18 febbraio, 2007

Le bollette i ticket e la politica

La troupe si è spostata. Questa volta (non) siamo a Saint Tropez. E siccome la registrazione in studio è stata fatta il 17, la pila è finita a metà. L'altra metà è appiccicata dopo. Insomma sempre peggio. A seguire, la trascrizione.




Siamo a Saint Tropez, la gente si chiede: perchè? No, non siamo a Saint Tropez, siamo a Napoli.

Cè un signore, Maestro SM che nei
commenti dice: "Ma per voi le questioni delle bollette, delle tariffe, non sono importanti?"
Maestro SM ha ragione perchè le tasse sotto forma di bollette, di tariffe, non sono progressive. Arrivano uguali per tutti, ma dato che tutti non sono uguali finiscono per essere tasse che colpiscono più i poveri e meno i ricchi.
Questo della povertà è un problema che riguarda anche la Campania?
Si l'abbiamo detto spesso da queste parti e ha ragione il Maestro SM che è una questione che riguarda la politica. Cè un sito che si chiama Accenti, di giovani studiosi napoletani. Questi giovani hanno notato che secondo i dati Istat sul reddito e le condizioni di vita, i dati ufficiali, la Campania è il luogo dove l'indice di Gini, che misura la diseguaglianza nel reddito, ha i valori più alti d'Italia. Quindi in un posto dove, come abbiamo detto, c'è la maggiore quantità di popolazione sotto la soglia della povertà e dove la forbice della diseguaglianza è più allargata arrivano le bollette e accentuano la povertà. La vita concreta delle famiglie per una bolletta può diventare disperata.
Vorrei mettere l'accento su un'altra cosa. E' estremamente terribile (volevo dire singolare) che un posto governato dal centro sinistra sia un posto dove crescono le diseguaglianze tra i cittadini.

E dove queste cose non si dicono.
No, non si dicono. Bisogna andare a cercare il sito dei giovani studiosi che peraltro riprendono i dati ufficiali dell'Istat.
(Fine della pila - ricarica - nuovo ciak)

Ma il nostro amico SM fa una domanda sulla politica.
Si, è una questione politica. Questa forbice di diseguaglianza si crea negli anni. Sono quasi quindici anni che in Campania c'è il centro sinistra al governo e le diseguaglianze sono aumentate. Quando c'è uno sciopero, una manifestazione a piazza Plebiscito, dove una parte dei sindacati si inizia a mobilitare su queste faccende, il caro bollette e così via, se la Cgil non aderisce si tratta di un fatto grave. Vuol dire che c'è un blocco di personale politico, che purtroppo coinvolge anche una parte importante, la più importante del sindacato, che continua invece a preservare la classe dirigente che in qualche misura ha favorito la crescita della diseguaglianza.
Arriverà un giorno che un caudillo, un demagogo di destra raccoglierà la protesta inevitabile, data questa situazione di diseguaglianza sociale. E andrà a finire male. Dovremmo cercare di evitarlo e quindi ridiscutere di queste cose. Parlare di democrazia e anche di opportunità per tante persone che non ne hanno. Le statistiche sono fatte da persone.

13 febbraio, 2007

Spendersi con regolarità o fare passerelle

Fabrizio, della onlus Compagni di viaggio, chiede di collaborare e ci fornisce anche l’occasione di tornare a parlare di welfare e giovani e della situazione in città su questo decisivo fronte, gliene sono grato.Il fatto che la politica, intesa come occuparsi della città, si possa concretamente tradurre in azione situata e costante del tipo “in questo posto abbiamo bisogno di persone che si spendono per fare queste cose con queste ragazze e questi ragazzi con un minimo di regolarità nel tempo” è una dimensione concreta e autentica che mi è congeniale. Le mie riflessioni di qualche giorno fa, Fabrizio, a partire da casi concreti e, insieme, da ispirazioni teoriche di cui Europa e Italia parlano – voleva sostenere appunto la centralità di questo tipo di lavoro.
Penso anche che molte persone, spesso preparate, lavorano in città su questo fronte.
Ma hanno anche rappresentanza? Hanno luoghi pubblici, favoriti dall’amministrazione, dove chi già si spende possa confrontarsi, scoprire le reciproche esperienze, rifletterci, discuterne e trovare nuove opportunità in modo condiviso?
In passato qualche volta le amministrazioni napoletane hanno favorito qualcosa che andava in questa direzione. Penso a un forum dei e con i ragazzi che si è tenuto a Bagnoli tre anni fa, al forum dell’infanzia e dell’adolescenza di cinque anni fa. Roba a cui gli assessori davano pure qualche soldino.
Altre volte le cose si sono fatte senza quasi soldi da parte delle amministrazioni. Penso alle riunioni di Napoli sociale o alle iniziative di psichiatria democratica o al convegno di quasi un anno e mezzo fa curato, insieme, dalla redazione della rivista Animazione sociale e dai diversi operatori di Napoli che cercarono di superare le differenze e anche le concorrenze per parlarsi e interrogarsi su cosa e come fare meglio. In quella occasione almeno qualche assessore si affacciò, ascoltò. In quella occasione eravamo in tanti e, d’accordo con gli amici di Animazione sociale, che hanno, poi, curato, i materiali di quella esperienza comune, avevamo organizzato il lavoro in modo che si potesse parlare insieme dei problemi e che fosse evitata la lugubre passerella dei politici in fila secondo la gerarchia o la rituale esposizione, un po’ sovietica, del Piano sociale quinquennale che annunciava il dettaglio della compilazione cartacea di ciò che “dovrebbero fare le politiche sociali”. Ma oggi, invece, la “politica politicosa” e i pur avvertiti tecnici delle amministrazioni sono miseramente tornati indietro. E ci risiamo con le passerelle autoreferenziali che altre città hanno imparato ad evitare come la peste con i politici che (regione-provincia-comune) prendono il 30% del tempo, con un altro 40% almeno del tempo preso da qualche grande programmatore che espone il mondo che verrà con piglio hegeliano, senza che vi sia fase seminariale dedicata al lavoro sociale vivo e con ognuno che ritorna alle sue prassi, sconsolato e più solo di prima.
E’ così che oggi Napoli conosce – oltre la crescita della povertà delle persone e la pauperizzazione delle risorse per il sociale – anche l’impoverimento dell’analisi, la decrescita delle occasioni di vero confronto, lo strapotere di mediocri capuzzielli di apparato.
Forse è ora di ribellarsi e di ripartire con le proposte di chi sta in campo.

06 febbraio, 2007

La città e le opere

(Oggi siamo a Berlino, quello dietro è il Reichstag)
Piccolo aggiornamento al 10 feb: molte persone non sono riuscite a vedere il filmato. Quindi va spiegato che il palazzo alle mie spalle non sta a Berlino perché è il lato di Palazzo Reale che dà su via Acton e quindi siamo a Napoli. Tutti quelli che mi hanno fermato chiedendomi conto del mio viaggio a Berlino sono stati vittime di uno scherzo un po' cretino.



(trascrizione per i non cablati)
Questa città si sta trasformando ultimamente. Ci sono grandi opere,
stadi, spiagge, centri benessere. Il nostro popolo sarà gratificato
da grandi opere.

Sono allibito dal fatto che hanno fatto una campagna elettorale,
istituito degli asssessorati strategici ricoperti da noti oppositori
di estrema sinistra, sulla base di un piano strategico e di un piano
regolatore che è stato esaltato durante la campagna elettorale e
infine dai famosi cento progetti che sono st
ati presentati al presidente del consiglio all'avvio del governo di
Rosa Russo Iervolino. Tutte le cose di cui si sta parlando, a partire
dallo stadio di Scampia, non si trovano in nessuno di questi documenti.
Quindi non solo non si parla con i cittadini, non solo non è
all'ordine del giorno del consiglio comunale, non ci sono spazi
pubblici per questo, ma va sui giornali a seconda di come si sveglia
tizio o sempronio. Questa è la situazione e nessuna altra città, nè
in Italia né all'estero sta in queste condizioni di assenza di
procedure non dico democratiche, ma accettabili, decenti.

Rifondazione comunista ha posto una questione - e la lodo per questo
- sulla colmata di Bagnoli: forse non conviene. E comunque va fatto
uno studio per vedere i costi, l'impatto ambientale. Subito gli hanno
dato addosso tutti quelli che in qualche modo hanno bloccato
qualunque rapporto dei cittadini di Bagnoli con il Piano Bagnoli con
la P maiuscola. In realtà quello che io sospetto è che questo è il
modo per fermare tutto e per continuare a fare gli affari loro.

La discussione prosegue su Decidiamo insieme dove c'è anche ricca documentazione.

Sui commenti al welfare per i ragazzi

Ringrazio per la partecipazione a questa primissima riflessione su "quale welfare" per i giovani che si dovrà riprendere con cura nei mesi a venire. La sofferenza dei ragazzi nel crescere, la difficoltà di unire libertà nella esplorazione del mondo e nella costruzione di indentità alla responsabilità è una roba seria, evidente e che interroga la politica. E in particolare le politiche dell'istruzione, della formazione e del welfare. In questa prima riflessione ho solo voluto aprire un dibattito su misure che siano efficaci.Per esempio vorrei che si discutesse a Napoli su: una volta aperte le scuole il pomeriggio, cosa funziona e cosa no con i ragazzi che ci vengono? A determinare la bontà di una misura non è la misura in sé ma ciò che concretamente vi accade "dentro". E sono certo che alcune scuole aperte di pomeriggio disegnano buone misure e altre no. E che dobbiamo imparare tutti dalle effettive pratiche ed evitare la tipica polarizzazione hegeliana "o a favore o contro" senza scrutare quel che accade. La questione Catania - e cento e cento altri episodi, da stadio e non, che conosco per il mio lavoro e che per mero caso non sono sfociati in tragedia - sono altrettanti segnali, che il mondo adulto rimuove, che pongono il problema del welfare esattamente in termini pedagogici. E va detto. Del resto, è l'ONU che ci parla di città educative... Non si vuole una pedagogia di stato, sia chiaro. Ma una vocazione educativa che preveda la condivisione tra chi ottiene misure e chi le eroga. Il fatto è che tutto il mondo parla da almeno dieci anni di questa roba mentre qui si crede ancora a un piano sovietico che possa dare risposte univoche a tutti e senza coinvolgere, nelle scelte sul welfare, innanzitutto i destinatari delle politiche pubbliche cioè i ragazzi e chi con loro sta ogni santo giorno. I palazzi dove si decide il welfare in Campania se ne cadono di annunci e di piani, scritti in ottimo lessico da welfare partecipato... ma poi nessuno fa patti con le persone. E non si dica che dappertutto è così. Perché io giro da quindici anni e la Campania e Napoli sono primi per mancata partecipazione e dibattito pubblico su questi temi.

01 febbraio, 2007

Welfare per i ragazzi? Amèn

Constatazioni sullo stato dell’arte

Quale welfare serve ai nostri ragazzi? E’ questo che spesso mi si chiede. E io rispondo raccontando storie come queste di Lella, di Carmine e di Mary.
Lella ha bisogno di un asilo nido dove vi sia una sponda con cui parlare di sé e dei suoi figli. Vuole studiare per ottenere almeno una partita iva ma quando le ho detto che non sarebbe affatto una cattiva animatrice di comunità e le ho spiegato cosa facevano, lei ha sorriso con un sorriso vero. Carmine mi ha chiesto: “C’è qualcuno che mi paga un anno di lezioni di tromba se, in cambio, mi impegno a prendere il mio diploma?” Mary vuole lezioni di Italiano, Inglese, Economia aziendale, Diritto, Informatica ma – aggiunge – in un “posto vero”, di sera e non a scuola. Tutti e tre non disdegnerebbero certo opportunità di capirne di diritto o di parlare meglio in Italiano o di saperne di questioni ambientali. Non sono più i ragazzini drop-out di 5 anni fa.

Servono molti welfare, molti diversi welfare. Allora mi dicono che i dispositivi pubblici hanno “necessità di essere leggibili in modo unitario”. Allora io dico che anche gli aerei da combattimento sono a geometria variabile. Sorridono e mi rispondono che “non si può fare un ‘welfare on demand’, su richiesta individuale e che le misure di welfare sono politica pubblica e devono avere una loro ratio”. Amèn rispondo io. In senso letterale: che sia così. Tanto…
A proporre di includere anche da noi, nelle cornici di riferimento teorico, il processo di individualizzazione entro il mondo globalizzato, come uno dei fattori cruciali che concorre alla crisi del welfare state, è stato Massimo Paci in un bel libro del 2005:
In un momento di svolta o di transizione, come quello attuale, in cui i sistemi di welfare europei sono in visibile difficoltà e gli stessi valori di uguaglianza e solidarietà, su cui essi si sono fondati fino ad oggi, reclamano un aggiornamento, una riflessione sul processo storico di individualizzazione può essere utile per comprendere il cambiamento in atto.

E la direzione di marcia, che dovrebbe spingere il welfare fuori dalla crisi sta proprio nei processi di individualizzazione. Qui siamo soccorsi da Amartya Sen che da anni, con argomenti davvero corposi, ci ripete che la gente comune vuole prendere in mano la propria vita o come dice testualmente “vuole progettare e avere una vita propria”. Si tratta dunque di garantire a tutti i cittadini la libertà individuale che va vista, nel welfare che si auspica, come libertà sostanziale o in positivo, il che, tra l’altro, la differenzia nettamente da quella classica del pensiero liberista come libertà, in negativo, da ogni vincolo e limite. La concezione di libertà di Sen rinvia a quella di uno stato abilitante e di una società attiva insieme alle persone destinatarie di welfare e perciò è alla base di quella visione riformatrice del welfare, in cui diventano concetti portanti quelli di partecipazione ed empowerment dei singoli individui cittadini che, come Mary, Lella e Carmine chiedono cose diverse ma tutte di decisiva importanza sulla base della loro visione di “aiuto al proprio sviluppo individuale, al proprio progetto di vita”.

Queste cose del tutto evidenti non è che non si sappiano o che non si dicano nei documenti ufficiali che progettano welfare, a livello nazionale come a livello locale, che inondano gli uffici, i comunicati stampa e quant’altro. E da anni le leggiamo nei libri oltre che sulle strade delle nostre città, lì dove lavoriamo con le giovani persone che sono precocemente escluse.
E’ che il sistema-Italia - dove tutti si professano riformisti e attenti ai giovani e in particolare ai giovani esclusi – è ancora, con rare eccezioni, legato a una idea rigidamente standardizzata della offerta di welfare. Che non serve innanzitutto a chi dovrebbe beneficiarne.
Perciò, con penosa impotenza e nonostante grande spreco di pubblico denaro per progetti e misure pensati ben lontani dalle persone in carne ed ossa, non possiamo dare risposte reali ai nostri tre giovani amici. E così sia.

31 gennaio, 2007

Mary

Il welfare e i giovani, terza giovane.
Mary. 20 anni. Non ci siamo riusciti a farle affiancare un po’di santa istruzione alla qualifica professionale di estetista e parrucchiere. Corso triennale con bilancio di competenze, prove d’opera e qualifiche. Roba europea. Una fatica per riuscirci che non si può immaginare. Ma solo quelle materie lì, imparare a fare il mestiere bene e basta. L’anno dopo l’ultimo esame ha aperto un business benessere – così lo chiama - con due amiche chiedendo un prestito di quartiere a uno strozzino amico non troppo strozzino. Le banche non se la sono filata di pezza. Porte sbarrate anche per i prestiti d’onore. Imprenditoria femminile? Troppo difficile. Nessuno sportello che sia uno che aiuti. O lo sai fare già o conosci qualcuno. Ora non riesce a scrivere bene una lettera commerciale, ha bisogno dell’inglese per leggere le indicazioni dei nuovi prodotti e ha addirittura preso in prestito un manuale di economia aziendale per provare a fare bene.

30 gennaio, 2007

Carmine

Il welfare e i giovani, secondo giovane.
Un altro che incontro è Carmine. Ha 19 anni. Il padre è volato giù da un’impalcatura al nero quando ne aveva 16. Niente assicurazione e niente di niente. E la madre, rimasta sola, fa le pulizie nelle case delle signore – così le chiama. Carmine ha due fratellini e una sorellina più piccoli. Ha lasciato la scuola a tre mesi dal diploma superiore. Non perché c’era bisogno in famiglia perché vanno avanti con le pensioni dei due nonni materni grazie al banale fatto che la mamma è figlia unica. Ma perché, come dice lui, si era “scocciato di sentire i prof. che vengono in classe a spiegarmi il mondo e come si dovrebbe essere e vivere, in più frustrati, aggressivi e depressi. Andate a fare in culo”. E non andava affatto male. E’ andato via sui due piedi e nessuno lo ha cercato o chiamato indietro. Nessuno. Ha una passione per la tromba che suona in due diversi gruppi, uno rythm n’ blues e uno fusion. E’ autodidatta. Un mio amico musicista di valore dice che è molto dotato ma che avrebbe bisogno di lezioni. Lavora in un bar del centro. Sei giorni a 95 euro a settimana più mance. Ore otto – diciotto.

29 gennaio, 2007

Lella

Ho scritto alcune brevi note sul tema del welfare e dei giovani. Inizio da tre storie che pubblicherò una alla volta. Poi proverò a ragionare sul tipo di risposte che si possono dare ai giovani come quelli che ho conosciuto. Questa è la prima giovane.

In una sera di pioggia incontro Lella. E’ stata una mia alunna. A scuola andava uno schifo, era irrefrenabile e ostentava disinteresse per il sapere. Oggi, quando ha tempo, privilegia trasmissioni educational in tv. Incredibile. Ha 21 anni ora. Ha due figli. Vive in 28 metri quadri. Il marito lavora al nero in una fabbrica di cioccolata. Gli promettono di “regolarizzarlo”. Prende 870 euro al mese. Quando la nonna – non la madre di Lella, che è in carcere – tiene i bambini, Lella può andare a lavorare. Lava le scale. Ciò avviene in due palazzi il martedì e il giovedì. Euro 38 a palazzo a settimana, sette piani di scale. Lella e suo marito la sera fino a molto tardi, nell’androne del palazzo su cui affaccia il monocamera ben attrezzato dove vivono a piano terra, vendono cose al nero. Se le procurano fuori città in un grande outlet della distribuzione dove un cugino passa loro le cose al minuto a prezzo d’ingrosso: barre di cioccolata, biscotti, latte, zucchero, caffè, bibite gelate, caramelle, gomme. Ci puoi trovare anche dentifricio, pannolini, saponette, aspirine, siringhe sterili, preservativi, cotone, alcool, sapone da barba e per lavare a terra o per i piatti, lamette, strofinacci, spugnette ecc. Ci puoi trovare il fumo. Non hanno orario. E’ un servizio. E’ molto comodo se vivi lì vicino e hai dimenticato qualcosa o se ti viene fame di qualcosa di notte. E Lella dispensa anche consigli e sa moderare conflitti notturni di quartiere dagli esiti potenziali davvero terribili.

28 gennaio, 2007

Comunicazione di servizio

Se vedete bene, i post di questo blog hanno cambiato autore, c'è scritto e.r. E' vero io sono e.r., l'elettricista di Marco, ma questo non è un putsch. Sto solo pasticciando con Blogger, la piattaforma su cui sono scritte queste cose. Blogger costringe da oggi a passare alla nuova versione e per un po' figurerò io come autore. Sappiate che l'autore rimane Marco Rossi-Doria e che al più presto ci sarà un nuovo post sul tema dei giovani. Scusate il disturbo stiamo lavorando per lui.

22 gennaio, 2007

Stamattina al bar: Napoli, la politica, i giovani, il welfare

Seconda puntata del tg fatto in casa, anzi al bar.
Stavolta un'intervista un po' prona e vespesca su: le reazioni all'intervento di Marco; alcune considerazioni ulteriori sulla cooptazione come costume politico; sulla condizione dei giovani a Napoli; Decidiamo Insieme sta per avere una sede.

Un video di quattro minuti che potrà vedere solo chi ha l'adsl. Inoltre con un audio pessimo, ma è la città pulsante, bellezza. E poi cercheremo di fare meglio, come si dice in questi casi.
(e.r.)

18 gennaio, 2007

Partecipazione e politica: il testo del mio intervento

Riporto qui di seguito l’intervento da me svolto il 16 gennaio, su invito del segretario regionale DS della Campania, Enzo Amendola, nel corso della iniziativa nazionale dei Democratici di sinistra sul tema “Partecipazione e nuovo soggetto politico” che ha visto la presenza e le conclusioni di Piero Fassino e l’intervento di Antonio Bassolino, ripresi dalla stampa. Come spesso avviene, la stampa ha riportato il fatto che io interloquissi con i DS sul tema indicato come evidenza della mia adesione al partito democratico. Credo che il contenuto del mio intervento chiarisca bene il senso che ho voluto dare a un momento di confronto, che ringrazio i DS di avere favorito, sul rapporto tra partecipazione e politica oggi.

Vi ringrazio per il vostro invito e sono contento di essere qui e di potermi confrontare sul tema al quale mi atterrò. Con l’avvertenza che toccherò solo alcuni aspetti che riguardano la complessa relazione tra partecipazione e soggetti politici.
E permettetemi anche di cambiare un poco i toni e di iniziare in modo seriamente scherzoso o scherzosamente serio.
A me sta molto simpatico Piero Fassino, che incontro qui di persona per la prima volta. Per due ragioni: perché balla e so che sa ballare bene e perché ha giocato a pallone da giovane (ahimé nella Juventus che, per chi ha il Napoli nel cuore, è un problema….).
Su queste cose ritornerò.
Scrive Piero Fassino nel suo intervento agli organismi dirigenti del partito che il futuro soggetto deve sapere davvero unire politica e società. Tutti, però, diciamo e ripetiamo da vari anni che, con la globalizzazione, crescono anche i processi di individualizzazione. Insomma – poiché non lo prescrive la società di fare parte di un soggetto politico e non ce lo prescrive neanche il medico (a me come a ognuno) di aderire al partito democratico o a altri futuri partiti - allora il tema del fare politica si sposta dalla società ai singoli cittadini in quanto individui e non in quanto parte di categorie o di classi o di altri organismi collettivi. E, del resto, lo diciamo tutti che questo è un mondo in cui la politica non si esprime più attraverso l’adesione a grandi correnti collettive a carattere ideologico su cui si fondava l’attivizzazione di milioni di persone nel secolo scorso.
Dunque il tema della partecipazione a un nuovo soggetto politico – lo dico per il partito democratico come per ogni altro soggetto – a me interessa moltissimo. Ma sono personalmente interessato al fatto che nella politica vi sia spazio vero non già per la società generalmente intesa o per le sue categorie (il sindacato, l’associazionismo, il mondo del lavoro, gli imprenditori, ecc.) ma per gli individui. Le singole persone in quanto singoli e cittadini.
Prima di me ha parlato Mauro Calise – che è bene venga qui ascoltato molto più di me non solo per la lucidità con la quale spiega i meccanismi profondi del voto oggi ma perché io le elezioni le ho perse e lui, invece, le ha vinte. Ecco: Calise, nel suo intervento, si occupa degli individui ma focalizzando la questione sul loro ruolo nelle elezioni in quanto capi che gli elettori riconoscono con il voto. Questo, intendiamoci, è una cosa molto importante.
A me interessa, invece, parlare qui del ruolo dell’individuo come partecipante alla politica e non solo come elettore. E non credo di essere il solo ad avere questo interesse.
A questo proposito, leggo in una recente indagine post elettorale curata da Itanes (Italian National Election studies) alcuni dati quantitativi, credo sostanzialmente attendibili, che sono – penso – importanti per il tema di oggi:
o solo il 6% degli intervistati identificabili come elettori dell’Ulivo dice di essere iscritto a un partito,
o e, di questi, più della metà (il 54,5%) afferma di non avere mai partecipato, nei dodici mesi precedenti all’intervista, ad una qualche riunione di partito,
o meno del 3% degli elettori dell’Ulivo dichiara di avere frequentato almeno una volta, nello stesso periodo, una qualsiasi attività di partito,
o meno di 1 elettore dell’Ulivo su 100 (l’1 %!!) dichiara di avere fatto attività di partito spesso, essendo dunque riconducibile alla categoria del “militante”.
Ecco. A me non interessa tanto sapere cosa fa questo 1% .
A me interessa discutere e capire cosa fa l’altro 99%. Su questo mi interessa il confronto. Perché io non credo che gli individui che rappresentano, ognuno a suo modo, questo 99% siano apatici davanti alla politica, stiano tutti a rincoglionirsi dinanzi al TV color o a spingere la carrozzina della figlia nel parco e basta. Penso, invece, che non tutti ma molti di questo 99% occupano, invece, lo spazio pubblico in molti modi e che fanno politica. Perché l’Italia è fatta di tante singole persone che fanno cose, associati con altre persone ma sulla base di scelte individuali, spesso transitorie o momentanee o su tema ben individuabile e non sulla base di una appartenenza. Si tratta di cose semplici o complesse, qualche volta straordinarie, spesso fatte con inventiva e generosità, che hanno una valenza sì sociale ma anche politica, intesa in senso proprio: occuparsi della città o dei luoghi dove si vive più in generale. Personalmente io ho smesso di appartenere a entità o soggetti politici nell’anno 1976, trenta anni fa. E non sono certo solo in questo tipo di percorso. E non penso che in questi trenta anni io, come tanti e tante che hanno scelto forme di impegno non di partito, non abbiano fatto politica. Credo di avere fatto proprio politica e politica in senso proprio. Milioni di persone fanno questo “altro” genere di politica: partecipano a imprese democratiche di varia natura pur fuori dall’appartenenza di partito, nei modi più diversi, in ambiti molteplici o singoli, nel lavoro e fuori dal lavoro, con grande continuità e/o altrettanto grande discontinuità, lungo le storie delle vite individuali.
Una domanda da porsi, dunque, dal punto di vista delle ambizioni che sono al centro di questa giornata, è: il nuovo soggetto di cui qui si parla - il partito democratico - è appetibile o non è appetibile per gli individui che occupano spazio pubblico in questo modo altro dal “militante” di partito?
E qui va anche detto, amabilmente ma con schiettezza, che forse uno dei motivi perché siamo in tanti a fare politica in questo modo “altro” – e ci tengo a precisare che non sto certo parlando della piccola associazione di cui faccio parte ma molto più in generale - sta nella amara constatazione che, ovunque in Italia ma in modo marcato al Sud, i partiti si sono progressivamente ma implacabilmente trasformati da associazioni di cittadini in società di professionisti della politica. Con tutto quello che ne consegue – lo dico in modo fattuale e non giudicante o moralista, credetemi – e che qui non si ha il tempo di trattare a dovere.
E allora, per essere appetibili alla più larga partecipazione, per avere questa ambizione, un nuovo soggetto politico dovrebbe intanto scegliere di ribaltare quella che è la sua priority list, come la chiamano gli inglesi: l’ordine delle priorità. E faccio un esempio. Si è deciso che il decentramento amministrativo è una battaglia democratica? Beh allora ci si deve impegnare su questo. Voi sapete che ci stiamo battendo qui a Napoli perché le municipalità funzionino secondo buone procedure ed effettivo decentramento. Ma ci piacerebbe anche che i partiti si attivassero “facendo cose” con i cittadini: tenere aperto o allargare uno spazio verde del quartiere, promuovere un budget partecipativo, sostenere una azione di inclusione sociale per i giovani, ecc.
Invece l’impegno largamente prevalente oggi dei partiti, qui e altrove, non è principalmente volto a questo tipo di attività ma è concentrato sulla mediazione interna ai partiti e sulla gestione di relazioni atte al mantenimento di consensi e di controllo.
Penso che ribaltare questo ordine implichi cambiare metodo, abitudini, linguaggio. Una cosa molto faticosa, lunga, seria. Ma anche molto concreta. Credo, per esempio, che ribaltare la priority list di un partito significhi che, in concreto, per 8 ore di lavoro per la cittadinanza attiva vi possa essere massimo 1 ora di lavoro dedicato al partito e tra partiti. Non il contrario.
Ma c’è di più. E vengo al tema che qui è stato giustamente richiamato dalle donne intervenute, al quale sono sensibile per una lunga storia anche personale che fa sì che alla fine qualcosa forse ho imparato dall’impegno di mia mamma o delle mie sorelle o di mia moglie o di tante amiche. Il posto delle donne nella partecipazione alla politica – attenzione – non si può limitare alla pur decisiva questione, anche qui a ragione sollevata, di quanti interventi sono fatti da donne o di quante sono le donne elette. E – perdonatemi – ma non ci riesco a non ricordare, caro Piero, che fuori dal consiglio comunale di Napoli ci dovrebbe essere un drappo nero listato a lutto perché prima abbiamo sentito che a Nassyria (a Nassyria!) il 30 % del consiglio municipale appena eletto è composto di donne mentre noi qui siamo l’unica grande città d’Europa che non ha una sola eletta al consiglio, dicasi una sola! Una vergogna che vorrà pure dire qualcosa di più generale… Ma dicevo, l’impegno in politica delle donne va inteso anche nel senso che la politica possa avere un fiato collegiale, basato su maggiore reciproco ascolto, meno leaderistico. E anche con più spazio per le emozioni, il conflitto interno a ognuno, la pena, la speranza e anche – caro Segretario Fassino – per la danza e per il calcio.
Perché, nel 2007, non è appetibile l’appartenenza a un soggetto che chiede adesioni fuori da questo orizzonte ben più largo e più ricco.

17 gennaio, 2007

Non è vero che ho già preso la tessera del partito democratico

In attesa del prossimo e, come chiede Roberto, più vivace videoclip, vi annuncio che domani pubblicherò qui in forma integrale l’intervento che ho fatto ieri alla manifestazione nazionale dei DS, tenuta a Napoli sul tema “partecipazione e nuovo soggetto”.
Così sarà chiaro che mi sono attenuto al tema: "la partecipazione democratica" e non a quello della mia partecipazione al partito democratico. E poi sarà anche evidente la mia posizione su quest'ultima questione, che dalle cronache dei giornali non esce con la giusta chiarezza.
A domani.

14 gennaio, 2007

Stavolta è cosi'

Vi racconto alcune cose che stiamo facendo e altre che penso.
Stavolta così. Poi vediamo.
Dipende anche da cosa ne pensate.
Buon 2007.

Avvertenza: è necessario un collegamento adsl.
(non è proprio la Rai e la truccatrice aveva di meglio da fare, ma è un prodotto genuino)

27 dicembre, 2006

Auguri a tutti noi

Mi scuso per avere abbandonato il mio blog. Abbiamo lavorato a una giornata-assemblea di decidiamo insieme che è costato lavoro quasi per tutto il tempo non occupato dal lavoro normale. Sono a Roma, giorni di lavoro sul nuovo obbligo che è passato in finanziaria… ma c'è da dargli significati veri e possibili e non sarà semplice. Poi mi riposo. Intanto vi è stata, appunto, la giornata di Decidiamo Insieme il cui documento finale - v. il nostro sito che lo contiene insieme a altri elementi di dibattito che vanno emergendo - ci fornisce una traccia per riprendere a gennaio l'attività con maggiore chiarezza. Si può iniziare con i rifiuti?

04 dicembre, 2006

Basta timonieri, ricostruiamo la democrazia


Passata la cresta dell’onda dell’esposizione mediatica della crisi di Napoli, ora va scemando anche la ballata dei “faremo, siamo già in procinto di…, manca poco a…, stiamo per attuare…” che ha accompagnato e seguito la visita del Presidente della Repubblica.
Nei mesi a venire vedremo quanto ci avrà potuto donare questa visita al di là del fiume dei buoni proponimenti.
So che in giro vi è stata una polarizzazione interpretativa di questo passaggio della politica a Napoli o come un indispensabile lenitivo per le troppe ferite aperte e un avvio di un qualche nuovo inizio o come un dettagliato disegno di conservazione, benedetto dal ceto politico romano di centro-sinistra sulla base di un accordo con la classe politica locale, predisposto con diabolica cura e destinato a qualche strana forma di successo.
Non credo né all’una né all’altra cosa. Entrambe le interpretazioni sono il frutto di pensieri costruiti sui desideri. Sarebbe tutto sommato più rassicurante o vedere le cose che riprendono magicamente il verso giusto o credere che basti una macchinazione ben congeniata a conservare l’inconservabile.
Non amo queste opposte rassicurazioni perché non credo alle competenze taumaturgiche del nostro stantio ceto politico né penso che la cosmesi, per quanto ardimentosa, possa riuscire a fermare il declino.
Penso, invece, che si debba metodologicamente restare ancorati ai fatti - oggi e nei mesi a venire. Perché la catena dei fatti ci descrive una crisi di tale profonda gravità da farne un’anomalia rispetto a qualsiasi altra grande area urbana d’Europa. E’ qualcosa di perdurante e che ha bisogno di ben altro che degli squilli di tromba per le autorevoli visite o del gran gala delle buone intenzioni.
Rielenchiamoli questi fatti distintivi della nostra crisi:
  • la presenza di un potere economico, politico e militare moderno e pervasivo – la camorra – che impedisce l’esercizio del monopolio della forza da parte dello Stato democratico;
  • una crisi della sicurezza pubblica che non ha altri esempi in Europa e una mancanza di esercibilità dei diritti fondamentali, a partire da quelli alla libertà e sicurezza personali, alla formazione e al lavoro regolare;
  • i modelli stessi dello sviluppo, con l’allargamento terribile della forbice tra persone protette e persone escluse, con la povertà relativa che ha raggiunto il record italiano;
  • una riproduzione parassitaria, molto più grave che altrove, di tutti i mali della pubblica amministrazione con l’aggravante del una testardo rifiuto di ogni innovazione organizzativa e dell'introduzione di pur minimi criteri di efficacia riferibili al merito nell’uso delle risorse economiche e umane, con l’aggiunta della conservazione di estese pratiche personalistiche e di illegalità;
  • la esclusione da condizioni di dignità propri della cittadinanza e delle minime opportunità per intere fasce della popolazione non solo povere (anziani, bambini, adolescenti, diversamente abili, giovani ecc.);
  • un generale degrado ambientale e nelle condizioni di vivibilità urbana, soprattutto nelle periferie, di cui la crisi dei rifiuti è solo l’elemento di punta;
  • la ripetizione di modelli di offerta culturale che a poche iniziative di qualità sostenute dalle amministrazioni, fruibili da una piccola minoranza di cittadini, affianca l’abbandono di interi settori della cultura e delle arti, dei giovani talenti e di tutte le esperienze non asservite e, insieme, la costanza di uno sconvolgente provincialismo sui piani della proposta, del metodo, dei contenuti, dei linguaggi, della comunicazione;
  • le modalità dell’esercizio della democrazia politica che vede un'accentuazione della chiusura di spazi partecipativi e di effettivo decentramento, una esclusione marcata delle donne, un ormai stanco ripetersi di liturgie accentratrici da parte di un inamovibile blocco di potere che viene definito come un esempio estremo di nomenclatura di partiti che estende la sua cerchia a strati di cosiddetta società civile, che intende la coalizione di governo entro logiche spartitorie e gestionali assolutamente impermeabili alla società e al ricambio, che ha governato fin qui senza successo e incentra, tuttavia, ogni attività sulla caotica e litigiosa asserzione della propria autoreferenzialità.
Così stanno le cose. E mentre è doveroso continuare a suggerire soluzioni ai problemi presi uno per uno, in modo civicamente propositivo – come stiamo cercando di fare nei luoghi del dibattito pubblico o sulle pagine dei giornali – tuttavia penso che, al contempo, c’è bisogno di ripetere “l’analisi cruda della situazione concreta”. Perché è solo questa crudezza che mostra che le diverse varianti delle soluzioni di chirurgia plastica non sono capaci di rispondere all’enormità della crisi di Napoli, che un ciclo storico si è chiuso per sempre, che delle sue miserie ci sono i responsabili politici che conserveranno, nella storia, i loro nomi e cognomi, che i loro scudieri, per quanto fidi, non sono meglio dei padroni e che la strada della ripresa è lunga e faticosa ma soprattutto impone un radicale cambiamento negli indirizzi programmatici reali, nel metodo, nei toni, negli stili e nel personale della politica.
Un elemento decisivo di questo cambiamento radicale, a Napoli, può derivare dalla convinzione che non ci serve un altro santo o eroe o timoniere egregio. Dobbiamo, insomma, rigenerare la nostra politica senza più delegare la mente e le forze al capo per poi magari urlare al tradimento, presi dallo sconforto della disillusione ogni volta ripetuta dopo ciascuna illusione. Per sortire da questa crisi, dobbiamo tutti iniziare ad impegnarci a un lungo lavoro di riparazione e ricostruzione, fortemente collegiale e partecipativo e alla costruzione condivisa e faticosa di una cultura di governo finalmente moderna che non consenta più né re, né vice-re né similari. E’ un’impresa che riguarda tutti e ognuno, forze politiche e non. E che riguarda anche Decidiamo Insieme, che era nata anche per questo.