Difficile curare il blog quando si passa molto tempo viaggiando su e giù per lo stivale. Spero di tornare a maggiore regolarità.
Mi sto occupando sempre di innovazione della scuola e dell’apprendimento professionale a Trento – dove ormai sto abitualmente quattro giorni a settimana. A proposito di scuola in generale segnalo il sito educationduepuntozero di cui curo la pagina dedicata alla “città educativa”.
Ho passato questa volta l’inizio settimana a Napoli. Dove 1500 (!) candidati si presentano per le provinciali, una roba terrificante e che da sola dimostra che non c’è spazio per contenuti, dibattito, confronto vero su cosa è e cosa dovrebbe o potrebbe essere la nostra provincia.
Mi sono incuriosito di altro perciò. Per esempio delle notizie su miei alunni ancora una volta emigrati al Nord dai Quartieri mentre altri, al contrario, sono in rientro a causa di licenziamenti al Nord. Mi ha poi colpito l’episodio – l’ennesimo – dei due giovanissimi motociclisti morti nella notte tra domenica e lunedì perché gareggiavano nella corsia preferenziale, da poco asfaltata, del Rettifilo (va chiamato proprio così in questo caso il Corso Umberto) e che si sono ‘toccati’ a quasi 200 km all’ora… La corsia sta ormai stabilmente assumendo la funzione di pista per scommesse e i feriti e i morti si moltiplicano. Polizia a controllare? Nemmeno dipinta. Mah?
E a proposito di “cambio di destinazione d’uso” di luoghi urbani vi è stato il blitz dei vigili a Piazza Mancini di cui scrivo su la Repubblica di Napoli di domani. Dopo aver letto le cronache degli eventi, ho preso il coraggio e chiamato l’assessore, prof. Raffa, che reputo brava persona e conosco da quasi quaranta anni. Mi pare che provi, almeno, a voler fare qualcosa in senso un po’ sensato e partecipativo: il mercato del pesce è stato bonificato e attrezzato, i venditori giovani del Centro antico hanno avuto occasioni legali di vendita nel Borgo orefici, vuole convincere a pensare in termini – finalmente! – di “legalità sostenibile”. Resta che gli stranieri devono fuggire con la mercanzia ogni due ore e che c’è stato lo scontro di piazza stamattina con tanto di minaccia con pistola sguainata da parte di un vigile urbano... Ma Napoli è anche molto complicata. Ecco comunque l’articolo:
Ieri mattina i vigili hanno tentato di avviare la trasformazione di Piazza Mancini da luogo che da lungo tempo è un mercato ad area attrezzata, con zone a parcheggio a pagamento.
I venditori si sono ribellati. Un vigile ha reagito estraendo una pistola, senza, per fortuna, sparare. Ne è nato un parapiglia, la minaccia di un presidio permanente e l’avvio di una mediazione tra amministratori e commercianti di strada.
L’amministrazione sta cercando di mettere ordine nell’uso dei suoli pubblici e di regolare meglio i mercati promuovendo un passaggio a una “legalità sostenibile” dei tanti diversi tipi di commerci di strada. Ci vorrà tempo. Ma forse c’è un disegno teso a creare spazi di vendita regolati senza penalizzare chi già vive di commercio. Dunque forse si riconosce - in particolare, da parte dell’assessore Raffa - che è tempo di superare una tipica trappola della vita della nostra città: tracciare confini rigidi tra ciò che è consentito e ciò che non lo è ma senza proporre vie di uscita per i soggetti interessati, salvo, poi, trovare soluzioni “aum aum”, ossia fondate sulla mediazione fatta fuori da ogni disegno pubblicamente espresso e luogo deputato. Dunque speriamo che davvero si affronti il nodo del come coinvolgere le persone che vivono di commercio in un processo di trasformazione del proprio lavoro e del proprio rapporto con gli spazi della città e con la legge.
In tale prospettiva l’episodio di Piazza Mancini può essere utile. Perché è un tipico esempio della complessità alla quale si deve rispondere con soluzioni condivise e differenziate. Infatti lì vi sono stati sempre posti vendita. Ma di natura diversa. Banchi vendita nati per strada ma divenuti fissi nel tempo e con clientele stabili. Banchi oggetto di ripetuta compravendita – si vende la mera occupazione di un dato spazio – e, dunque passati da molte mani in modo spesso poco chiaro. Oppure commerci di sussistenza di migranti, con o senza permesso di soggiorno, costretti a fuggire a ogni arrivo della polizia, come altrove in città; e stretti tra i fornitori, spesso legati al malaffare, la dura concorrenza e anche il conflitto con gli italiani, la necessità di sopravvivere. Tutti questi commerci - spesso direttamente legati a varie filiere controllate dalla camorra, altre volte no - sono certamente illegali. Così come lo sono molti parcheggi o pulmini abusivi o vendite porta a porta o lavoro domestico, ecc. E’ questa, però, una delle condizioni per sopravvivere in una città segnata dalla precarietà del lavoro e dalla vita sotto la soglia di povertà di quasi un terzo dei nostri concittadini. In questi modi intere famiglie hanno sbarcato il lunario, sposato i figli, pagato il mutuo. Piaccia o non piaccia. Fa parte del modello di sviluppo dei nostri luoghi, quello reale, quello tollerato e con il quale conviviamo tutti.
Misurarsi con questo e anche cambiare questo stato di cose si può. Lo si è fatto altrove nel mondo. Ma a condizione di discutere di un qualche modello di sviluppo che riprenda le mosse dalle produzioni di beni e servizi. Deve tornare finalmente all’ordine del giorno una città che produce – ora come ai tempi di Francesco Saverio Nitti. La vita civile non può fondarsi solo sulla gestione della spesa pubblica da parte della politica. E anche a condizione di proporre, appunto, vie di uscita per tutti e per ciascuno. Nel nostro caso: lotta tenace al controllo criminale sui commerci, riconoscimento della funzione economica e anche civile del commercio di strada, sostegno allo studio per i diversi tipi di licenze, spazi regolati e tassati ma anche accessibili. Di queste cose si può parlare con le persone di Piazza Mancini e altrove; e con la città. Perché la crescita della città si misura anche da queste piccole grandi cose.
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