22 febbraio, 2011

Riflettere su 150 anni: la Libia e il Mezzogiorno (1)


Con i 150 anni dell’unità d’Italia, sarebbe bene poter davvero parlare e riflettere. A trecentosessanta gradi. A partire da cosa è stato il nostro colonialismo. Oggi dinanzi alle stragi di Gheddafi viene, infatti, da riguardare i possibili nessi tra le atrocità italiane in Libia e quelle di Gheddafi ora.

Il riconoscimento dei torti del colonialismo italiano in Libia è stato fatto paradossalmente e tardivamente da Berlusconi con una mano. Mentre con l’altra mano il nostro presidente del consiglio condivideva la preparazione di nuovi lucri del clan di Gheddafi ai danni dei libici. C’è, infatti, da chiedersi se e come e da quando l’amicizia con il dittatore libico abbia significato – oltre all’accesso italiano a petrolio e gas naturale in concorrenza con gran parte dell’Europa, alle enormi commesse di Impregilo, agli interessi comuni dentro a Unicredit e Fiat e alla scoperta del bunga bunga – la co-partecipazione personale diretta agli utili del sistema di potere di Gheddafi.

Flores D’Arcais ha recentemente sottolineato la grande vicinanza del berlusconismo e del premier ai modelli di potere accentrato del mondo odierno (Mubarak, Putin, Gheddafi). Ma nel caso dei legami con il dittatore libico, la riflessione va posta in termini più specifici. I lucri di Gheddafi sono stati accentrati entro un sistema di origine arcaica. Come dimostra - nei suoi studi sulla Libia e sul clan di Gheddafi - John Davis, insigne studioso di antropologia sociale e politica anche del nostro Sud e delle società del Mediterraneo in generale. (Gli eventi consigliano di ri-studiare con molta cura l’antropologia politica contemporanea che ha saputo indagare intorno ai sistemi di potere con chiavi di lettura molteplici, più larghi dell’analisi dei sistemi economici e della politologia).

Nel caso libico il sistema di potere, per quanto fondato nella e sulla tradizione, al contempo, è stato per decenni capace di una modernissima gestione globalizzante del capitale finanziario derivato dal petrolio. Ritenendo, tuttavia, una configurazione accentrata entro la famiglia e il clan tribal-amicale. Un modello assai simile a mediastet e alle successive reti berlusconiane. Un terreno di naturale incontro tra i due. Così come accade, per altro verso con Putin.
E’ una roba su cui pensare davvero, fuori dalla tradizione occidentale dell’esercizio del governo entro la democrazia politica ma anche diverso dal fascismo.
E’ questo potere “addensato” che è alla base della rivolta e della repressione orrenda di queste ore. Perché è un potere che non può permettersi di mollare l’osso, pena la perdita di tutto. Diviene perciò incapace di mediazioni, oltranzista, folle, violentissimo quando messo alle strette…

Questa pista di riflessione evoca un po’ il film Il Caimano, mutatis mutandis. E proietta possibili ombre, sia pur diverse ma non poco inquietanti, sui nostri mesi a venire.
E, continuando intorno ai molti nessi - sotterranei, sorprendenti, sbilenchi – che andrebbero esplorati tra Libia e Italia, colpisce come Angelo Del Boca, il massimo e acutissimo storico italiano del colonialismo feroce dell’italietta in Libia, abbia individuato i precedenti di quel modo violento di dominio coloniale nella guerra dei piemontesi contro il brigantaggio meridionale su cui pare, a 150 anni di distanza, finalmente, si possa ritornare a parlare. Sarebbe ora di ritornare ai testi di Settembrini, Bollati, Nitti, Croce, Fortunato, Galasso, andando un po’ oltre il libro “Terroni”, che, però, è molto letto anche al nord.

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