13 febbraio, 2012

Parlare ai ragazzi. E con i ragazzi.

Venerdì sera sono stato su La7 nella trasmissione Otto e mezzo, per parlare insieme a Roberto Vecchioni e Lilli Gruber di scuola e giovani.
Ho provato a dire la mia per quel che riguarda le difficoltà, ma anche i punti di forza dei ragazzi. E ho cercato di raccontare le sfide quotidiane e le fatiche dei miei colleghi insegnanti.
Per chi se lo fosse perso, questo è il video della puntata:



Parlare ai ragazzi nel modo giusto significa per me utilizzare un linguaggio di verità, senza voler annullare le differenze tra vite, ruoli ed età molto distanti. Significa insomma parlare prima di tutto “con” i ragazzi.
Io ci ho provato rispondendo a due bravi giornalisti di 11 anni, alunni dell’Istituto comprensivo Ristori di Napoli: ecco qua le mie risposte. Ma soprattutto le loro domande.





27 gennaio, 2012

Memoria e futuro

Sono giorni dedicati alla memoria storica. Poche settimane fa il ministro Profumo ha accompagnato una delegazione di studenti ad Auschwitz. Oggi si terrà la celebrazione ufficiale della Giornata della Memoria al Quirinale. La memoria della Shoah, ma non solo. Anche del Porrajmos, lo sterminio di centinaia di migliaia di rom e sinti deportati nei campi nazisti.
L’antisemitismo ancora striscia e colpisce in Europa come altrove. Ma più evidente anche nel nostro Paese è la paura e il pregiudizio che accompagna la presenza di comunità nomadi arrivate dall’Est. Che non aiuta e a volte esplicitamente ostacola la tutela di alcuni diritti fondamentali e i processi di integrazione.
Sono 150.000 persone, ormai in gran parte cittadini comunitari, ben 70.000 cittadini italiani. Ma vivono tragedie quotidiane su cui i riflettori si accendono soltanto quando i campi vengono dati a fuoco, per dolo o incidente, quando muoiono bambini senza colpe, quando la rabbia esplode feroce e insensata.
Le celebrazioni, si sa, non servono a granché se fini a loro stesse. Ma inserite in un quadro di azione, di rinnovata presenza istituzionale e di impegno concreto possono lasciare un segno.
E quindi non è un caso che proprio martedì si sia riunito per la prima volta un tavolo permanente interministeriale sulle comunità rom, sinti e camminanti. Dal welfare all’istruzione, dalla pubblica sicurezza alla sanità, il Governo dà vita a un’azione organica e continuativa che punta sia alla soluzione delle emergenze, sia ad impostare un lavoro a lungo termine per l’integrazione e il rispetto dei diritti umani. E a presentare alla Commissione Europea entro il 28 Febbraio il piano strategico nazionale per l’integrazione dei rom.
L’indegno trattamento che riserviamo ai rom nel nostro Paese non è una percezione del ministro Riccardi o di questo Governo, ma un fatto tristemente riconosciuto dalle istituzioni internazionali: il documento pubblicato il 24 gennaio dalla Commissione per i diritti umani del Consiglio d’Europa, l’organismo che vigila sull’applicazione della Carta sociale europea da parte degli Stati membri, denuncia che in Italia ancora non vengono garantiti ai rom alcuni diritti, fra cui quello all’abitazione. Non è il primo richiamo ufficiale che riceviamo. E’ il momento di agire in modo deciso e adeguato. A partire dal fatto che la metà dei rom presenti in Italia sono minori di 18 anni. Non possiamo che partire da loro. Da loro a scuola.

25 gennaio, 2012

Contenuti, contenitori e vasi comunicanti

Altri 556 milioni di euro per l’edilizia scolastica sono stati sbloccati il 20 Gennaio dal CIPE. Una parte sarà destinata alla ristrutturazione delle scuole in tutta Italia, un’altra di circa 100 milioni alla costruzione di edifici nuovi. Ne parla diffusamente il ministro Profumo sul Sole 24 Ore.
Innovare gli spazi: aperti, flessibili, efficienti da un punto di vista energetico. Al servizio di tutta la cittadinanza. Come dice lo stesso ministro Profumo, scuole come luoghi civici. E’ da tanti anni che sono convinto che una “rivoluzione” degli spazi sia fondamentale per innovare anche metodi ed approcci educativi e pedagogici. Per aprirsi al mondo anche fisicamente alla comunità, al territorio, alla vita circostante. E del resto ci sono state esperienze positive di scuole aperte, un repertorio di buone pratiche da cui ripartire.
Edifici e tecnologia, quindi. Perché la digitalizzazione può favorire un abbattimento dei costi e del peso sulle spalle di ragazzi e famiglie. Ma soprattutto perché il contenuto è più importante del supporto: e noi abbiamo bisogno di spezzare la verticalità dei concetti e delle discipline. Ne parla Alain Touraine oggi su Repubblica. E mi cita Elena Favilli in un bell’articolo in cui descrive gli insegnanti come dei dj, a cui si richiede di “mixare” e ricomporre in forme nuove gli apprendimenti di sempre.
Come racconto ad America Oggi, non si tratta di sogni irrealizzabili ma di un sano “pensiero positivo”, che si affida alle tante risorse, energie ed entusiasmi presenti nella scuola. Nonostante tutto.

20 gennaio, 2012

L’Europa guarda a Napoli. Napoli all’Europa

Due giorni densi e importanti per Napoli e tutta la scuola del Mezzogiorno. La presentazione del Piano Azione e Coesione per il Sud è stata l’occasione di un confronto per le scuole di Campania, Calabria, Puglia e Sicilia.
L’innovazione può nascere anche nella difficoltà. Può generarsi dall’azione didattica di presidi e insegnanti che con entusiasmo e impegno si dedicano ai ragazzi in contesti problematici. Le persone che fanno scuola nel nostro Paese sono serie, piene di speranza e concretezza. Ed è loro che vogliamo sostenere con un sapiente uso dei fondi europei.
Ho visitato il 48° circolo didattico. Emozioni e ricordi nel ritrovare persone e luoghi cari. Sono entrato nelle classi, ho parlato con le colleghe. Sono entrato nel Padiglione Chance. Era distrutto. Di questa perdita ne ho parlato con Johannes Hahn, Commissario europeo per le politiche regionali. Lì, proprio lì. Le esperienze dure e buone che vengono dissipate. Non deve più accadere. Amarezza per ciò che si è perduto. Consapevolezza che abbiamo gettato un seme.

I video che raccontano la visita a Napoli:



17 gennaio, 2012

Le cose concrete

Prima di tutto grazie. Per le tante idee, critiche, proposte. Si è sviluppata una discussione ricca e anche qualche polemica. E’ comprensibile che si associ quello che scrivo con le tante indiscrezioni che circolano sui provvedimenti in arrivo. Ma questo è e resta il luogo dei pensieri e delle riflessioni personali. Ben venga se alimentano il necessario dibattito sulla scuola.
Voglio però precisare alcune cose. Soprattutto ai tanti che hanno scritto preoccupati. Il ministro Profumo è stato chiaro: per quanto ci compete è finita l’era dei tagli. Ha poi detto delle cose in via ufficiale, alle Commissioni di Camera e Senato. E io sono d’accordo con lui: i soldi per la scuola si chiamano “investimenti”, non “spesa”. E pur in questa situazione difficile si lavora proprio in questa direzione, per trovare tutte le risorse possibili. Lo fa notare ieri Mario Pirani su Repubblica.

E sia chiaro: non sono in arrivo provvedimenti a sorpresa. Stiamo lavorando, come ho spiegato sabato sul Sole 24 Ore, per garantire maggiore autonomia alle scuole, attraverso meno vincoli d’uso per le risorse e maggiore flessibilità organizzativa. E per portare a compimento il Piano Sud sull'edilizia scolastica, l’innovazione digitale e il contrasto alla dispersione.
Giovedì sarò a Napoli proprio per questo, insieme ai ministri Barca e Profumo, al Commissario europeo  per le politiche regionali Hahn e alla mia collega sottosegretario Elena Ugolini.

10 gennaio, 2012

Attese possibili

Si arriverà a breve a un primo banco di prova. La domanda è: come fa un Governo, con mezzi limitatissimi, in piena recessione, con un debito spaventoso dei conti pubblici, a dare segnali non solo simbolici, e sostegno a scuole, docenti, ragazzi?
Sì, certo, si può e si deve interrompere il clima sfavorevole alla scuola: parlar bene e non più male dei docenti, smettere di ripetere che i soldi per la scuola sono spese e chiamarli investimenti, introdurre- non senza fatica- nuovi media ed edilizia scolastica nell’agenda per il Sud. Non è poco. Ma poi c’è da organizzare il lavoro, disporre davanti a noi un credibile orizzonte di attesa.
Non so ancora se le cose che da tempo ho in testa potranno entrare in tale orizzonte. Ma è bene nominarle.

1) Fornire le scuole di un organico stabile, che ridia ossigeno a un minimo di effettiva autonomia: docenti per le ore ordinarie, docenti per i bisogni educativi speciali, docenti in organico, stabilizzato, per coprire la maggior parte delle supplenze e al contempo per assicurare un po’ di risorse per affrontare le criticità, promuovere novità, consolidare risultati.
2) Favorire sinergie tra un po’ di soldi pubblici e soggetti privati per svecchiare il patrimonio dell’edilizia scolastica: creare le prime scuole davvero sicure, eco-sostenibili e funzionali, dismettere quelle completamente insicure o per le quali paghiamo costosi affitti.
3) Riunire le voci di bilancio, semplificare procedure, facilitare spese sensate e responsabili da parte delle scuole.
4) Far entrare un po’ di docenti precari e anche, al contempo, un po’ di ragazze e ragazzi che vogliono insegnare, per concorso, come dice la Costituzione: tot posti veri e tot vincitori, senza ulteriori graduatorie.
5) Assicurare per tutti- vecchi e nuovi entrati a scuola- una stabilità di sede, che serve ai ragazzi come il pane: almeno per tre anni di seguito noi docenti dobbiamo evitare i trasferimenti.
6) Una ripresa degli scatti di anzianità.
7) Riformare i percorsi scolastici in modo che- dalla prima elementare al diploma- durino in tutto non oltre 12 anni. In modo da far coincidere la maggiore età e la fine della scuola, come nei grandi paesi europei, in USA, in India, Cina e Brasile.
8) Creare dei primi prototipi di scuola con il mandato e le risorse per combattere davvero la dispersione scolastica nelle aree più povere.

Forse non sono attese semplici da realizzare, ma sono possibili.

04 gennaio, 2012

Di più a chi ha di meno. Da Sud a Nord.

Invertire la rotta dell’innovazione. Da Sud a Nord, e a partire dalle scuole. E’ questa la sfida a cui stiamo lavorando con il Governo.
Avevo già parlato qui del Piano Azione Coesione: in accordo con le quattro Regioni del Sud, si riprogramma la destinazione dei fondi europei per la lotta alla dispersione scolastica, per l’edilizia e l’innovazione tecnologica. Riprendo questo tema, allargando il campo alle prospettive future, nell’intervista di oggi sul Mattino.
La sfida è ambiziosa e al tempo stesso percorribile anche in tempi brevi e con le risorse a disposizione. Si tratta di scelte strategiche che legano lo sviluppo alla coesione e all’equità. Che puntano a colmare i divari esistenti, a dare una chance  vera a chi parte svantaggiato. Non con interventi improvvisati e dall’alto, ma a partire da quello che già c’è e che serve valorizzare.
Sull’infanzia “precaria” nelle aree difficili del nostro Sud, ho ragionato più estesamente su Napoli Città Sociale.

30 dicembre, 2011

Giro di boa?

Care e cari maestri e professori,

gli anni passati a insegnare in tre diversi continenti, ma in particolare gli ultimi tre, trascorsi in giro per l’Italia, osservando, ascoltando e confrontandomi con migliaia di colleghi di ogni ordine di scuole, scuole dell’agio e del disagio, scuole per chi a scuola non va più, licei, scuole di base e centri di formazione professionale, mi hanno consegnato una sorta di carta geografica, sicuramente approssimata per difetto, ma capace, credo, di descrivere il territorio della “scuola italiana”, dove si aggira, si impegna, si misura la figura del docente.
Un po’ come Caboto, credo che questa mia mappa, per quanto migliorabile, possa guidarmi nella nuova rotta che ho intrapreso come Sottosegretario all’istruzione.
Quando ci si ferma a parlare con le donne e gli uomini che “fanno la scuola”, tra le mille differenze e le tante somiglianze, nel cahier des doléances emerge spesso la voce profonda e affaticata di noi docenti: esausti per le tante, troppe cose che si pretendono da noi. Essere psicologi, sociologi, assistenti sociali, consulenti dei genitori. Edotti di organizzazione, di didattica, della disciplina e degli spazi tra discipline. Esperti del computer e dotati di capacità manageriali. Preparati nelle nostre materie, ma attenti al territorio. Una stanchezza che fa emergere la velata nostalgia per un tempo passato, in cui fare l’insegnante era più semplice, rassicurante, soddisfacente.
Quando la nostra professionalità si fondava sulla padronanza di contenuti disciplinari molto stabili e su alcune competenze pedagogiche; su certezza del tempo (l’ora) e dello spazio (l’aula).
E’ questa la crisi d’identità emersa di fronte ai cambiamenti e alle nuove incessanti richieste educative che ricadono sulla scuola pubblica. Un’instabilità accresciuta ed aggravata dalla sempre maggiore solitudine sociale degli insegnanti, dalla mancanza di un ruolo pubblicamente riconosciuto. E dal disprezzo di alcuni “soloni” che strombazzano contro di noi senza essere mai stati in classe. E’ questa la sofferenza del nostro lavoro, nel nostro tempo attuale. Tutto questo sento che un ministro, un sottosegretario, lo debbano ricordare. Innanzitutto per dire, ripetere “grazie” a chi fa questo lavoro. Che è bello, vario, prezioso e però poco riconosciuto e mal pagato.
Ma all’inizio di questo mio incarico e all’avvicinarsi del nuovo anno, mi sento di proporre a tutti noi anche un capovolgimento dell’ottica da cui osservare le trasformazioni.
La complessità sempre maggiore delle competenze e delle conoscenze, la necessità di ridefinire e forse allargare il ruolo svolto dall’istruzione e quindi dall’insegnamento, non segnano la decadenza della nostra professione, ma la sua rigenerazione, la sua inevitabile evoluzione.
Le difficoltà che ci investono, indicano dove siamo arrivati e dove dobbiamo andare. Ed è proprio sulla rivendicazione della complessità del mestiere di insegnare che dobbiamo basare la nostra richiesta di riconoscimento sociale, e non su una malinconica nostalgia del tempo passato.
La complessità su cui dobbiamo fondarci non è tanto quella di una scuola sempre più stretta tra le complicazioni organizzative e gestionali, tra nuove materie e curricula sempre più articolati. E’ la complessità delle fasi evolutive dell’infanzia e dell’adolescenza che ci troviamo davanti, la complessità crescente del sapere che ormai sfugge ai classici confini disciplinari, la complessità dei nuovi linguaggi e delle nuove domande sociali, la difficoltà nel riconoscere sempre negli studenti la capacità di trasmetterci a loro volta saperi ed esperienze.
Tutta questa complessità rende l’insegnamento una professione fondante dell’epoca in cui viviamo. Dobbiamo esserne fieri e consapevoli. E dobbiamo imparare.
L’augurio che rivolgo a tutti noi per l’anno che viene è di rinnovare il nostro impegno per la scuola pubblica. Innanzitutto per rendere più vivibile il lavoro quotidiano degli insegnanti. Alleggerendo le scuole da troppe complicazioni burocratiche, dando finalmente fiducia ad un’autonomia progettuale delle scuole e dei gruppi docenti, garantendo un po’ di stabilità in più al sistema nel suo complesso.
In secondo luogo, auguro a voi tutti di sentirvi sostenuti nella presa in carico della crisi educativa che si riverbera giorno dopo giorno nella scuola. E auguro a noi istituzioni di saper realizzare e trasmettere questo sostegno pieno alla professione docente, alla sua capacità di rigenerarsi, trasformarsi insieme al mondo. E’ evidente che non è un intento facile e che i soldi pubblici per operare sono molto pochi .
C’è da augurarsi di non ricevere dal nuovo anno nuovi sogni irrealizzabili, ma conquiste possibili e concrete sì. Seppure in una contingenza complicata come quella attuale, auguro di cuore a tutti noi un realistico giro di boa.


27 dicembre, 2011

Napoli fra degrado e riscatto: dialogo con Giorgio Bocca

È morto Giorgio Bocca. Partigiano. E azionista. Come mio padre. E cuneese. Con un’idea del Sud forse utilmente impietosa ma ferma nel tempo. E sovente incapace di cogliere le promesse che pure nel Sud resistono, provano, fanno…
Una volta con lui ho avuto un dialogo nel merito, che proprio oggi viene ripreso da Micromega, che lo pubblicò. Ero nel bel mezzo della campagna elettorale per sindaco di Napoli. Era uscito il suo ultimo libro sul Sud, Napoli siamo noi, e la “società civile” si divideva: ha ragione, ha torto.
Oggi, nel ricordarne la grande dirittura, mi piace segnalare questo nostro dialogo. Perché è grazie alla nettezza della posizione di Bocca che si è potuto parlar chiaro tra noi.

21 dicembre, 2011

La terza buona notizia

Le prime reazioni alla proposta di riaprire i concorsi per docenti dopo 13 anni di blocco mi sembrano complessivamente buone.
Nel merito ho risposto ieri alle domande de L’Unità. Certo, sono comprensibili le preoccupazioni di chi lavora in modo precario da tanti anni, in attesa del passaggio in ruolo. Come è comprensibile la cautela sulle cifre, su cui è impossibile fare stime accurate prima che i tecnici abbiano studiato gli effetti delle nuove norme sul pensionamento.
Resta il fatto che il mondo della scuola sente con forza la necessità di dare accesso all’insegnamento a una nuova generazione. Anche nella vita capita spesso di dover tenere insieme due principi. Non per rispettare chissà quale equilibrio, ma perché in cattedra serve sia l’esperienza, sia le energie nuove. Sia la tradizione pedagogica, sia una nuova missione educativa adatta al nostro tempo. Sia carta e penna, sia computer e lavagne multimediali.
Dobbiamo anche pensare a chi ha subito anni di precariato, suo malgrado. Sono decine di migliaia di insegnanti che hanno maturato pratica ed esperienza anche in contesti difficili, bisogna tenerne conto. Per questo la metà dei posti disponibili verrà coperta dalle Graduatorie ad esaurimento. L’orizzonte a cui guardare è la stabilità sia per i docenti sia per i ragazzi. La formazione e l’aggiornamento. Non vogliamo creare false speranze o dare inizio al balletto delle cifre sui posti disponibili: il mondo della scuola è un mondo complesso e adulto. Sa quanto sia difficile oggi rimettere in moto il sistema. Ma è almeno altrettanto necessario.
I nuovi concorsi sono la terza buona notizia in pochi giorni: le altre due sono lampanti, perché per ora non si parla più di tagli. Anzi. Con il Piano Coesione si recuperano fondi per l’edilizia scolastica e la lotta alla dispersione. Proprio domani vado a parlarne con gli assessori campani.

19 dicembre, 2011

Si comincia da qui

“Aiutami a essere me stesso”. Secondo Alessandro D’Avenia, è questo che i ragazzi chiedono ogni giorno ai propri insegnanti. Essere adulti di riferimento senza diventare mai degli amici. Senza mai giudizi sprezzanti, saper ascoltare e presidiare il limite. Ne ho discusso in questa intervista, dove però ho voluto ribadire quanti insegnanti siano guide competenti per i loro studenti. È giusto riconoscerlo, perché chi ogni mattina si sveglia, e per uno stipendio poco superiore a quello di un operaio, si occupa dei nostri figli in un contesto mutato, molto più complesso che nel passato, merita un riconoscimento. Ci stiamo lavorando, anche se forse non sarà possibile un aumento di stipendio, non subito. E stiamo lavorando per portare la scuola nell’era contemporanea. Tutte le più importanti indagini sul confronto tra i risultati scolastici in Italia e in Europa mettono in evidenza i divari preoccupanti tra Nord e Sud, e tra scuola e scuola. Sono queste differenze troppo forti, le opportunità diseguali dei nostri ragazzi a rallentare tutto il sistema e a creare ingiustificabili discriminazioni. Il  Piano Azione e Coesione si occupa anche di questo: l’istruzione, il suo primo capitolo, ha un posto centrale. Si prevede quasi un miliardo di nuovi finanziamenti che si sommano a due miliardi di fondi europei non ancora spesi dalle quattro Regioni del Sud. Il Piano si prefigge di fornire computer collegati a Internet e lavagne multimediali nel 54% delle scuole del Sud.  Riqualificare gli edifici scolastici nel 43%. Innalzare i livelli dell’apprendimento dei ragazzi con i risultati scolastici meno soddisfacenti. Promuovere e sostenere i percorsi formativi che limitano e prevengono la dispersione scolastica.
Queste non sono belle parole, ma investimenti concreti sulla scuola pubblica. Sono segni meno, che diventano segni più. Più risorse per la scuola, più fiducia nel sistema e nei professori, più inclusione e opportunità per i ragazzi. E’ da qui che si comincia.

16 dicembre, 2011

Pensare di più

Veniamo da anni orribili, per quanto riguarda fatti, linguaggi e messaggi di chiusura, odio e paura per gli altri. Sì, gli altri. Perché siamo tutti uguali e, per fortuna, diversi. Eppure pare che ce ne siamo dimenticati. Che abbiamo digerito senza tanti problemi le immagini dei barconi a fondo a largo di Lampedusa, le notizie di pestaggi, caccia alle streghe contro immigrati e rom nelle nostre città- l’ultima di queste proprio in questi giorni, a Torino (due anni e mezzo fa, a Ponticelli) . Pensando a quel che è accaduto a Firenze, mi viene in mente che ha ragione Adriano Sofri quando chiede di non appellarci alla follia per spiegare i fatti. Nell’essere contro gli altri in modo estremo, certo, c’è sempre un “tratto di follia”- Una follia specifica- la paranoia. La follia non può essere negata, ma non aiuta a capire, a guardare oltre la superficie, a ragionare sul collettivo, sulla comunità in cui matura e poi esplode il gesto tremendo.

Ed è troppo facile spiegare il tutto con le categorie degli estremi: estrema destra, in questo caso.
In Italia c’è un humus razzista che si riproduce tra antichi pregiudizi e una nuova paura di fronte alla crisi economica globale e anche al “senso di retrocessione” del Paese a confronto con i vicini europei. Alla paura più antica del mondo, quella del diverso da noi, si somma il senso di vertigine per una caduta che ci allontana dall’Europa e forse evoca dentro ciascuno il fantasma di essere schiacciati contro l’altra sponda del Mediterraneo, proprio là da dove arrivano i disperati e diversi. Le paure prendono strade loro proprie: “Non è che chi arriva cerca futuro e noi qui lo stiamo perdendo?”. I gesti tremendi sono frutto di follia e di perfidi convincimenti- ideologie malate e orrende. Che salgono come rigurgiti dal “secolo breve”. Ma sono anche nutriti dalla paura.

Casapound è espressione di questo humus: luoghi in cui condividere ed esprimere la predica fanatica e il linguaggio dell’odio, contro le banche, la finanza, le razze “nemiche”.Luoghi della paura e delle semplificazioni che servono a rimuoverla. Scrivevo qui della necessità di entrare nelle sedi di Casapound per aprire un dialogo, per quanto difficile. Chiedevo anche che quelle sedi si aprissero per moto proprio. Sono ancora convinto di quel che affermavo. Ma oggi Casapound deve scusarsi. Non basta dichiarare folle un loro militante oggi omicida, né incontrare la comunità senegalese, seppure sia un gesto apprezzabile. Sarebbe il momento per loro di aprire una seria riflessione sui linguaggi e sui messaggi. Accettare la complessità del mondo in cui viviamo. E aprire un dialogo, per quanto le posizioni di partenza siano lontane fra loro. Questo Paese ha bisogno di una riflessione profonda sui diritti dell’uomo e sui principi fondanti della comunità. Fatti come quello di Firenze non possono semplicemente essere archiviati con la retorica dei buoni sentimenti, nell’assenza della politica e nella semplificazione mediatica. Occorre pensare e discutere. Molto di più. Pensare a quali parole, occasioni, esperienze servono per guardare diversamente, sì agli altri, ma innanzitutto a noi stessi.

15 dicembre, 2011

Istantanee

Sanzioni disciplinari come per l’hockey: per punire un’infrazione grave, si va in panchina per un breve tempo in cui accogliere la regola e poi di nuovo in classe, dopo aver riflettuto e svolto qualche attività “riparatrice”. Lunedì il Corriere della Sera ha riportato quello che penso sulle sospensioni degli studenti. Se ne è parlato ben più ampiamente nel convegno della rete Context tenuto a Trento. Martedì Giorgio Israel mi risponde sul Giornale, definendo allarmanti le mie idee e dandomi del “tecno-buonista”. Credo nel ruolo educativo della sanzione, a patto che non sia una scusa comoda per restare a casa a dormire.

Poi in serata a Genova, per parlare con Cesare Moreno e Andrea Ranieri di lotta alla dispersione scolastica. Ho incontrato alcune maestre che qualche settimana fa hanno portato in salvo dall’acqua qualche centinaio di alunni: l’acqua scendeva da un lato dell’edificio, giù per le scale, dal tetto che dava sul lato del fiume in esondazione. Hanno messo i bimbi in fila. Controllato che le altre scale fossero sicure. E sono andati in cima all’ala opposta, ancora sicura. In pochissimi minuti. Sono situazioni complesse. Sono da valutare anche queste.

Gli insegnanti hanno tanti dubbi e poca fiducia nel Governo, ed è su questo che occorre fare subito qualcosa. Primo, cambiare il nostro linguaggio e abbandonare il nostro atteggiamento giudicante.
Davvero, non è facile far scuola tutti i giorni. Il rispetto per chi svolge un ruolo difficile, complesso e prezioso è la precondizione per poter migliorare questo bel lavoro.

Martedì notte ho partecipato a Crash, una trasmissione del canale educativo della Rai: abbiamo discusso di inclusione, integrazione e apprendimento. Su Rai Educational il video; le repliche in TV a partire da Domenica, ore 23 su Rai Storia.

Queste sono alcune fotografie istantanee degli ultimi giorni: tante cose affollano il mio nuovo incarico. Posso soltanto cercare di elencarle in modo breve e un po’ didascalico, quando trovo il tempo. E non dimenticare nessuno. Perché ogni aspetto di questa responsabilità ha la sua importanza.

11 dicembre, 2011

Muoversi

C'è da insistere sul cambiare, in meglio, la scuola.
La sua funzione pubblica è difendibile solo se migliora, se sta sull'agenda vera. Venerdì su questo è uscita una mia intervista a Repubblica Napoli. Sabato mattina sono stato con il ministro a Napoli, ho incontrato il presidente della Campania, Caldoro e il sindaco di Napoli, de Magistris.
Si è parlato di cose concrete: ottimizzare l'uso dei pochi soldi che ci sono per ricerca e università, rimettere in moto un po' di soldi per l'edilizia scolastica, partire da ciò che funziona e migliorarlo, aggredire povertà minorile e dispersione scolastica.
La strada non è facile ma è ora di muoversi, dare segnali, presto. Poi bisogna vigilare che le cose vengano attuate e sui tempi. Muoversi.

04 dicembre, 2011

Un po' sottosegretario

Eccomi qui finalmente. Scusate.

Ho letto tutti i vostri commenti, come ho letto gli sms e le email. Tanti, che mi sono arrivati in questi giorni di frenetico lavoro, inatteso e di cui mi sento onorato.
Grazie. capisco che le attese sono tante, anche io le ho. Ma la situazione è veramente difficile, il tempo è poco.
Capisco che bisogna concentrarsi sulle cose possibili e essenziali. Perché sotto sotto sono anche un po' sottosegretario.
Direi così: nessun ulteriore taglio al budget della scuola (se la manovra non lo intacca, sarà già un buon segnale), riprendere la strada dell'autonomia delle scuole e ascoltarle. E poi pensare ai ragazzi, a come e se imparano e a quelli che partono con meno.

Proverò a raccontare, di questo e anche di alcune cose divertenti che accadono a uno come me. Ancora grazie