Constatazioni sullo stato dell’arte
Quale welfare serve ai nostri ragazzi? E’ questo che spesso mi si chiede. E io rispondo raccontando storie come queste di Lella, di Carmine e di Mary.
Lella ha bisogno di un asilo nido dove vi sia una sponda con cui parlare di sé e dei suoi figli. Vuole studiare per ottenere almeno una partita iva ma quando le ho detto che non sarebbe affatto una cattiva animatrice di comunità e le ho spiegato cosa facevano, lei ha sorriso con un sorriso vero. Carmine mi ha chiesto: “C’è qualcuno che mi paga un anno di lezioni di tromba se, in cambio, mi impegno a prendere il mio diploma?” Mary vuole lezioni di Italiano, Inglese, Economia aziendale, Diritto, Informatica ma – aggiunge – in un “posto vero”, di sera e non a scuola. Tutti e tre non disdegnerebbero certo opportunità di capirne di diritto o di parlare meglio in Italiano o di saperne di questioni ambientali. Non sono più i ragazzini drop-out di 5 anni fa.
Servono molti welfare, molti diversi welfare. Allora mi dicono che i dispositivi pubblici hanno “necessità di essere leggibili in modo unitario”. Allora io dico che anche gli aerei da combattimento sono a geometria variabile. Sorridono e mi rispondono che “non si può fare un ‘welfare on demand’, su richiesta individuale e che le misure di welfare sono politica pubblica e devono avere una loro ratio”. Amèn rispondo io. In senso letterale: che sia così. Tanto…
A proporre di includere anche da noi, nelle cornici di riferimento teorico, il processo di individualizzazione entro il mondo globalizzato, come uno dei fattori cruciali che concorre alla crisi del welfare state, è stato Massimo Paci in un bel libro del 2005:
In un momento di svolta o di transizione, come quello attuale, in cui i sistemi di welfare europei sono in visibile difficoltà e gli stessi valori di uguaglianza e solidarietà, su cui essi si sono fondati fino ad oggi, reclamano un aggiornamento, una riflessione sul processo storico di individualizzazione può essere utile per comprendere il cambiamento in atto.
E la direzione di marcia, che dovrebbe spingere il welfare fuori dalla crisi sta proprio nei processi di individualizzazione. Qui siamo soccorsi da Amartya Sen che da anni, con argomenti davvero corposi, ci ripete che la gente comune vuole prendere in mano la propria vita o come dice testualmente “vuole progettare e avere una vita propria”. Si tratta dunque di garantire a tutti i cittadini la libertà individuale che va vista, nel welfare che si auspica, come libertà sostanziale o in positivo, il che, tra l’altro, la differenzia nettamente da quella classica del pensiero liberista come libertà, in negativo, da ogni vincolo e limite. La concezione di libertà di Sen rinvia a quella di uno stato abilitante e di una società attiva insieme alle persone destinatarie di welfare e perciò è alla base di quella visione riformatrice del welfare, in cui diventano concetti portanti quelli di partecipazione ed empowerment dei singoli individui cittadini che, come Mary, Lella e Carmine chiedono cose diverse ma tutte di decisiva importanza sulla base della loro visione di “aiuto al proprio sviluppo individuale, al proprio progetto di vita”.
Queste cose del tutto evidenti non è che non si sappiano o che non si dicano nei documenti ufficiali che progettano welfare, a livello nazionale come a livello locale, che inondano gli uffici, i comunicati stampa e quant’altro. E da anni le leggiamo nei libri oltre che sulle strade delle nostre città, lì dove lavoriamo con le giovani persone che sono precocemente escluse.
E’ che il sistema-Italia - dove tutti si professano riformisti e attenti ai giovani e in particolare ai giovani esclusi – è ancora, con rare eccezioni, legato a una idea rigidamente standardizzata della offerta di welfare. Che non serve innanzitutto a chi dovrebbe beneficiarne.
Perciò, con penosa impotenza e nonostante grande spreco di pubblico denaro per progetti e misure pensati ben lontani dalle persone in carne ed ossa, non possiamo dare risposte reali ai nostri tre giovani amici. E così sia.
7 commenti:
Aggiungo una storia non tanto inventata. Maria era allieva in un progetto per adolescenti a rischio. c'era molto impegno intorno a lei. insomma c'era molta attivazione dell'offerta, ma a questa non corrispondeva l'attivazione dell'utente secondo le forme e gli standard previsti dall'attivazione dei progettisti. maria sembrava in-capace e il progetto andava in fibrillazione perchè pensava che se maria sfuggiva questo era segno di fallimento (probabilmente dietro la preoccupazione per il fallimento di maria si celava l'angoscia per il fallimento del progetto: decisi i parametri per definire il successo e la successiva programmazione delle azioni, tutto quello che era al di sotto o al di fuori degli standard prefisati era uguale a insuccesso formativo). A nessuno (quasi a nessuno) veniva in mente che detro i comportamenti di maria non c'era in-capaità, ma una bella capacitazione: maria aveva un suo progetto di vita, nel quale era prevista addirittura la strumantalizzazione del progetto per adolescenti a rischio, curvato, per così dire, alle sue concrete e reali progettazioni. maria, oddio, si sottraeva al loro aiuto: che fine avrebbe fatto?
maria alla fine ha vinto, ha utilizzato il welfare dentro la sua vita situata e reale e non ha organizzato la sua vita affinchè corrispondese agli schemi un po' piccolo borghesi, fatti un po' a middle class, dei suoi formatori. maria pur non avendo letto nè Sen nè la Nussbaum, nè la Rivista delle politiche sociali, nè Castel, nè Sennet,nè Ota de Leonardis, nè la Bifulco, nè quello che dice l'ONU sullo sviluppo umano, ecc ecc, ne aveva miracolosamente imparato la lezione.
ma i policy makers sono meno fortunati di maria. loro per un welfare costruito sulle capacità, anzi: le capabilities; forse un po' di libri se li devono leggere.se no parleranno sempre per frasi fatte e spacceranno per ovvi, per "naturali", i loro schemi mentali, anch'essi, ahimè, tendenzialmente prigionieri della vulgata del pensiero unico che riduce il welfare al workfare, l'attivazione dell'offerta con l'attivazione dei destinatari/attori.
saluti raccolti, mi auguro, in maniera differenziata.
Dallo scarso seguito che registrano questi post rispetto ad altri mi pare di capire che la cosiddetta democrazia elettronica consista nello sparare cazzate fin che si può e nell'astenersi dal giudizio quando si comincia a discutere in modo sistematico di problemi reali.
e dove sono finiti tutti?
Caro MRD continui così, prima o poi qualcuno che vuole approfondire lo troverà; il resto di gregari vadano dietro al berlusconi di turno.
ho cominciato a discutere di questo modo di porre la questione del welfare "su misura" con tre amici. non è facile cambiare ottica. il primo commento è stato: "troppo pedagogico", nel senso che il welfare non è pedagogia. il che è vero, ma qui si parla specificamente di welfare per giovani, verso i quali l'elemento pedagogico c'entra parecchio. non sono mica vecchietti cui garantire il pannolone ...continuerò a cercare di discutere, anche per schiarire le mie stesse idee.
per pirozzi: non ho capito bene, ok che i progetti dei singoli individui non è che devono essere piccolo borghesi o essere quelli degli operatori, ma allora, essi siano andrebbero sostenuti sempre e comunque, qualunque siano? fammi capire meglio.
E' semplicemente pazzesco, come si diceva una volta, qui si continua al solito a parlare di massimi sistemi, importanti citazioni, grandi e costosi progetti che non portano a nulla, mentre il disagio non solo quello economico cresce.
E' un coro di mediocri narcisisti che continuano a sparare cazzate,
quando avremo il coraggio di fare un passo indietro e mettere sul tavolo i reali problemi della città
per il secondo anonimo (che suppongo sia diverso dal primo). Non è molto chiaro con chi te la prendi. Sono narcisisti i nostri governanti (e sono cazzate i loro progetti, anche recentissimi)? O siamo narcisisti noi, che in questo angolino (e da qualche altra parte) proviamo a ragionare di un welfare che possa servire a qualcosa?
giusto per capire...
e cmq, quali sono i problemi che tu metteresti sul tavolo?
Perchè forse qualcosa cambia anche se in molti cominciamo a mettere sui tavoli altre cose oltre agli stadi, le cittadelle e quant'altro, oltre che lamentarci di tutto (salvo ri-votarli al momento opportuno)
la sorella di pandora
Dopo i fatti di catania una parola mi sembra poco e due sembrano troppe.
Si potrebbe chiedere se il welfare su misura sia troppo "pedagogico" o troppo "demagogico"se non fosse che tutto sembra stonato e fuori luogo e l'unica immagine che mi viene è una madre che trattiene in braccio il figlio perchè non ha un posto dove metterlo in piedi per insegnargli a camminare da solo.
Maria, Lella e carmine hanno un progetto lucido... è la società che non ha un progetto per loro.
E la scuola, frantumata in mille inutili progetti, schegge impazzite intorno al nulla, diventa un parcheggio tra una corsa sfrenata in motorino e la sassaiola alla stadio.
E così, mentre in iraq si continua a morire ogni giorno, mentre i grandi della terra continuano a tessere le loro trame, mentre le sortite isteriche degli esperti ci ammorbano con le loro previsioni apocalittiche sui cambiamenti climatici e sulle conseguenze dell'inquinamento e milioni di bambini muoiono di fame, vediamo i giovani che si ammazzano per una stupida partita di calcio o per uno sguardo di troppo alla ragazza di un altro.
D'altra parte hanno voluto che si distraessero e che non dessero fastidio e loro si sono distratti con la passione che è propria dei giovani.
Lo posterò ovunque, rassegnatevi.
Sono cofondatore di una piccola ONLUS; ci occupiamo di Umanizzazione, parolona che in ambiente sanitario va molto di moda; stiamo portando avanti con fatica un progetto; ci stiamo riuscendo.
Se neparla su napoliontheroad.
ci chiamiamo Compagni di Viaggio.
Cerchiamo altre associazioni possibilmente piccole per realizzare altri progetti in modo da poter coinvolgere, nel rispetto dei nopstri stauti, più parti disagitae della nostar società
Mi sembra che siamo abbastanza in linea con questa nuova idea di welfeare personalizzato.
non so perchè, evidentemente sbaglio io, esco anonimo.
invece non ho difficoltà a dichiararmi.
Mi chiamo fabrizio capuano.
potete contattrami a fabrizio.capuano@tiscalinet.it
Il 1 e 2 marzo all'A.O.Cotugno di napoli abbiamo organizzato un evento, diciamo un convegno ad ingresso libero, tuuto dediacto ai problemi della dura vita in ospedale ed in attraversamento della malattia dei cittadini italiani ( credetemi la sanità in Italia è una mezza pippa d'appertutto).
Mi fa piacere se venite.
il primo parliamo del nostro progetto, quello aftto e quello che vogliamo fare, ed il 2 lasciamo la parola agli autori del libro "D'altra parte" luminari italiani della medicina che un bel giorno si sono scoperti malati gravi ed hanno scoperto sulla propria pelle cosa significa stare prigionieri in un letto d'ospedale in italia.
grazie per l'attenzione
fabrizio
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