20 aprile, 2009

La Pasqua che non rasserena affatto

Giorgio Napolitano subito dopo la consueta Pasqua napoletana, ha detto che “ha trovato un’atmosfera serena”. Davvero difficile essere d’accordo col presidente. Sarò fissato io ma, come diceva quel tale: “mi dicono che non è vero”. Povertà che si estende e si approfondisce, ragazzini che non vanno a scuola sempre di più, progetti e azioni di welfare locale gettati alle ortiche, nessun indizio di qualsivoglia idea campana per rispondere alla recessione… nessuno. E dato che vivo i due terzi dei miei giorni a Trento, ecco qui come in quella provincia autonoma il governatore risponde alla crisi e alla povertà.
Sarà il caso, magari, di confrontare ciò con tono, metodo e misure del governatore nostro campano sugli stessi temi? O, in materia di piano- casa, con quanto proposto dal nostro premier?

…. Lo so, lo so… Conosco l’obiezione: è vero che sono realtà ben diverse per consistenza dei fenomeni. Ma ogni tanto è anche utile trovare modelli e pietre di paragone. O no?
E poi cose assai poco rasserenanti bensì tremende accadono: un ragazzo di Scampia – Giovanni Tagliaferri – fa da paciere in una delle cento e cento risse metropolitane e lo ammazzano con uno dei cento e cento coltelli che stanno nelle tasche delle persone, spesso imbottite di coca o altro. E nella loro villa della Gaiola, a pochi metri proprio dalla serena residenza presidenziale di Marechiaro, vengono massacrati i coniugi Ambrosio in uno degli omicidi orrendi che connotano la nuova Italia della cosidetta sicurezza belusconiana, avvolta più che mai, invece, nella paura. Una roba così terribile ed emblematica che l’ho voluta commentare su Repubblica.

Della politica a Napoli e dell’imbarazzo che provo, in particolare, per quel che “propone” – si fa per dire - il centro-sinistra, proverò a dire quanto prima, se ci riesco... (sic!)

07 aprile, 2009

L’Aquila e Abou


Da ieri abbiamo lo sguardo su l’Aquila. E anche la mente e il cuore: quelli che vissero il terremoto “nostro” del 1980 e il terrore di quella sera e il lasciare la casa lesionata e il partire poi, come tanti da tutta Italia, per l’Irpinia so che hanno dentro le emozioni forti che vengono addosso da quel momento passato e – grazie a quelle stranezze della memoria umana - so che lo sentono come se fosse ieri. Gli odori, le voci, i visi, le mani, il rombo dei generatori, la gioia di salvare qualcuno e la pena orribile di essere arrivati tardi con qualcun altro; e il moto che da sotto continua a salire…

Sì, è l’Aquila che prende i pensieri. E poi continuo a nutrire pensieri pessimisti riguardo alla politica e alla politica napoletana in particolare, che ho espresso in un’intervista con Norberto Gallo.

Eppure stamattina sono un poco contento. Perché c’è una piccola buona notizia: il sindaco di Napoli, per una volta, ha dato ascolto al tam tam costruito dal basso. Insomma siamo riusciti a fare avere al piccolo Abou la cittadinanza almeno onoraria della nostra città. I 5000 e passa messaggi arrivati in comune hanno comunque prodotto un’importante riparazione simbolica. Una piccola campagna è riuscita. E dobbiamo ringraziare molto Daniela e chi ha commentato sul suo blog, Massimo Villone e un po’ anche questo mio articolo, apparso domenica su Repubblica di Napoli e che qui riporto:

In questa settimana abbiamo saputo di una storia su cui sarà saggio riflettere a lungo. È il 5 marzo. In un ospedale della nostra città una donna straniera di nome Kante è venuta a partorire. E ha dato vita a un figlio. Di nome Abou. La norma richiede che vi sia riconoscimento di madre e figlio. È una norma del codice civile per evitare la tratta di bambini. Che, in questo caso, non è una possibilità. Infatti il figlio è uscito dal grembo della donna nel luogo in cui si fa il riconoscimento e mater certa est. Di chi altri poteva mai essere figlio il piccolo Abou? Ciononostante le chiedono un formale riconoscimento. E non il giorno dopo, come normalmente si usa fare. Bensì il giorno stesso del parto.
La signora Kante è, però, in attesa di permesso di soggiorno in quanto persona che aveva richiesto asilo politico. Pertanto non ha il passaporto che è depositato a tal fine in questura. Ha tuttavia con sé un fascio di carte che recano molte notizie atte al riconoscimento: la fotocopia del passaporto medesimo, la fotocopia della richiesta di asilo da cui si evince che la pratica è ancora aperta e anche il numero di telefono dell´avvocato italiano che segue la pratica di asilo. Ma di fronte a queste carte l´ospedale non si prende un giorno di tempo e vuole subito il riconoscimento. La circolare della Regione Campania in materia parla di «necessità di identificare la madre per la dichiarazione di nascita e per il riconoscimento del nascituro che si pone nel caso di donna straniera temporaneamente presente priva di documenti di riconoscimento». La circolare, poi, specifica la procedura: «Riconoscimento sulla base di un valido documento; in mancanza di documento, mediante due testimoni; e facendo ricorso, in ultima analisi, all´autorità di polizia». Il personale dell´ospedale, sempre in data 5 marzo, non chiama la questura per sapere se la fotocopia del passaporto in possesso di Kante corrisponde al documento lì giacente, ma soprattutto non chiama l´avvocato né opta per la soluzione dei due testimoni. Non lo fa neanche in presenza del compagno di Kante, di nome Traore, nonostante che il signor Traore abbia un regolare permesso di soggiorno che scade in data 31 marzo. L´ospedale sceglie di inviare subito al commissariato un fax che «chiede vostro urgente interessamento per identificazione».
La storia ha destato scandalo. E oggi tutti vogliono che si chiuda bene. La Regione intende cambiare la circolare. Medici e ospedali raccontano delle tante buone accoglienze fatte. Kante ha ottenuto il permesso di soggiorno in attesa della sentenza di asilo ed è stata accolta dal presidente della Regione.
Ma in molti restiamo storditi e feriti. Perché questa città, che ha avuto una storia di accoglienze degli stranieri e ha visto i suoi figli andare per il mondo, nell´ultimo anno ha già conosciuto un assalto di massa con bombe incendiarie contro donne, vecchi e bambini inermi di un campo Rom, il massacro di lavoratori neri, i cortei contro stranieri, il pestaggio di un ragazzo italiano solo perché non era bianco, l´astio contro una bimba Rom colpevole di essere positiva al test della Tbc.
E perché in tanti ci troviamo a fare, volta dopo volta, le stesse domande. Che ci voleva ad aspettare un giorno accarezzando Kante e il suo bimbo? O a telefonare a quel numero del legale? O a chiedere a Kante di trovare due testimoni? Costava forse troppo fare poi le fotocopie dei documenti degli stessi? Era più rassicurante mandare quel fax perché è meglio mettere le carte a posto?
Kante ancora ieri ha ripetuto che è stata allontanata da suo figlio appena nato, che non ha potuto allattare per i primi giorni di vita. Il referto dell´ospedale nega tale evento. Sarà bene sapere la verità. Ma al di là di questo, Napoli è chiamata a cercare di nuovo il senso primo delle cose e ritornare al diritto delle persone. Semplicemente. E forse è per questo che oggi oltre tremila cittadini mandano e-mail in Comune e «chiedono al sindaco di conferire al bimbo clandestino nato a Napoli e denunciato quale clandestino con la madre la cittadinanza onoraria napoletana quale risarcimento morale per il torto ricevuto».

02 aprile, 2009

Kante e Abou


Non ho più voglia di interpretazioni e commenti. Sono troppo indignato. E ferito.
Come persona e come cittadino. Perché individuo una tragica linea che, nella nostra città, va dall’offesa intollerabile a una madre e una donna della Costa D’Avorio di nome Kante e a suo figlio Abou, a una indecorosa rivolta contro una bambina Rom di nove anni, al pestaggio di un ragazzo nero al centro della città, all’attacco ai lavoratori neri nel Casertano, al pogrom contro i campi Rom di Ponticelli e all’orribile manifesto che lo anticipò – sì anche quello.
Perché qui è tempo di serbare memoria lunga e non scordarsene neanche una. E di ripartire dalle fondamenta, dall’aurora: il rispetto dei diritti fondamentali delle persone.
E c’è somma urgenza di una riparazione e di un segnale civile.
Perciò: il sindaco dia la cittadinanza onoraria di Napoli al piccolo Abou. Subito.

Update: come fa notare d.l., è un'occasione per farsi sentire. E' stato aperto un gruppo su FB . Ma si può anche inviare una semplice email al sindaco (sindaco(chiocciola)comune.napoli.it). Sarebbe bello sommergere di richieste la cassetta della posta di Rosetta.

La foto viene da qui.

22 marzo, 2009

La “città dei bambini” non ci è stata e i nodi vengono al pettine

E’ capitato di assentarmi a lungo da questo luogo. La principale ragione è che mia mamma si è rotta il femore. Chi ha le mamme anziane sa di cosa parlo.

Continua da giorni una campagna sul Corriere del Mezzogiorno – che ringrazio per l’attenzione molteplice. Che mi riguarda. Perché contiene un invito, a me rivolto, di tornare a Napoli da Trento. Dove sto in media quattro giorni a settimana per lavoro dopo che ho lasciato il Ministero della Pubblica Istruzione mentre gli altri tre li trascorro a Napoli. E dove mi occupo di cose da cui imparo molto. Centrate su nuovi modelli di welfare educativo. Si tratta, infatti, di un lavoro di progettazione e costruzione partecipata di una migliore offerta ai ragazzi in difficoltà da parte della formazione professionale trentina.
E’ una innovazione voluta dal presidente Dellai - che ha appena vinto le elezioni con una coalizione di centro-sinistra sulla base di un programma di cinque anni - che vuole dare grande importanza a istruzione e integrazione sociale. E’ un lavoro con un mandato forte, dunque; e che ha luogo entro un sistema di formazione che conosce da anni molti buoni risultati e oggi alcuni problemi emergenti e che si rivolge a ragazzi, italiani e stranieri, provenienti da famiglie certo non ricche.

Comunque, all’invito iniziale, che mi riguardava – lanciato da Isaia Sales sul Corriere del Mezzogiorno a Bassolino e Iervolino - ho subito risposto su Repubblica Napoli. E vi invito a leggermi anche perché davvero non trovo ulteriori argomenti. Infatti, in fondo, la mia è stata una scelta professionale. Che, in quanto tale, non ho reso nemmeno pubblica. Ma poiché c’è stato un appello, allora ho risposto. E la risposta, in fondo, si riassume in una frase: i nostri governanti sono stati per anni parte del problema, dubito che possano essere anche i promotori della soluzione. Tutto qui. E aggiungo solo una cosa del tutto evidente: tanto meno lo possono essere ora. A pochi mesi dalla fine dell’ennesimo mandato elettorale non usato bene nel campo di cui mi occupo da sempre, nonostante i mille e mille suggerimenti e le proposte fatti da tanti, negli ultimi tre lustri, me compreso. Questo appello, insomma, arriva fuori tempo massimo, a una fermata dal capolinea.
Resta il dramma: sono passati quindici anni e la “città dei bambini” non ci è stata proprio. E questo fallimento ha colpito, come sempre avviene, innanzitutto i più deboli tra bambini e ragazzi. Non solo, dunque, non ci è stata una politica ma non ci è stata una politica “di sinistra”. Constatato questo, il personale delle tante case famiglie chiuse o gli operatori dei progetti educativi senza stipendio protestano, amareggiati, Cesare Moreno si incatena sotto la regione, io lavoro a Trento… E’ semplicemente normale – e anche sano – che chi ha dedicato la vita a queste cose - di fronte a un fallimento così palese - ne tragga le conseguenze. Solo 'a politica si può permettere il lusso di cantare serenate mentre la nave affonda perché è stata portata contro la scogliera.
Verrà un’altra stagione – ne sono convinto. Ed è bene che ci si prepari. Ma è altrettanto bene che con questa stagione qui - e con il suo personale politico - si chiuda. Poi, purtroppo, si profila il fortissimo rischio che si tratterà di una brutta chiusura. Perché, dalle nostre parti, le cattive politiche stanno per favorire anche l’ascesa di una bruttissima destra. Ma di questa chiarissima duplice responsabilità del centro-sinistra campano e di chi lo ha condotto – di avere fallito le politiche concrete e, al contempo, avere spalancato le porte alla peggiore destra - ho già detto tante volte e dirò ancora…

26 febbraio, 2009

C’è spazio per un’altra politica


Mentre la signora Iervolino e i vari immancabili presenzialisti locali sono convinti che a Napoli sia tempo di dedicarsi ai terzi arrivati delle competizioni canore mediaset-rai, Bassolino si scopre democratico conseguente e reclama le primarie per le elezioni provinciali senza, naturalmente, parlare di merito su alcunché; tanto che, per una volta, mi sono sentito di dover ricordare i suoi trascorsi in materia.
Fortunatamente, camminando per il mio quartiere, si incontrano piccoli segni di un’altra città. E’ stato completato l’altare che ricorda Nicola, con tanto di poesia… da cui si evince una consapevolezza di cosa sia Napoli nei ragazzi che lavorano al nero, emigrano o stanno ai margini... I quali hanno anche pagato e affisso un manifesto di partecipazione per la morte di un loro coetaneo polacco che è caduto dal motorino mentre portava il pane, ha sbattuto la testa ed è morto sul colpo.

Forse varrebbe la pena non partecipare in alcun modo al balletto solito delle provinciali di Napoli. Ma usare, invece, questa stagione elettorale per mettersi di nuovo a parlare di persone. E di diritti, poveri, formazione, partecipazione, piani di sviluppo realistici ecc. magari organizzando degli incontri a tema.

Più in generale non riesco proprio a rassegnarmi al fatto che, mentre Obama affronta, faticosamente, la crisi, ponendo le grandi questioni del come ricreare opportunità e libertà (come si ridistribuisce la ricchezza entro un sistema liberale, come le energie pulite, diversificate e sostenibili possano liberarci dai vicoli e pericoli di petrolio e nucleare, come vanno nuovamente sostenuti i diritti dei deboli), da noi il dibattito è centrato sulla punizione e il controllo (regolare i diritti, escludere da essi varie categorie, prepararsi al ritorno al nucleare, non parlare di esclusione sociale mai ecc.).
E la sinistra e il PD? Mi pare che siano per lo più dedicati a beghe interne, nomenclature, tattiche, nomi…

Intanto cresce la povertà in Italia. Segnalo, per chi volesse guardare i fatti, che è finalmente disponibile il rapporto della commissione povertà alla quale ho lavorato anche io. I dati sono quelli del 2007.
Ma sono già molto evidenti i trend: ulteriore immiserimento di disoccupati e anche di lavoratori, di vecchi, di bambini e di donne, poca istruzione e formazione nelle fasce deboli e il crescere della spaccatura tra condizioni di vita nel Mezzogiorno e nel resto del Paese. Così è. Anzi, era. Ancor prima dei morsi di questa crisi… che sarà moltiplicatrice terribile di esclusione sociale e di divari territoriali.
E’ faticoso. Ma c’è spazio per dedicarsi a un’altra politica.

13 febbraio, 2009

Pensieri intorno ai “giorni di Eluana”

Questi “giorni di Eluana” li ho vissuti come tra i più cupi della recente storia di questo Paese. Non ne ricordo di così segnati da violenza e volgarità istituzionale. Perché questa volta, a differenza di altre brutte stagioni – lo stragismo, il terrorismo, tangentopoli - c’è stata una isterica, ostentata e virulenta mancanza di senso dello e nello stato a causa del comportamento e delle parole di chi – presidente del consiglio, ministri, membri del parlamento, ecc. - ricopre cariche alte. Un attacco alla Costituzione? Certo. Ma è dir poco. Infatti la Costituzione – è vero – può anche essere cambiata. Ma qui l’attacco è stato proprio al costrutto liberale, all’insieme di procedure condivise e sobrie che stanno a garanzia e a salvaguardia della democrazia liberale ovunque. Se ci fosse ancora lo Statuto Albertino o se vi fosse una qualsiasi altra Costituzione liberale questa sarebbe sotto attacco comunque da parte di costoro. Nessuna costituzione degna di questo nome consente, infatti, che una sentenza passata in giudicato venga smentita da un decreto del potere esecutivo con valore immediato e senza un voto del potere legislativo.

Dunque c’è stato, contemporaneamente, un attacco all’essenza delle regole di uno stato di diritto e un cupo assalto di vero integralismo, un’intrusione nella libertà e nel pudore di ognuno in quanto persona e cittadino che è portatore di diritti personali e civili.
E le “rappacificazioni” degli ultimi due giorni e il sobrio rito funerario per Eluana sui monti innevati della Carnia non riescono a cancellare questo fatto. Perché qualcosa è avvenuto di assai grave intorno agli enti della libertà e della responsabilità. Contro i quali si è manifestata una potenza che è diventata atto, in modo nuovo e più forte che mai.
Si tratta, certo, di Berlusconi e di Berlusconi premier senza regole e manifestamente psicotico. Ma non è solo Berlusconi. E’ un agglomerato politico che è ben ramificato e poliedrico dentro le istituzioni e che le utilizza senza alcun rispetto per il modo in cui dovrebbero funzionare. Ed è la tv – sì la tv - che entra come una clava in ogni casa e dice e osanna e offende e sbraita e diseduca.
E’ un agglomerato illiberale largo e potentissimo dunque. Che ha olezzo di Chiesa medioevale ma modi da regime – sovietico o fascista - degli anni trenta del secolo scorso. Che vuole dirmi – a me persona e a me cittadino - come vivere e come morire. E impormelo tout court e insultandomi e al contempo sovvertendo le leggi fondamentali su cui si regge il mio patto con le istituzioni.
Questo è stato e questo è. E una siffatta bestia, quando inizia a digrignare i denti e poi a mordere, non la smette tanto facilmente. Può mettersi momentaneamente a cuccia. Per opportunismo. O per quel affaticamento che fa seguito a ogni assalto d’ira o impeto di violenza. Ma è fuori dalla gabbia e attaccherà ancora e ancora.

Sul merito. Parto da me. Sono stato malato e volevo vivere e basta. Quasi a tutti i costi. Ma volevo continuare ad essere me stesso, sia pure malato: parlare, ascoltare, mangiare frutta, guardare da una finestra. E non volevo a lungo soffrire. Un po’ di male si può e si deve pure, anche se è difficile – mi dicevo; ma tanto lungo, inutile male – prima della certezza della morte – questo proprio no. Così ho pensato in una stagione difficile della mia vita; e così è per me. E ho un diritto, inalienabile, a pensarla così. E a fare le scelte che ne conseguono e a disporle per il mio futuro se non sarò in grado io stesso ad attuarle.
Poi c’è chi, invece, altrettanto legittimamente, crede nella sua personale e individuale tenuta in vita comunque e ha un altro rapporto dal mio con la sofferenza? E c’è chi ritiene che un radicale cambiamento di stato, ben oltre la soglia della normale battaglia propria di ogni malattia, sia comunque da preservare a ogni costo in quanto vita? Fa bene quanto me. Con pari diritto inalienabile. E deve essere altrettanto libero di stabilire ogni atto affinché ciò sia.
Ma io non posso e non devo dire a lui o a lei cosa fare e lui o lei non può e non deve dirlo a me. Devo semmai confrontarmi rispettosamente con questa differenza. E viceversa.
E a garantire tutto ciò c’è lo stato. Che mai deve prendere parte per uno o per l’altro e deve consentire a ciascuno di disporre per sé, una volta che le cure non servono più e che non vi è speranza di vita cosciente.

Perciò voglio avere subito la possibilità di un testamento biologico.
Ma le proposte che sono prese in considerazione in Parlamento e che sono oggi oggetto di mediazione tra PD e PdL non mi convincono proprio. Perché non hanno una ispirazione liberale. E non mi consentono quel che ho appena detto. Intanto, infatti, non vedo perché io debba disporre del come morire andando ogni tre anni, a mie spese, dal notaio e con il medico a reiterare la validità del mio proponimento – come dicono queste “bozze di mediazione”. Se cambio il testamento devo poter andare gratuitamente a cambiarlo; altrimenti vale ciò che ho scritto. Ma soprattutto pretendo la possibilità di decidere. Punto. Il che vuole dire che è mia l’esclusiva competenza determinare l’uso o meno di ogni procedura medica, anche intrusiva e forte - una volta stabilito che sono su una strada senza alcun ritorno. Ivi compresi ossigeno, alimentazione e idratazione.
Insomma, in questo testamento, ognuno deve poter scrivere quel che crede. Davvero e in toto. Perciò a me non piace la bozza unificata detta Calabrò. Che mette limiti a monte della decisione di ognuno. E, per esempio, costringe me – che la penso come la penso - a vivere in coma irreversibile con una sonda per anni nella gola che mi dà acqua e cibo che da solo non potrei assumere neanche aiutato manualmente.
No, non posso ammettere in alcun modo che sia una legge o il papa o Berlusconi o Rutelli o chicchessìa a impormi ciò.

Poi ho altri pensieri ancora. Provvisori e incerti. Che riguardano la mia personalissima e assai modesta riflessione religiosa. Sono un credente atipico. Della religione codificata apprezzo i rituali e non i dogmi. Quella dibattuta mi arricchisce. Vado in sinagoga, non spesso, soprattutto per un senso di rispetto per l’unità dell’universo e per interrogarmi.
E non riesco proprio a ritenere la sofferenza in sé un valore. Può insegnare. Ma non può essere considerata cosa sacra. Il feticismo del dolore a me non piace. E, più in generale, ogni feticismo e falso idolo mi insospettisce. Perché mi distoglie troppo facilmente dal dubbio, dal confronto e dal pensare. E perché – ove mai vi fosse Dio – tende comunque a mettere ombra alla sua unicità.
So bene che anche molti cattolici diffidano del feticismo del dolore; e dicono che “la croce senza la resurrezione” non ha senso. Ma oggi si deve constatare che in quel mondo c’è la ricorrente tentazione o, peggio, la pratica, di voler difendere il valore della croce in sé e dunque mettere in ombra la resurrezione. Il che significa una certa affezione per il dolore in quanto tale. Senza salvezza. Vorrei potermi confrontare con quei tanti cattolici che su ciò nutrono preoccupazione per le posizioni che, con ostentazione, sono venute, in questi giorni, dalla Chiesa e dai cosiddetti esponenti politici cattolici, a destra e anche a manca…
Un altro tema, per me molto aperto e su cui mi muovo in mezzo a molte incertezze – tema che è religioso, filosofico, economico e anche psicologico - riguarda il delirio di onnipotenza. Fino a quando è bene andare contro l’ordine delle cose secondo quel che fu natura? Attenzione: quel che fu natura… perché questo tema è sempre legato a cosa sia cultura e cosa sia natura. E si fa complicato assai. Su ciò sia sul fronte non cattolico che su quello cattolico si vedono molte posizioni e anche molte incoerenze, spesso tra loro speculare. Molti laici sono spesso per la morte naturale e contro le forzature di interventi tecnici; ma poi, altrettanto spesso, appoggiano ogni progresso della scienza che muta l’ordine naturale. Viceversa molti cattolici sono spesso contro i ritrovati della scienza considerati troppo manipolativi dell’ordine naturale ma poi si schierano altrettanto spesso a sostegno di vari dispositivi moderni atti alla tenuta in vita a tutti i costi. Mi pare che in entrambi i casi sia in gioco il principio di non contraddizione. Va pure bene così. Basta non millantare coerenze e certezze… Interrogarsi, appunto.

Così, mentre la storia di Eluana potrebbe aprire la comunità nazionale a una dignitosa stagione di confronto tra diversi su questi temi, ciò risulta, tuttavia, impossibile. Perché non vi sono state e non vi sono le garanzie liberali minime, indispensabili a questo confronto. Perché il governo le attacca brutalmente e il PD non le difende con una posizione serena e forte. Tutto ciò, oltre a essere minaccioso e mutilante di diritti, ci impoverisce terribilmente anche sul piano culturale.

07 febbraio, 2009

Il coraggio della vecchiaia

Contro la povera Eluana, la sua famiglia, la legge e la democrazia liberale, continua la volgare e terrificante guerra di Berlusconi e dei suoi accoliti – Fini escluso, ancora una volta; e va rimarcato.
Ci auguriamo tutti che, oltre a vincere le elezioni in Sardegna, abbia ragione Renato Soru: che Berlusconi finisca ricordato come Caligola e venga un Traiano o un Adriano.
Ma per ora il Cavaliere è qui. Sta smantellando le procedure e lo spirito della Costituzione, sostenuto da una Chiesa che a sua volta sta ritornando a prima dell’elezione di Papa Giovanni XXIII.
Berlusconi ha come opposizione gli strepiti di Di Pietro e il sostanziale nulla del PD. E’ pochissimo. Anche se si dovrà vedere quanta gente si presenterà davanti a Palazzo Chigi per un presidio indetto per oggi pomeriggio.
Ma c’è il “coraggio della vecchiaia” del Presidente Giorgio Napolitano. Che ha dichiarato urbi et orbi di non poter né voler firmare un decreto che è anticostituzionale.
Stasera il Presidente è a Napoli. Sto fuori per lavoro – e molto mi dispiace. Ma sarei andato anche da solo ad applaudirlo fuori dal S. Carlo, con un cartello su cui avrei scritto “grazie, Presidente”.

03 febbraio, 2009

Piovosa Napoli, senza buona politica

Fare politica a Napoli?
Per come la vedo e la rispetto io – e non solo io – di buona politica, da queste parti, ce n'è pochissima. Quanto sono presenti i problemi vivi di città, regione e cittadini? E qualcuno fa un bilancio di come si sono spese e si spendono le risorse pubbliche? O c’è qualcuno che propone un confronto sul perché c’è una paurosa crisi nella partecipazione? O su come ridare di nuovo senso alla rappresentanza – che pure serve in democrazia?

Quel che interessa sono i nomi… per vere o presunte candidature future. E i nomi sono regolarmente indipendenti da problemi, proposte e competenze. Ma sono dipendenti da equilibri tra fazioni, mutanti o consolidate. Che a loro volta sono da mettere quasi sempre in relazione con pezzi di amministrazioni – cioè con clientele già solide o da conquistare. E, al contempo, sono nomi che si sono andati ad accreditare presso le varie corti di partito. In quel di Roma. Come avveniva per le borghesie compradore delle colonie.

C’è, poi, il sordido rumore di sottofondo. Che riguarda il non dover escludere nessuno, il cooptare chi potrebbe mugugnare fastidiosamente, chi minaccia di sottrarre pezzi utili al mosaico del consenso, chi ha un ricatto pret à porter, chi promette in dote questo o quello, chi negozia col controllore di turno. E’ un sottobosco movimentato da non pochi umani ben addestrati. Fatto di proponimenti reali e di bluff, di intrighi, scontri, alleanze con uscite e rientri. Con propri codici, linguaggi, stili. Alla fine dei quali ci sono posti nelle liste, nei partiti, nelle organizzazioni limitrofe, nei centri di spesa, nelle agenzie pubbliche.
E poi ci sono le umane vicende delle tante piccole sopravvivenze personali… “A’ politica”. Un mestiere. Ma non nel senso che indicò Max Weber. Più banalmente: un modo per campare senza dover produrre né beni né servizi.
Sì, ci sono le debite eccezioni. Ogni volta ad esse ci si deve inchinare. Ma anche l’onesto che s’affaccia o vuole fare buona politica è in queste acque che deve navigare.
Come nel resto d’Italia? Sì. Ma molto di più. Per intensità di attività e per massa critica di attori in campo.

E allora va forse un po’ rivendicato che, in uno strano modo, c’è, invece, chi, ha costruito un qualche imperfetto spazio pubblico a Napoli. Con mille limiti e difetti. Ma che è sicuramente altro da tutto questo. E che lo ha fatto non solo durante le ultime elezioni comunali con la lista civica Decidiamo insieme.
Non siamo i soli? Certamente non siamo i soli.
E c’è un mare di brave persone che non tollerano più “a’ politica”. E che vogliono ridare senso alla politica.
Cammino per strada. E tante persone – in dialetto o in italiano - mi chiedono di fare cose, di essere più presenti, di attivarsi in politica. “Dovete fare qualcosa”, “Ma tu hai lasciato correre, te ne vai fuori a lavorare invece di combattere qui”, “Bisogna fare questo o quello”.
In qualche modo si tratta di una richiesta. E in questa richiesta il soggetto è spesso o il ‘voi’ o addirittura il ‘tu’; oppure è il famoso impersonale italico spesso seguito dal verbo al condizionale…
“sarebbe giusto, si dovrebbe, si potrebbe, ci sarebbe da…”. La prima persona plurale è più rara. Ma non inesistente. Molte persone in pensione sono disposte a dare tempo. Altri sono pronti a fare iniziative. Sono iscritti e non a partiti. Alcuni hanno votato per quella nostra lista o per me. Molti no. Queste persone che incontro e che altri incontrano fanno questa sorta di richiesta un po’ per spirito di delega, un po’ per rimarcare una necessità evidente, un po’ per stima di quanto allora facemmo pur perdendo (ancor più visti i risultati di chi ha vinto), un po’ per un’idea di protagonismo che resiste in qualche modo…

“Ma che farete?” “Ma che pensi di fare?”
A me viene da ribaltare la questione. Che cosa, intanto, stiamo già facendo - e stiamo facendo nella nostra condizione reale. Che è quella di persone perbene e normali che cercano disperatamente di ridare un senso alla politica. Ma che - a differenza di chi fa il ‘mestiere della politica’ – sono persone che non vivono con stipendi provenienti dalla politica; e che quindi la mattina vanno a lavorare. E sono dunque persone per le quali la politica contende il tempo alle altre relazioni umane: compagni di vita, genitori, figli, amici, hobby, ecc.. Sarà banale ma fa la differenza. In termini di rapporti tra te-persona e la politica: perché lo fai nel tuo tempo libero e non in relazione al guadagno presente né a quello futuro o futuribile. E in termini di disponibilità materiale e dunque di limiti di tempo dedicati a ciò.

Comunque, detto questo, beh… Francesco non smette di andare in giro a informarsi molto seriamente sui rifiuti e dirci delle cose che impara su questo e altro. Fraba e insieme Francesco e Norberto fanno comunque il punto di quella brutta — e noiosissima — politica e fortunatamente di altro ancora e per farlo selezionano informazioni e le ripropongono cercando di farlo con onestà intellettuale.
Nunzio analizza molto utilmente i conti pubblici, ultimamente il bilancio comunale di Napoli, deprimente. Il sottoscritto qui e altrove cerca di mostrare una politica possibile per Napoli e per contrastare l’esclusione sociale e l’istruzione mancata. Daniela lavora molte ore ogni giorno non solo per darci, ben elaborate, le mille e mille cose di Napoli ma anche per costringerci a pensare agli accadimenti un po’ tremendi che capitano nell’Italietta malsana di oggi. Giovanni mostra lo scandalo di una città con un terzo di suoi cittadini esclusi dalle opportunità e che non ha un’idea di come rendere moderno e stabile il lavoro sociale, anzi lo affossa. Luciano prova ogni volta a dare un quadro di riferimento alle nostre vicende secondo categorie meno banali del solito.
Ecc. ecc. E anche altri - tra loro anche molto diversi - fanno molte cose. Con spirito spesso simile.

E solo blog? Non è solo blog. Perché sono reti di persone, esperienze, presenza pubblica, proposte, scambi, incontri... Che hanno al centro un’idea di politica che non è ‘a politica. E che conserva una distanza da questi partiti e dai partiti a Napoli pur non essendo contro i partiti in quanto tali.
E’ poco? E’ sicuramente poco e non basta. Ma tuttavia è.

Si può fare altro e meglio? Possiamo fare altro e meglio – usando la prima persona plurale. A me piacerebbe, per esempio, che in tanti riuscissimo a convocare, ogni due mesi, una iniziativa sulla Napoli possibile. Un luogo pubblico, serio ma anche piacevole, in cui si potesse argomentare su cosa non va e perché, ma nel merito e dunque senza urli ma con argomenti e documentazioni; e provare a rispondere, sempre nel merito – e con i vincoli della realtà – su cosa si potrebbe fare. Con proposte. Anche tra loro molto diverse.

In queste settimane mi hanno colpito i giovani del mio quartiere. Che sono stati protagonisti di una piccola “onda anomala”. Si sono riuniti in parecchie decine. Hanno sostenuto la mamma e la sorella di Nicola ucciso a Capodanno. Hanno fatto un corteo non urlante anche se veniva di urlare; ma non arrendevole; e in qualche modo “testimoniante”. Hanno poi organizzato una fiaccolata. Hanno provato a costruire un’edicola, un luogo simbolico della memoria, come da tradizione del quartiere, dedicato al loro amico ucciso per assurdi motivi legati all’esclusione – argomento che riguarda ogni ora della loro vita e di cui stanno tra loro parlando un po’ più di prima, ai margini di questo evento e di questo strano attivismo. Hanno, quindi, avuto un normale contraddittorio civile coi vigili che volevano abbattere l’edicola e hanno poi chiesto regolare permesso. Piccole cose.

Forse possiamo fare anche noi piccole cose. Oltre quelle che già facciamo. Non urlanti anche se ci viene l’urlo. E testimonianti e non arrendevoli.

Nelle foto: 1) la piovosa Napoli senza buona politica, da san Martino; 2) il manifesto auto-finanziato che chiama alla fiaccolata per ricordare Nicola; 3) l’edicola con dentro il ritratto di Nicola Sarpa viene coperta dopo il sequestro da parte dei vigili e in attesa forse di permesso regolarmente chiesto o forse di benedizione.

22 gennaio, 2009

Gennaio strabico


Bisogna essere un po’ strabici di questi tempi. Guardare oltre l’Atlantico per cercare ispirazioni o trovare conferme alle convinzioni e, al contempo, stare nelle battaglie dei nostri luoghi. Dove, quasi sempre invano e comunque in pochi, avevamo detto, predicato, mostrato il senso delle ispirazioni che oggi diventano politica al più alto livello nel paese più potente del mondo.
Il primo atto di Obama ieri è stato quello di emanare un ‘ordine esecutivo’ sulla trasparenza e l'etica: “Gli americani devono sempre sapere quali decisioni vengono prese e perché vengono prese in modo che il popolo americano sia ben servito… c’è troppa segretezza in questa città… Iniziando da oggi ogni agenzia e dipartimento si pone dalla parte di chi cerca informazione”. E ancora: “La trasparenza e il dominio della legge saranno le pietre miliari di questa presidenza… Il solo fatto che si abbia il legale potere di tenere segrete le informazioni non significa affatto che lo si debba fare”
E’ adesso un atto esecutivo, un decreto che ha valore immediato, in linea con quanto il legislatore, senatore Obama già pensava e faceva nel 2006.
Guardando dalle nostre parti nel buio pesto delle consuete segretezze si cerca di decifrare quel che al cittadino non è chiaro perché – all’esatto contrario da quanto disposto dall’ordine obamiano - tutto quel che si costruisce resta programmaticamente celato al cittadino stesso e senza rapporto con i problemi veri della vita sociale e civile.
Anche di questa distanza tra parole e cose della nostra misera politica ho scritto nell’articolo apparso oggi sull’Unità nazionale (pp 38 e 39)

N.B. La foto stavolta è mia, scattata a Central Park West south side alla statua di G. Mazzini e al relativo motto.

20 gennaio, 2009

Gli auguri a Obama e le piccole battaglie


Sembra ridicolo. Ma viene da fare quasi personalmente gli auguri ad Obama che oggi entra nel suo ufficio – he takes office. E forse l’unico modo di farli non è seguire le stanche o oscene chiacchiere della politica ridotta com’è da noi quanto piuttosto continuare le nostre piccole battaglie di democrazia concreta e di ogni giorno. Perciò testardamente va ripetuto che la politica e l’amministrazione devono poter avere un carattere partecipativo e realizzativo. Le persone devono poter ‘toccare la politica’, usufruire in modo palpabile delle sue decisioni, farne esperienza diretta, migliorarla in prima persona. Si tratta di dispositivi, di attuazioni, di fatti e non di chiacchiere. E su questo che lo stesso Obama sta per misurarsi. E ciò vale quanto più si è cittadini socialmente e culturalmente esclusi.
Sono tornato ancora una volta su questi temi – decisivi per l’esistenza stessa di un democrazia – con un articolo a commento della crisi di liquidità del progetto Chance, da me fondato undici anni fa.

14 gennaio, 2009

Quisquilie e pinzellacchere provinciali

Si torna a parlare delle elezioni… si avvicinano le provinciali di Napoli.
E subito c’è chi si scandalizza per i primi boatos sul possibile candidato del PdL.
E subito c’è chi teme che vinca la destra, chi guarda al nulla della politica con occhio disilluso…
E, interrogato, anche io ho detto la mia, ricordando, timidamente, che quasi tutti, a destra e a sinistra, si erano detti a favore almeno del ridimensionamento delle province.
Avete udito in giro domande pertinenti su questo tema? Come ridurle le province? O perché, eventualmente, non ridurle? Quale il risparmio? Come ri-integrare il personale altrove e dove? Cos’è la tanto nominata città metropolitana che dovrebbe e potrebbe sostituirle? Come funzionerebbe in generale e nel nostro caso? Niente. Non è tema delle elezioni… provinciali.
Ma, più banalmente, c’è forse un dibattito sull’operato del presidente uscente Di Palma? Ha per caso egli – o un partito della sua coalizione di centro-sinistra o dell’opposizione di centro-destra - mostrato un consuntivo politico e amministrativo sulle cose fatte e non fatte? Si è forse il presidente, alla fine del suo mandato, degnato di “dare anima e argomento”, pubblicamente, ai bilanci di questi cinque anni? Nemmeno per sogno. Ognuno tace. E lui per ora si occupa di difendere il suo posto e di contrastare anche le eventuali primarie per la designazione di un candidato di centro-sinistra. Niente altro.
Così, per l’ennesima volta, si profila una lunga campagna elettorale nella quale è tutto centrato solo su persone e equilibri tra e nei partiti. Nel chiuso di quel mondo separato. I temi istituzionali sono cancellati dal dibattito. Il normale bilancio di un corso amministrativo è cosa sconosciuta. E, ben oltre, la vita e la società così come si svolgono realmente nei territori delle province e della nostra provincia sono assenti da ogni attenzione. La vita e la società? “Quisquilie, pinzellacchere…”
Eppure le belle province e l’insieme del Mezzogiorno avrebbero di che riflettere in materia di vita e di società. Avrebbero…
Allora ho pensato di mostravi queste slide - preparate insieme al mio amico elettricista - che descrivono alcune cose significative della vita e della società napoletane e meridionali. Perché è di queste “quisquilie” che piacerebbe poter parlare. In una democrazia.


12 gennaio, 2009

Gli anni passati… e tutti questi anni

Buon anno… Capita di pensare, nei primi giorni dell’anno, che nulla rimarrà uguale… E capita anche di pensare agli anni trascorsi e subito ri-convincersi del contrario.
Gli anni passati… Quindici anni fa sono ritornato dai miei giri da insegnante in Africa e in Francia anche perché Antonio Bassolino voleva fare “la città dei bambini”…

Nicola, un ragazzino del mio quartiere, aveva allora otto anni. A 14 anni lo ho aiutato a prendere la terza media. Ci vedevamo ogni giorno. Era un ragazzino timido e anche, forse, un po’ depresso. Con un papà dedito alle illegalità, una sorella più piccola dal carattere forte e una mamma che teneva botta come e più di quanto si possa immaginare. Tante volte mi chiedo: cosa farei io se stessi in quelle condizioni, per sopravvivere? Nicola era un ragazzo buono, ritirato, mansueto. Un vero pezzo di pane. La mamma gli ha chiesto di prendere il fratello e tirarlo dentro perché si spara con le mitragliette e le pistole per aria a Capodanno nel mio quartiere…
Nicola è uscito e ha ricevuto un proiettile alla fronte che lo ha ucciso. La mamma qualche mese fa mi aveva fermato per strada e mi aveva chiesto “che facciamo noi per questi ragazzi?”. Che facciamo noi – aveva detto. Non ‘voi’. Noi. Era adirata e sofferente ad un tempo.

Prima che Nicola è stato portato al cimitero, un corteo spontaneo di qualche centinaia di ragazzi che avevano sette, otto e nove anni al tempo dei proclami sulla “città dei bambini” è andato verso il municipio di Napoli, gridando solo la parola “giustizia”. Avevano le lacrime agli occhi. Ne ho riconosciuto tanti. Alcuni sono venuti dal Nord, dove oggi lavorano a contratti da fame ma legali e lontano dai pericoli di qui. Per salutare Nicola. Che era voluto bene anche se era tifoso della Juve. Nessun sindaco o assessore, vecchio o nuovo, ci è andato a parlare. Nessun sindaco o assessore era andato a casa di Nicola per stare tre minuti a fianco alla mamma. In chiesa c’era qualche consigliere di municipalità.

Difficile dire qualcosa di sensato di fronte alle cose che capitano a Napoli. Le evidenze tuttavia sono evidenze: è davvero impressionante la distanza che c’è tra vita e palazzo. Il pensiero del palazzo alberga altrove, smaccatamente. A tal proposito mi ha colpito la quantità di deleghe con capacità effettiva di spesa concentrate nelle sole mani di esponenti politici che – per appartenenza, nota frequentazione, metodo, lessico e quanto altro - rispondono direttamente solo al presidente della regione.

Ma di tutte le cose “della politica” di inizio d’anno, già molto ben commentate, sono stato colpito da due “dettagli”. Il primo: la frase tra le tante sfuggite di bocca al sindaco la quale, a conclusione della solita difesa di sé (mai un’ammissione di errore, mai un elenco delle inadempienze rispetto alle promesse, niente di niente) si è fatta uscire di bocca le parole “in fondo non è morto nessuno”. Ho pensato ancora una volta ai figli di Nugnes. La seconda: parlando dell’ex assessore Gambale, da lei scelto, sostenuto e protetto e comunque non ancora condannato (che lo debba dire io è incredibile davvero), sempre il sindaco ha usato l’espressione “il più fetente”.
Ho raccontato quest’ultima chicca a un amico americano che segue molto le cose di Napoli. Ha detto, semplicemente: “But where was this lady all these years?” Ma dove stava questa signora in tutti questi anni? Appunto. Stava esattamente dove intende rimanere.

19 dicembre, 2008

Cinquecentoottantaquattro ragioni per andarsene

Ieri c’è stata una buona occasione pubblica di confronto, teso ma sempre civile. Abbiamo fatto bene a organizzare questa prima piccola cosa perché la città ha disperato bisogno di parola, di politica vera, di esplorare, sia pure faticosamente, possibilità. Vi è e vi sarà un lutto da superare, delle rovine da rimuovere prima di ricostruire. E per fare queste cose ci vogliono spazi per le parole e gesti di civile confronto e anche di gentilezza e di rispetto nel normale conflitto tra persone tra loro diverse. Spazi lontani da interessi incombenti e dall’ossessione dell’appartenenza e della fedeltà.

Ho letto, saltando qui e lì, le 584 pagine (che sono sul corriere in pdf)
dell’ordinanza di rinvio a giudizio degli amministratori della giunta Iervolino e dei loro supposti amici in affari di cui tutta Italia parla, che è prima notizia su ogni media e che ha spinto l’acceleratore sulla crisi apicale del primo partito di opposizione di questo nostro povero Paese.
Ne traggo per ora alcune considerazioni:
1 – Sono tutti innocenti fino a prova contraria. Ma altrettanto fino a prova contraria l’articolo 54 della Costituzione – che recita “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore” - era l’ultimo dei loro pensieri perché da quelle carte si evince, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’interesse generale e l’onore non sono mai state cose presenti nella loro testa e nel loro agire. Mai.
2 – Un sindaco, eletto dal popolo in via diretta e che sceglie i suoi assessori e ci lavora, che non capisce o non vuole comprendere che un numero che si avvicina a metà della sua giunta è composto da persone che disonorano la funzione – per come parlano, per come considerano le cose del mondo e della città per come sono abituati a ragionare, ben al di là della questione penale e dunque della colpa o innocenza - oggi, di fronte a cotanta evidenza, deve lasciare il campo e subito. E quanto più questo sindaco è personalmente estranea e onesta tanto più rapidamente deve andarsene.
3 – Dinanzi a cose così macroscopiche c’è il dovere di dare priorità al metodo che è alla base della sostanza stessa della democrazia. I ragionamenti che leggo e sento sul fatto che se ci si dimette ora vincerebbe la destra o altre cose del genere sono fuori dalla cultura costituzionale. Il sindaco è una giurista. Conosce queste cose bene.
4 – Quando vi è anche solo il sospetto – e in quelle carte vi è ben più di questo - che è in gioco la credibilità e l’onorabilità delle istituzioni, il ragionar sulla convenienza partitica è cosa fuori luogo. Non si va a Roma a decidere nel chiuso delle stanze di partito.
Non si va a ragionare con altre cariche istituzionali quali il presidente della regione su cosa sia più conveniente. E non si cerca appoggio qui o lì. Se anche la scelta fosse quella di restare, in ogni caso la si prende misurandosi con i cittadini della città che ti hanno eletto e con nessun altro.
5 – Ciò significa anche che se prevale da parte della cittadinanza, al di là di ogni appartenenza, un senso di distanza dalle istituzioni cittadine e dal tuo operare e di disperazione o addirittura di profonda mortificazione e vergogna per lo stato in cui versa la città che tu hai governato per molti anni e comunque non si manifesta certo un senso di speranza né di rinnovata fiducia in te, ebbene è a queste cose che devi rispondere in un tal momento. E anche qui: a maggior ragione se sei personalmente estranea alle specifiche e gravi ragioni della crisi.

15 dicembre, 2008

Ma dopo ci sarà il futuro?

E' confermato: ci potremo vedere per discutere giovedì prossimo.

Come uscire dal disastro? Quale futuro politico per Napoli?

Decidiamo Insieme organizza un dibattito pubblico.

Interverranno tra gli altri: Enzo Amendola, coordinatore di Red; Aldo Policastro magistratura democratica, segnali di fumo; Maurizio Zanardi, filosofo della politica; Leonardo Impegno, presidente del consiglio comunale e il soprascritto.
Seguirà dibattito.

Giovedì 18 dicembre dalle 17,30 alle 20,00
Sala della seconda Municipalità in piazza Dante

Siamo tutti invitati. Invitate tutti.

14 dicembre, 2008

due pensieri su Napoli

E’ un po’ di giorni che non mi faccio sentire. Alle volte si è stanchi.
E nei prossimi giorni dirò qualcosa del ‘ritiro della Gelmini’.
Intanto due pensieri su Napoli.
Il primo mi viene dal fatto che una persona senza fissa dimora è morta per strada nella ‘umanissima’ Napoli. Dove non c’è alcuna politica né alcun percorso amministrativo sensato verso i più poveri tra i poveri.
La seconda riguarda l’episodio, raccapricciante, del ferimento grave agli chalet di Mergellina. Terribile. Feriti o uccisi per caso in una grande città… In varie persone molte volte abbiamo scritto articoli di denuncia sulle frequenti sparatorie nei Quartiri Spagnoli o alla Sanità o a San Carlo Arena o a Soccavo o a Scampia ecc. Che mettono in pericolo o feriscono o ammazzano persone che non c’entrano nulla. E mi ha sempre colpito quanto, per tanti, queste sono state cose comunque lontane e ‘altre’ da quel che è la comune metropoli che, invece, abitiamo. Ma appena vi è una sparatoria che ferisce qualcuno fuori dalle periferie o dal chiuso dei ‘ghetti interni’ si grida, all’improvviso, allo scandalo e lo si fa per il fatto che tutta Napoli sarebbe diventata periferia… E, sotto sotto – nell’additare il male nelle periferie in quanto tali e non nella comune metropoli - non si mostra tanto una sacrosanta rabbia contro le specifiche persone criminali che sparano e feriscono in un locale pubblico quanto con tutta la gente di periferia che osa frequentare i luoghi topici di Napoli. Come dire: “tutto ciò accade perché costoro non se ne stanno più in periferia”. E non viene in mente che chi gira in quel modo con le pistole minaccia e opprime ogni giorno migliaia di persone che in quelle periferie abitano.
Queste tristi cose mi colpiscono di più del gran parlare nel pd campano. O del futuro di un ceto politico che, come ho detto in un’intervista a repubblica nazionale, dovrebbe per intanto sgombrare il campo…
… certo, poi resta il problema del dopo. E del dopo, anzi dello star meglio da subito, si parlerà a segnali di fumo il 16 dicembre martedì.

Ma di "Cosa fare e con chi?" si parlerà anche giovedì 18 dicembre alle 18, probabilmente presso la seconda municipalità a piazza Dante (a breve la conferma del luogo) con Zanardi, Policastro, Impegno, Amendola e il sottoscritto. Con dibattitto.