E comunque se è percepito come offensivo me ne scuso. Ma il punto è – ci crediate o no – che io sono preoccupato quando vi è il rischio che un qualsiasi lavoro collettivo viene rappresentato al singolare e quando la dimensione eroica può nascondere la complessità del lavoro reale a favore dell’ inclusione sociale delle giovani persone in crescita. Chi mi conosce nel lavoro sa, Giovanna, che, come tutti, commetto una montagna di errori e ho molti difetti… ma non quelli che sospetti tu. E forse hai ragione che sono presuntuoso ma non per quello che dici tu ma perché si dovrebbe prima vedere il prodotto e poi criticarlo e io, invece, ho esternato preventivamente la mia perplessità e forse non va proprio bene. Comunque grazie per le osservazioni.
Trovo ottima l’idea di Federico sull’associazione soprattutto perché penso che le persone che si mettono in gioco su un progetto di impegno civico oggi a Napoli fanno una cosa santa e che le strade per farlo sono le più diverse e possono apprendere le une dalle altre. Forse Roberto Saviano si può rintracciare ma non così, per evidenti ragioni di sicurezza. E, a tal proposito, voglio ricordare l’appello per non lasciare Roberto solo, che sta girando e che sta anche sul sito www.decidiamoinsieme.it e a cui penso si debba dare grande seguito.
Giovanna Grimaldi pone la questione di una più seria informazione da raccogliere sugli sprechi. Credo che Decidiamo Insieme ci stia già lavorando; so che oggi Norberto Gallo mi ha mandato alcuni dati, che Daniela Lepore è andata a vedere i siti delle municipalità di altre città italiane. Propongo una commissione a termine o gruppo volontario che costruisca un libro bianco su questa cosa, capace, da un lato, di denunciare ma, dall’altro, anche di proporre soluzioni. Nel mio piccolo, in un articolo su la Repubblica sulle municipalità (si può leggere insieme ad altri nella rassegna stampa su Decidiamo Insieme) ho provato a muovermi in questa duplice direzione anche grazie ad alcuni preziosi suggerimenti di Monica Tavernini. Una commissione che giri, che chieda ai cittadini, che proponga come fare un decentramento partecipativo, prendendo suggerimenti anche da altre città, contenendo le spese e soprattutto rendendole funzionali.
E ho deciso di rispondere più lungamente a chi si firma quella di rif.(ex) che è la persona che mi ha attaccato in modo più forte. Alcuni amici dicono che non devo rispondere alle lettere offensive ma io non sono d’accordo. Perché penso che il clima in città vada svelenito e che si debba e possa poter parlare tra persone per quello che fanno, che pensano, che dicono. Nel merito.
Precari: sono assolutamente d’accordo con quanto l’anonima di rif. (ex) dice sullo scandalo del precariato. E ho risposto esattamente in tal senso alla intervistatrice di la Repubblica il 10 ottobre, semplicemente riportando quanto è scritto nella Legge finanziaria e quanto in più circostanze - e contro gli attacchi della destra, quella vera, e anche contro la volontà di tagli ben più massicci da parte del Ministero dell’Economia - il ministro Fioroni ha detto in queste ultime settimane: i precari devono tutti essere assunti e messi in grado di svegliarsi la mattina e andare a lavorare con tranquillità… Il ministro ha, su questo tema, una posizione molto seria. Infatti si tratta dell’assunzione di 150.000 insegnanti precari. E finalmente, aggiungo!!! Nessun governo ci aveva mai pensato seriamente. E tanto meno in periodi di “vacche magre”. Se rif. (ex) rilegge l’intervista con temperanza noterà che questo dice il mio virgolettato e che poi riporto quanto deciso dal governo… ossia che non si vogliono fare gli errori del passato e che non si creerà altro precariato perché si accederà all’insegnamento per concorso con graduatorie che scadranno dopo due anni in modo da evitare proprio la sofferenza del precariato e per non creare nuove illusioni, una volta sanata, però, la situazione entro il 2010. Aggiungo che in queste settimane si sta facendo uno screening di verifica che ha il compito di mettere in ordine i dati stessi sul numero dei precari che – altra mancanza scandalosa – non conosciamo con certezza come dovremmo. Per fare un solo esempio: si sta verificando che molte migliaia di persone ancora risultano precari perché la legge non prevede che se entri di ruolo in una graduatoria sei fuori dalle altre o almeno devi scegliere. Così, rispetto alle cifre complessive sul precariato, vi è una quota parte, da accertare, che è in realtà già di ruolo perché assunta in una classe di concorso diversa da quella per la quale si è stati considerati e dunque contati come precari. Insomma, io leggo e riporto dalle proposte di legge e dalle dichiarazioni ufficiali che si sta lavorando – l’amministrazione e anche il sindacato - per mettere ordine nei numeri, procedere alle assunzioni evitando esclusioni e per chiudere bene questa terribile storia del precariato in Italia, facendo entrare di ruolo i colleghi con cui abbiamo lavorato fianco a fianco. A riprova voglio ricordare che il giorno 18 settembre, durante una trasmissione televisiva RAI 3 – se ne può chiedere la registrazione - ho condiviso queste posizioni pubblicamente con una collega del coordinamento nazionale dei precari della scuola.
Allora… con calma. Mi dispiace che di fronte a questi problemi e alla chiarezza della mia posizione che, nel metodo, riportava quanto scritto in Finanziaria e nel merito sosteneva l’assunzione di tutti gli attuali precari, mi si debba accusare di dire l’esatto contrario di ciò che io ho detto più volte e pubblicamente. Mi dispiace perché è un metodo – ripetere il falso e alla fine qualcuno ci crederà - che purtroppo, in buona o cattiva fede, è usato in politica troppo spesso e che, però, ha avuto dei teorizzatori nel secolo scorso i cui nomi fanno tremare i polsi.
E, in aggiunta, mi dispiace che ci si debba esprimere con tanto astio e, sempre protetti dall’anonimato, che si debba offendere il mio lavoro passato o presente, cosa che personalmente non faccio con nessuno – anche quando sono in forte disaccordo - e che non mi piace subire perché credo che una persona che lavora alle volte fa bene e altre no e per ragioni sempre alquanto complesse ma che abbia il diritto di essere rispettato come persona e come lavoratore. Lo dico per l’ennesima volta e mi ci soffermo così a lungo perché trovo davvero che il clima della città stia facendo saltare anche il minimo buon senso e rispetto per il metodo democratico e per l’altro da sé in quanto altro. Si può polemizzare anche con durezza ma nel merito di quel che l’altro dice e non di quello che non ha mai detto e nel rispetto comunque del lavoro e della dignità delle persone. Sempre. Poi se rif. (ex) mi vuole venire a trovare nel mio nuovo lavoro o vuole informarsi su come ho lavorato a scuola e per quanto e fino a quando prima di Chance o a Chance o su come sono entrato nella scuola o su come nella mia famiglia – altra cosa che penso si debba tenere rispettosamente fuori dalle mischie - s’intendeva e s’intende il percorso verso il lavoro e la eticità dello stesso o se intende capire su cosa sono effettivamente esperto e perché o su cosa non sono affatto esperto, beh – ci si può credere o no - a me farebbe vero piacere poterne parlare con misura con rif. (ex), pubblicamente o prendendo un caffè. Mi può scrivere una lettera al mio indirizzo privato che trova sull’elenco telefonico.
Insomma, ben al di là di un commento a un post, si deve cambiare metodo oggi a Napoli. Altrimenti la politica – nel senso di preoccupazione propositiva per la città – muore. Parlare, riconoscersi reciprocamente anche se a fatica, litigare con rispetto e magari scoprire che su delle cose si è finanche d’accordo.
Giovanna: con "yé-yé" non volevo intendere “paperetta” bensì “di grido”. E comunque se è percepito come offensivo me ne scuso. Ma il punto è – ci crediate o no – che io sono preoccupato quando vi è il rischio che un qualsiasi lavoro collettivo viene rappresentato al singolare e quando la dimensione eroica può nascondere la complessità del lavoro reale a favore dell’ inclusione sociale delle giovani persone in crescita. Chi mi conosce nel lavoro sa, Giovanna, che, come tutti, commetto una montagna di errori e ho molti difetti… ma non quelli che sospetti tu. E forse hai ragione che sono presuntuoso ma non per quello che dici tu ma perché si dovrebbe prima vedere il prodotto e poi criticarlo e io, invece, ho esternato preventivamente la mia perplessità e forse non va proprio bene. Comunque grazie per le osservazioni.
Trovo ottima l’idea di Federico sull’associazione soprattutto perché penso che le persone che si mettono in gioco su un progetto di impegno civico oggi a Napoli fanno una cosa santa e che le strade per farlo sono le più diverse e possono apprendere le une dalle altre. Forse Roberto Saviano si può rintracciare ma non così, per evidenti ragioni di sicurezza. E, a tal proposito, voglio ricordare l’appello per non lasciare Roberto solo, che sta girando e che sta anche sul sito www.decidiamoinsieme.it e a cui penso si debba dare grande seguito.
Giovanna Grimaldi pone la questione di una più seria informazione da raccogliere sugli sprechi. Credo che Decidiamo Insieme ci stia già lavorando; so che oggi Norberto Gallo mi ha mandato alcuni dati, che Daniela Lepore è andata a vedere i siti delle municipalità di altre città italiane. Propongo una commissione a termine o gruppo volontario che costruisca un libro bianco su questa cosa, capace, da un lato, di denunciare ma, dall’altro, anche di proporre soluzioni. Nel mio piccolo, in un articolo su la Repubblica sulle municipalità (si può leggere insieme ad altri nella rassegna stampa su Decidiamo Insieme) ho provato a muovermi in questa duplice direzione anche grazie ad alcuni preziosi suggerimenti di Monica Tavernini. Una commissione che giri, che chieda ai cittadini, che proponga come fare un decentramento partecipativo, prendendo suggerimenti anche da altre città, contenendo le spese e soprattutto rendendole funzionali.
E ho deciso di rispondere più lungamente a chi si firma quella di rif.(ex) che è la persona che mi ha attaccato in modo più forte. Alcuni amici dicono che non devo rispondere alle lettere offensive ma io non sono d’accordo. Perché penso che il clima in città vada svelenito e che si debba e possa poter parlare tra persone per quello che fanno, che pensano, che dicono. Nel merito.
Precari: sono assolutamente d’accordo con quanto l’anonima di rif. (ex) dice sullo scandalo del precariato. E ho risposto esattamente in tal senso alla intervistatrice di la Repubblica il 10 ottobre, semplicemente riportando quanto è scritto nella Legge finanziaria e quanto in più circostanze - e contro gli attacchi della destra, quella vera, e anche contro la volontà di tagli ben più massicci da parte del Ministero dell’Economia - il ministro Fioroni ha detto in queste ultime settimane: i precari devono tutti essere assunti e messi in grado di svegliarsi la mattina e andare a lavorare con tranquillità… Il ministro ha, su questo tema, una posizione molto seria. Infatti si tratta dell’assunzione di 150.000 insegnanti precari. E finalmente, aggiungo!!! Nessun governo ci aveva mai pensato seriamente. E tanto meno in periodi di “vacche magre”. Se rif. (ex) rilegge l’intervista con temperanza noterà che questo dice il mio virgolettato e che poi riporto quanto deciso dal governo… ossia che non si vogliono fare gli errori del passato e che non si creerà altro precariato perché si accederà all’insegnamento per concorso con graduatorie che scadranno dopo due anni in modo da evitare proprio la sofferenza del precariato e per non creare nuove illusioni, una volta sanata, però, la situazione entro il 2010. Aggiungo che in queste settimane si sta facendo uno screening di verifica che ha il compito di mettere in ordine i dati stessi sul numero dei precari che – altra mancanza scandalosa – non conosciamo con certezza come dovremmo. Per fare un solo esempio: si sta verificando che molte migliaia di persone ancora risultano precari perché la legge non prevede che se entri di ruolo in una graduatoria sei fuori dalle altre o almeno devi scegliere. Così, rispetto alle cifre complessive sul precariato, vi è una quota parte, da accertare, che è in realtà già di ruolo perché assunta in una classe di concorso diversa da quella per la quale si è stati considerati e dunque contati come precari. Insomma, io leggo e riporto dalle proposte di legge e dalle dichiarazioni ufficiali che si sta lavorando – l’amministrazione e anche il sindacato - per mettere ordine nei numeri, procedere alle assunzioni evitando esclusioni e per chiudere bene questa terribile storia del precariato in Italia, facendo entrare di ruolo i colleghi con cui abbiamo lavorato fianco a fianco. A riprova voglio ricordare che il giorno 18 settembre, durante una trasmissione televisiva RAI 3 – se ne può chiedere la registrazione - ho condiviso queste posizioni pubblicamente con una collega del coordinamento nazionale dei precari della scuola.
Allora… con calma. Mi dispiace che di fronte a questi problemi e alla chiarezza della mia posizione che, nel metodo, riportava quanto scritto in Finanziaria e nel merito sosteneva l’assunzione di tutti gli attuali precari, mi si debba accusare di dire l’esatto contrario di ciò che io ho detto più volte e pubblicamente. Mi dispiace perché è un metodo – ripetere il falso e alla fine qualcuno ci crederà - che purtroppo, in buona o cattiva fede, è usato in politica troppo spesso e che, però, ha avuto dei teorizzatori nel secolo scorso i cui nomi fanno tremare i polsi.
E, in aggiunta, mi dispiace che ci si debba esprimere con tanto astio e, sempre protetti dall’anonimato, che si debba offendere il mio lavoro passato o presente, cosa che personalmente non faccio con nessuno – anche quando sono in forte disaccordo - e che non mi piace subire perché credo che una persona che lavora alle volte fa bene e altre no e per ragioni sempre alquanto complesse ma che abbia il diritto di essere rispettato come persona e come lavoratore. Lo dico per l’ennesima volta e mi ci soffermo così a lungo perché trovo davvero che il clima della città stia facendo saltare anche il minimo buon senso e rispetto per il metodo democratico e per l’altro da sé in quanto altro. Si può polemizzare anche con durezza ma nel merito di quel che l’altro dice e non di quello che non ha mai detto e nel rispetto comunque del lavoro e della dignità delle persone. Sempre. Poi se rif. (ex) mi vuole venire a trovare nel mio nuovo lavoro o vuole informarsi su come ho lavorato a scuola e per quanto e fino a quando prima di Chance o a Chance o su come sono entrato nella scuola o su come nella mia famiglia – altra cosa che penso si debba tenere rispettosamente fuori dalle mischie - s’intendeva e s’intende il percorso verso il lavoro e la eticità dello stesso o se intende capire su cosa sono effettivamente esperto e perché o su cosa non sono affatto esperto, beh – ci si può credere o no - a me farebbe vero piacere poterne parlare con misura con rif. (ex), pubblicamente o prendendo un caffè. Mi può scrivere una lettera al mio indirizzo privato che trova sull’elenco telefonico.
Insomma, ben al di là di un commento a un post, si deve cambiare metodo oggi a Napoli. Altrimenti la politica – nel senso di preoccupazione propositiva per la città – muore. Parlare, riconoscersi reciprocamente anche se a fatica, litigare con rispetto e magari scoprire che su delle cose si è finanche d’accordo.
11 ottobre, 2006
Mitologie televisive e realtà da costruire con fatica
Post del 11 ottobre.
Torno da Perugia dove mi sono recato per la conferenza degli enti locali di tutto il mondo per la pace e dove ho portato l’impegno del Ministero della Pubblica Istruzione a sostenere un protocollo d’intesa, su questo tema, tra enti locali e scuole.
Sono incazzato perché si farà una fiction evidentemente a sfondo mitologico e del tutto fuorviante sui maestri di strada come eroi in sigolar tenzone. E, invece, è un lavoro collegiale e non singolare, per nulla eroico e che ha sempre combattuto contro lo stereotipo dei super-eroi che salvano i poveri ragazzini disperati. Non è così. Ma non ho armi perché la fiction si baserà su scrittura altrui. Infatti la produzione ha preso un libro di Paola Tavella – giornalista yé-yé, passata da Il Manifesto a Il Foglio - che aveva pubblicato con Mondatori alcune cronache del lavoro di Chance a S. Giovanni e Barra durante l’anno di grazia 1998. “liberamente tratto”. E invece i giornalisti continuano a chiedere opinioni a Cesare Moreno e a me. Ripeto le mie convinzioni su cosa sia il lavoro sociale ed educativo come opera incerta, aperta e collettiva, fatta da docenti, ragazzi stessi, educatori, formatori e anche istituzioni. Ho la voce stanca. Me ne rendo conto. Ripeto che ne ho già parlato per il Corriere del Mezzogiorno e che temo una trama diseducativa perché piena di stereotipi.
Arrivo nell’accumulazione enorme e rogo dei rifiuti a cielo aperto che è il segno odierno della nostra città.
Mi chiama Gabriel C. S., candidato di Decidiamo Insieme di 19 anni e mi racconta come 5 giovani più grandi di lui lo hanno fermato all’imbocco di Vico Neve sul Corso Amedeo di Aosta mentre rientrava a casa sabato sera, gli hanno chiesto il cellulare e, dato che non era di loro gradimento, lo hanno picchiato 5 contro 1 per dieci minuti. Si è rannicchiato proteggendosi il viso e il capo e poi è scattato su ed è corso via… e gli è andata bene…. Non vuole uscire di casa però e non è riuscito a dare l’esame che aveva preparato con cura. Degli amici ben informati mi hanno riferito che durante la notte bianca sono avvenuti una dozzina di episodi analoghi. “Non hai quello che vogliamo. E allora ti scommiamo di sangue”. Si puniscono ormai da mesi i giovani perché non hanno.
Abbiamo bisogno di iniziativa. E la stiamo costruendo, sia pure faticosamente. Sto sostenendo sulla stampa le giuste motivazioni di Norberto di auto-sospendersi dalle commissioni del consiglio di municipalità di Vomero-Arenella. Saremo presenza attenta e critica alla presentazione del piano strategico.
Incontro tante e tanti per strada che spingono a impegnarsi di più. Ai nostri iscritti che mi chiedono, spiego le difficoltà, in termini di tempo minimo necessario, di fare le cose con costanza pur non essendo ceto politico. E’ una ricchezza l’essere persone normali e che pure intendono impegnarsi ma il tempo per fare le cose è davvero molto meno. Ripeto che stiamo “attrezzandoci” per il nostro incontro autunnale. Scriviamo però perché si discute sulla base di riflessioni scritte.
Il tempo è splendido. Che peccato, una città così bella… Non molliamo e diamoci l’agio per poter tenere sui tempi lunghi. Un passo da maratona è cosa da pochi, ma forse si può imparare.
Torno da Perugia dove mi sono recato per la conferenza degli enti locali di tutto il mondo per la pace e dove ho portato l’impegno del Ministero della Pubblica Istruzione a sostenere un protocollo d’intesa, su questo tema, tra enti locali e scuole.
Sono incazzato perché si farà una fiction evidentemente a sfondo mitologico e del tutto fuorviante sui maestri di strada come eroi in sigolar tenzone. E, invece, è un lavoro collegiale e non singolare, per nulla eroico e che ha sempre combattuto contro lo stereotipo dei super-eroi che salvano i poveri ragazzini disperati. Non è così. Ma non ho armi perché la fiction si baserà su scrittura altrui. Infatti la produzione ha preso un libro di Paola Tavella – giornalista yé-yé, passata da Il Manifesto a Il Foglio - che aveva pubblicato con Mondatori alcune cronache del lavoro di Chance a S. Giovanni e Barra durante l’anno di grazia 1998. “liberamente tratto”. E invece i giornalisti continuano a chiedere opinioni a Cesare Moreno e a me. Ripeto le mie convinzioni su cosa sia il lavoro sociale ed educativo come opera incerta, aperta e collettiva, fatta da docenti, ragazzi stessi, educatori, formatori e anche istituzioni. Ho la voce stanca. Me ne rendo conto. Ripeto che ne ho già parlato per il Corriere del Mezzogiorno e che temo una trama diseducativa perché piena di stereotipi.
Arrivo nell’accumulazione enorme e rogo dei rifiuti a cielo aperto che è il segno odierno della nostra città.
Mi chiama Gabriel C. S., candidato di Decidiamo Insieme di 19 anni e mi racconta come 5 giovani più grandi di lui lo hanno fermato all’imbocco di Vico Neve sul Corso Amedeo di Aosta mentre rientrava a casa sabato sera, gli hanno chiesto il cellulare e, dato che non era di loro gradimento, lo hanno picchiato 5 contro 1 per dieci minuti. Si è rannicchiato proteggendosi il viso e il capo e poi è scattato su ed è corso via… e gli è andata bene…. Non vuole uscire di casa però e non è riuscito a dare l’esame che aveva preparato con cura. Degli amici ben informati mi hanno riferito che durante la notte bianca sono avvenuti una dozzina di episodi analoghi. “Non hai quello che vogliamo. E allora ti scommiamo di sangue”. Si puniscono ormai da mesi i giovani perché non hanno.
Abbiamo bisogno di iniziativa. E la stiamo costruendo, sia pure faticosamente. Sto sostenendo sulla stampa le giuste motivazioni di Norberto di auto-sospendersi dalle commissioni del consiglio di municipalità di Vomero-Arenella. Saremo presenza attenta e critica alla presentazione del piano strategico.
Incontro tante e tanti per strada che spingono a impegnarsi di più. Ai nostri iscritti che mi chiedono, spiego le difficoltà, in termini di tempo minimo necessario, di fare le cose con costanza pur non essendo ceto politico. E’ una ricchezza l’essere persone normali e che pure intendono impegnarsi ma il tempo per fare le cose è davvero molto meno. Ripeto che stiamo “attrezzandoci” per il nostro incontro autunnale. Scriviamo però perché si discute sulla base di riflessioni scritte.
Il tempo è splendido. Che peccato, una città così bella… Non molliamo e diamoci l’agio per poter tenere sui tempi lunghi. Un passo da maratona è cosa da pochi, ma forse si può imparare.
02 ottobre, 2006
Il mondo è complicato, per fortuna
La notte bianca è passata. Sono sceso per strada e ho capito che alcune intuizioni che avevo avuto non erano poi così balorde. La notte non è stata affollata come l’anno scorso ma affollata sì. E’ stata meglio organizzata e per fortuna non è successo niente di spiacevole. Non è stata una apoteosi di cittadinanza ma l’evento è stato preso, anche nei quartieri difficili, come una piccola “occasione di moratoria”, una pausa piacevole entro il quadro delle difficoltà quotidiane e delle insopportabilità. L’avevo scritto qualche giorno fa: la gente ha anche voglia di sfogo, divertimento, spazio salvo dall’angoscia. Non si può schiattosamente condannare questa aspirazione. Capita durante le guerre. Perché non può capitare a Napoli? E’ legittimo e va rispettato. La protesta c’è stata ma non è stata massiccia e eclatante. Ciò, però, non significa che tutti siano omologati a un’idea di festa fatta per rimuovere dalla mente i guai. Anzi. Parlando per strada proprio durante la notte bianca ho sentito dire che le cose non vanno affatto bene e che c’è tanto da dire e fare. Ma intanto c’era festa, musica, possibilità di incontro. Il mondo è complicato: cose diverse convivono. La gente è contenta per strada in un momento di spazio pubblico e ciò è comunque un bene e non è che, con questo, si accontenti della straordinarietà di una nottata. Un ordinario di città vivibile è possibile e dobbiamo capire come, con eventi speciali e, però, soprattutto con eventi normali. La denuncia e l’indignazione vanno riprese insieme a nuove proposte. Il mondo è complicato.
28 settembre, 2006
Questo posto va rassettato
Per quanto riguarda questo mio blog è in cantiere una sua trasformazione… Ci penso da tempo. Non so quanto ci metterò a mutarlo ma intendo farlo. Continua, infatti, a essere il blog di un candidato sindaco che nel frattempo è diventato ex-candidato. E io invece faccio e penso molte altre cose sulla scuola, lo sviluppo umano, la nostra città, la democrazia partecipativa. La campagna elettorale è finita da tempo e il carattere individuale di quel che scrivo e faccio mi pare possa stare in questo spazio senza la pretesa di rispondere al movimento o di rappresentarlo… Invece il sito Decidiamo insieme può divenire lo strumento, ben più fluido di quanto ora sia, di pensiero vario e comune del nostro movimento, di organizzazione di attività e lancio di iniziative e proposte a cui volentieri partecipo. Ha fatto bene Daniela a riprendere in mano il nostro sito che spero possa arricchirsi e essere più fruibile. Siamo, insomma, pienamente in una nuova fase della battaglia per la città… e anche il come usare e modificare gli strumenti è all’ordine del giorno.
Non dimentichiamo poi che Decidiamo insieme deve, entro il 2 ottobre, riunire le sue proposte e documenti interni – così come deciso a luglio - e stabilire una data per il suo convegno organizzativo. Invito di nuovo tutti a elaborare e inviare documenti. E intanto è importante notare il fatto che singolarmente e per gruppi continuiamo a partecipare al dibattito in città e sulla città. Il rilancio della presenza è in stretto rapporto con la riorganizzazione interna basata sul libero dibattito e sulle decisioni su cosa fare e con quale nuovo gruppo dirigente.
Non dimentichiamo poi che Decidiamo insieme deve, entro il 2 ottobre, riunire le sue proposte e documenti interni – così come deciso a luglio - e stabilire una data per il suo convegno organizzativo. Invito di nuovo tutti a elaborare e inviare documenti. E intanto è importante notare il fatto che singolarmente e per gruppi continuiamo a partecipare al dibattito in città e sulla città. Il rilancio della presenza è in stretto rapporto con la riorganizzazione interna basata sul libero dibattito e sulle decisioni su cosa fare e con quale nuovo gruppo dirigente.
26 settembre, 2006
Fare festa ma non rimuovere i problemi
Il sito di Decidiamo insieme riapre porte e finestre al dibattito e questo mi fa felice. Il dibattito è sullo stato della città. Sulla notte bianca.
Per carattere mi piacciono le feste. E quelle mal riuscite non mi fanno cambiare questa idea. Credo infatti che sia legittimo organizzare socialità, eventi, feste e che sia “schiattoso” essere contro, stizziti e un po’ aristocraticamente avversi. Ma sono anche preoccupato e molto per la istigazione, implicita o esplicita, alla rimozione dei problemi che, in qualche modo, la notte bianca tende a fare. E poi già da questa estate, anche sulla stampa, mi sono schierato con convinzione contro la mistica dello straordinario quale volano di sviluppo, di occasioni, di ripresa. Può esserci straordinario utile solo sulla base certa di un ordinario consolidato. E sono per il sostegno creativo all’ordinario che funzioni in modo partecipato. Dunque penso che D.I. possa partecipare bene al coordinamento delle iniziative di rottura contro questa notte bianca. E sono per partecipare alle decisioni sul come fare questa rottura e su come dirla, spiegarla in giro insieme ai grillini e a tutti gli altri… ma anche mostrando il nostro riflettere e dibattere interno, con libertà, in modo aperto e non necessariamente univoco.
Per carattere mi piacciono le feste. E quelle mal riuscite non mi fanno cambiare questa idea. Credo infatti che sia legittimo organizzare socialità, eventi, feste e che sia “schiattoso” essere contro, stizziti e un po’ aristocraticamente avversi. Ma sono anche preoccupato e molto per la istigazione, implicita o esplicita, alla rimozione dei problemi che, in qualche modo, la notte bianca tende a fare. E poi già da questa estate, anche sulla stampa, mi sono schierato con convinzione contro la mistica dello straordinario quale volano di sviluppo, di occasioni, di ripresa. Può esserci straordinario utile solo sulla base certa di un ordinario consolidato. E sono per il sostegno creativo all’ordinario che funzioni in modo partecipato. Dunque penso che D.I. possa partecipare bene al coordinamento delle iniziative di rottura contro questa notte bianca. E sono per partecipare alle decisioni sul come fare questa rottura e su come dirla, spiegarla in giro insieme ai grillini e a tutti gli altri… ma anche mostrando il nostro riflettere e dibattere interno, con libertà, in modo aperto e non necessariamente univoco.
19 settembre, 2006
Alcune risposte e pensieri
Devo un ringraziamento a Roberto Vallefuoco. Non certo perché mi ha difeso, ma per il come… per le cose di buon senso, laiche, delle quali difende le ragioni, cose che sono sempre più necessarie in una città dove, a fianco a tante persone che si indignano per come viviamo e si impegnano, senza visioni mitologiche, a far avvenire il cambiamento, ve ne sono troppe che, anche su queste mie pagine, cercano capri espiatori, traditori, maghi che non hanno saputo rispondere alle aspettative assolute… e che, al contempo, però, non dicono niente, per esempio, sulle proposte di delibere di giunta sulla manutenzione ordinaria (nove anni a una sola ditta e senza controllo, sull’aria fritta intorno a Napoli Est e Bagnoli, sulla scandalosa gestione neo-centralistica delle municipalità che erano state descritte come la nuova frontiera della democrazia in città e che sono solo oggetto del perenne balletto spartitorio. Per non parlare di camorra e di mancanza dei diritti minimi di cittadinanza – giustamente ricordati da Giovanna Grimaldi. Avete visto sul Corriere della Sera nazionale di ieri con quanta amarezza padre Fabrizio Valletti di Scampia parla della negazione della libertà a Napoli? Per non parlare di quel che va emergendo sulle pratiche delle assunzioni nella nostra città.
Oggi, insomma, a Napoli sta emergendo in tanti e diversi ambienti la grande questione politica che abbiamo sollevato in campagna elettorale senza mai aver pensato che si potesse esaurire in campagna elettorale e che chiama a un ricambio della classe dirigente della città, pena la fine di ogni speranza di vita civile.
Su questo non ci sono mie o nostre posizioni chiuse. Abbiamo promosso proposte per i giovani a cui hanno risposto in molti. Vogliamo batterci per le vere municipalità, riprendere la battaglia sui rifiuti, fare una grande iniziativa pubblica su camorra, sicurezza, spazio pubblico, che ho preannunciato nella intervista di domenica scorsa sul Corriere del Mezzogiorno.
La campagna elettorale è finita. E’ un’altra fase. Il risultato vede una maggioranza plebiscitaria e le cose da fare a cui noi teniamo e per le quali prenderemo iniziative. Finiamola con questa storia che non faccio autocritica: chi perde in democrazia lo dice (ho detto appunto di aver perso) e poi ne descrive le ragioni (l’ho fatto il giorno dopo le elezioni… andate a vedere su decidiamoinsieme). Ma poi c’è anche il diritto della minoranza – grande risorsa della tradizione liberale – per la quale si può fare opposizione e continuare a indicare altre analisi e altre soluzioni.
Ho già risposto una volta a Francesco De Goyzueta su questo e, legittimamente entrambi, non siamo d’accordo. E mi dispiace che, insieme a Angela Colucci d’Amato, voglia andarsene da un movimento che deve a breve riunirsi e decidere e che ha tutto il potere di smentire le mie analisi perché è munito di uno statuto democratico… e di proporre altro. Ha ragione Paolo Pantani su questo: stiamo preparando un’assemblea.
E, a proposito, è del tutto ovvio e scontato, cari immancabilmente anonimi del 18 e del 19 settembre - che, come in ogni processo democratico, il nostro gruppo dirigente si presenta naturalmente dimissionario. Lo abbiamo peraltro deciso con il voto durante l’assemblea dell’ 11 luglio e, contestualmente, abbiamo chiamato, infatti, a esercitare i diritti democratici interni chiedendo di scrivere documenti che saranno la base della nuova fase di Decidiamo insieme.
E dunque sono costretto a riportare testualmente quanto avevo già scritto qui il 13 luglio:
abbiamo stabilito che, entro il 2 ottobre, ognuno potrà dare il suo contributo scritto sugli indirizzi da prendere in modo da determinare il nostro movimento nelle sue scelte di metodo e merito. Le posizioni, a tal fine, si devono confrontare apertamente. Ci vuole un processo di esplicitazione delle idee, del metodo, delle priorità che ciascuno sceglie di proporre a D. I.: quale idea del contesto nel quale ci troviamo, quali azioni prioritarie, quali temi aggiuntivi, quali attività concrete, quale modello organizzativo, ecc. Si è, insomma, decisa una procedura condivisa che permette di arrivare nella chiarezza delle diverse opzioni e posizioni a una conferenza che abbiamo deciso di tenere entro ottobre. E’ sulla base di tali documenti che sarà anche eletto un nuovo comitato di indiizzo – appunto un gruppo dirigente di D. I.
Scriva Francesco un documento. Ci sarà un confronto sul che fare e come che implica, necessariamente, anche visioni divergenti su cosa si sarebbe potuto fare di diverso e con chi e quando. E, aggiungo, sullo stato della città. E che porta, nel merito, a un confronto da cui emergerà la elezione di un nuovo gruppo dirigente.
Ma perché si fa tanta fatica a accogliere o anche semplicemente a registrare, come in questo caso, le più ovvie procedure democratiche quando queste vengono esplicitamente proposte e decise? Credo che anche questo sia un amaro risultato dell’assenza di procedure democratiche generalizzate, una assenza tanto diffusa che alcuni non riescono proprio a credere che D.I. farà un’assemblea e che deciderà secondo maggioranza sia sul cosa fare che sul gruppo dirigente.
C’è dunque una sete di confronto. Personalmente sono per andare dappertutto e per parlare e confrontarsi con tutti. E dunque Decidiamo insieme ci deve andare eccome all’assemblea per il partito democratico: ascoltare, dire la sua. Telefonerò al mio amico Cammarota. Esiste, infatti, appunto la questione dello spazio pubblico in città e del come si governa Napoli ed è una questione che implica un dibattito ampio.
Sono, poi, d’accordo con Pina Coppola, Ileana e gli altri almeno nel porre seriamente la questione del rapporto tra l’evento “notte bianca” e tutto il resto… non è che non si possano fare le notti bianche (infatti è pur vero che vi sono normali aspirazioni di occasioni così come a Roma o altrove a cui i giovani, i cittadini aspirano) ma la questione di tutte le altre notti, quelle non bianche, è una questione fondamentale, che richiama il rapporto tra straordinario e ordinario. La forma di come fare valere questo convincimento e da trovare: protesta, contro-proposta, dibattito pubblico? So che abbiamo un disperato bisogno di sostegno straordinario alla ordinarietà, alla normalità, alle cose che funzionano, al lavoro fatto bene di tanti, alle azioni civile quotidiane… compresi i docenti che, sì, devono poter accedere con procedure specchiate a fondi utili all’innovazione e alla lotta alla dispersione… come ha scritto qualcuno. E credo o almeno spero che la forte intenzione del governo di lavorare al nuovo obbligo e, al contempo, a sostenere un’autonomia vera delle scuole come diritto costituzionale porterà a superare anche la straordinarietà dei progetti, come dicevo l’altra volta e come, in fondo, auspica l’intervento di Giuseppina Rossi e può aiutare a dislocare i fondi in modo più rigoroso ed equo nelle scuole che si innovano. Non ho mai deciso io dei fondi e dei criteri di assegnazione e così sono d’accordo con chi ha scritto che non ci deve essere velo sulla questione dei fondi, delle scuole, delle procedure specchiate. C’è una battaglia da fare, non sarà facile né dai risultati immediati ma uno spazio si apre oggi con il nuovo obbligo e dobbiamo allargarlo.
Oggi, insomma, a Napoli sta emergendo in tanti e diversi ambienti la grande questione politica che abbiamo sollevato in campagna elettorale senza mai aver pensato che si potesse esaurire in campagna elettorale e che chiama a un ricambio della classe dirigente della città, pena la fine di ogni speranza di vita civile.
Su questo non ci sono mie o nostre posizioni chiuse. Abbiamo promosso proposte per i giovani a cui hanno risposto in molti. Vogliamo batterci per le vere municipalità, riprendere la battaglia sui rifiuti, fare una grande iniziativa pubblica su camorra, sicurezza, spazio pubblico, che ho preannunciato nella intervista di domenica scorsa sul Corriere del Mezzogiorno.
La campagna elettorale è finita. E’ un’altra fase. Il risultato vede una maggioranza plebiscitaria e le cose da fare a cui noi teniamo e per le quali prenderemo iniziative. Finiamola con questa storia che non faccio autocritica: chi perde in democrazia lo dice (ho detto appunto di aver perso) e poi ne descrive le ragioni (l’ho fatto il giorno dopo le elezioni… andate a vedere su decidiamoinsieme). Ma poi c’è anche il diritto della minoranza – grande risorsa della tradizione liberale – per la quale si può fare opposizione e continuare a indicare altre analisi e altre soluzioni.
Ho già risposto una volta a Francesco De Goyzueta su questo e, legittimamente entrambi, non siamo d’accordo. E mi dispiace che, insieme a Angela Colucci d’Amato, voglia andarsene da un movimento che deve a breve riunirsi e decidere e che ha tutto il potere di smentire le mie analisi perché è munito di uno statuto democratico… e di proporre altro. Ha ragione Paolo Pantani su questo: stiamo preparando un’assemblea.
E, a proposito, è del tutto ovvio e scontato, cari immancabilmente anonimi del 18 e del 19 settembre - che, come in ogni processo democratico, il nostro gruppo dirigente si presenta naturalmente dimissionario. Lo abbiamo peraltro deciso con il voto durante l’assemblea dell’ 11 luglio e, contestualmente, abbiamo chiamato, infatti, a esercitare i diritti democratici interni chiedendo di scrivere documenti che saranno la base della nuova fase di Decidiamo insieme.
E dunque sono costretto a riportare testualmente quanto avevo già scritto qui il 13 luglio:
abbiamo stabilito che, entro il 2 ottobre, ognuno potrà dare il suo contributo scritto sugli indirizzi da prendere in modo da determinare il nostro movimento nelle sue scelte di metodo e merito. Le posizioni, a tal fine, si devono confrontare apertamente. Ci vuole un processo di esplicitazione delle idee, del metodo, delle priorità che ciascuno sceglie di proporre a D. I.: quale idea del contesto nel quale ci troviamo, quali azioni prioritarie, quali temi aggiuntivi, quali attività concrete, quale modello organizzativo, ecc. Si è, insomma, decisa una procedura condivisa che permette di arrivare nella chiarezza delle diverse opzioni e posizioni a una conferenza che abbiamo deciso di tenere entro ottobre. E’ sulla base di tali documenti che sarà anche eletto un nuovo comitato di indiizzo – appunto un gruppo dirigente di D. I.
Scriva Francesco un documento. Ci sarà un confronto sul che fare e come che implica, necessariamente, anche visioni divergenti su cosa si sarebbe potuto fare di diverso e con chi e quando. E, aggiungo, sullo stato della città. E che porta, nel merito, a un confronto da cui emergerà la elezione di un nuovo gruppo dirigente.
Ma perché si fa tanta fatica a accogliere o anche semplicemente a registrare, come in questo caso, le più ovvie procedure democratiche quando queste vengono esplicitamente proposte e decise? Credo che anche questo sia un amaro risultato dell’assenza di procedure democratiche generalizzate, una assenza tanto diffusa che alcuni non riescono proprio a credere che D.I. farà un’assemblea e che deciderà secondo maggioranza sia sul cosa fare che sul gruppo dirigente.
C’è dunque una sete di confronto. Personalmente sono per andare dappertutto e per parlare e confrontarsi con tutti. E dunque Decidiamo insieme ci deve andare eccome all’assemblea per il partito democratico: ascoltare, dire la sua. Telefonerò al mio amico Cammarota. Esiste, infatti, appunto la questione dello spazio pubblico in città e del come si governa Napoli ed è una questione che implica un dibattito ampio.
Sono, poi, d’accordo con Pina Coppola, Ileana e gli altri almeno nel porre seriamente la questione del rapporto tra l’evento “notte bianca” e tutto il resto… non è che non si possano fare le notti bianche (infatti è pur vero che vi sono normali aspirazioni di occasioni così come a Roma o altrove a cui i giovani, i cittadini aspirano) ma la questione di tutte le altre notti, quelle non bianche, è una questione fondamentale, che richiama il rapporto tra straordinario e ordinario. La forma di come fare valere questo convincimento e da trovare: protesta, contro-proposta, dibattito pubblico? So che abbiamo un disperato bisogno di sostegno straordinario alla ordinarietà, alla normalità, alle cose che funzionano, al lavoro fatto bene di tanti, alle azioni civile quotidiane… compresi i docenti che, sì, devono poter accedere con procedure specchiate a fondi utili all’innovazione e alla lotta alla dispersione… come ha scritto qualcuno. E credo o almeno spero che la forte intenzione del governo di lavorare al nuovo obbligo e, al contempo, a sostenere un’autonomia vera delle scuole come diritto costituzionale porterà a superare anche la straordinarietà dei progetti, come dicevo l’altra volta e come, in fondo, auspica l’intervento di Giuseppina Rossi e può aiutare a dislocare i fondi in modo più rigoroso ed equo nelle scuole che si innovano. Non ho mai deciso io dei fondi e dei criteri di assegnazione e così sono d’accordo con chi ha scritto che non ci deve essere velo sulla questione dei fondi, delle scuole, delle procedure specchiate. C’è una battaglia da fare, non sarà facile né dai risultati immediati ma uno spazio si apre oggi con il nuovo obbligo e dobbiamo allargarlo.
11 settembre, 2006
Tre risposte senza polemica
Rispondo volentieri alle sollecitazioni.
* Sulle scuole della II occasione, il loro impianto e la loro esperienza - Chance compreso – con i relativi dati quantitativi e qualitativi e gli elementi di valutazione positivi e di rilevazione delle criticità, è disponibile il volume edito dal IPRASE TRENTINO dal titolo: Ricomincio da me – L’identità delle scuole di II occasione in Italia, Trento 2006.
- Decidiamo Insieme è attivo nel movimento del Vomero in questi giorni; partecipa al dibattito cittadino su opportunità e piano strategico; sta preparando la sua assemblea autunnale e vuole essere l’anima propositiva della sana indignazione di Napoli che si sta destando dall’ubriacatura elettorale di chi, per conservazione, paura o adesione legittima, ha voluto comunque confermare metodi, governanti e stili degli ultimi 5 anni. Saremo pochi o molti si vedrà. Abbiamo preso l’impegno di continuare e lo faremo. Con pazienza. State certi.
- Per chi, come l’anonimo che chiede senza polemica, vuole fare progetti come Chance o comunque di sostegno, con metodologie innovative, ai ragazzi in difficoltà e precocemente esclusi, si tratta di avviare un processo progettuale (per Chance ci abbiamo messo 3 anni – dal 1994 al 1997), contattare l’Assessorato al welfare e agli affari sociali del Comune di Napoli e lavorare a un progetto condiviso tra scuole e privato sociale con fondi 328/2000 o, meglio, proporlo nella propria scuola. Anche Chance sta diventando una normale scuola detta “scuola di seconda occasione”(*), che è oggi una costituenda rete nazionale di scuole pubbliche per i ragazzi che non riescono a frequentare. La scuola Chance, dall’anno scorso, ha tanto di preside ed è in attesa di avere il numero meccanografico e di avviare una procedura di trasferimento dalle scuole verso Chance entro un quadro ordinamentale consolidato ecc. I progetti devono diventare servizi normali. Abbiamo lavorato ad “uscire dal progetto speciale” fin dal terzo anno e ora – solo dopo 10 anni e ancora con tante difficoltà! – forse ci stiamo riuscendo e, tra l’altro, c’è bisogno di docenti: Chance non ha molte richieste, non è un posto ambito. Se si è interessati si può chiamare (il D. S. di Chance è c/o l’IPIA di Ponticelli). Dunque: avere un’idea, prendere il compito di farla diventare progetto articolato, lavorare, insieme al proprio collegio e al dirigente scolastico e d’accordo con l’ufficio scolastico regionale e – ripeto – con il Comune, compreso l’assessorato all’educazione, naturalmente, per provare a costruirlo e ad attuarlo al fine di sostenere i ragazzi in difficoltà. E mi si può anche chiamare al telefono – tanti lo hanno fatto negli anni! – per confrontarsi su questo. Con una pacata avvertenza: sono progetti che trovano con fatica i fondi che sono per le attività. Chi progetta, chi attua ecc. fa necessariamente molte ore in più rispetto all’orario normale e ci guadagna davvero pochissimo in più.
- Per chi, anonimo, insiste invece con le insinuazioni, suggerisco di provare, per una volta, ad uscire tranquillamente dall’anonimato e così contribuire a curare un poco il costume pubblico nostrano, magari chiedendomi cosa esattamente faccio a Roma. Avrei piacere di rispondere nel merito. Ma ho il motivato sospetto che lo sfascio partenopeo che continua sotto gli occhi dell’Italia intera, tra gli altri danni arrecati, abbia ahimé consolidato l’antico vizio di quelli che cercano conferme al malaffare ovunque e sempre: non credere a nulla, non polemizzare nel merito, non salvaguardare il buono che c’è ma preferire buttare sterco in faccia a tutti… senza distinzioni e con una ulteriore sotterranea tendenza a salvare chi è al potere. In questo caso fare attacchi volgari e mai di merito contro Decidiamo Insieme e contro di me per far vivere in pace chi sta conducendo Napoli così come vediamo. Comunque confesso candidamente che mi dispiace che nonostante che tutti, anche fuori Napoli e anche fuori Italia, sanno che sono un esperto di obbligo scolastico e nonostante che io abbia spiegato con cura la natura del mio incarico e che lavoro 36 ore settimanali a parità di stipendio – potete controllare come e quando volete – stipendio che è meno di 1300 euro al mese dopo 31 anni di servizio a scuola (ribadisco: a scuola!), vi siano i soliti “dietrologi” fastidiosi che, nell’anonimato, devono per forza insinuare che ho fatto tutto “per potere”. In realtà, forse anche molto più banalmente, lavoro con passione al Ministero, per la prima volta lontano dai ragazzi, perché è un modo per continuare a fare le cose che mi appassionano: capire come aiutare chi è precocemente escluso dai diritti. E, invece di esercitare chi sa quale potere occulto, in verità, quel che accade è che prendo il treno alle 6.28 per Roma, arrivo e - insieme a altre persone che hanno dedicato il loro tempo a queste cose per anni - studio i modi atti a estendere il diritto allo studio soprattutto per chi oggi a scuola non ci va e poi mi incontro con le scuole in giro per l’Italia per vedere come si può estendere l’obbligo a 16 anni come è nel resto dell’Europa rendendo protagonisti di questa innovazione le scuole stesse, i docenti e anche i ragazzi.
* Sulle scuole della II occasione, il loro impianto e la loro esperienza - Chance compreso – con i relativi dati quantitativi e qualitativi e gli elementi di valutazione positivi e di rilevazione delle criticità, è disponibile il volume edito dal IPRASE TRENTINO dal titolo: Ricomincio da me – L’identità delle scuole di II occasione in Italia, Trento 2006.
04 settembre, 2006
Né zitti né scomparsi
Le mie ferie sono finite già da un po’, ma torno qui solo oggi perché il mio computer (o la rete?) non va come dovrebbe. Mi scuso per il ritardo.
In compenso non siamo stati affatto assenti, come movimento D. I., dal dibattito pubblico di fine estate che cade in un momento della vita cittadina in cui da un lato molti esponenti politici si sono cimentati su cosa si potrebbe o vorrebbe fare per Napoli e dall’altro, ahimé, si constata ancora una volta il disastro nel quale siamo chiamati a vivere.
Zitti non siamo stati e non siamo scomparsi nemmeno ad agosto. E vi è un tratto comune ai nostri interventi di cui ci dobbiamo compiacere: parliamo di cose concrete e non in politichese. Personalmente sono intervenuto su Il Mattino sul tema dei bambini rom e della necessità di un approccio che ne salvaguardi i diritti. Abbiamo detto la nostra sui turisti e le altre inerme persone aggredite questa estate in città ponendo la questione della sicurezza in relazione a misure concrete di repressione dello spaccio e alla crescita di occasioni regolari di vita associata e a tutte le ore nei luoghi della città. Oscar Nicolaus ed io abbiamo aperto una discussione su La Repubblica di Napoli intorno alla situazione dei giovani e proponendo un New Deal chiaramente articolato per i nostri ragazzi a cui per ora hanno pubblicamente risposto Ciambriello, Tecce, alcune associazioni e lo stesso Bassolino. Privatemente mi sono sentito con molti operatori del sociale che hanno sostenuto la nostra proposta. Gianfranco Borrelli ha fatto un santo intervento, sempre su La Repubblica, su cosa significa oggi partecipare. Norberto Gallo, sul Corriere del Mezzogiorno, ha duramente e giustamente attaccato gli insopportabili balletti in atto intorno alle municipalità con un elenco puntuale dei fatti intervenuti contro la democrazia decentrata.
Dunque: siamo sempre più convinti che si debba andare avanti. E io personalmente intendo farlo con forza. Poi devo lavorare e ho il mio mestiere.
Sì, è come dice l’amica che scrive il giorno 1 settembre. Ho avuto un incarico a Roma. Come tanti pendolari napoletani, dunque, vado e vengo col treno da Roma. Si tratta di partecipare all’ufficio tecnico del Vice Ministro Mariangela Bastico, ex sindaco di Modena, ex assessore a scuola, formazione e lavoro della regione Emilia-Romagna. Si tratta di un comando: a parità di stipendio da docente si lavora presso gli uffici del Ministro per 36 ore settimanali. Mi sono sempre occupato, sul campo, per 31 anni, di successo e insuccesso formativo e di obbligo scolastico. Ora, insieme ad altri, stiamo cercando di immettere l’esperienza in queste materie al servizio dell’idea di fare andare tutti a una scuola per l’adolescenza, rinnovata, fino a sedici anni, come da programma dell’Unione, come nel resto dell’Europa, cosa non facile, soprattutto dalle parti nostre.
A breve Decidiamo Insieme ha da ripartire come deciso. E, visto il dibattito in corso, sarà anche il caso di prendere posizione sull’antico ripetersi napoletano, con toni oggi davvero sciatti e provinciali, della dicotomia “intervento ordinario o straordinario per rispondere alla crisi della città”. E’ una diatriba che dura dai tempi di Nitti, che ha attraversato la storia del grande risanamento, degli interventi IRI subito dopo la guerra, della cassa per il Mezzogiorno, del post terremoto… Si potrebbe riprendere dal tema: cosa è il piano strategico promesso, dov’è, lo si fa con o lontano dai cittadini? E c’è materia per dibattere – ma a partire dalle cose da fare - su cosa dia senso e carattere a una vera classe dirigente in una grande città in una democrazia di oggi giorno.
A presto.
E, ahimé, sono costretto a ripetere che non capisco e non accetto l’usanza di non aprirsi un proprio blog ma di straparlare su quello altrui di cose proprie.
In compenso non siamo stati affatto assenti, come movimento D. I., dal dibattito pubblico di fine estate che cade in un momento della vita cittadina in cui da un lato molti esponenti politici si sono cimentati su cosa si potrebbe o vorrebbe fare per Napoli e dall’altro, ahimé, si constata ancora una volta il disastro nel quale siamo chiamati a vivere.
Zitti non siamo stati e non siamo scomparsi nemmeno ad agosto. E vi è un tratto comune ai nostri interventi di cui ci dobbiamo compiacere: parliamo di cose concrete e non in politichese. Personalmente sono intervenuto su Il Mattino sul tema dei bambini rom e della necessità di un approccio che ne salvaguardi i diritti. Abbiamo detto la nostra sui turisti e le altre inerme persone aggredite questa estate in città ponendo la questione della sicurezza in relazione a misure concrete di repressione dello spaccio e alla crescita di occasioni regolari di vita associata e a tutte le ore nei luoghi della città. Oscar Nicolaus ed io abbiamo aperto una discussione su La Repubblica di Napoli intorno alla situazione dei giovani e proponendo un New Deal chiaramente articolato per i nostri ragazzi a cui per ora hanno pubblicamente risposto Ciambriello, Tecce, alcune associazioni e lo stesso Bassolino. Privatemente mi sono sentito con molti operatori del sociale che hanno sostenuto la nostra proposta. Gianfranco Borrelli ha fatto un santo intervento, sempre su La Repubblica, su cosa significa oggi partecipare. Norberto Gallo, sul Corriere del Mezzogiorno, ha duramente e giustamente attaccato gli insopportabili balletti in atto intorno alle municipalità con un elenco puntuale dei fatti intervenuti contro la democrazia decentrata.
Dunque: siamo sempre più convinti che si debba andare avanti. E io personalmente intendo farlo con forza. Poi devo lavorare e ho il mio mestiere.
Sì, è come dice l’amica che scrive il giorno 1 settembre. Ho avuto un incarico a Roma. Come tanti pendolari napoletani, dunque, vado e vengo col treno da Roma. Si tratta di partecipare all’ufficio tecnico del Vice Ministro Mariangela Bastico, ex sindaco di Modena, ex assessore a scuola, formazione e lavoro della regione Emilia-Romagna. Si tratta di un comando: a parità di stipendio da docente si lavora presso gli uffici del Ministro per 36 ore settimanali. Mi sono sempre occupato, sul campo, per 31 anni, di successo e insuccesso formativo e di obbligo scolastico. Ora, insieme ad altri, stiamo cercando di immettere l’esperienza in queste materie al servizio dell’idea di fare andare tutti a una scuola per l’adolescenza, rinnovata, fino a sedici anni, come da programma dell’Unione, come nel resto dell’Europa, cosa non facile, soprattutto dalle parti nostre.
A breve Decidiamo Insieme ha da ripartire come deciso. E, visto il dibattito in corso, sarà anche il caso di prendere posizione sull’antico ripetersi napoletano, con toni oggi davvero sciatti e provinciali, della dicotomia “intervento ordinario o straordinario per rispondere alla crisi della città”. E’ una diatriba che dura dai tempi di Nitti, che ha attraversato la storia del grande risanamento, degli interventi IRI subito dopo la guerra, della cassa per il Mezzogiorno, del post terremoto… Si potrebbe riprendere dal tema: cosa è il piano strategico promesso, dov’è, lo si fa con o lontano dai cittadini? E c’è materia per dibattere – ma a partire dalle cose da fare - su cosa dia senso e carattere a una vera classe dirigente in una grande città in una democrazia di oggi giorno.
A presto.
E, ahimé, sono costretto a ripetere che non capisco e non accetto l’usanza di non aprirsi un proprio blog ma di straparlare su quello altrui di cose proprie.
31 luglio, 2006
Una lettera-invito sul sito di DI
Cari amici e amiche,
si va verso le ferie estive. Nell'augurare a tutti buone vacanze, voglio avvisare anche quanti preferiscono questo luogo al sito di Decidiamo insieme che ho inserito lì una lettera per ricordare a me stesso e agli altri le scadenze e i temi di dibattito che ci attendono, dopo la pausa estiva.
Continueremo a discutere: qui, nel sito dell'associazione e magari anche in luoghi meno virtuali, in un confronto che spero sarà ricco e capace di ascolto reciproco, e anche di suscitare nuovi dubbi, curiosità, voglia di impegno e spirito di amicizia.
A presto
si va verso le ferie estive. Nell'augurare a tutti buone vacanze, voglio avvisare anche quanti preferiscono questo luogo al sito di Decidiamo insieme che ho inserito lì una lettera per ricordare a me stesso e agli altri le scadenze e i temi di dibattito che ci attendono, dopo la pausa estiva.
Continueremo a discutere: qui, nel sito dell'associazione e magari anche in luoghi meno virtuali, in un confronto che spero sarà ricco e capace di ascolto reciproco, e anche di suscitare nuovi dubbi, curiosità, voglia di impegno e spirito di amicizia.
A presto
27 luglio, 2006
Voce da Haifa, speranza e difficoltà a Napoli, referendum cittadini e democrazia deliberativa
Scusatemi ma questa volta sarò davvero lungo perché non sono riuscito a scrivere ogni giorno e non so quanto ci riuscirò durante le prossime settimane.
E' estate, fa caldo, siamo stanchi da un anno impegnativo per tanti tra noi che si sono esposti perché il governo e il clima politico e programmatico nella nostra città si avvicinasse ai cittadini e al come concretamente risolvere i problemi. Oggi verifichiamo che molte nostre proposte erano ben articolate e avevano colto il centro delle questioni che aggravano la vita cittadina. Lo sguardo su Napoli oggi conferma la bontà della scelta di essere autonomamente presenti alle elezioni e oltre e la necessità di fare questo cammino.
E, sì, siamo in tanti a essere colpiti anche emotivamente e preoccupati per la piega che prendono le cose in Medio Oriente. Mi piacerebbe che se ne parlasse in pubblico, ascoltandosi anche tra posizioni diverse e non urlandosi addosso le certezze. Oltre due anni fa, in tempi non sospetti, ho promosso, insieme con l'Associazione 27 gennaio e con Lello Porta, un simile momento con una giornata di studio sui protocolli di Ginevra. C'erano pacifisti israeliani e amici palestinesi. Si parlò di merito e di possibilità. Frontiere, condizioni di sicurezza, trattati di pace e risoluzione delle questioni di territorio, sviluppo economico locale e fatica del riconoscimento pieno e reciproco.
Ieri nell'articolo di fondo di Gianni Riotta sul Corriere della Sera ho letto le dichiarazioni, riportate, di Yona Yahaf, sindaco di Haifa e politico pacifista israeliano di rilievo, che seguo da tempo: cercare testardamente la pace ovunque e con chiunque, Hamas compresa, anche con immediate e risolutive cessione dei territori occupati e, al contempo, applicare la risoluzione 1559 e comunque agire a difesa della sicurezza di Israele. Sono la cosa più simile a ciò che penso.
E torniamo a Napoli. Mi dispiace davvero che Francesco de Goyzueta si dispiaccia. Penso che sia un dispiacere diffuso. E che sia utile però il suo intervento perché si è ripetuto, ha qualcosa di paradigmatico ed è importante ragionarci su per davvero. Ribadisco che non vi sono soluzioni trovate in quattro mesi a cose, appunto, complesse… come è anche il confronto con le forze politiche a partire da quello che noi siamo stati come movimento. Forse mi piacerebbe vedere un po' più di tolleranza per i tempi e per le normali difficoltà di una impresa che tutti sapevamo difficile, lunga e le parole "peccato davvero" vorrei tanto che non prendessero quella aria definitiva. Ma devo constatare che si produce in molti una sorta di dispiacere per la supposta "promessa mancata" che la mia candidatura avrebbe costituito e che non si concilia facilmente con la pazienza necessaria a azioni di lunga lena che, invece, sono la sola strada possibile che abbiamo.
La sindrome da promessa mancata mi riporta al mio mestiere e mi suggerisce, per analogia, il tante volte incontrato pensiero magico presso i bambini. Per magia avviene che le cose funzionano e risolvono e c'è qualcuno che incarna questa possibilità. Nel nostro caso andrebbe che si produce proficua azione con tanta parte della sinistra per il bene pubblico e che le forze politiche vengono a mite consiglio rispetto a strutture consolidate di potere e pratiche spartitorie, noi da movimento neonato e acerbo ci strutturiamo bene senza troppa fatica, si forma un solido gruppo dirigente locale, ci sono i soldi per mantenere organizzazione e dare tempo per fare politica locale al signor caio e al signor sempronio, qualcuno è capace di continua iniziativa politica da leader carismatico e sta sempre sui giornali, l'opinione pubblica e i singoli annuiscono felici. Ma più prosaicamente mi piacerebbe capire cosa, in concreto, secondo Francesco come secondo altri che incontro, si debba o possa fare per aprire un dibattito politico in modo nuovo oggi, a luglio, in una città che sta come sta e la cui giunta esprime ben oltre il 50% dei consensi. Lo dico sul serio.
Personalmente sono d'accordo con i tanti, che pure incontro, che vivadio chiedono di non demordere, che ricordano che vi è una struttura di potere che fa della nostra città una zona anomala, che sarà duro scalfirla e che bisogna fare le cose, scegliere alcune campagne su cose concrete, non molte, che si devono preparare pazientemente e bene, che c'è anche necessità di sacrosanto riposo, sia pur breve e poi di un tempo di strutturazione interna, come ogni forza che parla di politica, in senso stretto, della polis. Bisogna, con artigiana e cerosina fatica, aprire certamente varchi nella informazione per farsi sentire, cosa non facile e che sto e stiamo anche iniziando a fare.
Poi sono d'accordo che bisogna sapere dire i limiti che abbiamo e che abbiamo avuto. Siamo senza partito, senza stampa, con una organizzazione costruita per una campagna elettorale e che deve radicalmente cambiare, con la urgenza di dare a noi stessi una identità mentre cerchiamo spazi in città e di formare un gruppo dirigente con procedure condivise. L'11 di luglio abbiamo deciso di fare questo e di interrogarci intorno a questo.
Francesco richiama i nomi a me cari di Saraceno e Nitti: era gente che ha lavorato su tempi lunghi, realizzando faticosamente cose in modo parziale, per approssimazioni successive, guardando a risultati imperfetti, vedendo e corregendo errori e difetti, con un rigore di metodo "riformista", spesso poco seguito da altri intorno. Mica sono stati dei "magici".
Ma davvero dobbiamo sempre immancabilmente cadere nell'altalena partenopea impazienza/delusione? Possiamo onestamente trattare anche questo tema che è politico, etico e psicologico insieme? L'ho scritto qui altre volte: credo che ce ne sia un grande bisogno.
Intanto va anche detto che ci stiamo "banalmente" occupando di seguire le cose decise tutti insieme e che restano da fare in pochi - come è anche normale, in queste situazioni: chiudere bene i conti economici della campagna elettorale per renderli pubblici come promesso, sgombrare le sedi occupate, trovare una o più nuove sedi, sostenere discussioni, azioni e iniziative dei comitati territoriali, darsi un calendario condiviso. Cose semplici forse per chi fa politica e solo politica e guadagna da vivere grazie alla politica e con sovvenzioni pubbliche per le spese correnti, cose un po' più impegnative per chi si alza la mattina e va a lavorare e deve fare collette per qualsiasi cosa si intenda fare. Un po' di temperanza prima di arrivare a conclusioni negative è proprio impossibile? Mi piacerebbe, Francesco, parlare davvero di questo: illusione, speranza, possibilità, concreta costruzione sociale e politica.
Poi, tante piccole cose si fanno intanto. Non sono sui giornali ma si fanno. Si sono riuniti, varie volte, i comitati di S. Carlo Arena, Sanità, Centro storico, Vomero, che ha anche creato un suo sito, Scampia, Ponticelli e altri. Nell'ultima settimana abbiamo contattato Porta and company per impostare un confronto sulla città, nel rispetto delle diversità reciproche; stiamo seguendo meticolosamente, insieme ai nostri bravi legali, il famoso ricorso per l'esclusione dalle elezioni nella municipalità di Chiaia, ricorso "deciso insieme", nessuno escluso, lo stiamo facendo d'accordo anche con Rifondazione comunista; a giorni sentirò anche Renato Rotondo; stiamo cercando di rispettare un appuntamento con i disobbedienti, di vedere le organizzazioni ambientaliste sulla faccenda dei rifiuti; a breve, insieme anche a Norberto, unico nostro eletto, stiamo cercando di capire come creare le condizioni per promuovere finalmente l'uso dei referendum nella nostra città: sui rifiuti, appunto, sul traffico e l'estensione delle zone pedonali, su Bagnoli, ecc…. Nella consapevolezza, tuttavia, che il referendum è utile e importante ma è anche un semplificatore di tematiche che vanno, invece, trattate nella loro complessità con procedure deliberative che coinvolgano propositivamente i cittadini e non esclusivamente su scelta secca si/no. Dovremmo in autunno interrogarci bene su questo nodo: come proporre referendum e, al contempo, fare crescere la consapevolezza della complessità nelle scelte concrete di una comunità-città? Un tipico esempio è proprio il termovalorizzatore evocato in questi giorni: il referendum potrebbe chiuderci ulteriormente entro una trappola, che già si profila fin dalla campagna elettorale, fondata su "o sì o no". La democrazia deliberativa spinge piuttosto a dire a quali condizioni si può dire sì: per esempio dopo che vi sia stata raccolta differenziata, dopo che la parte organica sia stata trattata facendone biogas e compost, dopo che si siano verificati i molti modelli di termovalorizzazione in uso oggi e la pericolosità o meno delle emissioni, dopo una discussione sui siti, ecc. E' di questo tipo il terreno "deliberativo" sul quale si muovono le città europee e anche americane del nord e del sud più avanzate in termini di partecipazione. Chi nelle forze politiche napoletane oggi intende misurarsi su questo metodo e su questi temi e inoltrarsi nella novità di questa fatica? Non sarà facile saperlo se non si promuovono campagne civili. Ma credo anche che alcuni settori di partiti e che altri movimenti si pongno simili questioni. Esploriamo, confrontiamo, verifichiamo. Ma ripartiamo dai cittadini, dai problemi, dalle istituzioni che vanno aiutate a funzionare meglio. Con calma, con realismo verso noi stessi e con apertura verso gli altri.
Per quanto riguarda, poi, questo mio blog, temo proprio che dovrò cassare qualcuno. Non per ciò che scrive ma per quanto scrive su ogni argomento immaginabile. E' dal 19 giugno che ho avvertito che il mio è e intende rimanere un blog molto liberale ma che vi sono delle regole di bon ton nel commentare un blog altrui. Oppure si può semplicemente creare un proprio spazio, un proprio blog.
E' estate, fa caldo, siamo stanchi da un anno impegnativo per tanti tra noi che si sono esposti perché il governo e il clima politico e programmatico nella nostra città si avvicinasse ai cittadini e al come concretamente risolvere i problemi. Oggi verifichiamo che molte nostre proposte erano ben articolate e avevano colto il centro delle questioni che aggravano la vita cittadina. Lo sguardo su Napoli oggi conferma la bontà della scelta di essere autonomamente presenti alle elezioni e oltre e la necessità di fare questo cammino.
E, sì, siamo in tanti a essere colpiti anche emotivamente e preoccupati per la piega che prendono le cose in Medio Oriente. Mi piacerebbe che se ne parlasse in pubblico, ascoltandosi anche tra posizioni diverse e non urlandosi addosso le certezze. Oltre due anni fa, in tempi non sospetti, ho promosso, insieme con l'Associazione 27 gennaio e con Lello Porta, un simile momento con una giornata di studio sui protocolli di Ginevra. C'erano pacifisti israeliani e amici palestinesi. Si parlò di merito e di possibilità. Frontiere, condizioni di sicurezza, trattati di pace e risoluzione delle questioni di territorio, sviluppo economico locale e fatica del riconoscimento pieno e reciproco.
Ieri nell'articolo di fondo di Gianni Riotta sul Corriere della Sera ho letto le dichiarazioni, riportate, di Yona Yahaf, sindaco di Haifa e politico pacifista israeliano di rilievo, che seguo da tempo: cercare testardamente la pace ovunque e con chiunque, Hamas compresa, anche con immediate e risolutive cessione dei territori occupati e, al contempo, applicare la risoluzione 1559 e comunque agire a difesa della sicurezza di Israele. Sono la cosa più simile a ciò che penso.
E torniamo a Napoli. Mi dispiace davvero che Francesco de Goyzueta si dispiaccia. Penso che sia un dispiacere diffuso. E che sia utile però il suo intervento perché si è ripetuto, ha qualcosa di paradigmatico ed è importante ragionarci su per davvero. Ribadisco che non vi sono soluzioni trovate in quattro mesi a cose, appunto, complesse… come è anche il confronto con le forze politiche a partire da quello che noi siamo stati come movimento. Forse mi piacerebbe vedere un po' più di tolleranza per i tempi e per le normali difficoltà di una impresa che tutti sapevamo difficile, lunga e le parole "peccato davvero" vorrei tanto che non prendessero quella aria definitiva. Ma devo constatare che si produce in molti una sorta di dispiacere per la supposta "promessa mancata" che la mia candidatura avrebbe costituito e che non si concilia facilmente con la pazienza necessaria a azioni di lunga lena che, invece, sono la sola strada possibile che abbiamo.
La sindrome da promessa mancata mi riporta al mio mestiere e mi suggerisce, per analogia, il tante volte incontrato pensiero magico presso i bambini. Per magia avviene che le cose funzionano e risolvono e c'è qualcuno che incarna questa possibilità. Nel nostro caso andrebbe che si produce proficua azione con tanta parte della sinistra per il bene pubblico e che le forze politiche vengono a mite consiglio rispetto a strutture consolidate di potere e pratiche spartitorie, noi da movimento neonato e acerbo ci strutturiamo bene senza troppa fatica, si forma un solido gruppo dirigente locale, ci sono i soldi per mantenere organizzazione e dare tempo per fare politica locale al signor caio e al signor sempronio, qualcuno è capace di continua iniziativa politica da leader carismatico e sta sempre sui giornali, l'opinione pubblica e i singoli annuiscono felici. Ma più prosaicamente mi piacerebbe capire cosa, in concreto, secondo Francesco come secondo altri che incontro, si debba o possa fare per aprire un dibattito politico in modo nuovo oggi, a luglio, in una città che sta come sta e la cui giunta esprime ben oltre il 50% dei consensi. Lo dico sul serio.
Personalmente sono d'accordo con i tanti, che pure incontro, che vivadio chiedono di non demordere, che ricordano che vi è una struttura di potere che fa della nostra città una zona anomala, che sarà duro scalfirla e che bisogna fare le cose, scegliere alcune campagne su cose concrete, non molte, che si devono preparare pazientemente e bene, che c'è anche necessità di sacrosanto riposo, sia pur breve e poi di un tempo di strutturazione interna, come ogni forza che parla di politica, in senso stretto, della polis. Bisogna, con artigiana e cerosina fatica, aprire certamente varchi nella informazione per farsi sentire, cosa non facile e che sto e stiamo anche iniziando a fare.
Poi sono d'accordo che bisogna sapere dire i limiti che abbiamo e che abbiamo avuto. Siamo senza partito, senza stampa, con una organizzazione costruita per una campagna elettorale e che deve radicalmente cambiare, con la urgenza di dare a noi stessi una identità mentre cerchiamo spazi in città e di formare un gruppo dirigente con procedure condivise. L'11 di luglio abbiamo deciso di fare questo e di interrogarci intorno a questo.
Francesco richiama i nomi a me cari di Saraceno e Nitti: era gente che ha lavorato su tempi lunghi, realizzando faticosamente cose in modo parziale, per approssimazioni successive, guardando a risultati imperfetti, vedendo e corregendo errori e difetti, con un rigore di metodo "riformista", spesso poco seguito da altri intorno. Mica sono stati dei "magici".
Ma davvero dobbiamo sempre immancabilmente cadere nell'altalena partenopea impazienza/delusione? Possiamo onestamente trattare anche questo tema che è politico, etico e psicologico insieme? L'ho scritto qui altre volte: credo che ce ne sia un grande bisogno.
Intanto va anche detto che ci stiamo "banalmente" occupando di seguire le cose decise tutti insieme e che restano da fare in pochi - come è anche normale, in queste situazioni: chiudere bene i conti economici della campagna elettorale per renderli pubblici come promesso, sgombrare le sedi occupate, trovare una o più nuove sedi, sostenere discussioni, azioni e iniziative dei comitati territoriali, darsi un calendario condiviso. Cose semplici forse per chi fa politica e solo politica e guadagna da vivere grazie alla politica e con sovvenzioni pubbliche per le spese correnti, cose un po' più impegnative per chi si alza la mattina e va a lavorare e deve fare collette per qualsiasi cosa si intenda fare. Un po' di temperanza prima di arrivare a conclusioni negative è proprio impossibile? Mi piacerebbe, Francesco, parlare davvero di questo: illusione, speranza, possibilità, concreta costruzione sociale e politica.
Poi, tante piccole cose si fanno intanto. Non sono sui giornali ma si fanno. Si sono riuniti, varie volte, i comitati di S. Carlo Arena, Sanità, Centro storico, Vomero, che ha anche creato un suo sito, Scampia, Ponticelli e altri. Nell'ultima settimana abbiamo contattato Porta and company per impostare un confronto sulla città, nel rispetto delle diversità reciproche; stiamo seguendo meticolosamente, insieme ai nostri bravi legali, il famoso ricorso per l'esclusione dalle elezioni nella municipalità di Chiaia, ricorso "deciso insieme", nessuno escluso, lo stiamo facendo d'accordo anche con Rifondazione comunista; a giorni sentirò anche Renato Rotondo; stiamo cercando di rispettare un appuntamento con i disobbedienti, di vedere le organizzazioni ambientaliste sulla faccenda dei rifiuti; a breve, insieme anche a Norberto, unico nostro eletto, stiamo cercando di capire come creare le condizioni per promuovere finalmente l'uso dei referendum nella nostra città: sui rifiuti, appunto, sul traffico e l'estensione delle zone pedonali, su Bagnoli, ecc…. Nella consapevolezza, tuttavia, che il referendum è utile e importante ma è anche un semplificatore di tematiche che vanno, invece, trattate nella loro complessità con procedure deliberative che coinvolgano propositivamente i cittadini e non esclusivamente su scelta secca si/no. Dovremmo in autunno interrogarci bene su questo nodo: come proporre referendum e, al contempo, fare crescere la consapevolezza della complessità nelle scelte concrete di una comunità-città? Un tipico esempio è proprio il termovalorizzatore evocato in questi giorni: il referendum potrebbe chiuderci ulteriormente entro una trappola, che già si profila fin dalla campagna elettorale, fondata su "o sì o no". La democrazia deliberativa spinge piuttosto a dire a quali condizioni si può dire sì: per esempio dopo che vi sia stata raccolta differenziata, dopo che la parte organica sia stata trattata facendone biogas e compost, dopo che si siano verificati i molti modelli di termovalorizzazione in uso oggi e la pericolosità o meno delle emissioni, dopo una discussione sui siti, ecc. E' di questo tipo il terreno "deliberativo" sul quale si muovono le città europee e anche americane del nord e del sud più avanzate in termini di partecipazione. Chi nelle forze politiche napoletane oggi intende misurarsi su questo metodo e su questi temi e inoltrarsi nella novità di questa fatica? Non sarà facile saperlo se non si promuovono campagne civili. Ma credo anche che alcuni settori di partiti e che altri movimenti si pongno simili questioni. Esploriamo, confrontiamo, verifichiamo. Ma ripartiamo dai cittadini, dai problemi, dalle istituzioni che vanno aiutate a funzionare meglio. Con calma, con realismo verso noi stessi e con apertura verso gli altri.
Per quanto riguarda, poi, questo mio blog, temo proprio che dovrò cassare qualcuno. Non per ciò che scrive ma per quanto scrive su ogni argomento immaginabile. E' dal 19 giugno che ho avvertito che il mio è e intende rimanere un blog molto liberale ma che vi sono delle regole di bon ton nel commentare un blog altrui. Oppure si può semplicemente creare un proprio spazio, un proprio blog.
18 luglio, 2006
Crisi democratica e dintorni
Sì, Norberto: tutti i dati che qui ricordi - con relativi siti, che invito tutti a visitare - e non solo la terribile e ripetuta evidenza dei cumuli di immondizia per strada di questi giorni, ci dicono di una grave mancanza di diritti umani e civili a Napoli e di una autentica emergenza democratica. Proprio così. Perché sono assenti o del tutto insufficienti i poteri di controllo da parte di cittadini, stampa, istituzioni che dovrebbero assumere i compiti di garanzia e di terzietà. E così è per le condizioni di vita dei diversamente abili. E così è per l'assenza scandalosa di discussione su formazione, lavoro, destino dei giovani esclusi precocemente e in così gran numero a Napoli. E così è per la possibilità di partecipare agli indirizzi urbanistici e alle scelte strategiche: che fine ha fatto il famigerato piano strategico, con chi si confronta, ora che è passato un anno da quando se ne è annunciata la prima bozza? Altro che sviluppo locale sostenibile e partecipativo! Ha ragione Giovanna: "in effetti, siamo vittime di un cattivo dispiego dei mezzi che la democrazia ha (o deve avere) a propria disposizione; ergo, è una crisi democratica".
E' da questa "constatazione dell'emergenza democratica", della quasi impossibilità di dirlo, di svelarlo appieno che si deve partire. E' un primo grande tema per un movimento come il nostro.
Sono una persona riformista e moderata. Ma qui ci vuole indignazione e opposizione fermissima. Non è, non sarà facile. Come coniugare la "ponderatezza civile" propria di ogni costruzione e di ogni processo partecipativo e che deve farsi precisa e propositiva con l'indignazione che pure va raccolta? Come dare voce e senso costruttivo costante all'indignazione? Ed è questo complesso compito democratico un secondo grande tema.
Le campagne civili devono anche sapersi relazionare con i fischi benedetti che hanno salutato la allegra comparsata di sindaco e presidenti di regione e provincia alla festa di Cannavaro e della coppa del mondo in piazza Plebiscito. Non possono limitarsi alla insofferenza delle parti "protette e avvertite" della città. Anzi: devono investire soprattutto le periferie e chi sta peggio e assumere un'anima di impegno sociale. E' un terzo tema su cui lavorare.
Per quanto riguarda la questione sollevata da Danilo, confermo che mi sono astenuto. A mio modo di vedere, il vero problema è che il comitato esecutivo non ha formalmente oggi i poteri di prendere posizione poiché lo statuto ne prevede una mera funzione di esecuzione, appunto, di decisioni prese dal comitato di indirizzo e, anche per questo, ha avuto un profilo debole politicamente e che certamente va superato con uno statuto nuovo che dia forza a un organismo con delega politica esplicita, più forte ma snello, capace di trainare ed essere presente e che la commissione per la modifica dello statuto dovrà proporre. Nelle more è, piuttosto, valsa la buona volontà o l'iniziativa dell'uno o dell'altro di farsi sentire pubblicamente su temi ed eventi essendosi informalmente confrontati. In particolare io ho cercato, sulla stampa, di dire cose che ci rappresentassero - credo - in modo sostanzialmente equilibrato. Dopo il cambio di statuto auspico che ci sia una direzione collegiale del movimento che possa assumere posizione, anche se penso che il come ciò avvenga debba essere oggetto di profondo dibattito perché il modello-partito, in merito, è ben diverso dal modello movimento civico e, comunque, ci vuole un sano spazio per le differenziazioni tra posizioni. E intanto proviamo ad andare avanti così: sono qui e sono pronto a farlo e così penso anche il presidente.
E' da questa "constatazione dell'emergenza democratica", della quasi impossibilità di dirlo, di svelarlo appieno che si deve partire. E' un primo grande tema per un movimento come il nostro.
Sono una persona riformista e moderata. Ma qui ci vuole indignazione e opposizione fermissima. Non è, non sarà facile. Come coniugare la "ponderatezza civile" propria di ogni costruzione e di ogni processo partecipativo e che deve farsi precisa e propositiva con l'indignazione che pure va raccolta? Come dare voce e senso costruttivo costante all'indignazione? Ed è questo complesso compito democratico un secondo grande tema.
Le campagne civili devono anche sapersi relazionare con i fischi benedetti che hanno salutato la allegra comparsata di sindaco e presidenti di regione e provincia alla festa di Cannavaro e della coppa del mondo in piazza Plebiscito. Non possono limitarsi alla insofferenza delle parti "protette e avvertite" della città. Anzi: devono investire soprattutto le periferie e chi sta peggio e assumere un'anima di impegno sociale. E' un terzo tema su cui lavorare.
Per quanto riguarda la questione sollevata da Danilo, confermo che mi sono astenuto. A mio modo di vedere, il vero problema è che il comitato esecutivo non ha formalmente oggi i poteri di prendere posizione poiché lo statuto ne prevede una mera funzione di esecuzione, appunto, di decisioni prese dal comitato di indirizzo e, anche per questo, ha avuto un profilo debole politicamente e che certamente va superato con uno statuto nuovo che dia forza a un organismo con delega politica esplicita, più forte ma snello, capace di trainare ed essere presente e che la commissione per la modifica dello statuto dovrà proporre. Nelle more è, piuttosto, valsa la buona volontà o l'iniziativa dell'uno o dell'altro di farsi sentire pubblicamente su temi ed eventi essendosi informalmente confrontati. In particolare io ho cercato, sulla stampa, di dire cose che ci rappresentassero - credo - in modo sostanzialmente equilibrato. Dopo il cambio di statuto auspico che ci sia una direzione collegiale del movimento che possa assumere posizione, anche se penso che il come ciò avvenga debba essere oggetto di profondo dibattito perché il modello-partito, in merito, è ben diverso dal modello movimento civico e, comunque, ci vuole un sano spazio per le differenziazioni tra posizioni. E intanto proviamo ad andare avanti così: sono qui e sono pronto a farlo e così penso anche il presidente.
13 luglio, 2006
Assemblea buona e molto lavoro da fa
L’assemblea di Decidiamo Insieme si è riunita in una calura tremenda il giorno 11/7. Non eravamo pochi e siamo stati tutti d’accordo a procedere contemporaneamente sui due piani indispensabili per un movimento com’è il nostro: strutturarci in modo da poter agire nei tempi lunghi e continuare a tallonare le istituzioni intorno ai temi che sono quelli della cittadinanza attiva e della democrazia partecipativa e agli ambiti che riguardano la vita dei cittadini. E i temi richiamati sono quelli che, anche su questo blog, ho più volte elencato, che sono presenti nel nostro forum e che sono al centro del dibattito cittadino. L’assemblea ha, insomma, avviato il percorso del nostro movimento per essere davvero presenti in città, nonostante non abbiamo consiglieri comunali – una debolezza che riconosciamo come difficile da gestire……
L’assemblea ha approvato una agenda o scadenzario che presto troverete sul sito, ha stabilito che avremo una sede, sostiene ogni iniziativa dei comitati territoriali, che, intanto, già si riuniscono, ha espresso fortemente l’idea di lavorare ancora per ambiti tematici, ha stabilito un budget per continuare l’azione e di lavorare da subito a una proposta di nuovo statuto che dovrà essere condiviso ed approvato da tutti.
Penso che abbiamo bisogno di una direzione politica in senso civile, capace di aprire campagne, appunto, civili in città, di dare voce a indignazione e proposte, di stabilire priorità e costruire cultura democratica. E ci vuole un gruppo dirigente, spero multiforme e creativo, donne e uomini espressione di tutti i territori, attivi, capaci di continuare la nostra battaglia con costanza. Penso anche che ve ne siano tutte le premesse. Ma si tratta di lavorarci. E, da questo punto di vista, abbiamo stabilito che, entro il 2 ottobre, ognuno potrà dare il suo contributo scritto sugli indirizzi da prendere in modo da determinare il nostro movimento nelle sue scelte di metodo e merito. Le posizioni, a tal fine, si devono confrontare apertamente. Ci vuole un processo di esplicitazione delle idee, del metodo, delle priorità che ciascuno sceglie di proporre a D. I.: quale idea del contesto nel quale ci troviamo, quali azioni prioritarie, quali temi aggiuntivi, quali attività concrete, quale modello organizzativo, ecc. (Vi sarà nel forum una griglia perché tutti i documenti possano affrontare da posizioni diverse o simili i medesimi quesiti di fondo). Si è, insomma, decisa una procedura condivisa che permette di arrivare nella chiarezza delle diverse opzioni e posizioni a una conferenza (il nome va ancora trovato per questa assise autunnale) che abbiamo deciso di tenere entro ottobre. E’ sulla base di tali documenti che sarà anche eletto un nuovo comitato di indiizzo – appunto un gruppo dirigente di D. I.
E intanto cercheremo di dire la nostra su quel che avviene in città. Non possiamo certo stare fermi e zitti. La situazione non lo permette. Personalmente continuerò a consultarmi con tutti gli amici di D. I. e a scrivere sui giornali ogni volta che è possibile… non si creda che sia facile. Intendo, poi, darmi il tempo, insieme a altre persone, durante l’estate e a settembre, di scrivere anche io un documento da presentare entro il 2 ottobre, che possa confrontarsi con altri, nella normale unitarietà o difformità di opinioni e proposte che credo debba esserci in D. I.
E’ l’avvio di un processo identitario che non sarà facile e che non può che prevedere posizioni diverse che si mettono in gioco democraticamente. Siamo davvero usciti dalla fase elettorale e ci muoviamo nella direzione di un movimento di azione civile a Napoli.
L’assemblea ha approvato una agenda o scadenzario che presto troverete sul sito, ha stabilito che avremo una sede, sostiene ogni iniziativa dei comitati territoriali, che, intanto, già si riuniscono, ha espresso fortemente l’idea di lavorare ancora per ambiti tematici, ha stabilito un budget per continuare l’azione e di lavorare da subito a una proposta di nuovo statuto che dovrà essere condiviso ed approvato da tutti.
Penso che abbiamo bisogno di una direzione politica in senso civile, capace di aprire campagne, appunto, civili in città, di dare voce a indignazione e proposte, di stabilire priorità e costruire cultura democratica. E ci vuole un gruppo dirigente, spero multiforme e creativo, donne e uomini espressione di tutti i territori, attivi, capaci di continuare la nostra battaglia con costanza. Penso anche che ve ne siano tutte le premesse. Ma si tratta di lavorarci. E, da questo punto di vista, abbiamo stabilito che, entro il 2 ottobre, ognuno potrà dare il suo contributo scritto sugli indirizzi da prendere in modo da determinare il nostro movimento nelle sue scelte di metodo e merito. Le posizioni, a tal fine, si devono confrontare apertamente. Ci vuole un processo di esplicitazione delle idee, del metodo, delle priorità che ciascuno sceglie di proporre a D. I.: quale idea del contesto nel quale ci troviamo, quali azioni prioritarie, quali temi aggiuntivi, quali attività concrete, quale modello organizzativo, ecc. (Vi sarà nel forum una griglia perché tutti i documenti possano affrontare da posizioni diverse o simili i medesimi quesiti di fondo). Si è, insomma, decisa una procedura condivisa che permette di arrivare nella chiarezza delle diverse opzioni e posizioni a una conferenza (il nome va ancora trovato per questa assise autunnale) che abbiamo deciso di tenere entro ottobre. E’ sulla base di tali documenti che sarà anche eletto un nuovo comitato di indiizzo – appunto un gruppo dirigente di D. I.
E intanto cercheremo di dire la nostra su quel che avviene in città. Non possiamo certo stare fermi e zitti. La situazione non lo permette. Personalmente continuerò a consultarmi con tutti gli amici di D. I. e a scrivere sui giornali ogni volta che è possibile… non si creda che sia facile. Intendo, poi, darmi il tempo, insieme a altre persone, durante l’estate e a settembre, di scrivere anche io un documento da presentare entro il 2 ottobre, che possa confrontarsi con altri, nella normale unitarietà o difformità di opinioni e proposte che credo debba esserci in D. I.
E’ l’avvio di un processo identitario che non sarà facile e che non può che prevedere posizioni diverse che si mettono in gioco democraticamente. Siamo davvero usciti dalla fase elettorale e ci muoviamo nella direzione di un movimento di azione civile a Napoli.
08 luglio, 2006
Spazio in città
Questo dibattito mi pare importante. Anche in vista dell’avvio di un processo dentro il nostro movimento che ne decida gli indirizzi di fondo. A partire dall’assemblea di martedì 11 luglio.
Come si crea spazio pubblico in città? Intanto – come ho più volte ripetuto – dobbiamo declinare meglio cosa è per noi la partecipazione, la democrazia deliberativa e come possiamo contribuire a farla crescere davvero a Napoli. Ieri sono stato a un convegno importante della Associazione italiana per lo sviluppo locale (v. www.aislo.it) dove si parlava di questo: come ci si muove in tale direzione a Città del Messico, a Sfax, a Genova, a Beijing, a Pescara, a Pesaro, a Roma, ecc. Possiamo sostenere una sana ambizione “sprovincializzante” su questi temi decisivi?
Personalmente, dunque, non sono incline a dirsi belli e bravi da soli, caro Francesco. E l’autocontemplazione non mi è congeniale affatto. Anzi. Ho sempre pensato che si lavora con gli altri e con i diversi da noi per lo sviluppo democratico della città. E, per me, D. I. si deve fare facilitatore di incontro e confronto. Già subito dopo le elezioni ho sottolineato come la percezione che noi potessimo avere atteggiamenti autoreferenziali non ci ha giovato tanto. Ma quello che tu qui suggerisci si basa forse un po’ troppo sull’assunto che si avrà spazio pubblico, mediatico e non, se si sta insieme ai signori x o y o se ci si occupa della supposta crisi di un partito. Se, invece, come spero, stai dicendo che bisogna lavorare per lo spazio di dibattito pubblico in città in generale, ben al di là di D. I., sono d’accordo. Infatti, con convinzione ho aperto canali, prima e dopo le elezioni, con il coordinamento per il lavoro sociale; sono stato d’accordo a prendere contatti anche nazionali con il coordinamento dei girotondini; intrattengo un confronto diretto a Roma e a Napoli con coloro che intendono fare il partito democratico davvero dal basso; continuo i contatti con le organizzazioni ambientaliste; parlo con tante persone che, dentro i diversi partiti, esprimono critica e insoddisfazione con gli assetti usciti dalle elezioni napoletane. E mi confronto pure con gli assessori, ho chiesto molte volte un incontro al sindaco, ho fatto un invito pubblico allo stesso Porta. Credo che questo sia un buon metodo, penso ci voglia perseveranza e sono munito di buone doti di pazienza perché so che la politica è facilitazione di processi complessi.
Ma si deve, al contempo, insistere su un senso della politica che rimetta al centro la vita quotidiana e, insieme, l’interesse generale. E’ una sfida cittadina e nazionale che sarà lunga e ci vorrà tenacia. E, per sostenerla, va anche detto con forza che, di pari passo al confronto con tutti, si deve costruire un’identità da movimento civico vero, che propone soluzioni e campagne indipendenti; dobbiamo fare campagne su cose da farsi per la città insieme ai cittadini, su temi e secondo priorità, a livello cittadino e nei singoli territori. Un movimento aperto, insomma, intanto lo è se favorisce spazio pubblico innanzitutto con e per i cittadini. E la domanda di fondo, cruciale è: a chi rispondiamo? La mia personale risposta – che ho dato su Il Corriere del Mezzogiorno e della quale sono convinto - è: ai cittadini e alle istituzioni. Non ai partiti o ai gruppi di pressione dentro i partiti. Con questi certamente ci si confronta ma non sono questi gli interlocutori prioritari di un movimento civico.
Sono d’accordo, poi, con P.D. per la ripresa di una vera funzione di garanzia per il difensore civico che dobbiamo trovare il modo di favorire, anche qui, insieme ad altri.
E, nell’ottica su cui stiamo riposizionandoci, il dibattito su come riprendere un piano per la città… e il chiamare in causa Berlino come possibile esempio di partecipazione ai processi trasformativi, è un’occasione di riflessione di cui pure dobbiamo certamente fare parte.
Come si crea spazio pubblico in città? Intanto – come ho più volte ripetuto – dobbiamo declinare meglio cosa è per noi la partecipazione, la democrazia deliberativa e come possiamo contribuire a farla crescere davvero a Napoli. Ieri sono stato a un convegno importante della Associazione italiana per lo sviluppo locale (v. www.aislo.it) dove si parlava di questo: come ci si muove in tale direzione a Città del Messico, a Sfax, a Genova, a Beijing, a Pescara, a Pesaro, a Roma, ecc. Possiamo sostenere una sana ambizione “sprovincializzante” su questi temi decisivi?
Personalmente, dunque, non sono incline a dirsi belli e bravi da soli, caro Francesco. E l’autocontemplazione non mi è congeniale affatto. Anzi. Ho sempre pensato che si lavora con gli altri e con i diversi da noi per lo sviluppo democratico della città. E, per me, D. I. si deve fare facilitatore di incontro e confronto. Già subito dopo le elezioni ho sottolineato come la percezione che noi potessimo avere atteggiamenti autoreferenziali non ci ha giovato tanto. Ma quello che tu qui suggerisci si basa forse un po’ troppo sull’assunto che si avrà spazio pubblico, mediatico e non, se si sta insieme ai signori x o y o se ci si occupa della supposta crisi di un partito. Se, invece, come spero, stai dicendo che bisogna lavorare per lo spazio di dibattito pubblico in città in generale, ben al di là di D. I., sono d’accordo. Infatti, con convinzione ho aperto canali, prima e dopo le elezioni, con il coordinamento per il lavoro sociale; sono stato d’accordo a prendere contatti anche nazionali con il coordinamento dei girotondini; intrattengo un confronto diretto a Roma e a Napoli con coloro che intendono fare il partito democratico davvero dal basso; continuo i contatti con le organizzazioni ambientaliste; parlo con tante persone che, dentro i diversi partiti, esprimono critica e insoddisfazione con gli assetti usciti dalle elezioni napoletane. E mi confronto pure con gli assessori, ho chiesto molte volte un incontro al sindaco, ho fatto un invito pubblico allo stesso Porta. Credo che questo sia un buon metodo, penso ci voglia perseveranza e sono munito di buone doti di pazienza perché so che la politica è facilitazione di processi complessi.
Ma si deve, al contempo, insistere su un senso della politica che rimetta al centro la vita quotidiana e, insieme, l’interesse generale. E’ una sfida cittadina e nazionale che sarà lunga e ci vorrà tenacia. E, per sostenerla, va anche detto con forza che, di pari passo al confronto con tutti, si deve costruire un’identità da movimento civico vero, che propone soluzioni e campagne indipendenti; dobbiamo fare campagne su cose da farsi per la città insieme ai cittadini, su temi e secondo priorità, a livello cittadino e nei singoli territori. Un movimento aperto, insomma, intanto lo è se favorisce spazio pubblico innanzitutto con e per i cittadini. E la domanda di fondo, cruciale è: a chi rispondiamo? La mia personale risposta – che ho dato su Il Corriere del Mezzogiorno e della quale sono convinto - è: ai cittadini e alle istituzioni. Non ai partiti o ai gruppi di pressione dentro i partiti. Con questi certamente ci si confronta ma non sono questi gli interlocutori prioritari di un movimento civico.
Sono d’accordo, poi, con P.D. per la ripresa di una vera funzione di garanzia per il difensore civico che dobbiamo trovare il modo di favorire, anche qui, insieme ad altri.
E, nell’ottica su cui stiamo riposizionandoci, il dibattito su come riprendere un piano per la città… e il chiamare in causa Berlino come possibile esempio di partecipazione ai processi trasformativi, è un’occasione di riflessione di cui pure dobbiamo certamente fare parte.
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