28 aprile, 2008

Voti e vita

Dalle nostre parti la politica è messa in tal modo che non vuole o non sa neanche analizzare il voto. Un segno ulteriore dell’emergenza democratica, gravissima, su cui ho risposto alle domande di Norberto Gallo in un intervento via radio on line.

Invece in un bell'articolo – uno dei pochissimi – in cui si prova ad analizzare il voto politico, Luciano Brancaccio mostra che nei quartieri centrali delle città del Sud il Pd tiene testa alla destra mentre nelle periferie cede decisamente il passo e che a Napoli è sotto gli occhi una frattura socio-economica dietro questa polarizzazione territoriale e politica.

Per i cittadini che stanno peggio si profila una sorta di Waterloo della speranza. E questa si sta traducendo in crescita del voto di destra.

Sono cittadini considerati preda del messaggio mediatico più facile e della conservatissima pratica dello scambio clientelare, sempre più a basso costo (una ricarica telefonica, un lavoro di qualche settimana durante le campagne elettorali, la soluzione più rapida di una banale pratica o l’ottenimento di una facilitazione a cui si aveva diritto, qualche promessa di ingresso in liste di disoccupazione per entrare nelle solite contrattazioni).
Sono cittadini che non hanno ascolto strategico per i bisogni e le esigenze di medio e lungo periodo quali formazione, sviluppo sostenibile, liberalizzazione e facilitazione dell’accesso al lavoro, effettivo accesso ai servizi, ecc. Cose di cui, infatti, non si dibatte credibilmente nel centro sinstra e nella sinistra.
In difficoltà, non ascoltati, essi rischiano di essere una nuova stabile base della destra nelle zone urbane del Mezzogiorno.

Ma chi sono questi cittadini?
Forse ci aiutano i dati Istat sulla povertà, quella condizione che è massicciamente presente appunto nelle periferie urbane e ancor più in quelle del Sud.
2 milioni 623 mila famiglie, pari al 11,1% del totale vivono sotto la soglia di povertà in Italia.
Di queste 1 milione 713 mila sono residenti nel Sud. Sono, in percentuale più del doppio. E in due anni sono aumentate, dal 21,6% al 22,6%, in modo particolare in Sicilia e anche in Campania.
La possibilità di essere poveri aumenta nelle famiglie numerose, in quelle con bambini e anziani aggregati, in quelle con il portatore di reddito con bassi livelli di istruzione, operaio, in cerca di occupazione o con occupazioni precarie o a termine, irregolari, al nero ecc.

Il dato sulle famiglie povere si traduce in 7 milioni 537 mila individui poveri, pari al 12,9%.
Di questi 1 milione 809 mila sono minori, il 17% del totale dei minori italiani. In percentuale ci sono più poveri bambini e ragazzi che adulti. E nel Sud – segnatamente nelle periferie urbane - risiede quasi il 70% dei minori poveri, 1 milione 245 mila. Il 41,5% vive in famiglie dove una spesa di 600 euro costituirebbe un problema; il 30,5% non ha avuto soldi per vestiti necessari; il 23,9% ha difficoltà ad arrivare alla fine del mese; il 6,7% ha avuto difficoltà ad acquistare cibo.
Non votano per ora. Ma abbandonano rapidamente la scuola e la formazione, posseggono pochi strumenti per esercitare la cittadinanza attiva e sono lontani da ogni idea di partecipare alla politica.

Un altro milione e 601 mila sono anziani poveri, il 14,2% del totale degli anziani. Le situazioni più gravi si hanno per le famiglie di anziani che vivono soli, una condizione più rara al Sud che al Nord ma in crescita. Per il 37,1% di questi cittadini una spesa imprevista di 600 euro costituirebbe un problema; il 16,3% ha avuto difficoltà ad acquistare i vestiti necessari, il 15,4% ha difficoltà ad arrivare alla fine del mese, il 13,4% ad acquistare medicine e il 13,2% a riscaldare l’abitazione. Ma nel Mezzogiorno le cose peggiorano di molto: ben il 40,4% delle famiglie con anziani dichiara che una spesa imprevista di 600 euro costituirebbe un problema; il 24,3% dichiarano di avere avuto difficoltà ad acquistare abbigliamento necessario e il 21,8% nel caso di medicine. Quasi 1/5 delle famiglie meridionali (20,4%) dichiara di avere avuto difficoltà a riscaldare l’abitazione.
Gli anziani votano e però sono anche preda di disaffezione forte dovuta a simili condizioni.
E’ la povertà percepita. Che si nutre di episodi reali, potenti nel creare opinioni sul mondo e sulla politica. Che in forme diverse coinvolge anche chi vive poco sopra la soglia di povertà.

Secondo l'indagine Eu Silc il 41,2% delle famiglie in Campania non sono riuscite a sostenere spese impreviste.
Ragazzi appena maggiorenni, donne sole, giovani coppie, operai precari, lavoratori irregolari di ogni tipo, anziani e famiglie numerose delle periferie ma anche piccoli commercianti, impiegati, lavoratori autonomi a basso reddito stanno abbandonando il voto tradizionale per la sinistra o per il centro-sinistra. Perché non c’è una politica di centro-sinistra che li tenga presente in proposte che siano reali, credibili e che ne sappia ascoltare le paure, i bisogni, le aspirazioni invece di cantar storie e al contempo omologarsi alle pratiche del notabilato meridionale di sempre.

E’ un disastro che oltre ad avere prodotto cattiva amministrazione sta regalando tutto il Mezzogiorno urbano a questa destra.

Correre ai ripari è un’opera titanica. E se ne dovrebbe almeno parlare. Certo non bastano le sfogliatelle offerte in piazza ai rari turisti.

20 aprile, 2008

Lo tsunami e l’argine

Grazie. Davvero sono stato rinfrancato dai vostri commenti al mio post. Mi pare che, sia pure con accenti diversi, in molti pensiamo che la batosta a sinistra almeno sgombri il terreno da politiche e mentalità sbagliate e fallimentari, che non meritano nostalgie.

Aggiungerei solo che sarebbe bene che il PD non si proponesse subito come scialuppa per quel naufragio. Per chi lo ha vissuto non è bene subire annessioni frettolose. Ma nemmeno essere risparmiati dalla fatica di rielaborare la sconfitta.
Ben più in generale - con davanti cinque duri anni di destra al governo - il PD non può pensare di vivere e crescere annettendo pezzi di sinistra. E nemmeno tessendo accordi tattici con l’UDC. Per non nascere già morto dovrà almeno provare ad uscire dall’angusto imbuto delle operazioni da ceto politico.
E ci vorrebbe qualche idea. Con cui ritornare nelle piazze, nei posti di lavoro, negli enti locali, tra i cittadini. Ma non più per declamare la linea. Come è stato nei comizi elettorali di Veltroni. Ma per incontrarsi e interrogarsi sulle cose possibili. Quale sicurezza, quale lavoro, quale welfare, quale ricerca, quale ambiente, quale scuola, quali diritti dei cittadini…
Infatti oggi siamo ritornati - per demerito e merito sia della destra che della sinistra - a una sorta di ground zero della discussione pubblica. Che riparte dalle cose della vita quotidiana. Potrebbe essere un’occasione vera di rigenerazione della politica.

Ma il PD lo sa fare questo?
A questa domanda confesso candidamente che non so dare risposte.
Perché vedo che il PD – che è l’unica cosa che può contrastare il Berlusconi vincente - ha paura. E chi ha paura tende a difendersi e non a continuare una impresa forse promettente alla lunga ma oggi molto incerta. E del resto ha qualche ragione ad averne di paura. Perché lo tsunami di destra tende a investire anche il PD, dopo la sinistra. E speriamo che Rutelli ce la faccia! Ma l’argine appare friabile. Perché è uno tsunami vero. Che a sua volta si nutre delle paure di milioni di persone. Paure che nascono da fatti veri. Dalla già evidente provincializzazione dell’Italia nell’economia mondiale. E da tutte le polarizzazioni cresciute in questi anni nelle nostre vite quotidiane: tra stranieri e italiani, tra giovani e non giovani, tra chi è ricco e gli altri, tra poveri e chi ce la fa, tra chi possiede conoscenze e chi no, tra lavoro stabile e non stabile, tra produzioni e servizi, tra chi è nello stato e chi nel mercato, tra diritti enunciati e fatti. E quella davvero grande tra Nord e Sud. Di cui ho parlato la sera stessa dei risultati (video qui e qua)

Di fronte a queste cose, l’argine PD allo tsunami della destra appare, al contempo, troppo nuovo e troppo vecchio.
E’ troppo nuovo perché non è ancora pronto ad affrontare questa difficile Italia qual’è. E’ liquido forse; ma non è abbastanza poroso e vitale e ha davvero poco metodo per studiare e promuovere nuova politica diffusa e vero spazio pubblico e ascolto, incontro, partecipazione. Dovrebbe essere aiutato a farlo. Da dentro e anche da fuori. Ma non è facile capire come.
Ed è troppo vecchio perché conserva linguaggi, logiche e nomenclature del mondo - tra DC e PCI - da cui è nato: interessi, appartenenze, abitudini, istinti di sopravvivenza. Un arcipelago vasto, logoro ma anche efficace nel conservare.
Sia l’acerba novità che lo stantio vecchiume – con, in più, la lotta tra le due cose – non fanno del PD un buon argine contro cinque anni di vera destra.
Ma è l’unico che c’è in giro.
E sappiamo bene quanto fragile sia qui in Campania il nuovo Pd. Di fronte a quello vecchio, davvero potente, in interessi grandi e anche brutti e in conservazioni. Nonostante tutti i fallimenti. Ma su questo, per oggi, rimando al fondo di Paolo Macry. Perché ci tornerò.

15 aprile, 2008

In morte della sinistra

L’Italia profondamente cambiata – nella sua struttura sociale e nella sua pancia emotiva – ha dato il governo alla destra vera destra. Ma del Berlusca e di Bossi – e del senso e dei pericoli profondi della loro vittoria - non voglio parlare ora. Parlerò poi anche del PD. Che esiste, che non sta in ottima salute, che sarà cosa buona o meno a condizione che…

Oggi voglio parlare della sinistra detta radicale. Che è morta.
E per la quale io non piango.

E non perché è stata radicale. Ma perché è stata ostinatamente conservatrice. Perché è stata più statalista che solidarista. Perché ha pensato e ha insegnato che pubblico e statale sono sinonimi, cosa che non è vera. Perché è stata poco partecipativa e molto centralista, decisionista e gerarchica. Perché è stata protezionista e contraria anche a un po' di concorrenza in quanto ha pensato e ha insegnato che la concorrenza è il contrario sia dell’equità che della solidarietà, cosa che non è vera. Perché non ha mai amato il merito e perché ha favorito ogni volta la mera distribuzione assistenzialista e anche quella parassitaria, anche in barba al principio marxiano "a uguale lavoro, uguale salario". In quanto non ha mai voluto avvicinarsi all’idea di responsabilità individuale e tanto meno alla visione che correla libertà a responsabilità. Perché non è stata capace di discutere del rapporto tra stato e mercato in modo serio. Perché non ha espresso interesse neanche per le politiche pubbliche di “discriminazione positiva” basate sul principio solidaristico e partecipativo a favore di chi sta peggio ma ha teso piuttosto a difendere il welfare standard, incapace di guardare alle vite di ciascuno e di suscitare l’attivizzazione dei destinatari delle politiche sociali. Perché ha difeso più i già garantiti o organizzati: più il pubblico impiego che gli operai, più gli operai stabili che i precari, più i pensionati che i giovani in cerca di lavoro, più i sindacalizzati che quelli fuori dalle organizzazioni tradizionali, più i disoccupati organizzati che quelli che provano a fare qualcosa in proprio o creano reti comunitarie e informali. Perché, in questo, non si è sottratto certo ai vizi degli altri partiti.

E non la piango perché – in questo mondo straordinariamente vario, differenziato e difficile da capire - non ha saputo misurarsi con il dubbio e con la complessità ma ha ogni volta ridotto a uno il senso dei conflitti. Perché in un mondo che è compiutamente pluricentrico e movimentato ha coltivato l’ossessione di ridurre tutto alla individuazione di un solo nemico dell’umanità. Perché nel definire tale nemico lo ha ulteriormente ridotto fino a mostrarlo in modo caricaturale, come un super-imperialismo unico e immutabile. Perché ha a tal fine riprodotto un pensare ossessivo e asfittico, fondato su una catena di sillogismi indimostrati: esiste il "pensiero unico" del nemico, che corrisponde all’unico mercato liberista, che è sempre e solo controllato dalle centrali finanziarie, che corrispondono sostanzialmente agli interessi dell'imperialismo americano. Perché così facendo ha negato la contraddizione, la concorrenza e il conflitto che, invece, dominano la vita internazionale. E non la piango perché, per definirsi sulla base della individuazione del nemico, ha fatto un uso strumentale dei diritti universali anche a costo di continua e umiliante schizofrenia: quel che valeva da noi non valeva in egual modo altrove.

Detto ciò, è giusto anche chiedersi: che ne sarà, però, delle tante persone che l’hanno votata questa sinistra o che vi hanno militato con ottime aspirazioni, voglie, bisogni, capacità di confrontarsi, invece, coi diritti, con la complessità, con le istanze partecipative, con le pratiche innovative in tutti i campi?

Ebbene: penso che queste persone oggi sono affaticate dalla crisi e sotto shock, come lo fummo, in tanti, quando finirono le esperienze a sinistra del PCI degli anni 70, strette tra il PCI stesso e la nostra stessa terribile deriva, il terrorismo, da cui ci distanziavamo a fatica.
Come noi allora – se resistono a prospettive organizzative rassicuranti - sono, se lo vorranno, più libere. Di ripensare la loro storia e il da fare. Non devono difendere alcunché. Possono finalmente navigare nell’incertezza e nella cittadinanza più che nell’appartenenza.

E potranno forse anche ri-scoprire che questa loro sinistra conservatrice morente, che ha esaltato sì tutti i movimenti, lo ha fatto solo “ a cose fatte” e dopo averli integrati dentro di sé. Perché viene da una tradizione politica - dal PCI più ortodosso o dalla porzione più stantia e organizzativistica del 1968 - che ha al suo passivo, immancabilmente, l’essere stata, ogni volta, sospettosa e nemica dell’inizio di tutti i movimenti e le culture nuove che, prorompenti e ricchi, hanno investito le nostre vite. Sì, sospettosa o nemica. Del socialismo non filo sovietico, del liberal-socialismo, del pensiero libertario e di quello cooperativo, della beat generation, del primo sessantotto studentesco, delle organizzazioni autonome degli operai fino a tutto il 1969 e anche oltre, del femminismo, del movimento gay, della cultura dei diritti individuali più in generale fino alle battaglie per il divorzio, l’aborto e l’obiezione di coscienza, della rivolta di Seattle nella sua dimensione plurale e non già schierata ecc.

E scopriranno che questa loro casa madre organizzata per queste elezioni in modo improbabile, di arcobaleno ha avuto poco. Perché, senza mai fare un bilancio critico della storia ma difendendone ogni volta presupposti e tradizione, ha creato un contenitore auto-referenziale, giudicante e respingente verso ogni cosa fosse altra e diversa dalle proprie categorie, troppo lontano dai colori del dubbio, della prova, della ricerca.
Ci vuole, forse, un contenitore capace di fare incontrare moti reali, rappresentanza, deliberazione e partecipazione ma che sia nuovo, più largo, arioso, poroso, sorprendente.
E che sappia fare i conti con la società quale è.
Può ben essere che non sarà il PD. Che ce ne vogliono molti o nessuno. E che ci vorrà tempo.
Ma certo non poteva essere la sinistra conservatrice il contenitore di queste aspirazioni. Perciò: non c’è niente di cui dispiacersi.

10 aprile, 2008

A martedì...


Ieri sono rimasto al lavoro e non stavo a Piazza Plebiscito.
Un po’ mi è dispiaciuto. Forse perché ricordavo altre stagioni. Mio papà che mi portò a vedere Togliatti pur non essendo di quella parrocchia, io che ci andai a sentire Valenzi e Berlinguer pur non essendo di quella parrocchia.
Oggi ho detto la mia su Bassolino e il futuro. Dopo le elezioni, martedì, ci sarà da commentare l’esito.
Ma comunque siano andate queste elezioni, è evidente che si aprirà qui da noi una fase di faticosa confusione, battaglia tra nomenclature, ennesimi personalismi, oscuramento dei temi veri. Mentre inizieranno a spirare venti che parlano di elezioni locali, primarie ecc.
E forse bisognerà riproporre una qualche idea di gente normale, seria ma non rassegnata - e “libera dentro” perché non obnubilata dalle appartenenze e perché priva di gruzzoli e potentati da difendere - che si confronti, rifletta, litighi pure, ma con un po’ di metodo e anche di garbo e sui contenuti. O no?

08 aprile, 2008

Sunday morning (Dichiarazione di voto)

Alla fine andrò a votare, lo so.

Primo. Ho, infatti, un veto interiore profondo contro ogni purismo. Candidamente confesso, poi, una cosa atavica, evidentemente psicoanalitica: il mio papà ha fatto molti anni di carcere perché io votassi. L’astensione, per quanto larga sia e sarà, non cambia l’esito, che è determinato da chi vota: salva forse la coscienza ma non i risultati. Che comunque conteranno nella nostra vita.

Secondo. Non sono la stessa cosa Berlusca, Fini e la Lega e chi vi si oppone. Lo so che questa storia del male minore è un orrido ricatto che si ripete da troppo tempo e che è insopportabile. L’ho pagato anche personalmente durante le elezioni per sindaco e non poco. Ma è anche un dato di realtà incontrovertibile. E forse c’è un di più: Uolter non sarà il massimo ma oggi incarna quella decisione di correre da soli, liberi e responsabili. Che ho apprezzato.

Terzo. Ho lavorato venti mesi, insieme a tanta gente seria, per dare anima e corpo alle politiche per la scuola del governo Prodi. Che sono state buone politiche, necessarie, non ancora sufficienti. C’ho messo faccia, dedizione e studio; e anche denari, dato che ho fatto avanti indietro tra Roma e Napoli con lo stipendio di maestro elementare. Un governo Berlusconi le annichilerebbe queste politiche. Si tornerebbe al delirio Moratti. Oltre a tutti gli altri guasti in altri campi. Non posso sputare sul buon lavoro di tanti e sul mio stesso lavoro.

Dunque, con tutti i limiti che sappiamo: voto PD per la Camera.

Quarto. Benché io sappia che si vota per il Parlamento e non per la Campania, i ragionamenti che ho fatto fin qui per me non valgono per l’ultima triste coda del bassolinismo che tanto male ci ha recato in questi anni e contro cui mi sono pubblicamente speso perché ha offeso l’idea stessa di cittadinanza nel luogo dove vivo. I suoi rappresentanti sono evidentemente concentrati nella lista per il Senato: non è gente che può rappresentarmi a Palazzo Madama.
Sarei francamente tentato di votare l’arcobaleno al Senato. Ma vacillo. Perché sono molto distante dal conservatorismo di sinistra. Per ragioni su cui ho già qui argomentato.

Dunque restano ancora aperte fino a domenica le opzioni per il Senato: voto quasi (sbarramento al 8% e sondaggi ora al 6,7%) utile all’Arcobaleno per aiutare Sodano e lui solo, voto utile (lo sbarramento è solo al 3%) all’ IdV nonostante la lista e i brutti trascorsi dipietresi (v. assenza di garantismo e De Gregorio), voto di mera testimonianza laica al Partito Socialista?
Domenica mattina mi sveglierò, mi farò un caffè al suono di Sunday Morning cantata da Lou Reed e vedrò lì per lì.



Ho trovato questa versione della canzone dei Velvet Underground usata come colonna sonora di "Scenes From The Life of Andy Warhol" e warhol era stato il produttore del disco e mi sembra che stia bene.

Questa mia dichiarazione si affianca a quelle contenute nell'apposito angolo dichiarativo creato su D.I.

06 aprile, 2008

Il corpo e la mente nella cabina elettorale

Mi misuro con la mia angoscia per il pericolo, vero, del ritorno di Berlusca. E con la ulteriore desolazione che il ritorno di pioggia e freddo dà alla scena civile partenopea. E avendo pure incontrato stamattina un mio alunno che è andato al comizio del PdL in Piazza Plebiscito, munito di bandiera – per sua opportunità e non per convinzione, ho deciso di ripubblicare (cicl. in prop.) questo mio racconto breve liberamente tratto da un meraviglioso incontro di molti anni fa in corso Sirena e apparso su Nuova Ecologia nel 2005. Attenzione, non è una indicazione, è solo un ricordo. Perdonatemi.

Nonvoto

Mi piace il suo baffo che è all’antica e ben curato ma per favore a voi altri che cercate il voto, non mi cercate, non mi convocate, non mi proponete e non vi proponete. Perché io nonvoto. E non ci vado mai più a portare il corpo e la mente nella cabina elettorale. Volete sapere perché non ci vado? Me lo domanda? E io la esaudisco e le rispondo e le spiego bello e bene e chiaro e tondo. Ma non è una sola ragione, bensì tre importanti ragioni, caro signore. Allora la prego, egregio signore coi baffi, se le vuole davvero sapere e sapere per bene e tutte e tre, deve subito trovare la carta e prendere la penna e segnare ognuna delle ragione perché io nonvoto e non ci vado mai più a portare il corpo e la mente nella cabina elettorale. Segnate vi dico. Perché è istruttivo. Segnate e segnate a futura memoria che Carlo Settembre, classe millenovecentoventi, soldato sul fronte, ferito in guerra, elettore al referendum per la Santa Repubblica, operaio saldatore, costruttore di case, venditore ambulante prima di verdure e di frutte e poi di stoffe, bottegaio di tessuti e vestiti nobilitato dalla clientela affezionata a qualità e a prezzo giusto, padre di quattro figlie femmine e due maschi, tutti onorati nel lavoro e nella famiglia, nonno diciannove volte, non vota più mai più e nessuno più. Siete pronto? Avete approntato da scrivere? No, caro il mio signore coi baffi, sia chiaro che dovete segnare le mie parole e ciascuna mia motivazione. O approntate da scrivere e scrivete o Carlo Settembre non spiega e non dice le tre ragioni. Scrivete e scrivete a futura memoria. Sissignore sono tre le ragioni perché non ci vado mai più nella cabina elettorale. Siete pronto. Bene. Ecco l’elenco delle motivazioni. Segnatelo in ordine e secondo le mie esatte parole, così come ve lo dico, secondo il mio preciso dettato, senza esitazione perché sono persuaso e sicuro che nonvoto e mai più voterò. Ecco, vedo, signor baffo, che avete approntato la carta e la penna. Bene. E allora adesso scrivete quel che vi dico e dichiaro a futura memoria e che ora con precisione io vi detto:
“Io sottoscritto Settembre Carlo nonvoto. Non voterò mai più. Per cause tre: mia condizione, bruttura di chi si propone, mistero sugli esiti. Attenzione. Prima ragione è dovuta alla mia condizione: sono persona in pensione, non faccio più nulla di utile al mondo e chi non lavora non deve votare o che sia inoccupato o che sia bambino o che sia studente o che sia in pensione non è cattivo individuo ma non produce e non deve votare. Attenzione. Seconda ragione è dovuta alla bruttura che impera: sono brutti e troppo brutti coloro che si presentano al nostro cospetto a cercare il voto, brutti nei modi, feroci nel gesto e nello sguardo, altisonanti, ambiziosi, arroganti e mal costumati perché ovunque presenti, per strada, a casa e in ogni luogo, con la televisione, le carte e i manifesti, perché urlanti e brutali, antipatici, litigiosi tra contendenti e litigiosi anche quando da soli, presuntuosi e parlanti senza ascolto né carità, impregnati di invidia, livore, risentimento e astio, brutti vi dico e brutti vi ripeto, sono brutti. Attenzione. Terza ragione è dovuta al mistero sugli esiti: chi mi dice ‘lavoro ai giovani’ com’è che saprò se ha trovato la soluzione per quel che mi ha promesso? Chi mi dice ‘casa a chi non la ha’ com’è che saprò se ha trovato la soluzione per quel che mi ha promesso? Chi mi dice ‘meno tassa da pagare’ com’è che saprò se ha trovato la soluzione? Chi mi dice ‘aria pulita nel cielo’ com’è che saprò se ha trovato la soluzione per quel che mi ha promesso? Non c’è prova che dia prova: dove fatto, cosa fatto, con chi fatto, quando fatto, come fatto? Non c’è prova né evidenza. Se è coperto dal mistero l’esito delle parole date in cambio del mio voto io nonvoto. E per favore non mi cercate, non mi convocate, non mi proponete e non vi proponete. Perché io nonvoto. E non ci vado mai più a portare il corpo e la mente nella cabina elettorale. Mi piace il suo baffo che è all’antica e ben curato e io la ho esaudita e le ho risposto e le lo ho spiegato bello e bene e chiaro e tondo perché nonvoto.

01 aprile, 2008

L’incontro degli indecisi - Giovedì 3

Vediamoci e parliamo delle questioni di merito, con l’occhio dei napoletani ma guardando alla vicenda nazionale – sono elezioni del Parlamento – in un confronto vero, per confrontarsi sul se e come votare, una volta almeno prima del voto.

Ecco l’invito:

Dal dibattito tra blogger e lettori (di DecidiamoInsieme, ma anche dei blog di Fraba, Francesco, Marco Rossi-Doria e Norberto Gallo) è nata l'idea di una serata elettorale degli indecisi.
Abbiamo contattato alcuni esponenti dei partiti di centro-sinistra, e fissato l'appuntamento per

Giovedì 3 aprile, alle ore 17.30, al Teatro Canto Libre (Napoli, via San Giovanni Maggiore Pignatelli 35, traversa di via B. Croce).

Hanno assicurato la loro partecipazione: Fausto Corace (Ps), Eugenio Mazzarella (Pd) (che però può restare solo fino alle 19) e Tommaso Sodano (SA).

Vi invitiamo a intervenire alla serata puntuali e a partecipare al dibattito in corso sui blog per raccogliere idee sulle questioni che ci rendono indecisi e su cui vorremmo risposte.

* * *
Informazioni utili

La mappa da Google, per raggiungere Canto Libre

30 marzo, 2008

Alla lunga un buon affare

Ieri al sole – quello vero – sono stato a lungo fuori da Galassia Guteberg. Ho incontrato tanti amici e amiche. Che a suo tempo ci hanno votato, sostenuto o altri che non lo hanno fatto ma che hanno oggi rispetto per quella stana impresa.
I tempi della ripresa del senso civile e del senso della politica – come dicono le ragioni di Decidiamo Insieme – saranno sempre difficili e lunghi. Strada ardua il “tenere botta”. Non siamo in pochi a pensarlo, a dirlo, a ripetercelo, di fronte al disastro politico-amministrativo che continua e anche dinanzi a questa scadenza elettorale e oltre ancora…

E’ difficile. Ma le persone che raccontano le cose che sanno e che fanno e che restano qui a “tenere botta” sono una risorsa – varia, ricca, intelligente, anche divertente - una riserva strategica della città.

C’è spesso una voce che chiede: “perché non fate di più?”. Rispondo che se il verbo è alla seconda persona plurale, se è l’ennesima richiesta a altri, se è delega, beh non mi piace. Se è alla prima persona plurale - “noi cosa facciamo?” – va meglio. Poi argomento che c’è depressione in giro. E rispondo anche che la mattina la gente come noi va a lavorare e non è ceto politico distaccato a organizzare consenso.

E sì, effettivamente sarebbe bene fare di più e sarebbe bene portare a termine le tante piccole iniziative insieme agli altri che pensano cose simili. Azioni serie, credibili che di volta in volta si pensano e si propongono per nutrire uno spazio pubblico.

Il 3 aprile, per esempio, cerchiamo di esserci in molti, facciamo telefonate, mandiamo sms. E che la voce giri.

C’è anche, però, chi argomenta contro l’idea di riserva civile in altro modo: “Ma se non state nella maniera normale di fare politica, se siete sempre con un piede fuori, non siete niente e non farete niente”. Sarà pur vero anche questo. Ci ho anche provato a entrare. Ma non mi è parso di trovare una agorà di cui poter essere parte con la mia storia, un luogo ampio, aperto dove riuscire a “ridare senso e forza alla politica” . Piuttosto mi è parso che ci fosse una esplicita richiesta di sottomissione e di resa ai modi, al metodo, ai linguaggi di una brutta politica.

Riparlare, anche molte volte, di queste cose, forse sfianca un po’ ma non è inutile. E a tal proposito, l’altro giorno ho trovato una bella frase da uno dei nostri padri fondatori:

“Per fare buona politica non c’è bisogno di grandi uomini, ma basta che ci siano persone oneste, che sappiano fare modestamente il loro mestiere. Sono necessarie: la buona fede, la serietà e l’impegno morale. In politica la sincerità e la coerenza, che a prima vista possono sembrare ingenuità, finiscono alla lunga con l’essere un buon affare”. (Piero Calamandrei)

26 marzo, 2008

La Città Perfetta. Un film dell'assessore Velardi


Nel piovoso giorno di Pasquetta ho rivisto il film del 2004 di Frank Oz, La donna perfetta.
La storia è questa: il sincero ma sfigatissimo avvocato Walter Eberhart e sua moglie Joanna, donna, invece, di talento e di carriera, dopo uno scacco professionale di lei, dovuto al troppo cinismo nella gestione di uno show che giocava brutalmente coi sentimenti altrui, si trasferiscono nell'idilliaco e improbabile villaggio di Stepford (il film è tratto da un romanzo di Ira Levin – Le mogli di Stepford). Questo è un luogo irreale, simbolico-metaforico, in cui vengono clonate le mogli a misura del volere dei mariti, tutti inetti a confronto delle storie di successo delle loro signore e dunque frustratissimi. Il senso di sconfitta degli uomini viene però superato – nella irreale e grottesca vita di Stepford - grazie a una sorta di riprogrammazione del cervello delle mogli basata sul principio di sottomissione e all’invenzione di una vita finta in uno spazio urbano altrettanto finto.
Ben al di là del tema uomo/donna, il film – che in sé non è certo un capolavoro - propone una sorta di affresco della revanche. Il fallimento non si può accettare? Non vi sono soluzioni vere ai problemi veri? Niente paura: si lavora alla rimozione delle verità del quotidiano annullandone, uno a uno, i diversi elementi frustranti o fastidiosi grazie a immagini e comunicazione. I fallimenti e le fatiche dell’universo umano possono insomma essere violentemente cancellati grazie a un trucco, alla costruzione di un paesaggio immaginario, fondato, appunto, sulla rimozione. Come quando lo psicotico aderisce al suo falso sé – direbbero gli psicanalisti.
E’ un tema vecchio come il cucco. Ma che invecchia bene…

Non credo che il nostro attivissimo assessore al turismo abbia dovuto trarre spunto dal film di Oz. Egli queste cose ben le conosce. Ed è, certo, evidente quanto egli creda - forse un po’ troppo furiosamente anche per lui - nella costruzione dell’immagine come verità e nella sovranità della comunicazione sulla vita effettiva. Tanto che manda filmini pezzottati in Germania che mostrano zero monnezza. E che lavora a stare ogni giorno su giornali e tv, purchessia. Con la straordinaria complicità di troppi professionisti della nostra locale informazione, francamente.

Un manifesto voluto dall’assessore Velardi reca lo slogan “monnezza a chi?” (con cui d.l. ha subito fatto i conti e poi anche ri-fatti) e mostra la Piazza del Plebiscito – sempre lei, sempre più vuota, bianca come non è stata mai, inutilizzata. E’ un luogo finto, con il leone all’angolo del colonnato forse addirittura mondato dall’atavico tanfo di piscio, lontano dai cumuli di monnezza e da ogni altro problema della città. E’ un luogo dove non c’è essere umano né possibilità di agorà e dunque di fatiche e frustrazioni dovuta alla discussione civile che pretende di analizzare la situazione concreta per poterla affrontare. Il manifesto allude, invece, a una città inventata di sana pianta e che perciò può anche rinunciare allo spazio pubblico, all’azione collettiva e al lavoro vero di ricostruzione del danno. Perché queste cose costano troppo sforzo e prevedono, per potersi fare davvero, almeno la constatazione del fallimento. Perché in fondo basta mostrarla come sarebbe secondo il nostro falso sé e continuare a negare, negare e negare. Nonostante ogni evidenza. Come nella Stepford irreale e psicotica del film di Oz.

14 marzo, 2008

Un nuovo partito, il solito

E’ ormai chiaro che vi è un forte partito del ristagno… Per un eterogeneo concorso di interessi e atteggiamenti conservatori - pigrizia politica, affezione sovietica al potere, convenienza strutturale a che nulla muti nel quadro campano (dall’uso della spesa pubblica fuori da ogni idea di rigore e di sviluppo, alla accettazione della presenza endemica della camorra) – troppa parte del centro-sinistra non ha alcuna vera intenzione di cambiare e dunque di nutrire le nostre civiche speranze. Nessuna.
E la destra – che ha evitato sapientemente di fare opposizione e ha fatto parte del medesimo modus vivendi e operandi – non fa neanche oggi eccezione.
Una rinascita non potrà esserci senza la severità necessaria a dirci questa verità.
Queste immagini di Antonio Zambardino (grazie) su questi nostri duri mesi di monnezza - con il verde quasi finto che cresce su milioni di tonnellate di rifiuti, le notti della protesta e i fumi della diossina – le ho messe, non senza pena, perché comunque penso che riprendere la riflessione civile si può solo a partire dalle cose della vita e non dalle esigenze elettorali. Poi possiamo pure fare l’ennesimo sforzo di trovare un modo di dare un “voto utile”. Ma davvero è più importante ripartire dalla cittadinanza intesa come attenzione propositiva ai nostri luoghi e alla nostra vita comune.

12 marzo, 2008

Presso gli antichi

Venire a Pompei servirà per ricordare a tutti che la Campania non è solo qualche sacchetto di spazzatura, ma un luogo straordinario di civiltà

Questa frase, pronunciata negli scavi di Pompei dall’on. Massimo D’Alema, a avvio di campagna elettorale, lascia stranito ogni privato cittadino che vive in questi luoghi, ne apprezza le beltà ma, al contempo, sente da mesi e mesi il tanfo della monnezza.
Molti hanno notato che è semplice arroganza del potere a far dire tali cose.
Ma non è che, invece, sono le condizioni di vita differenti che fanno percepire diversamente le cose del mondo? Da un po’ me lo chiedo seriamente.

A tal proposito restiamo un attimo presso gli antichi.
Narra Senofonte che il poeta Simonide un giorno si recò alla corte del tiranno Ierone (tiranno, presso gli antichi, non assume il significato moderno ma riguarda chiunque esercitasse sovranità, governo, dominio – come nota Hobbes).
E gli chiese una cosa fondamentale sul rapporto tra chi esercita dominio e chi no:
“Poiché eri un privato cittadino prima di diventare tiranno e poiché hai sperimentato entrambe le condizioni di vita, probabilmente sai meglio di me fino a che punto differiscono quelle del privato cittadino e quelle del tiranno”.
Al che Ierone gli rispose:
“Giacché tu sei ancora un privato cittadino, aiutami a ricordare quali sensazioni si hanno a vivere da privato, così mi sarà molto facile esporti le differenze tra i due modi di vita”.
“Aiutami a ricordare quali sensazioni”… Notevole passaggio.
E allora il Simonide di Senofonte diede inizio ad argomenti più complessi che si intrecciono con quelli di Ierone lungo il ben noto dialogo sulle dolorose necessità e sui privilegi o meno del comandare.
Ma proprio l’avvio della risposta è illuminante per il nostro caso. Risponde infatti Simonide alla richiesta di ricordargli come sono le sensazioni quando si è privati cittadini:
“Ierone, secondo la mia esperienza, con la vista il privato cittadino può godere e affliggersi di ciò che vede, con l’udito di ciò che si ascolta, con l’olfatto degli odori…” Appunto.

Forse è il caso di smettere di indignarsi. E di riprendere dagli antichi il dibattito – arrivato a Machiavelli e ben oltre - sull’alterità e separatezza della politica e su come si percepisce diversamente il mondo tra chi comanda e chi no. E se per forza deve così essere.

07 marzo, 2008

E’ difficile votare


La mia lontananza da questo Pd la vado ripetendo. Veltroni pareva promettere qualcosa di un po’ meglio anche per noi. Ma così non è.
E’ una lontananza amara ma obbligata. Per chiunque abbia un po’ di onestà intellettuale, giri per le nostre strade, conosca come funziona qui la cosa pubblica, ne sappia di storia del Mezzogiorno e delle sue clientele passate e odierne e creda in un briciolo di dibattito di merito e di ricambio nella rappresentanza. Casini e De Mita: non me lo si può chiedere. L’arcobaleno: nemmeno. Perché il conservatorismo di sinistra non è nelle mie corde da troppi decenni; e perché è stato ed è un pilastro fondamentale del bassolinismo.
Così, è davvero dura andare a votare. Anche per chi è devoto a un diritto conquistato dai padri, conosce il valore delle elezioni per il Parlamento e ci tiene a tenere Berlusconi lontano da Palazzo Chigi.
Norberto propone il voto comunque utile, con argomentazioni ragionevoli. Ci vuole molto disincanto però. E si deve voler guardare molto agli equilibri della politika e nella politika. Come mondo a se stante, separato. Discutiamone ancora (come molti sollecitano nei commenti su D.I.).
Ma a me piacerebbe anche poter usare la campagna elettorale per discutere di rifiuti, di budget della sanità fuori controllo, di fallimento formativo di massa, di esperienze partecipative o della loro assenza, di tassi di povertà più alti d’Europa e di rifiuti tossici mostrati – da oggi nelle sale - nel bel film "Biutiful Cauntri" (il cui regista, impressionato da quel che ha visto e filmato, in una secca intervista sui Rai due ha chiesto pubblicamente le doverose dimissioni di Bassolino).
Le elezioni sono, certo, cosa che attiene alle alchimie della politika. Ma altrove nel mondo sono anche occasione per parlare della vita sociale e civile.
Mi verrebbe – se non sapessi quanto è difficile organizzare alcunché - da proporre un’assemblea dal titolo: “E’ difficile votare qui” oppure “E noi?”.

04 marzo, 2008

Liste e vita civile ferita


Il PD ha chiuso le liste in questo modo.
Il giorno 24 febbraio avevo scritto a Walter Veltroni. Chiedevo, semplicemente, le cose che sentiamo in tanti – come necessità e come speranza possibile – e che in tanti ripetiamo da settimane, da mesi, anche da anni: contribuire a una svolta netta, dare buoni motivi per votare e per votare Pd, favorire un ricambio da cima a fondo nelle candidature campane per Camera e Senato con persone competenti, che si sono misurate coi nostri problemi in modo propositivo, chiudere con Bassolino e lavorare per nuovo governo di centro-sinistra alla regione - innovato nel metodo e negli uomini e le donne - entro quest’anno.
Ovviamente non cercavo una risposta a me. Con una sorta di liberale disperazione – che mi è stata criticata – mostravo la possibilità di effettiva innovazione, tanto più indispensabile in assenza di sistema elettorale democratico e anche di primarie.

Mi pare che ciò che è avvenuto vada in altra direzione:
1. nessuna apertura di crisi in Campania nonostante la situazione di disastro perdurante e l’avvenuto rinvio a giudizio di Bassolino che configura quanto meno una profonda e prolungata incompetenza di governo del presidente che è costata immensamente in termini economici e alla popolazione in termini di salute mentale e fisica e di possibilità di esercitare diritti inalienabili;

2. nessuna apertura di dibattito sulla crisi multidimensionale delle politiche pubbliche in Campania: camorra, povertà, ambiente, sviluppo, formazione ecc.;

3. imposizione di una sorta di commissariamento pro tempore di Massimo D’Alema non a tutela – cessò - di dibattito su problemi e proposte e innovazione ma della sedia del governatore;

4. liste per il Parlamento che fotografano questo “immobilismo punitivo” nel seguente modo:
- un po’ di penalizzazione dei fedeli campani,
- quasi nessuna nuova entry,
- difesa delle nomenclature autoctone sulla base di un sistema random o estemporaneo che prevede la doppia variabile di fedeltà alle componenti interne al Pd (memorabile il lapsus “Ds salernitano” invece del nome) e capacità negoziale con il vertice romano;
- imposizione dal centro di spazi vuoti non già per rinnovare ma solo da far ricoprire da parte di esponenti delle nomenclature forestiere che non trovavano altra collocazione… una sorta di dumping delle beghe Pd nazionali irrisolte sulle candidature della Campania… una specie di discarica di rifiuti politici non trattabili dal centro.

Vi è in tutto ciò un immenso disprezzo per tutti noi, come elettori, come cittadini e come democratici. E un disprezzo per le risorse che nonostante tutto esprimiamo in termini di tante persone attive, disinteressate e competenti e per le nostre legittime aspirazioni all’innovazione di merito, metodo e rappresentanza.
E vi è un ulteriore e più grave disprezzo. Per la vita civile e per la sua stessa possibilità.
Triste.
Quasi disgustoso.

02 marzo, 2008

La peggiore conseguenza

Francamente la peggiore conseguenza di questa eterna storia della battaglia tra chi è pro e chi è contro Antonio Bassolino è che non c’è da anni un decoroso pensiero pubblico su questa città e in questa città, un dibattito di merito sulle vie di uscita. Bassolino e la sua orchestra spettacolo sono messi al centro del mondo. E non lo sono. E vivi o morti che siano, sono di impedimento al poter affrontare la vita collettiva in modo serio.

Prendiamo un esempio qualsiasi. Ieri. Un ennesimo ragazzo, Raffaele, diciannovenne, con pochi piccoli precedenti, è stato ucciso a Forcella, crivellato di colpi. Di domenica mattina, in uno slargo frequentatissimo, nel centro di una grande città europea, a cento metri da dove il cardinale arcivescovo celebra messa.
Si era fermato a parlare con un amico, incensurato, di poco più grande, che pure è stato gravemente ferito. Di che si tratta non si riesce neanche a capire bene. Piccoli sgarri della sera prima in un quartiere senza più controllo da parte dei vecchi boss? Un rivolo molto secondario delle eterne guerre di camorra in un territorio che, appunto, è preda di incerta conquista? Un contatto tra giovanissimi e qualche nuovo avventuriero che minaccia la posizione di qualche altra piccola paranza (gruppo di malaffare armato) in formazione? Nasce un commercio di coca fuori dal circuito previsto e che cambia settimana per settimana e qualcuno che sta vendendo bene corre ai ripari? Non si riesce neanche più a scrutare il paesaggio della città. E nessun politico, nessuno sa parlarne e pensarci su. Quale controllo per il territorio? Come far valere la certezza della pena? E quali occasioni vere da dare e come? Quale nuova economia partecipativa e concorrenza sana intorno a prodotti non nocivi è possibile contro tutto questo? Quale sviluppo – compreso quello manufatturiero – è pensabile affinché non si replichi il nulla di questi anni? Quale politica sulle droghe?
Qualsiasi cosa presa dalla vita di ogni giorno pone analoghi quesiti. Decisivi. E che dovrebbero essere al centro dello spazio pubblico e della politica.
Ma, invece, di queste cose non si riesce proprio a parlare. Non c’è più sensata parola sulla vita e la morte a Napoli. E intanto i problemi macerano e i canali tra città e politica restano recisi. Pericolosamente.
L’ennesima campagna elettorale così fatta – con i sostenitori di don Andonio e i suoi avversari che si contano i possibili candidati in lista - è davvero troppo una città che sta uscendo dai limiti di sostenibilità della sua crisi.

28 febbraio, 2008

Per esempio

“Non vado a votare”. “Stavolta non voto”; “Qui non si può votare”; “Se stessi a Torino voterei”; “Voterei forse se ci fosse un segnale vero di cambiamento”. Sentiamo questo ogni giorno. Ovunque.
Davvero ci vogliono buoni e nuovi motivi per andare oggi a votare in Campania. E io non me la sento certo di dare torto a questo enorme malessere. Che coinvolge anche me. Che nessuna pomposa dichiarazione di Bassolino o rimpasto “pezzottato” può credibilmente arginare. Tanto è radicato, forte, diffuso.
E confesso che mi dispiace avere questa fatica terribile di andare a votare per la rappresentanza al Parlamento.
Lo so, le elezioni politiche non esauriscono certo il campo della democrazia che è fatta di tanti modi di far politica, di azioni di cittadinanza e spinte partecipative. Tutte cose che, peraltro, la rappresentanza politica campana – di centro-sinistra innanzitutto - ha contribuito a erodere.
Ma il fatto che la rappresentanza sia stata cattiva non può avere come sola risposta la rassegnazione e la resa.
Si può esprimere anche sdegno, proposta e battaglia civile? Come?
Per esempio… Perché non fare un elenco di possibili nuovi rappresentanti? E perché, intanto, non chiedere ai parlamentari uscenti di esprimersi pubblicamente sulla crisi campana, le sue ragioni politiche e le proposte per affrontarla. E perché, intanto, non domandare loro di sostenere un voto anticipato alla regione entro l’anno, sostenere in Parlamento un sistema elettorale nel quale si possono scegliere davvero i rappresentanti e dire che si è per le primarie per stabilire chi sta in lista? E perché non chiedere di impegnarsi pubblicamente su un fronte almeno della nostra crisi: camorra o rifiuti e ambiente o formazione o controllo dei bilanci o superamento della scandalosa vicenda della nostra sanità?
Che ci sia almeno una presa di impegno chiara sui temi della rappresentanza democratica,sulle responsabilità della crisi e nel merito specifico di un tema chiave per le nostre vite quotidiane, magari con due o tre proposte ragionevoli.
Perché, intanto, non fare questo nell’attesa di andare o no a votare?
Per esempio…