Ieri Repubblica-Napoli ha pubblicato questo mio fondo. Lo metto anche qui, per chi napoletano non è.
ll centro-sinistra ha di nuovo perso le elezioni. Di nuovo.
Infatti nelle elezioni politiche del 2008 il “laboratorio campano” di centro-sinistra - al quale Bassolino ha legato il suo nome - aveva già perso mezzo milione di voti, oltre il 12 percento. E nella città di Napoli la grande coalizione che ci governava aveva perduto 93.057 voti, passando dal 56,7% al 43,9% in un solo anno.
Già un anno fa, dunque, gli elettori o non votarono o votarono contro chi qui governava. Perché era finito un ciclo - come tutti dissero. Perché in aggiunta al vento di destra nazionale vi fu una reazione, alla prima utile occasione di voto, a più cose: alla mancata riconversione dello sviluppo locale dopo gli anni della dismissione delle industrie, alla persistenza della disoccupazione, al dilagare della camorra, alla palese distanza tra scopi dichiarati e uso della spesa pubblica, alla cattiva gestione degli enti locali. A lungo le disaffezioni elettorali sono restate in gestazione, in risposta a una crisi complessa della società, dell’economia e del modello di governo. Infine, è stata la crisi dei rifiuti che ha sgretolato il mito del buon governo del laboratorio campano ed ha dato vita alla caduta verticale dei consensi.
Allora il nostro governatore minimizzò la sconfitta e annunciò una “riflessione”. Ma si guardò bene dal farla. Egli – insieme a quasi tutto il ceto politico del quale è espressione - preferì affidarsi al tempo che passava; e all’idea che comunque chi controlla i rubinetti della spesa pubblica, ieri come oggi, può mantenere i voti.
Analizzare la crisi di consensi? Discutere delle diverse difficoltà che ogni governo locale incontra nel Mezzogiorno? Misurarsi con le effettive mancanze culturali o programmatiche della “classe politica e della classe dirigente più generalmente intesa” – come le chiamava Guido Dorso? No. Chi rifletteva fu avversato, chi analizzava indicato come illuso o tacciato di tradimento. Perché indeboliva il fronte comune quando i “barbari” del centro-destra erano alle porte. E non fu solo Bassolino. La verità è che la grande maggioranza di questo ceto politico di centro-sinistra – il capo, i capetti e i gregari - in fondo non conosce gli strumenti di analisi e intervento propri della complessità e, in più, non crede che governare c’entra con i fatti della vita quotidiana, per i quali le persone stanno peggio o meglio, possono sperare o non sperare, spendersi o non spendersi. Per loro “a’ politica è n’ata cosa”. E’ un ceto politico pervicacemente anti-obamiano. Che, perciò, non nutre più alcuna curiosità né rapporto con le ansie, i sentimenti, le emergenze vive delle persone. Con chi va a insegnare in una scuola di formazione professionale i cui macchinari sono quelli degli anni settanta e dove i ragazzi si assentano sempre più. Con chi apre la saracinesca di un negozio che vende sempre meno. Con quel trenta percento di cittadini che vivono con meno di mille euro al mese in una famiglia di quattro persone. Con chi sta in ansia la sera per il figlio che è andato a mangiare una pizza in un centro-città solcato da bande di ragazzini imbottiti di coca e armati di mazze di ferro, coltelli o anche pistole. Con chi ha già accompagnato figli e nipoti a vivere altrove. Con chi ogni volta guarda mestamente al luogo del giardino pubblico promesso e constata che il cantiere è fermo da anni.
Invece prevale da tempo l’idea che le persone non sono gli interlocutori indispensabili al farsi della politica ma sono categorie che corrispondono o a voci di spesa pubblica o a destinatari di messaggi elettorali. Perciò il centro sinistra perde. Perciò Napoli ha l’astensione al 48 percento. Perciò il PD - che dallo studio di Gad Lerner, Antonio Bassolino proclamava di “volere mettere in sicurezza” – è sceso, invece, al 27, 3 percento alle europee e al 24,5 alle provinciali. Contro il 35 delle politiche del 2008. E i cosidetti “barbari” sono entrati dalla porta principale.
Ora, dopo l’ennesima sconfitta, l’elettore di centro-sinistra deve sentirsi dire che non è detta l’ultima: “na cosa a vota”? Oppure che è colpa dell’imperizia del candidato alle provinciali? O che c’è stata la minore sconfitta – si fa per dire - alle europee grazie alla valanga di preferenze ottenute da quei suoi esponenti che hanno più direttamente gestito la spesa pubblica?
Non sarebbe meglio ascoltare le semplici parole “ce la siamo meritata”. Per poi poter finalmente affrontare la crisi e avviare una trasformazione radicale, senza la quale non ci sarà più un credibile centro-sinistra in Campania.
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