Prima di segnalare qualche buona notizia, torno ancora sulle prove INVALSI - o più in generale - sulla valutazione: come sottolineato in alcuni commenti qui sul blog, non possiamo pensare che bastino prove standardizzate per rilevare differenze ampie nelle forme e nei modi, oltre che nella quantità e qualità degli apprendimenti. E nessuno lo pensa all’Invalsi, infatti. Sono stato alla presentazione, ben curata dall’Invalsi, dei dati: era molto evidente un metodo aperto, riflessivo, pronto a recepire ogni necessario miglioramento, consapevole che l’opera di valutazione di un sistema complesso è una cosa difficile e che si costruisce solo insieme a scuole e docenti. Non esiste nessun test al mondo che basti a se stesso. Gli insegnanti sanno - ne danno prova ogni giorno - che la valutazione è sempre anche auto-valutazione ed è materia complicata, movimentata e incerta, che non può prescindere dal contesto, dal metodo, dai molti ingredienti della didattica, dalla persona in formazione e dalla relazione educativa che si instaura tra il docente e lo studente e tra il docente e la classe. Rimane però la necessità dell’accountability nella e della scuola e dunque anche di avere dei parametri comuni sui quali confrontarsi liberamente e collegialmente, per individuare differenze, forze e debolezze in rapporto a quelle di altre scuole, di altre zone, di altri paesi. Nessun Paese europeo oggi prescinde da strumenti di questo tipo per il sistema di istruzione. All’interno, dunque, della necessità assoluta, per l’Italia e per la nostra scuola, di costruire e rafforzare una cultura della valutazione dell’intero sistema - dallo studente al docente, al dirigente, ai vertici ministeriali - possiamo e dobbiamo proseguire la discussione su quali siano gli strumenti e le modalità più adatte. Grazie alla libertà di insegnamento e all’autonomia scolastica questo già avviene in molte scuole, le quali, da sole o in rete, da tempo iniziano a valutare le prove in gruppi di lavoro e nel collegio dei docenti e usano bene questi materiali, insieme a molti altri, spesso auto-prodotti per riflettere sui risultati del proprio lavoro, che è un lavoro di una comunità professionale e umana. Ecco: la cultura dei risultati è una cosa preziosa, di decisiva importanza. Che va sostenuta, in modo ricco. Si tratta di un compito politico, in senso proprio: ragionare sui risultati della scuola serve alla nostra polis perché rappresenta un antidoto alla cultura della rendita di posizione e dà valore al tanto buon lavoro che le scuole, nella loro maggioranza, già fanno, propone criticità da affrontare, mostra nuove sfide, indica compiti e trasformazioni necessari. Insomma: decidere che uso fare e come trattare le prove INVALSI è già possibile ed è un tassello importante per sviluppare il nostro sistema di valutazione in senso cooperativo e per far crescere una cultura di valutazione dei risultati che la scuola pubblica ottiene.
Ci avviciniamo alla pausa estiva - breve, per evidenti ragioni- con qualche buona notizia in più. E’ stato ultimato il bando di concorso per i prototipi contro la dispersione scolastica, che saranno circa 120 nelle quattro Regioni obiettivo (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia). Le scuole, capofila di progetti di rete sul territorio con istituzioni e privato sociale, hanno tempo fino alla metà di settembre per partecipare. E’ la prima volta che in Italia si profila una policy pubblica di contrasto del fallimento formativo, fortemente condivisa con gli enti locali e tra scuole e altri agenti educativi di ogni territorio - ognuno individuato secondo parametri sia di densità del fenomeno della dispersione sia di presenza di un esercito civile capace di contrastarlo. A inizio settembre saranno anche pronte le linee-guida per facilitare l’azione e una struttura di coordinamento fortemente partecipativa. E’ un primo vero passo verso le zone di formazione prioritaria anche nel nostro Paese. Qui la lettera dell'Assessore all'Istruzione del Comune di Napoli indirizzata a tutti i dirigenti scolastici.
Nel frattempo il MIUR ha avuto il via libera per procedere al piano di immissioni in ruolo sui posti vacanti: si tratta di 21.112 unità di personale docente ed educativo per l’anno scolastico 2012/13. Sono persone che inizieranno a lavorare in modo stabile dal 1 settembre. E, al contempo, stiamo lavorando per predisporre i concorsi.
Non mi resta che augurare a tutti una buona pausa estiva, per ritrovarci presto con le tante cose che ci aspettano alla riapertura dell’anno scolastico.
09 agosto, 2012
30 luglio, 2012
Prove e sfide
I dati emersi dalle prove INVALSI 2012 sono interessanti e meritano qualche riflessione. Non perché queste prove siano esenti da limiti o imperfezioni, ma perché sono l’unico strumento, migliorato e migliorabile, in grado di restituirci ogni anno fotografie degli apprendimenti standard e quindi confrontabili tra loro.
Il problema della scuola è sempre lo stesso: i gap nei livelli di apprendimento tra zone diverse, che tendono ad aggravarsi anziché a diminuire con l’aumentare dei gradi dell’istruzione. Esistono, lo sappiamo, almeno due “Italie” anche per quanto riguarda la scuola. Non possiamo accontentarci di facili quanto fallaci interpretazioni, volte soltanto a screditare insegnanti e studenti di mezza Italia. Sono infatti soprattutto le differenze profonde tra le scuole e tra i territori e le effettive condizioni di vita a pesare sui risultati nel Mezzogiorno. Lo dimostrano da anni anche i dati di Banca d’Italia e della Commissione Povertà. Differenze presenti fin dalla primaria, che esplodono nelle prove del secondo anno delle superiori.
La nostra scuola primaria si conferma comunque all’altezza dei confronti internazionali, sebbene, essendo chiamata a numerosi nuovi compiti- dall’integrazione degli alunni non italiani alle forme di apprendimento dei nativi digitali- cominci a presentare più marcate divergenze nelle prove di quinta elementare, che tendono poi nel tempo a riproporsi e aggravarsi.
Sono temi che stiamo affrontando nelle nuove indicazioni nazionali per il curricolo della scuola di base, approvate da poco dal CNPI.
Il quadro emerso ci spinge a proseguire il lavoro di rafforzamento delle competenze di base e di contrasto alla dispersione scolastica avviato con il Piano Azione Coesione nelle regioni meridionali.
Vale la pena continuare a impegnarsi per questa scuola nonostante le difficoltà. E’ questo che vorrei dire a Silvia Avallone. Ma voglio ricordare l’immensa difficoltà per un paio di generazioni di accedere al lavoro in generale. E' sotto i nostri occhi come gli equilibri consolidati non bastino più. Il Paese non può uscire dai problemi se ai giovani non sarà consentito, attraverso una rottura degli equilibri, di esprimere se stessi contribuendo alla crescita. La scuola ha estremo bisogno di insegnanti giovani e preparati. Se io, come tanti, siamo potuti entrare a scuola a 20 anni, è perché un sistema di concorsi regolari consentiva di vincere o perdere, senza liste d’attesa infinite. Noi stiamo provando a ripristinarli e sappiamo purtroppo che se nulla può cambiare, se non si faranno delle scelte anche difficili, non ci riusciremo.
La nostra generazione non è in grado di trovare da sola le risposte al nuovo contesto. Questo sono andato a dire anche al Revolution Camp della Rete degli Studenti Medi: abbiamo bisogno che voi non vi arrendiate, della vostra pressione, del vostro conflitto, della vostra azione. Soltanto così l’Italia saprà reagire.
12 luglio, 2012
Di quando i clan cacciarono i bimbi rom
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La foto è presa da qui |
E’ giunta notizia dell’arresto di 18 persone a Napoli per l’incendio del campo nomadi di Via Gianturco, a Ponticelli, nel dicembre del 2010. Sono accusate, oltre che di estorsione e di associazione di stampo mafioso, dell’aggravante dell’odio razziale.
E’ un fatto importante, che ci riporta alla memoria alcuni gravissimi episodi verificatisi a Napoli, nello stesso quartiere Ponticelli, tra il 2008 e il 2010. Nel primo caso, un vero e proprio pogrom costrinse alla fuga notturna 500 persone dal campo rom incendiato, tra gli insulti di due ali di folla. La scuola del quartiere, l’88° circolo didattico, aveva unito i bambini attraverso le fiabe rom: i compagni di scuola dei bambini costretti a fuggire, il giorno dopo il pogrom, piangevano disperati.
Nel 2010 è stata proprio la scuola al centro delle “attenzioni”: boss locali minacciano le famiglie rom e fanno pressioni sulla preside perché non permetta a questi bambini di frequentare la scuola dove vanno i loro figli. La preside resiste, il campo brucia. Ma grazie a numerose denunce oggi si arriva a questi arresti.
Stiamo lavorando in stretto raccordo con il Ministro Fabrizio Barca, il Ministro Cancellieri, con le Regioni Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, con le realtà del privato sociale che spesso in quartieri come Ponticelli svolgono un delicatissimo ruolo di mediazione, per integrare le azioni di contrasto alla dispersione scolastica con azioni dedicate all’integrazione dei bambini e dei ragazzi rom nelle scuole.
Abbiamo inserito le diverse azioni per l’istruzione all’interno della Strategia nazionale d'inclusione dei rom, sinti e caminanti voluta dal Ministro Riccardi.
Si tratta di riannodare i fili tra scuole, insegnanti, famiglie rom, privato sociale e istituzioni per fare delle cose mirate, misurabili nell’impatto e nei risultati. Abbattere il tasso di abbandono scolastico precoce dei bambini rom, oggi quasi al 42%; favorire percorsi di istruzione ad hoc per le giovani madri che hanno abbandonato la scuola; lavorare fin dalla prima infanzia sull’autorappresentazione della cultura rom (le fiabe, la lingua, la musica), anche attraverso progetti che uniscano le orchestre rom alle orchestre dei conservatori. Ci stiamo confrontando con la Roma Foundation, forte di una grande esperienza in Centro Europa.
Casa, lavoro e istruzione sono le cose che possono cambiare i destini di chi nasce in un campo. Come a Lamezia Terme ci ha raccontato Ciaiò.
Da qui passa il rispetto dei diritti e della dignità di ogni essere umano. Che quando le istituzioni lasciano un vuoto, possono essere cancellati in pochi secondi. Lo spazio di un incendio di baracche. Il tempo di una minaccia alla scuola e al suo ruolo costituzionale.
C’è molto lavoro concreto e utile da fare.
25 giugno, 2012
La scuola non abbandoni i più deboli
La scuola italiana racchiude un immenso patrimonio di coesione sociale, solidarietà, inclusione, equità. Ed è ancora la porta attraverso cui tutti crescono, diversi ed eguali, nell’incontro con l’altro da sé. E’ per questo che la scuola è il retroterra forse più importante per la tenuta del Paese. E non può cedere alla più semplice e ingiusta delle risposte che è quella di rifarsi sui più deboli e scaricare su di loro le nostre responsabilità. Un mio articolo ieri su La Stampa.
Caro direttore,
in pochi sanno che nel ministero dell’Istruzione c’è una meravigliosa biblioteca, che racchiude i tesori di 150 anni di scuola. Tra questi c’è un registro del 1944-45, di una scuola elementare di San Lorenzo, Roma. La maestra racconta nel diario di classe di tutti gli alunni che perde. Per fame, povertà, malattia. Della difficoltà di fare lezione d’inverno, con le finestre rotte dalle bombe. E della fatica di andare avanti tutti insieme.
Sono pagine commoventi che raccontano un’Italia che è esistita. E che esiste ancora, per fortuna entro nuove condizioni. E’ un’Italia fatta d’insegnanti che ogni giorno entrano in classe, in mezzo a difficoltà più o meno grandi, e si rivolgono con fiducia ai loro alunni. Mantengono alta la speranza nel futuro operando con dedizione. E che fanno anche un’altra cosa che è forse la più preziosa per qualsiasi comunità. Distinguono ogni volta “il fare scuola” e, cioè, l’accompagnare i bambini e i ragazzi nell'apprendimento e nella crescita dal fatto che si può essere scontenti – come insegnanti e come cittadini – per le condizioni entro le quali si è chiamati a operare.
Le classi numerose, la mancanza di mezzi, le altre difficoltà vanno sì combattute. E va sì sostenuto che ogni soldo per la scuola, se lo si usa bene, è un investimento per la crescita e la coesione del Paese. Ma le difficoltà non possono essere mai usate oltre il limite dato dalla sua stessa funzione sociale. Perché la scuola è il luogo che fa prevalere la responsabilità come base per l’assunzione della funzione educativa adulta. Ed è proprio per questa sua capacità di essere responsabile che intorno alla scuola vive e cresce un senso di “essere parte di”. Lo si vede ogni giorno nelle migliaia di azioni volontarie dei genitori a suo vantaggio, nella difficile mediazione tra genitori e docenti sul tema di come educare oggi, nella sapienza con la quale riesce a integrare 710 mila bambini e ragazzi di cittadinanza non italiana e 184 mila studenti disabili. O nel costruire azioni per riconquistare le migliaia di ragazzi che ancora perde. O, anche, in episodi simbolicamente forti. Come è stato quello di aver saputo inviare la settimana scorsa le prove di esame di maturità con i nuovi media, dopo anni di proponimenti disattesi per troppa timidezza quando, invece, la scuola sa e può osare moltissimo.
Poi, certo, le cronache raccontano di una scuola primaria, dove in 2 prime classi per un totale di 59 bambini si è voluto bocciarne 5. E quando il Ministero ha chiesto di ripensarci, li si è nuovamente bocciati. Con alcuni genitori che hanno detto che è colpa delle classi numerose…. Cinque bocciati su 59, l’8,5%! Quando la media di bocciature in Italia nella scuola primaria – dalla prima alla quinta – è molto meno dell’1%. Con ottimi risultati nelle prove internazionalmente vagliate. Perché non è la bocciatura che fa la qualità. Poi, certo, può capitare di bocciare. In 35 anni due volte l’ho fatto. Ma la riflessione coi colleghi non verteva sulla classe numerosa, che pur c’era. E so che per fortuna nelle scuole quando si boccia le ore sono dedicate agli errori comuni, alle strategie di recupero e al parlare a lungo e per tempo per condividere con genitori in difficoltà.
Può essere utile prendere a pretesto questo episodio per riflettere sul momento che tutti stiamo vivendo, di fronte al protrarsi della crisi. L’impegno del governo sta mettendo al riparo il sistema-Paese dalle conseguenze più gravi, anche chiedendo grandi sacrifici. Ma ci vorrà tempo e forza comune per uscirne. E, intanto, cresce la disoccupazione. Oltre 3 milioni le persone vivono in povertà di cui 1 milione e 800 mila sono minori. Sono dati che evidenziano un rischio per la tenuta della coesione sociale, quella che Durkheim descriveva come la «durezza del bronzo»: una forza che non risiede nei suoi singoli componenti, ma nel loro insieme. Si tratta della capacità di una comunità di stare unita nelle difficoltà.
La scuola coinvolge quasi 10 milioni di bambini e ragazzi, le relative famiglie e un milione di lavoratori. Ed è ancora la porta attraverso cui tutti crescono, diversi ed eguali, nell'incontro con l’altro da sé. E’ per questo che la scuola è il retroterra forse più importante per la tenuta del Paese. E non può cedere alla più semplice e ingiusta delle risposte che è quella di rifarsi sui più deboli e scaricare su di loro le nostre responsabilità. Lorenzo Milani riassumeva tutto questo nello slogan I care. Il tuo problema è un mio problema. Mi interessa. Non mi posso girare dall'altra parte. Perciò l’immenso patrimonio di coesione sociale, solidarietà, inclusione, equità - e anche di merito ottenuto per conquista e non per destino - che è presente nella scuola italiana deve essere accudito. Da un rinnovato patto sociale per la scuola. Che sappia trovare risorse e innovare quel che va innovato. Ma che deve salvaguardare la priorità del principio di responsabilità.
19 giugno, 2012
Dopo l'ultima campanella
Un augurio va a tutti gli studenti per la fine dell’anno scolastico e per l’inizio degli esami di Stato. Un pensiero particolare va a tutti i ragazzi impegnati negli esami in Emilia Romagna, nelle zone terremotate. Il Miur si è impegnato per garantire loro uno svolgimento delle prove più sereno possibile.
Il nostro lavoro continua, in vista del prossimo anno scolastico. Purtroppo il nostro Paese non è ancora al riparo dalle tempeste finanziarie internazionali. Ma il lavoro del Governo di questi mesi ci sta consentendo- anche con tanti sacrifici- di evitare i guai peggiori. Tutto questo rende difficile reperire risorse fresche per la scuola. Che però andranno trovate, come ho ribadito nella trasmissione Agorà e nella mia intervista all’Unità.
Anche gli studenti di Brindisi ci chiedono di andare avanti e di dare loro risposte concrete agli interrogativi che sollevano in una bella lettera pubblica ai Ministri Profumo e Riccardi. Chiedono che si difenda la scuola. Cambiandola, però. Sono d’accordo con loro.
08 giugno, 2012
Un merito per conquista. Non per destino.

Io penso che valorizzare il merito significhi dare fiducia ai ragazzi portandoli prima di tutto ad accettare la sfida e la competizione con se stessi. Per rafforzare le loro parti deboli e sviluppare quelle forti, per scoprire le loro parti nascoste, interessandoli a quello che studiano. E che sia necessario riconoscere il merito di quei docenti che si impegnano in zone difficili, con buoni risultati.
Dobbiamo tutti chiederci, però, se oggi uno studente che si è impegnato ed è riuscito bene a scuola viene considerato meritevole dalla società che lo attende fuori. Se riesce nella vita grazie al suo impegno oppure più di frequente grazie a conoscenze, rendite e privilegi.
E’ un tema importante, per questo stiamo seguendo la discussione in corso con grande attenzione.
Come ho dichiarato a La Repubblica, il nostro faro non può che essere l’articolo 34 della Costituzione. Che va letto nella sua interezza: in principio afferma che la scuola è aperta a tutti, poi si concentra sui meritevoli privi di mezzi, che lo Stato deve sostenere.
Come sappiamo la scuola italiana è aperta a tutti, ma perde il 20% dei ragazzi prima del diploma. Per questo il Governo ha fatto tanto: 102 milioni per la lotta alla dispersione scolastica in oltre 100 micro-aree, 400 milioni per 18.000 posti in più nei nidi in Campania, Calabria, Sicilia e Puglia.
C’è da fare ancora molto. Ho indicato alcune priorità nel corso della trasmissione di Rai Tre Agorà: corsi di recupero dei debiti formativi, lotta alla dispersione anche nel Centro-Nord, borse di studio per gli studenti universitari. Negli ultimi cinque anni sono 175mila gli studenti con redditi bassi che non hanno ricevuto la borsa pur essendo meritevoli. Dobbiamo lavorare su questo nonostante la difficile situazione economica, cercare delle strade per trovare un po’ di risorse in più.
02 giugno, 2012
Il Mezzogiorno per l'Europa
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La palestra di arrampicata nella scuola Don Milani |
La settimana scorsa a Napoli, le straordinarie capacità dei ragazzi che studiano la ceramica all’istituto professionale di Capodimonte. Chiedono più ore di pratica e la possibilità di trovare un lavoro.
Questa settimana, in Calabria:l’ITIS Fermi di Fuscaldo Marina guarda al Mediterraneo. Ha messo in piedi uno scambio con centinaia di ragazzi egiziani. Imparano la lingua, vanno in laboratorio, vivono a casa dei compagni italiani.
E la scuola Don Milani di Lamezia Terme, dove i bambini si allenano alla scalata della vita sulla palestra artificiale per l’arrampicata. Imparano a gestire le emozioni, a non farsi prendere dal panico, a usare la testa per uscire da un momento di crisi.
Anche in condizioni molto difficili sorgono esperienze innovative e coraggiose, le scuole si raccordano con il privato sociale. A Scampia, presso il Centro Hurtado, abbiamo discusso di un possibile futuro per uno dei quartieri più disagiati di Napoli.
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Con Don Panizza nella Comunità Progetto Sud |
Ascoltiamo racconti e riflessioni sul modo di fare le cose bene. Ascoltiamo la storia di Ciaiò, il rom che è uscito dal campo grazie al diritto alla scuola, alla casa e a un lavoro.
Quest’aria che si respira non è la richiesta di aiuto o assistenza. E’ la voglia di concretezza e di risposte costruite insieme, nel mare aperto dei dubbi e delle difficoltà. E’ la rivendicazione di un ruolo per il Sud, è la voglia di contribuire allo sviluppo dell’Italia in un momento di crisi. Il bisogno di capire cosa si può fare, come si può fare. Non il Nord per il Sud. Il Mezzogiorno per l’Europa.
22 maggio, 2012
Nessuno tocchi la scuola
La giornata di Sabato 19 Maggio verrà ricordata a lungo, purtroppo. Per il terribile atto di stampo terroristico che ha insanguinato- per la prima volta nella Storia d’Italia- l’ingresso di una scuola. Togliendo la vita a Melissa Bassi- di 16 anni- e ferendo gravemente altri studenti.
Il Ministro Profumo, in una lettera indirizzata a tutte le scuole, ha rivolto agli studenti del Paese parole di vicinanza, chiedendo a tutti di non cedere alla rabbia e al dolore.
Ancora non sappiamo chi e perché abbia voluto compiere un simile gesto. Le domande sono troppe e troppo poche, ancora, le risposte. Di sicuro si voleva terrorizzare la popolazione- in particolare le scuole- ed è per questo che abbiamo detto che loro- chiunque siano- non hanno vinto.
Perché Sabato le piazze italiane si sono riempite della solidarietà e della vicinanza di migliaia di persone alle famiglie, agli studenti, agli insegnanti colpiti. Perché Domenica alle ore 18 tante scuole in tutta Italia hanno fatto un’apertura straordinaria. Perché da ieri si entra in classe normalmente- e proprio ieri insieme al Ministro Barca siamo stati nelle scuole di Napoli . E perché stasera migliaia di studenti si imbarcheranno con le Navi della legalità, destinazione Palermo. Dove domani celebreremo insieme alle alte cariche dello Stato il ventennale delle stragi di Capaci e Via D’Amelio.
Lo dobbiamo a questi ragazzi- attenti, curiosi, impegnati. Alla forza e alla speranza che ho sentito nelle parole di una studentessa di Brindisi dal palco della manifestazione a poche ore dalla tragedia. E dobbiamo dare più forza alle scuole soprattutto nel Mezzogiorno. E’ quel che ho detto ieri alla Camera alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
14 maggio, 2012
Crescita, Coesione, Equità
La spending review servirà a tagliare sprechi e inefficienze dell’amministrazione: ne ho parlato in un’intervista pubblicata Domenica sul Corriere della Sera. Le scuole non si toccano. La spesa per l’istruzione è investimento vivo per il futuro del Paese. Ci crediamo e ci battiamo per questo, seppure in un momento difficilissimo.
Dopo i primi sei mesi di lavoro, si raccolgono alcuni frutti. Con il Ministro Profumo siamo in grado di presentare i primi risultati concreti di un impegno volto a rimettere la scuola al centro dell’agenda politica italiana. Perché serve alla crescita e serve all’equità. Tutte e due le cose insieme.
Venerdì scorso, alla conferenza stampa del Presidente del Consiglio Monti, il Ministro Fabrizio Barca ha presentato le misure per l’inclusione e la coesione, realizzate con i fondi europei non spesi dalle Regioni del Sud. Tra queste misure, le oltre 100 microaree in cui collocheremo le azioni integrate contro la dispersione scolastica: a inizio giugno la mappa sarà completa, a settembre si parte.
Lavoriamo per sostenere i soggetti più deboli della società, per ridurre la povertà minorile: in questo quadro vanno collocate le misure per la scolarizzazione dei rom, in particolare delle donne e delle giovani madri, ma anche interventi sui nidi e prima infanzia (Qui il documento completo: “Strategia nazionale d’inclusione dei rom, sinti e caminanti. “).
E poi c’è il piano culturale e degli apprendimenti, dove stiamo lavorando per consolidare il lavoro delle scuole introducendo anche qualche novità. Sono alla revisione finale le indicazioni nazionali per il curriculum della scuola di base. Con la partecipazione e la consultazione delle scuole verrà pubblicato un documento di indirizzo, per definire i traguardi da raggiungere entro la fine della terza media per ogni alunno.
Infine, due azioni per raccordare le iniziative delle scuole su due temi cruciali per la formazione delle giovani generazioni: le pari opportunità- con particolare attenzione al tema della violenza sulle donne- e il contrasto all’omofobia. Per la prima volta il Ministero dell’Istruzione ha inviato una circolare per la giornata mondiale contro l’omofobia del 17 maggio.
04 maggio, 2012
Scuola malata, è ora di tornare a Barbiana
Adele Corradi nel libro "Non so se Don Lorenzo" (Feltrinelli) racconta la sua esperienza nella scuola di Barbiana. Da quell'esperienza alle periferie di oggi dobbiamo riuscire a dare di più a chi parte con meno nella vita. E la scuola va ancora ben sostenuta perché non vi è altro luogo che possa essere leva precoce di emancipazione e riequilibrio sociale. Un mio articolo ieri su La Stampa.
Eravamo nel pieno del boom economico e tutto sembrava finalmente andare per il meglio. Quando, nel 1967, uscì Lettera a una professoressa e arrivò in ogni angolo d’Italia il monito, severo e profetico, di don Milani: “la scuola ha un solo problema: i ragazzi che perde”.
In quel libro c’erano i dati che mostravano che la classe sociale dei genitori determinava il successo o l’insuccesso scolastico, in larghissima misura. Quel monito ci sta ancora addosso. Perché è ancor oggi così. Sono i figli dei poveri a fallire a scuola. E sono tanti: il venti percento del totale dei nostri ragazzi. Che tendono a diventare il trenta percento e più nel Sud come nelle periferie del Centro e del Nord. Lo dicono i dati del Ministero dell’Istruzione, quelli Istat, la Banca d’Italia, la relazione della Commissione indagine sulla povertà. Lo mostra, pezzo per pezzo, il bellissimo Atlante dell’infanzia a rischio, curato da Save the children - che ci ricorda che mentre nella maggior parte d’Europa il figlio di un genitore di medio reddito e istruito ha 2 o 3 volte più probabilità di completare l’intero ciclo di studi, da noi ha 7,7 più probabilità! Il più grande scandalo d’Italia.
Così, è passato quasi mezzo secolo. Ma resta questo il principale problema non solo della scuola ma dell’intera società italiana. Dobbiamo riuscire a dare di più a chi parte con meno nella vita e la scuola va ancora ben sostenuta perché non vi è altro luogo che possa essere leva precoce di emancipazione e riequilibrio sociale.
Per questo l’Unione Europea dal 2000 – la famosa agenda di Lisbona - ci chiede di scendere sotto il dieci percento di fallimento formativo. E la questione è che noi non ci siamo ancora riusciti. Benché siamo ben consapevoli che il non riuscirci, oltre a essere una minaccia alla coesione sociale, ci priva di enormi risorse umane capaci di azioni positive, un fatto che condiziona la stessa crescita economica. Perciò: l’agenda politica, le scelte nella revisione delle spese e degli investimenti pubblici deve tenere conto innanzitutto di questa questione.
Ma più che i dati, come spesso accade, le vie da imboccare per riparare alle ingiustizie generali le descrivono bene i libri che parlano di gesti, di giorni, di vicende umane.
Nelle bellissime pagine di Insegnare al principe di Danimarca la molto compianta Carla Melazzini racconta del lungo nostro lavoro con i ragazzi che avevano abbandonato la scuola a S. Giovanni a Teduccio, Barra, Quartieri Spagnoli, Soccavo, Ponticelli. E’ una scrittura sorvegliata, severa – come Carla era - che mostra, con fatica e poesia, il lavoro della scuola che sa andare verso chi ne è stato escluso. Lavoro di grande complessità artigianale, fatto a Napoli eppure simile a quello svolto da altri insegnanti ed educatori a Torino, a Verona, a Palermo, a Reggio Emilia, a Milano. Il creare un luogo salvo, una zona franca, una chance. Dove curare - nel bel mezzo delle devastazioni - le ferite sociali ed emotive. Per restituire la guida adulta, la via dell’apprendimento, della motivazione, della cura di sé. Per ridare la capacità di aspirare, the capacity to aspire - come viene definita in un importante saggio di Arjun Appadurai.
Sono pagine difficili quelle di Carla Melazzini. Perché chiedono di ritornare a pensare alle persone che crescono. Perché chiamano l’intero sistema d’istruzione e formazione a rimettere insieme i pezzi, a coniugare meglio il sapere e il saper fare. E a misurarsi molto di più con l’essere quotidiano di ciascun ragazzo. Com’era a Barbiana, dove nell’aula di sopra c’erano i libri, le figure geometriche e le mappe, nell’aula di sotto gli arnesi per costruire e manutenere oggetti e il laboratorio di esplorazione scientifica e in ogni momento la possibilità di fermarsi e “parlare di noi”, di quel che sta succedendo e di come va, senza mai dimenticare che si sta lì per imparare.
Quattro anni prima dell’uscita di Lettera a una professoressa Adele Corradi salì a Barbiana. Ora finalmente lo racconta nel libro Non so se don Lorenzo. Era il 29 settembre del 1963. Chi si è recato lì se la può immaginare, una professoressa non ancora quarantenne che percorre in salita la via in mezzo al bosco, per capire, per fare. Adele oggi decide di lasciare indietro la sua riservatezza e ci riporta proprio lì. Con un avvertimento: “Non si racconta in questo libro la storia di don Milani…. Si parla di lui, ma non se ne racconta la storia. Chi la volesse conoscere dovrà rivolgersi altrove…. Qui sono messi a fuoco frammenti di vita, frammenti sparsi, affiorati alla memoria col disordine dei ricordi”. Adele ricorda il giorno dell’inizio, domenica, S. Michele. Ma non ricorda che lezione avesse tenuto. Rammenta, però, che don Lorenzo, in modo per lui inconsueto, le disse: “ritorni”. E lei si è da allora sempre chiesta perché: “.. o gliel’ha suggerito lo Spirito Santo o io con la telepatia”. Così, dopo qualche giorno ritornò. E partecipò alla prima vera lezione, un esercizio di scrittura collettiva. E di lì si va avanti nel racconto, scena dopo scena, con i gesti e il parlato riportati entro un interrogarsi profondo e semplice. Perché questo libro rimette ogni lettore nel ritmo e nella parola di quel luogo, nel suo senso quotidiano. E così Adele ci fa un regalo immenso: toglie il peso del mito a Barbiana. E finalmente restituisce quella scena alla magica imperfezione delle persone al lavoro, che tentano, che riparano, che si chiedono, che litigano, che non sanno e che comunque riescono.
Ritrovare l’occasione e il modo di fare bene scuola provando a capire il proprio tempo e il mondo è sempre possibile. E rimettersi in gioco è la chiave dell’educare. Come ci dice ancora Adele, oggi quasi novantenne: “Sono stata insegnante di lettere alle medie fino alla pensione a sessantasette anni. Devo confessare che ero un’insegnante identica alla destinataria di Lettera a una professoressa… L’incontro con la scuola di Barbiana ha scavato un solco nella mia vita. Mi sono vista come non mi ero mai vista. E non solo come insegnante, ma come persona”.
Dunque, la vicenda di Barbiana e delle buone scuole delle nostre troppe periferie non è solo un’azione a sostegno dell’equità e a vantaggio di una società democratica. Ma permette trasformazioni. E ci dice la direzione da prendere per tutta la scuola. Perché l’azione pedagogica diretta a chi ha più bisogno spesso muta gli approcci profondi e sa indicare vie innovative. La necessità fa virtù. Perciò don Milani diceva: “Verrà un giorno in cui coloro che vogliono guarire le scuole malate dovranno salire a Barbiana”
E’ ora di ripartire da una scuola a tutto tondo, che integri studio, esperienza, riflessione ben organizzata sul mondo e sul sé. E che consenta di riportare anche tutta la meraviglia del sapere diffuso dai nuovi media entro l’azione composita e costante di un luogo accogliente e rigoroso. Un luogo salvo e innovato.
Save the Children
Atlante dell’infanzia a rischio
2011
Carla Melazzini
Insegnare al Principe di Danimarca
Sellerio, 2011
Arjun Appadurai
Le aspirazioni nutrono la democrazia
et.al, 2011
Adele Corradi
Non so se don Lorenzo
Feltrinelli, 2012
Eravamo nel pieno del boom economico e tutto sembrava finalmente andare per il meglio. Quando, nel 1967, uscì Lettera a una professoressa e arrivò in ogni angolo d’Italia il monito, severo e profetico, di don Milani: “la scuola ha un solo problema: i ragazzi che perde”.
In quel libro c’erano i dati che mostravano che la classe sociale dei genitori determinava il successo o l’insuccesso scolastico, in larghissima misura. Quel monito ci sta ancora addosso. Perché è ancor oggi così. Sono i figli dei poveri a fallire a scuola. E sono tanti: il venti percento del totale dei nostri ragazzi. Che tendono a diventare il trenta percento e più nel Sud come nelle periferie del Centro e del Nord. Lo dicono i dati del Ministero dell’Istruzione, quelli Istat, la Banca d’Italia, la relazione della Commissione indagine sulla povertà. Lo mostra, pezzo per pezzo, il bellissimo Atlante dell’infanzia a rischio, curato da Save the children - che ci ricorda che mentre nella maggior parte d’Europa il figlio di un genitore di medio reddito e istruito ha 2 o 3 volte più probabilità di completare l’intero ciclo di studi, da noi ha 7,7 più probabilità! Il più grande scandalo d’Italia.
Così, è passato quasi mezzo secolo. Ma resta questo il principale problema non solo della scuola ma dell’intera società italiana. Dobbiamo riuscire a dare di più a chi parte con meno nella vita e la scuola va ancora ben sostenuta perché non vi è altro luogo che possa essere leva precoce di emancipazione e riequilibrio sociale.
Per questo l’Unione Europea dal 2000 – la famosa agenda di Lisbona - ci chiede di scendere sotto il dieci percento di fallimento formativo. E la questione è che noi non ci siamo ancora riusciti. Benché siamo ben consapevoli che il non riuscirci, oltre a essere una minaccia alla coesione sociale, ci priva di enormi risorse umane capaci di azioni positive, un fatto che condiziona la stessa crescita economica. Perciò: l’agenda politica, le scelte nella revisione delle spese e degli investimenti pubblici deve tenere conto innanzitutto di questa questione.
Ma più che i dati, come spesso accade, le vie da imboccare per riparare alle ingiustizie generali le descrivono bene i libri che parlano di gesti, di giorni, di vicende umane.
Nelle bellissime pagine di Insegnare al principe di Danimarca la molto compianta Carla Melazzini racconta del lungo nostro lavoro con i ragazzi che avevano abbandonato la scuola a S. Giovanni a Teduccio, Barra, Quartieri Spagnoli, Soccavo, Ponticelli. E’ una scrittura sorvegliata, severa – come Carla era - che mostra, con fatica e poesia, il lavoro della scuola che sa andare verso chi ne è stato escluso. Lavoro di grande complessità artigianale, fatto a Napoli eppure simile a quello svolto da altri insegnanti ed educatori a Torino, a Verona, a Palermo, a Reggio Emilia, a Milano. Il creare un luogo salvo, una zona franca, una chance. Dove curare - nel bel mezzo delle devastazioni - le ferite sociali ed emotive. Per restituire la guida adulta, la via dell’apprendimento, della motivazione, della cura di sé. Per ridare la capacità di aspirare, the capacity to aspire - come viene definita in un importante saggio di Arjun Appadurai.
Sono pagine difficili quelle di Carla Melazzini. Perché chiedono di ritornare a pensare alle persone che crescono. Perché chiamano l’intero sistema d’istruzione e formazione a rimettere insieme i pezzi, a coniugare meglio il sapere e il saper fare. E a misurarsi molto di più con l’essere quotidiano di ciascun ragazzo. Com’era a Barbiana, dove nell’aula di sopra c’erano i libri, le figure geometriche e le mappe, nell’aula di sotto gli arnesi per costruire e manutenere oggetti e il laboratorio di esplorazione scientifica e in ogni momento la possibilità di fermarsi e “parlare di noi”, di quel che sta succedendo e di come va, senza mai dimenticare che si sta lì per imparare.
Quattro anni prima dell’uscita di Lettera a una professoressa Adele Corradi salì a Barbiana. Ora finalmente lo racconta nel libro Non so se don Lorenzo. Era il 29 settembre del 1963. Chi si è recato lì se la può immaginare, una professoressa non ancora quarantenne che percorre in salita la via in mezzo al bosco, per capire, per fare. Adele oggi decide di lasciare indietro la sua riservatezza e ci riporta proprio lì. Con un avvertimento: “Non si racconta in questo libro la storia di don Milani…. Si parla di lui, ma non se ne racconta la storia. Chi la volesse conoscere dovrà rivolgersi altrove…. Qui sono messi a fuoco frammenti di vita, frammenti sparsi, affiorati alla memoria col disordine dei ricordi”. Adele ricorda il giorno dell’inizio, domenica, S. Michele. Ma non ricorda che lezione avesse tenuto. Rammenta, però, che don Lorenzo, in modo per lui inconsueto, le disse: “ritorni”. E lei si è da allora sempre chiesta perché: “.. o gliel’ha suggerito lo Spirito Santo o io con la telepatia”. Così, dopo qualche giorno ritornò. E partecipò alla prima vera lezione, un esercizio di scrittura collettiva. E di lì si va avanti nel racconto, scena dopo scena, con i gesti e il parlato riportati entro un interrogarsi profondo e semplice. Perché questo libro rimette ogni lettore nel ritmo e nella parola di quel luogo, nel suo senso quotidiano. E così Adele ci fa un regalo immenso: toglie il peso del mito a Barbiana. E finalmente restituisce quella scena alla magica imperfezione delle persone al lavoro, che tentano, che riparano, che si chiedono, che litigano, che non sanno e che comunque riescono.
Ritrovare l’occasione e il modo di fare bene scuola provando a capire il proprio tempo e il mondo è sempre possibile. E rimettersi in gioco è la chiave dell’educare. Come ci dice ancora Adele, oggi quasi novantenne: “Sono stata insegnante di lettere alle medie fino alla pensione a sessantasette anni. Devo confessare che ero un’insegnante identica alla destinataria di Lettera a una professoressa… L’incontro con la scuola di Barbiana ha scavato un solco nella mia vita. Mi sono vista come non mi ero mai vista. E non solo come insegnante, ma come persona”.
Dunque, la vicenda di Barbiana e delle buone scuole delle nostre troppe periferie non è solo un’azione a sostegno dell’equità e a vantaggio di una società democratica. Ma permette trasformazioni. E ci dice la direzione da prendere per tutta la scuola. Perché l’azione pedagogica diretta a chi ha più bisogno spesso muta gli approcci profondi e sa indicare vie innovative. La necessità fa virtù. Perciò don Milani diceva: “Verrà un giorno in cui coloro che vogliono guarire le scuole malate dovranno salire a Barbiana”
E’ ora di ripartire da una scuola a tutto tondo, che integri studio, esperienza, riflessione ben organizzata sul mondo e sul sé. E che consenta di riportare anche tutta la meraviglia del sapere diffuso dai nuovi media entro l’azione composita e costante di un luogo accogliente e rigoroso. Un luogo salvo e innovato.
Save the Children
Atlante dell’infanzia a rischio
2011
Carla Melazzini
Insegnare al Principe di Danimarca
Sellerio, 2011
Arjun Appadurai
Le aspirazioni nutrono la democrazia
et.al, 2011
Adele Corradi
Non so se don Lorenzo
Feltrinelli, 2012
23 aprile, 2012
Numeri e Chilometri
Sono giorni intensi, tanto lavoro e tanti chilometri da fare. Sono partito giovedì alla volta di Milano, per una visita all’Istituto Comprensivo Ciresola di Milano, dove si sperimenta l'insegnamento bilingue fin dalla prima elementare, e per un seminario sull’autonomia scolastica. Un processo da portare a compimento anche con l’attuazione della riforma del Titolo V.
Poi Trieste, Risiera di San Sabba: un posto terribile in cui i ragazzi delle scuole del Friuli Venezia Giulia ammutoliscono e ascoltano attenti le testimonianze di due ragazze di allora, deportate a Bergen- Belsen.
A Benevento invece si parla di innovazione e Mezzogiorno. A Napoli incontro i ragazzi del Movimento Studenti di Azione Cattolica. Preparatissimi, mi interrogano su questioni complesse, che stanno a cuore a tutti noi.
Nel frattempo, ci sono i dati impressionanti contenuti nella prima relazione annuale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia: 2 milioni di bambini poveri, 653 mila in povertà assoluta. L’appello del neoeletto Garante per l’infanzia non può essere ignorato e si lavora per risposte rapide e concrete.
Come quelle contenute nel “Piano rom”, dove si parla di piccole borse di studio e percorsi di alternanza scuola-lavoro per le donne rom che hanno precocemente abbandonato gli studi.
31 marzo, 2012
Trovare il modo
“Sì, ho capito. State cercando i soldi, volete cambiare le cose. Ma per noi, adesso, cosa fate?”. E’ questa la domanda dei ragazzi delle scuole superiori di Mestre che incontro in un’assemblea e che in particolare uno di loro mi pone con tutta la durezza dell’accusa generazionale. E’ normale, è giusto che ci sia anche questo elemento di conflitto tra me e loro. Ma soprattutto hanno un’urgenza da comunicare. Clarissa denuncia che all’artistico non hanno i soldi per comprare gli oli, le tele, la creta e il gesso. Giovanni dell’istituto tecnico indirizzo meccanico dice che hanno macchinari troppo vecchi e per questo le aziende non li assumono. Mi raccontano anche le cose belle che provano a fare, qui e adesso, per le loro scuole: i ragazzi del liceo pedagogico hanno organizzato quattro giorni di didattica partecipata insieme ai loro insegnanti. Provano a innovare, a rompere gli schemi.
Cerco di rispondere a tutti con un linguaggio di verità, né morbido né accomodante. Senza fuggire dalle responsabilità. Come Sottosegretario, come insegnante. Come uomo della mia generazione. Ma è questa forte urgenza che mi interroga.
Come sempre, anche in giro per le scuole di Venezia e Mestre trovo problemi e cose belle, grandi energie e forti preoccupazioni. Per le scuole dell’infanzia paritarie senza fondi. Per la scuola materna ed elementare che visito, ai bordi del quartiere Macallè, dove gli italiani fuggono e le maestre si fanno in quattro per inserire anche gli ultimi arrivati. In quinta stanno facendo le divisioni a due cifre: c’è un bimbo che le risolve in un modo diverso, gliel’hanno insegnato in Moldavia.
All’assemblea pubblica che chiude la mia visita porto tutto questo. E ribadisco quel che ho detto a quei ragazzi: loro hanno ragione, gli abbiamo consegnato un mondo peggiore di quello che abbiamo ereditato. Possiamo soltanto impegnarci in questi anni per invertire la rotta. Dare alle nuove generazioni un po’ di futuro, un po’ di speranza. E rispondere a questa urgenza, anche. Trovare il modo.
Le foto della visita a Venezia e Mestre
27 marzo, 2012
Esquilino
Venerdì scorso ho passato la giornata nel rione Esquilino a Roma. Prima due scuole dell’infanzia: il Celio Azzurro, vivo esempio di integrazione tra culture e provenienze diverse, poi il nido comunale di San Gregorio al Celio. La capitale è piena di nidi, che sono esempio importante di presa in carico educativa, precoce, con modelli pensati soprattutto per l’uso degli spazi e per la cura del tempo disteso e anche di riflessione fatta tra operatori e con i genitori. Due ambienti bellissimi per i più piccoli. Poi all’Istituto di Lingue Orientali dell’Università La Sapienza, dove ho incontrato i superstiti di Hiroshima e di Nagasaki in un’aula magna gremita di studenti. Ho conosciuto il Progetto di Mediazione Sociale attivo nel mercato dell’Esquilino. Si parla con la gente, si cercano soluzioni insieme. Anche in tema di educazione permanente – life long learning: le persone del mondo che arrivano in Italia vogliono spesso ricominciare a studiare, ad apprendere, a imparare nuove professioni, a sapere bene l’italiano, a usare i nuovi media. Poi alla scuola media Di Donato, dove in un’assemblea con insegnanti e genitori ci siamo confrontati sui problemi che abbiamo davanti e su come fare fronte. Tutte realtà aperte al mondo, dove l’impegno civico tende la mano al progetto educativo. Spazi aperti al territorio, esempi positivi dove ci si rimbocca le maniche e a volte si tiene duro. Non ho sentito lamentele, ma tante buone ragioni, quelle sì. E’ questa la cosa più bella della gente di scuola.
Un video sulla scuola Di Donato
Le foto della visita al rione Esquilino
Un video sulla scuola Di Donato
Le foto della visita al rione Esquilino
24 febbraio, 2012
Una giusta riflessione
E’ in corso una riflessione importante. Il Sole 24 Ore ha lanciato l’idea di una “costituente per la cultura”. Quel che ad una valutazione superficiale può sembrare paradossale- tornare a investire sui beni immateriali e sulla conoscenza in un momento di forte crisi economica- viene proposto come chiave per lo sviluppo del Paese. Il Governo sta in questo dibattito con gli spunti forti e chiari di tre ministri, Ornaghi, Passera e Profumo.
Che scrivono: “Di fronte alle scelte di spending review, che comporteranno una rivisitazione del mix della nostra spesa pubblica, la componente impiegata nella sfera della conoscenza non può essere considerata un costo da tagliare, ma rappresenta uno dei bacini in cui spendere di più e meglio creando sviluppo e occupazione”.
Qui l’intervento completo.
Che scrivono: “Di fronte alle scelte di spending review, che comporteranno una rivisitazione del mix della nostra spesa pubblica, la componente impiegata nella sfera della conoscenza non può essere considerata un costo da tagliare, ma rappresenta uno dei bacini in cui spendere di più e meglio creando sviluppo e occupazione”.
Qui l’intervento completo.
13 febbraio, 2012
Parlare ai ragazzi. E con i ragazzi.
Venerdì sera sono stato su La7 nella trasmissione Otto e mezzo, per parlare insieme a Roberto Vecchioni e Lilli Gruber di scuola e giovani.
Ho provato a dire la mia per quel che riguarda le difficoltà, ma anche i punti di forza dei ragazzi. E ho cercato di raccontare le sfide quotidiane e le fatiche dei miei colleghi insegnanti.
Per chi se lo fosse perso, questo è il video della puntata:
Parlare ai ragazzi nel modo giusto significa per me utilizzare un linguaggio di verità, senza voler annullare le differenze tra vite, ruoli ed età molto distanti. Significa insomma parlare prima di tutto “con” i ragazzi.
Io ci ho provato rispondendo a due bravi giornalisti di 11 anni, alunni dell’Istituto comprensivo Ristori di Napoli: ecco qua le mie risposte. Ma soprattutto le loro domande.
Ho provato a dire la mia per quel che riguarda le difficoltà, ma anche i punti di forza dei ragazzi. E ho cercato di raccontare le sfide quotidiane e le fatiche dei miei colleghi insegnanti.
Per chi se lo fosse perso, questo è il video della puntata:
Parlare ai ragazzi nel modo giusto significa per me utilizzare un linguaggio di verità, senza voler annullare le differenze tra vite, ruoli ed età molto distanti. Significa insomma parlare prima di tutto “con” i ragazzi.
Io ci ho provato rispondendo a due bravi giornalisti di 11 anni, alunni dell’Istituto comprensivo Ristori di Napoli: ecco qua le mie risposte. Ma soprattutto le loro domande.
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