In moltissime, come nel resto d’Italia, anche a Napoli le donne sono scese in piazza. Con gli uomini. In posizione di sostegno ma non di co-protagonismo, il che non è poco.
La manifestazione di Napoli ha visto le solite note (le donne del ceto politico o della casta locale che dir si voglia) ma non tanto importanti rispetto a un numero elevatissimo di ottime persone di tutte le età, ci diversi orientamenti, di ogni quartiere e situazione sociale, con molte ragazze. La mia amica Flora mi ha detto che c’erano cose davvero nuove e forti. Ho a lungo guardato la tv. E, al di là della potenza della partecipazione, non mi è parsa una giornata bacchettona né “solita”. C’è stato qualcosa “di più” in termini di numero, intensità, trasversalità tra generazioni e approcci ideali e politici, distanza dalle solite organizzazioni e dalle ragioni di partito, di sindacato, ecc. E non ho visto l’anti-berlusconismo – pur ovviamente e anche giustamente presente – come unica cifra. C’è stata un’aria di responsabilità civile: io torno a muovermi, ché qui c’è da mettere a posto sto paese. Nel mio stare con mia moglie nella piazza di Trento, un po’ spaesato come si è quando si vivono questi passaggi lontano da luoghi e amici cari, ho visto una presenza numerosa per la città e ho avuto la stessa impressione di novità. Le amiche di Venezia, Padova, Milano, Torino, Bologna, Roma dicono la stessa cosa.
Daniela, che era assai perplessa e con la quale ci eravamo scambiati opinioni divergenti, ne ha scritto su the front page con un’intelligente disincanto, che aiuta a non mitizzare (ma suona anche un po’ piccio). Ma io — si sa — penso spesso, testardamente, che il bicchiere va visto mezzo pieno. E, però, ora — messa com’è l’Italia e profonda com’è la depressione diffusa — l’acqua non mi pare che ieri fosse poca. E forse c’è aria di primavera.
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