13 febbraio, 2009

Pensieri intorno ai “giorni di Eluana”

Questi “giorni di Eluana” li ho vissuti come tra i più cupi della recente storia di questo Paese. Non ne ricordo di così segnati da violenza e volgarità istituzionale. Perché questa volta, a differenza di altre brutte stagioni – lo stragismo, il terrorismo, tangentopoli - c’è stata una isterica, ostentata e virulenta mancanza di senso dello e nello stato a causa del comportamento e delle parole di chi – presidente del consiglio, ministri, membri del parlamento, ecc. - ricopre cariche alte. Un attacco alla Costituzione? Certo. Ma è dir poco. Infatti la Costituzione – è vero – può anche essere cambiata. Ma qui l’attacco è stato proprio al costrutto liberale, all’insieme di procedure condivise e sobrie che stanno a garanzia e a salvaguardia della democrazia liberale ovunque. Se ci fosse ancora lo Statuto Albertino o se vi fosse una qualsiasi altra Costituzione liberale questa sarebbe sotto attacco comunque da parte di costoro. Nessuna costituzione degna di questo nome consente, infatti, che una sentenza passata in giudicato venga smentita da un decreto del potere esecutivo con valore immediato e senza un voto del potere legislativo.

Dunque c’è stato, contemporaneamente, un attacco all’essenza delle regole di uno stato di diritto e un cupo assalto di vero integralismo, un’intrusione nella libertà e nel pudore di ognuno in quanto persona e cittadino che è portatore di diritti personali e civili.
E le “rappacificazioni” degli ultimi due giorni e il sobrio rito funerario per Eluana sui monti innevati della Carnia non riescono a cancellare questo fatto. Perché qualcosa è avvenuto di assai grave intorno agli enti della libertà e della responsabilità. Contro i quali si è manifestata una potenza che è diventata atto, in modo nuovo e più forte che mai.
Si tratta, certo, di Berlusconi e di Berlusconi premier senza regole e manifestamente psicotico. Ma non è solo Berlusconi. E’ un agglomerato politico che è ben ramificato e poliedrico dentro le istituzioni e che le utilizza senza alcun rispetto per il modo in cui dovrebbero funzionare. Ed è la tv – sì la tv - che entra come una clava in ogni casa e dice e osanna e offende e sbraita e diseduca.
E’ un agglomerato illiberale largo e potentissimo dunque. Che ha olezzo di Chiesa medioevale ma modi da regime – sovietico o fascista - degli anni trenta del secolo scorso. Che vuole dirmi – a me persona e a me cittadino - come vivere e come morire. E impormelo tout court e insultandomi e al contempo sovvertendo le leggi fondamentali su cui si regge il mio patto con le istituzioni.
Questo è stato e questo è. E una siffatta bestia, quando inizia a digrignare i denti e poi a mordere, non la smette tanto facilmente. Può mettersi momentaneamente a cuccia. Per opportunismo. O per quel affaticamento che fa seguito a ogni assalto d’ira o impeto di violenza. Ma è fuori dalla gabbia e attaccherà ancora e ancora.

Sul merito. Parto da me. Sono stato malato e volevo vivere e basta. Quasi a tutti i costi. Ma volevo continuare ad essere me stesso, sia pure malato: parlare, ascoltare, mangiare frutta, guardare da una finestra. E non volevo a lungo soffrire. Un po’ di male si può e si deve pure, anche se è difficile – mi dicevo; ma tanto lungo, inutile male – prima della certezza della morte – questo proprio no. Così ho pensato in una stagione difficile della mia vita; e così è per me. E ho un diritto, inalienabile, a pensarla così. E a fare le scelte che ne conseguono e a disporle per il mio futuro se non sarò in grado io stesso ad attuarle.
Poi c’è chi, invece, altrettanto legittimamente, crede nella sua personale e individuale tenuta in vita comunque e ha un altro rapporto dal mio con la sofferenza? E c’è chi ritiene che un radicale cambiamento di stato, ben oltre la soglia della normale battaglia propria di ogni malattia, sia comunque da preservare a ogni costo in quanto vita? Fa bene quanto me. Con pari diritto inalienabile. E deve essere altrettanto libero di stabilire ogni atto affinché ciò sia.
Ma io non posso e non devo dire a lui o a lei cosa fare e lui o lei non può e non deve dirlo a me. Devo semmai confrontarmi rispettosamente con questa differenza. E viceversa.
E a garantire tutto ciò c’è lo stato. Che mai deve prendere parte per uno o per l’altro e deve consentire a ciascuno di disporre per sé, una volta che le cure non servono più e che non vi è speranza di vita cosciente.

Perciò voglio avere subito la possibilità di un testamento biologico.
Ma le proposte che sono prese in considerazione in Parlamento e che sono oggi oggetto di mediazione tra PD e PdL non mi convincono proprio. Perché non hanno una ispirazione liberale. E non mi consentono quel che ho appena detto. Intanto, infatti, non vedo perché io debba disporre del come morire andando ogni tre anni, a mie spese, dal notaio e con il medico a reiterare la validità del mio proponimento – come dicono queste “bozze di mediazione”. Se cambio il testamento devo poter andare gratuitamente a cambiarlo; altrimenti vale ciò che ho scritto. Ma soprattutto pretendo la possibilità di decidere. Punto. Il che vuole dire che è mia l’esclusiva competenza determinare l’uso o meno di ogni procedura medica, anche intrusiva e forte - una volta stabilito che sono su una strada senza alcun ritorno. Ivi compresi ossigeno, alimentazione e idratazione.
Insomma, in questo testamento, ognuno deve poter scrivere quel che crede. Davvero e in toto. Perciò a me non piace la bozza unificata detta Calabrò. Che mette limiti a monte della decisione di ognuno. E, per esempio, costringe me – che la penso come la penso - a vivere in coma irreversibile con una sonda per anni nella gola che mi dà acqua e cibo che da solo non potrei assumere neanche aiutato manualmente.
No, non posso ammettere in alcun modo che sia una legge o il papa o Berlusconi o Rutelli o chicchessìa a impormi ciò.

Poi ho altri pensieri ancora. Provvisori e incerti. Che riguardano la mia personalissima e assai modesta riflessione religiosa. Sono un credente atipico. Della religione codificata apprezzo i rituali e non i dogmi. Quella dibattuta mi arricchisce. Vado in sinagoga, non spesso, soprattutto per un senso di rispetto per l’unità dell’universo e per interrogarmi.
E non riesco proprio a ritenere la sofferenza in sé un valore. Può insegnare. Ma non può essere considerata cosa sacra. Il feticismo del dolore a me non piace. E, più in generale, ogni feticismo e falso idolo mi insospettisce. Perché mi distoglie troppo facilmente dal dubbio, dal confronto e dal pensare. E perché – ove mai vi fosse Dio – tende comunque a mettere ombra alla sua unicità.
So bene che anche molti cattolici diffidano del feticismo del dolore; e dicono che “la croce senza la resurrezione” non ha senso. Ma oggi si deve constatare che in quel mondo c’è la ricorrente tentazione o, peggio, la pratica, di voler difendere il valore della croce in sé e dunque mettere in ombra la resurrezione. Il che significa una certa affezione per il dolore in quanto tale. Senza salvezza. Vorrei potermi confrontare con quei tanti cattolici che su ciò nutrono preoccupazione per le posizioni che, con ostentazione, sono venute, in questi giorni, dalla Chiesa e dai cosiddetti esponenti politici cattolici, a destra e anche a manca…
Un altro tema, per me molto aperto e su cui mi muovo in mezzo a molte incertezze – tema che è religioso, filosofico, economico e anche psicologico - riguarda il delirio di onnipotenza. Fino a quando è bene andare contro l’ordine delle cose secondo quel che fu natura? Attenzione: quel che fu natura… perché questo tema è sempre legato a cosa sia cultura e cosa sia natura. E si fa complicato assai. Su ciò sia sul fronte non cattolico che su quello cattolico si vedono molte posizioni e anche molte incoerenze, spesso tra loro speculare. Molti laici sono spesso per la morte naturale e contro le forzature di interventi tecnici; ma poi, altrettanto spesso, appoggiano ogni progresso della scienza che muta l’ordine naturale. Viceversa molti cattolici sono spesso contro i ritrovati della scienza considerati troppo manipolativi dell’ordine naturale ma poi si schierano altrettanto spesso a sostegno di vari dispositivi moderni atti alla tenuta in vita a tutti i costi. Mi pare che in entrambi i casi sia in gioco il principio di non contraddizione. Va pure bene così. Basta non millantare coerenze e certezze… Interrogarsi, appunto.

Così, mentre la storia di Eluana potrebbe aprire la comunità nazionale a una dignitosa stagione di confronto tra diversi su questi temi, ciò risulta, tuttavia, impossibile. Perché non vi sono state e non vi sono le garanzie liberali minime, indispensabili a questo confronto. Perché il governo le attacca brutalmente e il PD non le difende con una posizione serena e forte. Tutto ciò, oltre a essere minaccioso e mutilante di diritti, ci impoverisce terribilmente anche sul piano culturale.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Marco,
spero che la vicenda dolorosissima di Eluana serva a maturare le coscienze e induca a riflettere che nessuno ha il potere di estendere le sue credenze agli altri. Ai cattolici non viene impedito di essere quello che vogliono essere, ma devono capire, senza se e senza ma, che non possono avere pretese di universalità, ma solo di testimonianza, come tutti quelli che vivono approcci alla vita differenti e modi diversi di declinare i valori. Mi auguro che la comunità di tutti,quindi noi, ci decidiamo ad avere a cuore il rispetto dedlle differenze, che annulla il relativismo, perché si fa valore fondante e tessuto connettivo del vivere civile. Quindi fondamento di civiltà alta, o solo, semplicemente, di civiltà.
Elvia

livia ha detto...

ti aspettavo "chez toi" su questo argomento, grazie, come tante altre volte per quello che scrivi e per come

invèl ha detto...

la morte in realtà, a me sembra un fatto molto più naturale e quotidiano (sia nella normalità delle morti serene in famiglia, sia nella drammaticità delle tanti morti ingiuste e incomprensibili. cioè tutti i giorni - forzando un po' il concetto - noi mettiamo a morte qualcuno: passando sotto una impalcatura su cui lavorano persone precarie (sia nell'equilibrio, che nel rapporto contrattuale), quando passiamo con il rosso, quando acceleriamo in autostrada, quando guardiamo la tele con tutto quello che succede...
negli ospedali mi risulta che silenziosamente - e non a cuor leggero - quotidianamente viene praticata l'eutanasia o l'interruzione deliberata delle cure. se il papa (dico papa per dire il vertice della chiesa) fosse sinceramente preoccupato di questo, convocherebbe i medici intorno ad un tavolo dicendo "so che vi confrontate giornalmente con questo problema. cosa possiamo fare per ridurre il numero di queste morti?" sull'aborto, all'epoca fu la stessa cosa.
anch'io inizialmente mi domandavo: perchè beppino fa tutta questa confusione? non era più semplice risolvere in privato? e anche più rispettoso della figlia (e della madre)? poi ho letto ed ho capito che beppino voleva farne un caso pubblico. non per protagonismo (tra l'altro è un carnico, quindi serio per DNA), ma per aiutare gli altri padri e madri in situazioni simili.
cioè il valore assoluto del confronto, della elaborazione, del non ripiegarsi nel privato del proprio dolore.
in questa rivendicazione della dimensione pubblica e collettiva della morte, non vedo contraddizione. nè con il fatto che lo stato stabilisca delle regole e che queste regole vadano adeguate con i tempi, nè che la chiesa richiami - fedeli e società - a riflettere sulle proprie azioni, ad ispirarle a principi e logiche che non siano solo la convenienza personale o le mode del momento.quando mi capita di frequentare ospedali e simili, sono sempre colpito e commosso dalla grande e profonda umanità che si vive in quei luoghi. come si fa - anche solo a pensarlo per vis polemica - che un padre, dopo aver assistito la figlia per 17 anni (numero cabalistico?) improvvisamente se ne voglia sbarazzare? è semplicemente mostruoso. questo pensiero mostruoso contribuisce ad aizzare il clima di violenza ed insicurezza, che ci sta divorando. invece di recuperare lo spirito di accoglienza della chiesa delle origini

Anonimo ha detto...

Sarà che abbiamo perso il rapporto naturale alla morte, in un mondo dove siamo tutti belli, giovani e sani. Ricordiamoci che la morte è una parte della vita, vorrei dire l'amica della vita. Ora vediamo quanto è devenuto difficile dare una risposta ethica alle possibilità della medicina moderna che anche apre nuove porte di responsabilità.