21 luglio, 2009

Emigranti, vermi… e tessere

Quando si cerca di chiudere con il lavoro per poi prendersi dei giorni… il blog viene abbandonato, come si è visto.
Ma forse è anche la stanchezza vera per le cattive sorti dei luoghi che si amano che fa passare la voglia di commentare

Mentre la Svimez ci racconta quel che già sapevamo sul fiume di cittadini e di giovani che partono da questi luoghi senza speranza, i vermi e altro invadono il nostro bel golfo tanto che, in pieno luglio, la gente con scende più a mare e la stagione turistica è duramente colpita.
Eppure, imperterriti come statue cieche, sorde e mute - in perfetta continuità con il comportamento lungamente tenuto durante la persistente stagione delle discariche tossiche, del degrado e della sistematica distruzione ambientale della Campania felix - il nostro prode governatore (e chi con lui ricopre responsabilità di governo locale e di indirizzo politico) non parla.
Davanti alle evidenze, costoro (assessori, segretari cittadini, sindaci, governatore) non si recano certo a Cuma a vedere cosa è successo alla grande cloaca senza più depurazione, si limitano a generiche rassicurazioni (mai documentate a dovere) e comunque non dicono ai cittadini la situazione reale di un impianto che sta vomitando a mare, senza sosta, una impressionante quantità di melma non trattata e esiziale per la salute, non sanno indicare responsabilità e tanto meno rimedi, non intervengono.
In generale la salute, il lavoro, la scuola, la povertà che cresce, la ripresa massiccia dell’emigrazione: tutto questo non pare mai riguardare costoro. Perché mai ne rispondono; mai sanno dire la loro.
Ma, per magia - come d’incanto - la loro paralisi e afasia si interrompono sulla soglia delle tessere… Sì, le tessere per il futuro congresso del PD – che in Campania sono addirittura un terzo (!!!) di tutte le tessere d’Italia. Su ciò – unicamente su ciò! – le statue immobili che non vedono e non sentono divengono agili animali predatori in poderosa operosità. E ascoltano, rispondono, si attivano, corrono, dicono, fanno. Perché esse – tessere – sono la sola e unica garanzia del futuro politico (e non) di costoro.
Il resto? Costoro pensano che “il resto” sia robetta che riguarda le miserie di chi va a lavorare (o non trova lavoro) e paga le tasse; o di chi porta i figli al mare sulle spiagge dove si reca il volgo. O che riguarda quei “cretini” che pensano che ci si debba indignare per le cose che non vanno e proporre soluzioni – quelli che ancora credono che la politica sia l’arte di organizzare il bene comune o - come dicevano i padri fondatori – “l’intérét général”. Degli ingenui, “impolitici”…

Beh, sia pure in pochi è ancora il caso di restare fieramente tra questi ultimi. E chi vivrà, vedrà.

27 giugno, 2009

Lamento

Vorrei scrivere della "nuova" (sic!) lobby della casta bassoliniana, Sudd. Vorrei e non vorrei. Perché mi pare un incubo. Immaginate che bello: un partito unico del voto di scambio, la promessa di eterna cattiva spesa pubblica in cambio di voti - destra, centro, sinistra, amici, nemici purché si resti lì usando il denaro dei contribuenti per fare poco e soprattutto male. La proposta, poi, di farlo tutti assieme: Calabria, Sicilia, Campania, Puglia... Il regno delle due Sicilie rinato in salsa alle vongole. Magari con la benedizione di Berlusconi e sotto il solito vessillo di Impregilo. Una sorta di compromesso storico per decretare definitivamente la spaccatura dell'Italia: a Nord produttori selvaggi, a Sud consumatori di elemosina o di opere faraoniche poco importa, saltati in padella da piccoli Mubarak locali.
E vorrei mostrare ciò con due colonne: sulla sinistra il gettito di spesa pubblica dai tempi di Gava a oggi e sulla destra le relative "realizzazioni...." Se avessi i soldi ne farei un manifesto anonimo, tre per quattro o sei per otto: queste due colonne con le cifre e i fatti, inoppugnabili; e poi sotto, scritto a grandi caratteri: Sudd? No grazie. Sulla sfondo metterei Piazza Plebiscito, vuota, linda e pinta più che mai, spettrale, come da sempre piace a costoro.
Altre volte, più umilmente, mi verrebbe da riunire in un solo articolo alcuni passaggi squisiti scritti un secolo fa da Giustino Fortunato dove già era ben delineata la propensione della Politica Meridionale a delapidare le casse comuni per perpetuare null'altro che se stessa.
Ma confesso la fatica e lo sconforto che questi tristi proponimenti dettati dall'indignazione mi procurano. Così - in improbabile attesa di trovare le forze per mostrare il cattivo Sudd e dire altro e magari pure "in positivo" - ho fatto i soliti giri in giro. E ho visto che altrove, però, sanno lamentarsi meglio di me, di noi. Sentitevi questa cosa lamentosa milanese, ché è bellissima e che è un'idea che gira per il mondo a pertire da qui.
Quando l'ho sentita, ho ripensato al nostro manifesto di d. i., con le nostre facce. E a Napoli - città piena di musicisti e di piccoli moti diffusi di gente per bene che, però, non conta niente a causa dell'indecenza della politica. E mi sono chiesto se, forse, per una volta, noi potremmo prendere esempio da Milano. Ecco, una roba del genere: quanto mi piacerebbe che si facesse, che fossimo capaci di farlo e quanto mi divertirebbe...

22 giugno, 2009

Brevissimo

L'Iran resta drammaticamente al centro dei pensieri e coinvolge chiunque nel mondo voglia dedicarsi al tema del partecipare alle cose comuni, del "potere essere parte di", del decidere ed esprimersi.
Per quanto riguarda il seguito del mio articolo di otto giorni fa sulle ben minori cose politiche napoletane a partire dalla netta sconfitta del PD, segnalo per ora questo cortese invito di Daniela su DI e mi riprometto di tornarci con calma.

17 giugno, 2009

Molto, molto più importante

Quello che avviene in Iran è un milione di volte più importante delle nostre stantie vicende.
I costi delle giornate iraniane sono elevatissimi, terribili. Dobbiamo manifestare, firmare appelli, fare ogni piccola cosa possibile.
Così oggi pubblico queste cose, che ho ricevuto da un’amica iraniana, M.:
tra le molte foto in giro questa immagine, adottata come simbolo di questi giorni, un suo straziante appello di oggi, un bellissimo e diretto resoconto, inviato ieri, della grande manifestazione del pomeriggio di lunedì 15 giugno a Teheran dopo che si è avuta la certezza di un vero e proprio golpe elettorale, con brogli enormi e un elenco degli slogan:

Appello del 17 giugno
Grazie, grazie. Stiamo troppo male, siamo soli senza appoggio, tanti amici feriti, alcuni uccisi e tanti arrestati; ma da dove vengono questi assassini senza patria?!!!! Loro sono i nostri connazionali che ci ammazzano in questo modo?!!
Io sono disperata, ogni giorno che mi sveglio mi sembra l'ultimo giorno della mia vita, non sappiamo se rimarremo vivi o no!
Abbiamo bisogno di aiuti fortissimi, il popolo e' veramente solo! Nemmeno i giornalisti stranieri possono entrare in Iran, quelli che c'erano non ci sono più.
La manifestazione di oggi sarà una manifestazione sanguinosa.
Non so piu' che dire…

Resoconto del 15 giugno
Ci siamo avvicinati con apprensione a Via Enghelab o via Rivoluzione oggi alle quattro del pomeriggio.
Quante persone ci sarebbero state? Quanti corpi paramilitari e polizia e agenti speciali dei servizi? Ci sarebbe stato un bagno di sangue? Saremmo mai potuti scappare abbastanza veloci da non essere massacrati di botte?
Per e-mail e anche di voce in voce avevamo saputo della convocazione della manifestazione da parte dei sostenitori di Moussavi – sapevamo che dovevamo esserci. Poi, però, erano giunti messaggi contraddittori: la manifestazione era stata disdetta perché non aveva avuto l’autorizzazione o perché Moussavi temeva un bagno di sangue e così via…. Ma come aveva detto il mio amico N., il suono delle parole di Ahmadinejad che ci paragonavano a polvere e segature durante il suo discorso della cosiddetta “vittoria” non riuscivano ad abbandonare le nostre orecchie… Così siamo andati avanti nonostante i nostri timori. Eravamo stati di nuovo oltraggiati dalle parole e dalle azioni di Ahmadinejad. E non vi è alcun dubbio che i nostri voti siano stati rubati. Una menzogna, dunque. Ma quanto grande? E quante altre grandi menzogne?
Nessuno di noi si aspettava la rivolta più grande dai giorni della rivoluzione islamica. Molti tra noi non avevamo neanche votato alle passate elezioni e in tanti avevamo giurato di non votare mai più finché ci fosse la Repubblica Islamica. Ma poi in qualche modo, lentamente e tenacemente, ci siamo persuasi e abbiamo persuaso tanti altri che vi era una differenza tra “male e “peggio”. Anche in un sistema nel quale gli elettori possono solo scegliere entro candidati pre-selezionati chi non riusciva a vedere che comunque vi era una differenza tra Khatami e Ahmadinejad?
Così siamo entrati nella Via della Rivoluzione prendendo la direzione di Piazza Azadi o piazza della Libertà. E siamo presto stati investiti da un felice senso di sicurezza che solo una folla molto ma molto ma molto grande può dare. Vi era la polizia e la polizia anti-sommossa ma non hanno fatto nulla…. Fino a quando non eravamo, poi, tutti o quasi andati via. Dopo abbiamo saputo che solo allora i paramilitari avevano sparato su persone inermi e ucciso sette cittadini.
Questo Paese non sarà mai più lo stesso.
Lo stesso Consiglio delle guardie della rivoluzione ha alla fine dovuto per ora riconoscere che bisognava verificare il risultato delle elezioni, verificare se ci fossero brogli e ricontare i voti, dando un response entro dieci giorni. Dobbiamo tenere su il movimento per i prossimi dieci giorni. Stamattina – 16 giugno – ci è parso incredibile, quasi impossibile che il Consiglio potesse andare contro l’opinione di Khamenei e chiamare l’elezione un imbroglio. Ma dopo quella manifestazione appare altrettanto impossibile che essi potessero dire che l’elezione era regolare.
Perciò, per i prossimi dieci giorni noi abbiamo davvero bisogno del vostro sostegno affinché l’Iran resti sulle prime pagine, affinché si creda che le nostre elezioni ci sono state rubate.
Per questo ora ti saluto con alcuni degli slogan che ieri oltre un milione di persone hanno cantato nelle vie di Teheran e che suonano tanto bene in questa bella lingua… Le persone si stanno facendo molto creative con gli slogan e li inventano nello svolgersi della manifestazione. La lingua Farsi si presta bene allo shoaar-sazi, al modulare suoni e ritmi, grazie alla flessibilità che possiede e alla naturale vicinanza a ritmo e metro, come ci insegna tutta la nostra poesia… Ma ecco gli slogan:
Naft o Tala ro bordand, sibzamini avordand
C’hanno tolto petrolio e oro, ci danno in cambio patate (si riferisce ai “doni” di patate date in campagna elettorale da Ahmadinejad)

Doctor boro doctor
Doctor vai dal doctor (si riferisce alla fissazione di Ahmadinejad di farsi chiamare col titolo di dottore)

Atal matal toutouleh, dictatore koutouleh
“Atal aetal toutouleh” tu corto dittatore (Qui viene cantata sulle note di una canzoncina per bambini)

Ahmadi bye bye, Ahmadi bye bye!

Agar taghalob besheh, Iran ghiyaamat misheh
Se vi è imbroglio vi sarà rivolta in Iran

Hemayat Hemayat Iranie ba gheirat
Date aiuto, date aiuto, siate fieri iraniani

Natarsid, natarsid, ma ba hamim natarsid!
Niente paura niente paura, stiamo tutti uniti

Marg bar in dolate mardom farib
Morte al governo morente

Allah o Akbar

Moussavi Moussvi hemayatat mikonim
Moussavi Moussavi, siamo noi a proteggerti

Dorooghgoo, shast o seh darsadet koo?
Menzogne, menzogne, dov’è il tuo 63 percento

Dolat-e Kudeta, Estafaa Estafaa
Dimissioni, dimissioni del governo del colpo di stato

Khas o khaashaak toyi, doshman-e in khaak toyi Khas o khashak khodeti,
Khas of Khashaaksei solo tu , il nemico di questa terra sei tu (Qui ci si riferisce al discorso di Ahmadinejad in cui egli aveva definito i manifestanti "khas of khashak", che vuol dire “polvere e segatura”)

Ey Mahmoud-e bichaareh, baaz ham begoo footballeh
Povero Mahmoud, dillo di nuovo che è solo una partita di pallone (qui ci si riferisce sempre al discorso di Ahmadinejad nel corso del quale egli aveva paragonato i cortei a proteste dopo la sconfitta della squadra del cuore)

Raayeh maaro dozdideh, baa raayeh maa poz mideh
Hanno scippato i nostri voti e ora li usano per vantarsene

Hatta agar bemiram, raayam ra pass migiram
Anche se muoio il mio voto lo ri-otterrò

Moussavi, Moussavi, Raaye ma ra pass begir!
Moussavi, Moussavi, fammi riavere indietro il voto!


Moussavi, Moussavi, Parchamam ra pass begir!
Moussavi, Moussavi, fammi riavere indietro la mia bandiera (Ci si riferisce al fatto che la bandiera iraniana è stata usata come simbolo elettorale da Ahmadinejad)

Mijangam, mijangam, Raayam ro pass migiram!
Lotterò, lotterò, riavrò indietro il mio voto

Azadie andishe poshte shisheh nemisheh
La libertà non si conquista spiando da dietro alle finestre (ci si riferisce a chi guarda passare i cortei da dietro le finestre di casa)

Mikosham, Mikosham, har ke baradarm kosht!
Ucciderò, ucciderò, ucciderò chi uccide il mio fratello (Questo slogan è stato gridato dopo che sono stati uccisi 7 manifestanti)

15 giugno, 2009

Ri-perdere le elezioni

Ieri Repubblica-Napoli ha pubblicato questo mio fondo. Lo metto anche qui, per chi napoletano non è.

ll centro-sinistra ha di nuovo perso le elezioni. Di nuovo.
Infatti nelle elezioni politiche del 2008 il “laboratorio campano” di centro-sinistra - al quale Bassolino ha legato il suo nome - aveva già perso mezzo milione di voti, oltre il 12 percento. E nella città di Napoli la grande coalizione che ci governava aveva perduto 93.057 voti, passando dal 56,7% al 43,9% in un solo anno.
Già un anno fa, dunque, gli elettori o non votarono o votarono contro chi qui governava. Perché era finito un ciclo - come tutti dissero. Perché in aggiunta al vento di destra nazionale vi fu una reazione, alla prima utile occasione di voto, a più cose: alla mancata riconversione dello sviluppo locale dopo gli anni della dismissione delle industrie, alla persistenza della disoccupazione, al dilagare della camorra, alla palese distanza tra scopi dichiarati e uso della spesa pubblica, alla cattiva gestione degli enti locali. A lungo le disaffezioni elettorali sono restate in gestazione, in risposta a una crisi complessa della società, dell’economia e del modello di governo. Infine, è stata la crisi dei rifiuti che ha sgretolato il mito del buon governo del laboratorio campano ed ha dato vita alla caduta verticale dei consensi.
Allora il nostro governatore minimizzò la sconfitta e annunciò una “riflessione”. Ma si guardò bene dal farla. Egli – insieme a quasi tutto il ceto politico del quale è espressione - preferì affidarsi al tempo che passava; e all’idea che comunque chi controlla i rubinetti della spesa pubblica, ieri come oggi, può mantenere i voti.
Analizzare la crisi di consensi? Discutere delle diverse difficoltà che ogni governo locale incontra nel Mezzogiorno? Misurarsi con le effettive mancanze culturali o programmatiche della “classe politica e della classe dirigente più generalmente intesa” – come le chiamava Guido Dorso? No. Chi rifletteva fu avversato, chi analizzava indicato come illuso o tacciato di tradimento. Perché indeboliva il fronte comune quando i “barbari” del centro-destra erano alle porte. E non fu solo Bassolino. La verità è che la grande maggioranza di questo ceto politico di centro-sinistra – il capo, i capetti e i gregari - in fondo non conosce gli strumenti di analisi e intervento propri della complessità e, in più, non crede che governare c’entra con i fatti della vita quotidiana, per i quali le persone stanno peggio o meglio, possono sperare o non sperare, spendersi o non spendersi. Per loro “a’ politica è n’ata cosa”. E’ un ceto politico pervicacemente anti-obamiano. Che, perciò, non nutre più alcuna curiosità né rapporto con le ansie, i sentimenti, le emergenze vive delle persone. Con chi va a insegnare in una scuola di formazione professionale i cui macchinari sono quelli degli anni settanta e dove i ragazzi si assentano sempre più. Con chi apre la saracinesca di un negozio che vende sempre meno. Con quel trenta percento di cittadini che vivono con meno di mille euro al mese in una famiglia di quattro persone. Con chi sta in ansia la sera per il figlio che è andato a mangiare una pizza in un centro-città solcato da bande di ragazzini imbottiti di coca e armati di mazze di ferro, coltelli o anche pistole. Con chi ha già accompagnato figli e nipoti a vivere altrove. Con chi ogni volta guarda mestamente al luogo del giardino pubblico promesso e constata che il cantiere è fermo da anni.
Invece prevale da tempo l’idea che le persone non sono gli interlocutori indispensabili al farsi della politica ma sono categorie che corrispondono o a voci di spesa pubblica o a destinatari di messaggi elettorali. Perciò il centro sinistra perde. Perciò Napoli ha l’astensione al 48 percento. Perciò il PD - che dallo studio di Gad Lerner, Antonio Bassolino proclamava di “volere mettere in sicurezza” – è sceso, invece, al 27, 3 percento alle europee e al 24,5 alle provinciali. Contro il 35 delle politiche del 2008. E i cosidetti “barbari” sono entrati dalla porta principale.
Ora, dopo l’ennesima sconfitta, l’elettore di centro-sinistra deve sentirsi dire che non è detta l’ultima: “na cosa a vota”? Oppure che è colpa dell’imperizia del candidato alle provinciali? O che c’è stata la minore sconfitta – si fa per dire - alle europee grazie alla valanga di preferenze ottenute da quei suoi esponenti che hanno più direttamente gestito la spesa pubblica?
Non sarebbe meglio ascoltare le semplici parole “ce la siamo meritata”. Per poi poter finalmente affrontare la crisi e avviare una trasformazione radicale, senza la quale non ci sarà più un credibile centro-sinistra in Campania.

08 giugno, 2009

Brutte notizie dalla vecchia Europa

Alcuni di noi hanno sempre pensato che la vicenda europea è cosa assai seria. Noi – e io – non siamo mai stati tra gli euroscettici di sinistra, mai.
La riprova di questa nostra affezione alla difficile scommessa europea sta nel senso di angoscia vero, profondo che stamattina sentiamo per i risultati delle elezioni per il parlamento della Unione.
L’Europa si astiene. Molto meno della metà dei suoi cittadini non va a votare per una prospettiva comune. Certo, protesta contro i buriocrati di Bruxelles, una casta a se stante. Certo, segnala che la Unione non ha un esecutivo né un esercito né una politica estera, ecc. Ma va oggi riconosciuto che - di fronte ai suoi compiti e alla responsabilità dovuta alle sue costruzioni costituzionali basate sulla cultura dei diritti, alla sua forza economica e al posto che ha avuto nella storia e che ancora ha – la grande maggioranza degli europei si è ritratta, lasciando il campo al protagonismo di altri.
L’Europa si astiene lasciando spazio alla Cina del capitale finanziario centralizzato come in nessun altro luogo e dello sfruttamento feroce, del totalitarismo abietto e dell’accaparramento planetario delle risorse; dando più forza alla Russia putiniana che è ancora fuori dalla cultura liberale e dei diritti, anche essa forte nel perpetuare, ad un tempo, un liberismo selvaggio e un decisionismo privo di controlli.
L’Europa si astiene lasciando lontana da sé la difficile scommessa della democrazia indiana che prova ad andare avanti sulla via del tenere insieme le grandi diversità interne. E soprattutto lasciando soli gli Stati Uniti di Obama. Più soli nel mostrare le vie difficili – quasi temerarie – della speranza alle giovani gererazioni, nella possibilità di tessere comprensione vera tra diversi, nella via per riprendere un’altra idea di sviluppo, nella proposta di intehrare stato e concorrenza nella risposta alla crisi. E più sola nell’indicare un mondo ragionevole e possibile per tutti. Da questo punto di vista lo straordinario discorso di Obama al Cairo stride davvero con i risultati delle elezioni europee.
Così l’Europa si avviluppa sulla sua parte meno capace di dire e proporre. Perché si chiude in difesa. Perché non riconosce le origini della presente crisi. Perché non si confronta con il mondo e con le sue grandi questioni… Infatti ovunque vince o aumenta la destra conservatrice – quella che negli ultimi quindici anni almeno ha sostenuto il delirio liberista e la moltiplicazione del denaro attraverso denaro fittizio – un modello che ci ha portato dentro questa crisi. E’ paradossale eppure vero: è come se il partito di Bush vincesse in Europa, nonostante la crisi – o, anzi, proprio in virtù della crisi.
Perché accade ciò, a differenza che negli stati Uniti? Ci dobbiamo finalmente domandare in modo radicale – oggi – se e quanto pesano, in questo, i ruderi ideologici di una sinistra conservatrice, incapace di proposta, culturalmente autoreferenziale, inetta anche a pensare agli individui, alle loro libertà e, al contempo alla responsabilità collettiva; e sovranamente incapace di ricambio nel suo personale politico e nel suo metodo, nei suoi linguaggi e nei suoi contenuti… incapace di aprirsi e di ricercare e mettersi in gioco. In controtendenza il grande e piccolo successo di Cohen-Bendit in Francia - che aveva rotto da tempo con i brontosauri della sinistra (a differenza dei verdi italici) - forse ci dice qualcosa su questo tema.
L’Europa si ripara nei suoi mille provincialismi. Lo fa anche l’Italia sostenendo la Lega ma non solo: la nostra politica – tutta - ha fatto di queste elezioni una vicenda del nostro angusto cortile. Dentro il quale - si dica quel che si vuole – continua a regnare un bulletto di quarto ordine, sostanzialmente incontrastato.
L’Europa dei cittadini è più debole stamattina. Essa si chiude intorno a antiche difese di privilegi e pregiudizi. E a piccole o ignobili vicende nazionali e locali. E’ senza respiro, non mostra orizzonte.
Questo è un male enorme per i nostri figli.
E di più: l’Europa mostra anche una terribile tendenza a ricadere nelle ombre orribili del secolo scorso. Infatti i partiti euroscettici e i bagliori apertamente razzisti e anche fascisti hanno ottenuto forti consensi ovunque, dalla civilissima Londra a Milano a Vienna a Bratislava a Praga. E a Budapest. Penso in particolare a quel 16 percento di ungheresi che sostengono con il voto la recrudescenza antisemita e antizigana della destra estrema ungherese; nell’Ungheria che fu il territorio delle terribili armate dell’ammiraglio Horty che, durante la guerra, aiutarono i nazisti a portare allo sterminio 700.000 ebrei e 200.000 zingari magiari. E’ la storia triste di una parte della mia famiglia e dunque mi colpisce ancor di più. E poi: il risultato di Budapest non è qualcosa di alieno a noi… parla lo stesso straziante linguaggio, si nutre del medesimo humus che hanno fatto morire in quel modo il povero Petru nel centro della nostra città , che hanno permesso l’assalto ai campi Rom di un anno fa, che hanno fatto cacciare una donna africana da vicino al suo bambino appena nato…
E’ così: le grandi assunzioni di responsabilità di fronte alle sfide vere del nostro tempo – cittadinanza, sviluppo, ecologia - sono più lontane e alcuni mostri stanno ritornando. E l’America solitaria di Obama appare davvero troppo simile a quella di Roosvelt degli anni trenta.
Proviamo, almeno noi nel nostro piccolo, ad aprire un dibattito su queste cose. E evitiamo di avvilupparci a nostra volta solo sulle vicende della nostra povera provincia… che tra tutte è quella e sarà quella ancor più lontana da ogni prospettiva di sviluppo basato sulla difesa dei diritti di tutti e ciascuno…
Proviamo ad aprire un dibattito più largo almeno noi. Perché se non parliamo della crisi dell’Europa non abbiamo prospettiva alcuna neanche per le vicende nostre.

L'immagine mostra la concentrazione troposferica del biossido di azoto, proxy di inquinamento.

03 giugno, 2009

Non è tutto la stessa cosa

Sono più affezionato alle cose che si muovono in città tra le persone, per esempio la manifestazione di domani 4 giugno, (riunione oggi al Damm) in risposta alla pazzesca sparatoria di Montesanto e alla uccisione di Petru Birladeanu, ma qui mi tocca occuparsi di politica tra virgolette.

Le elezioni in questa città da tempo immemorabile si svolgono anche all’ombra dell’offerta (e, dunque, anche della domanda) di servigi atti a conquistare voti da parte di portatori di pacchetti dei medesimi come ancora una volta ha ieri denunciato Norberto Gallo.
Le democrazie sono creature imperfette. E Napoli è stato un laboratorio per lo studio di tali imperfezioni, fino a ispirare dei classici in materia.
E’ difficile dover constatare quanto sta messa male la politica in Italia e a Napoli e al contempo pensare che è bene provarci e riprovarci a migliorare la politica. Confesso che spesso penso che non ci sia molto da fare. Eppure davvero non mi sono molto congeniali quelli che dicono che fa tutto shifo comunque. Per esempio mi ha infastidito l’ultima sortita dell’assessore Velardi che, dalla sua posizione nella giunta Bassolino, invoca una politica “più interessante e più coinvolgente” un po’ contro tutto e tutti, posti su un unico piano.
Sì, la politica sta proprio messa malissimo in questo Paese. Ma non è vero che tutto sta sullo stesso piano. E mi ostino a pensare che – nel mondo imperfetto – le prime cose “interessanti e coinvolgenti” sono i piccoli segni di democrazia “meno imperfetta” che si muovono in una città come la nostra, in un Paese come l’Italia.
Insomma, proprio perché è una campagna elettorale brutta e deprimente, forse assume maggiore importanza la denuncia di Norberto. E forse acquista più valore il fatto che Gino Nicolais parla senza demagogia dello stato della provincia o del programma realistico che sta portando in giro – come ha fatto lunedì nell’incontro ad Ercolano a cui ho partecipato – davanti a un pubblico non fatto di ceto politico ma di insegnanti e giovani. E forse c’è da dare credito a Tommaso Sodano per una campagna elettorale pulita e di merito.

La foto è di delpax, il riferimento a Kandinsky.

30 maggio, 2009

Fabrizia, testimone dell’aspirazione alla politica

Oggi a Galassia Gutenberg c'è stato un pomeriggio dedicato al ricordo di Fabrizia Ramondino a un anno dalla sua scomparsa.

Oltre Napoli: la vita e l’opera di Fabrizia Ramondino

L'incontro è stato curato da Goffredo Fofi con Patrizia Cotugno, sono intervenuti e hanno portato testimonianze Iaia Caputo, Arturo Cirillo, Valentina De Rosa, Patrizio Esposito, Wlodek Goldkorn, Enzo Golino, Peppe Morrone, Giovanni Mottura, Andreas Muller, Livia Patrizi, Enrico Pugliese, Valeria Parrella, Paola Splendore, Assunta Signorelli.

Ho detto qualcosa anch'io e questo è il testo che ho cercato di seguire.


Esattamente 3 anni fa, il 30 maggio 2006, Fabrizia mi ha chiamato al telefono da Itri – si era simbolicamente candidata nella nostra lista, contenta di farlo, sapendo di straperdere; sì, il giorno dopo la sconfitta elettorale della nostra avventura di “decidiamo insieme” mi ha chiamato. E ha parlato un po’ di altro con la voce di ogni volta; poi è venuta rapidamente al dunque; e io ho annotato quello che mi ha detto:

“Marco caro, lo sai già, ma proprio perché hanno vinto così tanto, quelli fatti come noi, la strana gente che siamo, abbiamo maggiore responsabilità nel far valere il programma quello vero per i cittadini e per la città; c’è da tanto ma tanto da fare…”

Fabrizia si occupava d’altro. Lo sappiamo e le siamo riconoscenti. Ma la politica “la pensava” sempre.
E, allora - mi chiedo - quale era “ ‘sto programma quello vero per i cittadini e la città” che stava in testa a Fabrizia? Da dove veniva questa sua idea? E che cosa erano queste “maggiori responsabilità” di cui parlava?

Ce lo spiega bene Fabrizia nella sua bella intervista a Franco Sepe titolata “Questi vetruzzi finiti sulla spiaggia mi sembrano tante vite umane, chissà da dove vengono…”

“Come donna, come persona, come napoletana sono stata sempre impegnata nella questione sociale, poco dal punto di vista ideologico molto a livello concreto. La sinistra ufficiale, soprattutto quella comunista, tranne eccezioni, ha spesso considerato le nostre iniziative come inutili – la classica goccia nel mare – o addirittura le ha contrastate. Per formazione politica appartengo al filone del socialismo libertario – la mia tesi di laurea su Proudhon fu pubblicata nel ’65 sulla rivista anarchica “Volontà”, fondata da Giovanna Berneri, il cui marito Camillo fu ucciso durante la guerra di Spagna dagli stalinisti. Ovviamente ho salutato tutte le rivoluzioni sociali, da quella di Masaniello e di Cromwell alla rivoluzione francese alla Comune di Parigi a quella bolscevica. E naturalmente la lunga marcia di Mao. Ma il potere è una brutta bestia, logora e corrompe chi ce l’ha. Per me esercitare il potere significa che già mentre lo eserciti lo condividi e lo estendi a quanti più individui possibile.”

Questa suo orizzonte politico era costante nel tempo. Sette anni prima ne parlammo in occasione dell’uscita della versione italiana del libro “il bambino e la città” dell’anarchico inglese Colin Ward. Gli erano piaciute due citazioni.
La prima era del grande anarchico Petr Kropotkin, dalla sua definizione dell’anarchia, scritta per la Enciclopaedia Britannica. La lesse due volte ad alta voce, estasiata. Eccola:

“l’armonia non si ottiene per sottomissione alla legge o obbedienza alle autorità, ma grazie ai liberi accordi conclusi tra gruppi diversi, territoriali e professionali, liberamente costituiti nel nome della produzione e del consumo, nonché per il soddisfacimento dell’infinita varietà di bisogni e aspirazioni degli esseri civili”

La rileggeva. E mi piace ricordare i suoi occhi soddisfatti, ridenti.

La seconda era da Martin Buber e oggi pare quasi un controcanto a quello che Fabrizia ci ha lasciato in quella ultima intervista, quando dice che si era impegnata nella questione sociale e che diffidava del potere…. Eccola:

“Il predominio del principio politico, del potere, della gerarchia e del dominio sul principio sociale dell’associazione spontanea per le esigenze comuni provoca una continua diminuzione della spontaneità sociale espressa nella capacità e nella volontà di svolgere un ruolo attivo nella comunità.”

“Accussì, proprio accussì” – ripeteva.

E alla domanda , sempre di Franco Sepe – “secondo te come si combatte il potere?” – ecco la sua risposta:

“Tanto i grandi poteri, che provocano guerre fra popoli, opprimono le libertà individuali, ignorano il senso del limite, quanto quelli quotidiani, familiari o amicali, si combattono con l’immaginazione, la facoltà di immedesimarsi nell’altro, popolo o singolo che sia. E soprattutto con la diffusione dell’istruzione e della cultura – la vera cultura che non ha niente a che fare con l’indottrinamento ideologico o con l’uso che ne fanno sempre più i mezzi di comunicazione di massa. Se fossi un ministro della pubblica istruzione introdurrei già all’asilo l’insegnamento della musica classica antica e moderna, che con il suo metalinguaggio unisce invece di dividere. Kafka sosteneva che la cosa più difficile al mondo sono i quotidiani rapporti umani.”

E’ una risposta complicata. E anche sofferta. Parla di educazione – quando la politica non sa risolvere si parla sempre di educazione. Parla di musica e del carattere speciale di quel linguaggio. Quando pare che i linguaggi faticano ad avere un senso comune, si invoca la musica. E non è un caso che la citazione di Kropotkin sull’anarchia inzia, appunto, con la parola ‘armonia’. E parla poi – con uno scatto tipico di Fabrizia – delle relazioni tra persone, della difficoltà dei rapporti umani quotidiani. Rapporti quotidiani che sono stati difficili, spesso, per Fabrizia e con Fabrizia.
La impossibilità di una politica che sia lontano dal tessuto sociale vivo – che diventa tecnica del dominio – si lega all’idea della fatica delle relazioni e all’aspirazione all’armonia.
Un giorno sulla spiaggia di Laurito, commentando non ricordo quale vicenda di quella che comunemente si chiama politica, al commento di qualcuno – fatto con un velato senso di ammirazione - che diceva che non so chi aveva avuto grande “cazzimma”, Fabrizia, secca, replicò:
“ ‘a cazzimme è ‘a cazzimm e la politica e la politica”.
Ne seguì una delle molte, infinite nostre discussioni sulla relazione tra le due cose…. Ma era evidente che Fabrizia aveva scelto da tempo immemorabile la politica che non avesse relazione con quel altro ente.

Fabrizia perciò, fin da ragazza, si era dedicata alla questione sociale e alle sue azioni concrete come dimensione politica. Per libera scelta disincantata. Disincantata come è il disincanto di chi viene dalla borghesia e si impegna dall’altra parte perché, come una volta scrisse Fabrizia:
“Se l’esempio non viene dai ‘signori’ essi non sono degni di essere tali”.
Di chi si può permettere di fare senza incanto, appunto; e, dunque, di crederci – e lei ci credeva molto - ma sapendo anche tutto il resto.

Così voglio ricordare ancora una volta le sue giornate con i bambini della Torre a Quarto e della Pigna dove Fabrizia ha lavorato ogni giorno dalle 9 alle 16, per 6 anni, prendendo dalla vita gli argomenti per aprire con i ragazzi le vie del sapere, andando con loro in giro, fermandosi poi in una stanza semivuota qualsiasi, tra campagna e periferia, raccogliendo i loro racconti….

“Così ho celebrato il mio passaggio all’età adulta”.

Vi è un legame antico tra l’aspirazione alla politica – o, se si vuole all’utopia ma nella sua funzione politica – e i bambini.
Non so dirla altimenti che con la visione del profeta Isaia che piaceva molto a Fabrizia, su un tempo che sarà:
“Il vitello e l’orso frequenteranno insieme i medesimi pascoli e i loro piccoli riposeranno insieme… e farà loro da pastore un fanciulletto”

29 maggio, 2009

minuti 10 per la scuola


Brutte elezioni.
Ci sono 1600 candidati e una scheda di 50 centimetri per la nostra Provincia.

E nessuno quasi che parla di contenuti.
A sorpresa la coalizione di centro-sinistra che si riferisce a Nicolais mi ha chiesto di parlare per minuti dieci dei temi ai quali mi dedico da sempre, nel merito.

Non ho voluto dire di no. Perché dire anche poco sulle cose vive vale la pena comunque in questo deserto.

E, poi, parlo per quello che nei fatti sono: uno che si occupa di scuola e integrazione sociale, libero da appartenenze ma comunque non di destra.

24 maggio, 2009

Perdonate ma insisto


"Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura.
 Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perchè tengono lo stesso
 vestito per molte settimane.
 Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle 
città dove vivono, vicini gli uni agli altri.
 Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo
 appartamenti fatiscenti.
 Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina.
 Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.
 Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi
 dialetti.

Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina ma sovente
 davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani 
invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti.
 Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro.
 Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. 
Le nostre donne li evitano non solo perchè poco attraenti e selvatici ma
 perchè si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in
 strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.

I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma,
 soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel
 nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti
 o, addirittura, attività criminali."


"Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di
 comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare.
 Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le 
famiglie rimangano unite e non contestano il salario.
 Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima
 relazione, provengono dal sud dell'Italia.

 Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. 
La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione".



Relazione dell'Ispettorato per l'Immigrazione
 del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, 
Ottobre 1912.

La foto è del 1947, dall'archivio di Life Magazine.

17 maggio, 2009

Napoli divisa tra razzismo e antirazzismo

Un anno fa a Ponticelli, nella periferia est di Napoli, un campo rom è stato assaltato e gli abitanti scacciati. Oggi una manifestazione della Caritas e della Comunità di S. Egidio ricorda quell'episodio.
Ho scritto questo articolo per la Repubblica Napoli di oggi.

A un anno dall’assalto ai campi rom di Ponticelli si tiene al centro della nostra città una manifestazione per ricordare e per riflettere. E’ un’occasione civile importante. Che chiama a un esame impietoso di noi stessi. Come italiani e come napoletani.
Perché l’anno che è passato non è stato un buon anno per l’Italia in fatto di sentimenti e di azioni volte all’effettiva difesa dei diritti di tutti. Tanto è vero che il Capo dello Stato chiama a vigilare contro la crescente xenofobia e che, per la prima volta nella storia, è in atto un aperto conflitto tra il massimo garante posto a tutela dei diritti umani a livello planetario – le Nazioni Unite – e il governo del nostro Paese.
Ma anche a Napoli – bisogna pur dirlo – stiamo vivendo un tempo cupo, che vede la città profondamente divisa tra chi è preso dalla regressione razzista e chi si batte per una civiltà dei diritti.
E sono i nudi fatti a dircelo, a partire proprio da quelli di un anno fà a Ponticelli. Ricordiamone la triste sequenza. Mentre le autorità annunciavano lo sgombero legale, per ragioni igienico-sanitarie, di alcuni campi rom lasciati per decenni all’abbandono più scandaloso, bande di giovani e meno giovani, spesso con precedenti di mala, assaltavano le baracche rom e le bruciavano lanciando molotov dai motorini, mirando non solo ai luoghi ma alle persone. Nelle strade vicine, dinanzi alle telecamere della Rai, si urlava in loro convinto sostegno perché si dovevano “vendicare i furti di bambini”, un’accusa antica, che – nella storia umana – ha sempre accompagnato la persecuzione dei gruppi minoritari da parte di maggioranze frustrate dalle persistenti povertà e aizate dalle menzogne.
A Ponticelli ci si riferiva in quelle ore a un episodio di intrusione in una casa del quartiere da parte di una minorenne, subito assicurata alla giustizia e sulle cui circostanze e responsabilità la magistratura stava già indagando, minorenne poi risultata innocente.
Ma a Ponticelli, come nei pogrom nella Russia zarista dell’ottocento, il pregiudizio si mescolava anche agli interessi più grevi. E presto gli incursori rivelavano ai giornalisti che le attività illegali dei rom facevano aumentare la presenza, per loro fastidiosa, della polizia nel quartiere e che i rom erano loro diretti concorrenti nell’accumulazione di ferro, alluminio e rame da rivendere. E, infatti, bruciato il primo campo, i poliziotti erano costretti ad allontanare le bande di predatori che intendevano “riprendersi rame e ferro”. Intanto i TG della sera riprendevano gruppi di donne del quartiere che ballavano e urlavano come nelle feste delle orde; e esaltavano la vendetta contro la comunità rom in quanto tale, rea di essere tutta intera “ladra di bambini”… un’adagio cupo, che fin dal Medioevo ha accompagnato l’attacco agli ebrei e agli zingari d’Europa, fino alla Shoah.
Così lo sgombero legale annunciato è stato sostituito dall’assalto incendiario contro chi è diverso. Così lo stato ha ancora una volta perso il monopolio della forza. E così il diktat della camorra di quartiere si è sposato con la crescita del pregiudizio xenofobo. Il “sistema” ha fatto le ronde per assicurare il quieto vivere dell’economia illegale di sempre mentre annunciava strada per strada di “proteggere la popolazione dagli zingari cattivi”.
Resterà nella memoria negativa di Napoli il fatto che roghi e assalti hanno costretto alla fuga notturna circa 500 persone - vecchi, donne, bambini inermi - protette solo dai poliziotti e dai volontari della Caritas e della Comunità di S. Egidio. E resterà nella memoria positiva che questi volontari - circondati da una folla attrezzata al linciaggio, quello vero - hanno coraggiosamente trovato i furgoni e le auto per portare in salvo, viaggio dopo viaggio, decine di persone sistemandole per la notta nelle abitazioni di cittadini civili di questa città.
L’indomani, alla fine del saccheggio, bande di squadristi rovistavano tra le povere cose lasciate. Ma nelle aule del 88° circolo didattico dove, di lì a breve, avrebbe dovuto concludersi un progetto tra bambini rom riconquistati alla scuola pubblica e altri bimbi del quartiere – un lavoro basato sulla narrazione di fiabe rom, che uniscono – i bambini di Ponticelli coinvolti nel lavoro didattico piangevano disperati: “Abbiamo visto i nostri compagni di classe fuggire piangendo tra la folla inferocita”.
E la politica? Mentre venivano lanciate le molotov i partiti di destra e il PD, all’unisono, tacevano sulle violenze e insistevano sullo smantellamento dei campi. E il PD affiggeva un manifesto per le vie della sua roccaforte elettorale che resterà un’onta nella sua storia perché confondeva rifiuti e presenza rom chiamando alla loro immediata cacciata dal quartiere mentre le bande erano già all’assalto.
Ma quel che è ancor più grave è che nessuno con una funzione di rappresentanza politica è stato lì sul posto insieme alle forze dell’ordine. Né un parlamentare né un solo rappresentante di comune o provincia o regione. Nessuno è stato in grado di parlare con le due parti.
Queste cose sono avvenute l’anno scorso nella nostra città e – per la loro inaudita gravità - sono state oggetto di studio e riflessione da parte degli studiosi del razzismo e delle persecuzioni dell’Europa intera. E queste cose non sono, purtroppo, restate isolate. Anzi. Da allora c’è stato il massacro di lavoratori neri a Castel Volturno, i cortei contro gli stranieri nella zona occidentale, il pestaggio di un ragazzo italiano perché non era bianco, l’astio contro alunni rom di una scuola elementare sol perché una bimba rom era risultata positiva al test della TBC senza essere malata, la separazione “d’autorità” di una mamma africana dal suo bimbo appena nato in un ospedale cittadino.
Di fronte a tutto ciò sono poco credibili le ricorrenti prediche auto-assolutorie sulla buona natura partenopea, che sarebbe diversa da quella di altre parti d’Italia. Ed è davvero tempo che si torni anche a Napoli all’impegno sui diritti umani e civili.

14 maggio, 2009

Legalità sostenibile

Difficile curare il blog quando si passa molto tempo viaggiando su e giù per lo stivale. Spero di tornare a maggiore regolarità.
Mi sto occupando sempre di innovazione della scuola e dell’apprendimento professionale a Trento – dove ormai sto abitualmente quattro giorni a settimana. A proposito di scuola in generale segnalo il sito educationduepuntozero di cui curo la pagina dedicata alla “città educativa”.

Ho passato questa volta l’inizio settimana a Napoli. Dove 1500 (!) candidati si presentano per le provinciali, una roba terrificante e che da sola dimostra che non c’è spazio per contenuti, dibattito, confronto vero su cosa è e cosa dovrebbe o potrebbe essere la nostra provincia.
Mi sono incuriosito di altro perciò. Per esempio delle notizie su miei alunni ancora una volta emigrati al Nord dai Quartieri mentre altri, al contrario, sono in rientro a causa di licenziamenti al Nord. Mi ha poi colpito l’episodio – l’ennesimo – dei due giovanissimi motociclisti morti nella notte tra domenica e lunedì perché gareggiavano nella corsia preferenziale, da poco asfaltata, del Rettifilo (va chiamato proprio così in questo caso il Corso Umberto) e che si sono ‘toccati’ a quasi 200 km all’ora… La corsia sta ormai stabilmente assumendo la funzione di pista per scommesse e i feriti e i morti si moltiplicano. Polizia a controllare? Nemmeno dipinta. Mah?
E a proposito di “cambio di destinazione d’uso” di luoghi urbani vi è stato il blitz dei vigili a Piazza Mancini di cui scrivo su la Repubblica di Napoli di domani. Dopo aver letto le cronache degli eventi, ho preso il coraggio e chiamato l’assessore, prof. Raffa, che reputo brava persona e conosco da quasi quaranta anni. Mi pare che provi, almeno, a voler fare qualcosa in senso un po’ sensato e partecipativo: il mercato del pesce è stato bonificato e attrezzato, i venditori giovani del Centro antico hanno avuto occasioni legali di vendita nel Borgo orefici, vuole convincere a pensare in termini – finalmente! – di “legalità sostenibile”. Resta che gli stranieri devono fuggire con la mercanzia ogni due ore e che c’è stato lo scontro di piazza stamattina con tanto di minaccia con pistola sguainata da parte di un vigile urbano... Ma Napoli è anche molto complicata. Ecco comunque l’articolo:

Ieri mattina i vigili hanno tentato di avviare la trasformazione di Piazza Mancini da luogo che da lungo tempo è un mercato ad area attrezzata, con zone a parcheggio a pagamento.
I venditori si sono ribellati. Un vigile ha reagito estraendo una pistola, senza, per fortuna, sparare. Ne è nato un parapiglia, la minaccia di un presidio permanente e l’avvio di una mediazione tra amministratori e commercianti di strada.
L’amministrazione sta cercando di mettere ordine nell’uso dei suoli pubblici e di regolare meglio i mercati promuovendo un passaggio a una “legalità sostenibile” dei tanti diversi tipi di commerci di strada. Ci vorrà tempo. Ma forse c’è un disegno teso a creare spazi di vendita regolati senza penalizzare chi già vive di commercio. Dunque forse si riconosce - in particolare, da parte dell’assessore Raffa - che è tempo di superare una tipica trappola della vita della nostra città: tracciare confini rigidi tra ciò che è consentito e ciò che non lo è ma senza proporre vie di uscita per i soggetti interessati, salvo, poi, trovare soluzioni “aum aum”, ossia fondate sulla mediazione fatta fuori da ogni disegno pubblicamente espresso e luogo deputato. Dunque speriamo che davvero si affronti il nodo del come coinvolgere le persone che vivono di commercio in un processo di trasformazione del proprio lavoro e del proprio rapporto con gli spazi della città e con la legge.
In tale prospettiva l’episodio di Piazza Mancini può essere utile. Perché è un tipico esempio della complessità alla quale si deve rispondere con soluzioni condivise e differenziate. Infatti lì vi sono stati sempre posti vendita. Ma di natura diversa. Banchi vendita nati per strada ma divenuti fissi nel tempo e con clientele stabili. Banchi oggetto di ripetuta compravendita – si vende la mera occupazione di un dato spazio – e, dunque passati da molte mani in modo spesso poco chiaro. Oppure commerci di sussistenza di migranti, con o senza permesso di soggiorno, costretti a fuggire a ogni arrivo della polizia, come altrove in città; e stretti tra i fornitori, spesso legati al malaffare, la dura concorrenza e anche il conflitto con gli italiani, la necessità di sopravvivere. Tutti questi commerci - spesso direttamente legati a varie filiere controllate dalla camorra, altre volte no - sono certamente illegali. Così come lo sono molti parcheggi o pulmini abusivi o vendite porta a porta o lavoro domestico, ecc. E’ questa, però, una delle condizioni per sopravvivere in una città segnata dalla precarietà del lavoro e dalla vita sotto la soglia di povertà di quasi un terzo dei nostri concittadini. In questi modi intere famiglie hanno sbarcato il lunario, sposato i figli, pagato il mutuo. Piaccia o non piaccia. Fa parte del modello di sviluppo dei nostri luoghi, quello reale, quello tollerato e con il quale conviviamo tutti.
Misurarsi con questo e anche cambiare questo stato di cose si può. Lo si è fatto altrove nel mondo. Ma a condizione di discutere di un qualche modello di sviluppo che riprenda le mosse dalle produzioni di beni e servizi. Deve tornare finalmente all’ordine del giorno una città che produce – ora come ai tempi di Francesco Saverio Nitti. La vita civile non può fondarsi solo sulla gestione della spesa pubblica da parte della politica. E anche a condizione di proporre, appunto, vie di uscita per tutti e per ciascuno. Nel nostro caso: lotta tenace al controllo criminale sui commerci, riconoscimento della funzione economica e anche civile del commercio di strada, sostegno allo studio per i diversi tipi di licenze, spazi regolati e tassati ma anche accessibili. Di queste cose si può parlare con le persone di Piazza Mancini e altrove; e con la città. Perché la crescita della città si misura anche da queste piccole grandi cose.

20 aprile, 2009

La Pasqua che non rasserena affatto

Giorgio Napolitano subito dopo la consueta Pasqua napoletana, ha detto che “ha trovato un’atmosfera serena”. Davvero difficile essere d’accordo col presidente. Sarò fissato io ma, come diceva quel tale: “mi dicono che non è vero”. Povertà che si estende e si approfondisce, ragazzini che non vanno a scuola sempre di più, progetti e azioni di welfare locale gettati alle ortiche, nessun indizio di qualsivoglia idea campana per rispondere alla recessione… nessuno. E dato che vivo i due terzi dei miei giorni a Trento, ecco qui come in quella provincia autonoma il governatore risponde alla crisi e alla povertà.
Sarà il caso, magari, di confrontare ciò con tono, metodo e misure del governatore nostro campano sugli stessi temi? O, in materia di piano- casa, con quanto proposto dal nostro premier?

…. Lo so, lo so… Conosco l’obiezione: è vero che sono realtà ben diverse per consistenza dei fenomeni. Ma ogni tanto è anche utile trovare modelli e pietre di paragone. O no?
E poi cose assai poco rasserenanti bensì tremende accadono: un ragazzo di Scampia – Giovanni Tagliaferri – fa da paciere in una delle cento e cento risse metropolitane e lo ammazzano con uno dei cento e cento coltelli che stanno nelle tasche delle persone, spesso imbottite di coca o altro. E nella loro villa della Gaiola, a pochi metri proprio dalla serena residenza presidenziale di Marechiaro, vengono massacrati i coniugi Ambrosio in uno degli omicidi orrendi che connotano la nuova Italia della cosidetta sicurezza belusconiana, avvolta più che mai, invece, nella paura. Una roba così terribile ed emblematica che l’ho voluta commentare su Repubblica.

Della politica a Napoli e dell’imbarazzo che provo, in particolare, per quel che “propone” – si fa per dire - il centro-sinistra, proverò a dire quanto prima, se ci riesco... (sic!)

07 aprile, 2009

L’Aquila e Abou


Da ieri abbiamo lo sguardo su l’Aquila. E anche la mente e il cuore: quelli che vissero il terremoto “nostro” del 1980 e il terrore di quella sera e il lasciare la casa lesionata e il partire poi, come tanti da tutta Italia, per l’Irpinia so che hanno dentro le emozioni forti che vengono addosso da quel momento passato e – grazie a quelle stranezze della memoria umana - so che lo sentono come se fosse ieri. Gli odori, le voci, i visi, le mani, il rombo dei generatori, la gioia di salvare qualcuno e la pena orribile di essere arrivati tardi con qualcun altro; e il moto che da sotto continua a salire…

Sì, è l’Aquila che prende i pensieri. E poi continuo a nutrire pensieri pessimisti riguardo alla politica e alla politica napoletana in particolare, che ho espresso in un’intervista con Norberto Gallo.

Eppure stamattina sono un poco contento. Perché c’è una piccola buona notizia: il sindaco di Napoli, per una volta, ha dato ascolto al tam tam costruito dal basso. Insomma siamo riusciti a fare avere al piccolo Abou la cittadinanza almeno onoraria della nostra città. I 5000 e passa messaggi arrivati in comune hanno comunque prodotto un’importante riparazione simbolica. Una piccola campagna è riuscita. E dobbiamo ringraziare molto Daniela e chi ha commentato sul suo blog, Massimo Villone e un po’ anche questo mio articolo, apparso domenica su Repubblica di Napoli e che qui riporto:

In questa settimana abbiamo saputo di una storia su cui sarà saggio riflettere a lungo. È il 5 marzo. In un ospedale della nostra città una donna straniera di nome Kante è venuta a partorire. E ha dato vita a un figlio. Di nome Abou. La norma richiede che vi sia riconoscimento di madre e figlio. È una norma del codice civile per evitare la tratta di bambini. Che, in questo caso, non è una possibilità. Infatti il figlio è uscito dal grembo della donna nel luogo in cui si fa il riconoscimento e mater certa est. Di chi altri poteva mai essere figlio il piccolo Abou? Ciononostante le chiedono un formale riconoscimento. E non il giorno dopo, come normalmente si usa fare. Bensì il giorno stesso del parto.
La signora Kante è, però, in attesa di permesso di soggiorno in quanto persona che aveva richiesto asilo politico. Pertanto non ha il passaporto che è depositato a tal fine in questura. Ha tuttavia con sé un fascio di carte che recano molte notizie atte al riconoscimento: la fotocopia del passaporto medesimo, la fotocopia della richiesta di asilo da cui si evince che la pratica è ancora aperta e anche il numero di telefono dell´avvocato italiano che segue la pratica di asilo. Ma di fronte a queste carte l´ospedale non si prende un giorno di tempo e vuole subito il riconoscimento. La circolare della Regione Campania in materia parla di «necessità di identificare la madre per la dichiarazione di nascita e per il riconoscimento del nascituro che si pone nel caso di donna straniera temporaneamente presente priva di documenti di riconoscimento». La circolare, poi, specifica la procedura: «Riconoscimento sulla base di un valido documento; in mancanza di documento, mediante due testimoni; e facendo ricorso, in ultima analisi, all´autorità di polizia». Il personale dell´ospedale, sempre in data 5 marzo, non chiama la questura per sapere se la fotocopia del passaporto in possesso di Kante corrisponde al documento lì giacente, ma soprattutto non chiama l´avvocato né opta per la soluzione dei due testimoni. Non lo fa neanche in presenza del compagno di Kante, di nome Traore, nonostante che il signor Traore abbia un regolare permesso di soggiorno che scade in data 31 marzo. L´ospedale sceglie di inviare subito al commissariato un fax che «chiede vostro urgente interessamento per identificazione».
La storia ha destato scandalo. E oggi tutti vogliono che si chiuda bene. La Regione intende cambiare la circolare. Medici e ospedali raccontano delle tante buone accoglienze fatte. Kante ha ottenuto il permesso di soggiorno in attesa della sentenza di asilo ed è stata accolta dal presidente della Regione.
Ma in molti restiamo storditi e feriti. Perché questa città, che ha avuto una storia di accoglienze degli stranieri e ha visto i suoi figli andare per il mondo, nell´ultimo anno ha già conosciuto un assalto di massa con bombe incendiarie contro donne, vecchi e bambini inermi di un campo Rom, il massacro di lavoratori neri, i cortei contro stranieri, il pestaggio di un ragazzo italiano solo perché non era bianco, l´astio contro una bimba Rom colpevole di essere positiva al test della Tbc.
E perché in tanti ci troviamo a fare, volta dopo volta, le stesse domande. Che ci voleva ad aspettare un giorno accarezzando Kante e il suo bimbo? O a telefonare a quel numero del legale? O a chiedere a Kante di trovare due testimoni? Costava forse troppo fare poi le fotocopie dei documenti degli stessi? Era più rassicurante mandare quel fax perché è meglio mettere le carte a posto?
Kante ancora ieri ha ripetuto che è stata allontanata da suo figlio appena nato, che non ha potuto allattare per i primi giorni di vita. Il referto dell´ospedale nega tale evento. Sarà bene sapere la verità. Ma al di là di questo, Napoli è chiamata a cercare di nuovo il senso primo delle cose e ritornare al diritto delle persone. Semplicemente. E forse è per questo che oggi oltre tremila cittadini mandano e-mail in Comune e «chiedono al sindaco di conferire al bimbo clandestino nato a Napoli e denunciato quale clandestino con la madre la cittadinanza onoraria napoletana quale risarcimento morale per il torto ricevuto».

02 aprile, 2009

Kante e Abou


Non ho più voglia di interpretazioni e commenti. Sono troppo indignato. E ferito.
Come persona e come cittadino. Perché individuo una tragica linea che, nella nostra città, va dall’offesa intollerabile a una madre e una donna della Costa D’Avorio di nome Kante e a suo figlio Abou, a una indecorosa rivolta contro una bambina Rom di nove anni, al pestaggio di un ragazzo nero al centro della città, all’attacco ai lavoratori neri nel Casertano, al pogrom contro i campi Rom di Ponticelli e all’orribile manifesto che lo anticipò – sì anche quello.
Perché qui è tempo di serbare memoria lunga e non scordarsene neanche una. E di ripartire dalle fondamenta, dall’aurora: il rispetto dei diritti fondamentali delle persone.
E c’è somma urgenza di una riparazione e di un segnale civile.
Perciò: il sindaco dia la cittadinanza onoraria di Napoli al piccolo Abou. Subito.

Update: come fa notare d.l., è un'occasione per farsi sentire. E' stato aperto un gruppo su FB . Ma si può anche inviare una semplice email al sindaco (sindaco(chiocciola)comune.napoli.it). Sarebbe bello sommergere di richieste la cassetta della posta di Rosetta.

La foto viene da qui.