Un anno fa a Ponticelli, nella periferia est di Napoli, un campo rom è stato assaltato e gli abitanti scacciati. Oggi una manifestazione della Caritas e della Comunità di S. Egidio ricorda quell'episodio.
Ho scritto questo articolo per la Repubblica Napoli di oggi.
A un anno dall’assalto ai campi rom di Ponticelli si tiene al centro della nostra città una manifestazione per ricordare e per riflettere. E’ un’occasione civile importante. Che chiama a un esame impietoso di noi stessi. Come italiani e come napoletani.
Perché l’anno che è passato non è stato un buon anno per l’Italia in fatto di sentimenti e di azioni volte all’effettiva difesa dei diritti di tutti. Tanto è vero che il Capo dello Stato chiama a vigilare contro la crescente xenofobia e che, per la prima volta nella storia, è in atto un aperto conflitto tra il massimo garante posto a tutela dei diritti umani a livello planetario – le Nazioni Unite – e il governo del nostro Paese.
Ma anche a Napoli – bisogna pur dirlo – stiamo vivendo un tempo cupo, che vede la città profondamente divisa tra chi è preso dalla regressione razzista e chi si batte per una civiltà dei diritti.
E sono i nudi fatti a dircelo, a partire proprio da quelli di un anno fà a Ponticelli. Ricordiamone la triste sequenza. Mentre le autorità annunciavano lo sgombero legale, per ragioni igienico-sanitarie, di alcuni campi rom lasciati per decenni all’abbandono più scandaloso, bande di giovani e meno giovani, spesso con precedenti di mala, assaltavano le baracche rom e le bruciavano lanciando molotov dai motorini, mirando non solo ai luoghi ma alle persone. Nelle strade vicine, dinanzi alle telecamere della Rai, si urlava in loro convinto sostegno perché si dovevano “vendicare i furti di bambini”, un’accusa antica, che – nella storia umana – ha sempre accompagnato la persecuzione dei gruppi minoritari da parte di maggioranze frustrate dalle persistenti povertà e aizate dalle menzogne.
A Ponticelli ci si riferiva in quelle ore a un episodio di intrusione in una casa del quartiere da parte di una minorenne, subito assicurata alla giustizia e sulle cui circostanze e responsabilità la magistratura stava già indagando, minorenne poi risultata innocente.
Ma a Ponticelli, come nei pogrom nella Russia zarista dell’ottocento, il pregiudizio si mescolava anche agli interessi più grevi. E presto gli incursori rivelavano ai giornalisti che le attività illegali dei rom facevano aumentare la presenza, per loro fastidiosa, della polizia nel quartiere e che i rom erano loro diretti concorrenti nell’accumulazione di ferro, alluminio e rame da rivendere. E, infatti, bruciato il primo campo, i poliziotti erano costretti ad allontanare le bande di predatori che intendevano “riprendersi rame e ferro”. Intanto i TG della sera riprendevano gruppi di donne del quartiere che ballavano e urlavano come nelle feste delle orde; e esaltavano la vendetta contro la comunità rom in quanto tale, rea di essere tutta intera “ladra di bambini”… un’adagio cupo, che fin dal Medioevo ha accompagnato l’attacco agli ebrei e agli zingari d’Europa, fino alla Shoah.
Così lo sgombero legale annunciato è stato sostituito dall’assalto incendiario contro chi è diverso. Così lo stato ha ancora una volta perso il monopolio della forza. E così il diktat della camorra di quartiere si è sposato con la crescita del pregiudizio xenofobo. Il “sistema” ha fatto le ronde per assicurare il quieto vivere dell’economia illegale di sempre mentre annunciava strada per strada di “proteggere la popolazione dagli zingari cattivi”.
Resterà nella memoria negativa di Napoli il fatto che roghi e assalti hanno costretto alla fuga notturna circa 500 persone - vecchi, donne, bambini inermi - protette solo dai poliziotti e dai volontari della Caritas e della Comunità di S. Egidio. E resterà nella memoria positiva che questi volontari - circondati da una folla attrezzata al linciaggio, quello vero - hanno coraggiosamente trovato i furgoni e le auto per portare in salvo, viaggio dopo viaggio, decine di persone sistemandole per la notta nelle abitazioni di cittadini civili di questa città.
L’indomani, alla fine del saccheggio, bande di squadristi rovistavano tra le povere cose lasciate. Ma nelle aule del 88° circolo didattico dove, di lì a breve, avrebbe dovuto concludersi un progetto tra bambini rom riconquistati alla scuola pubblica e altri bimbi del quartiere – un lavoro basato sulla narrazione di fiabe rom, che uniscono – i bambini di Ponticelli coinvolti nel lavoro didattico piangevano disperati: “Abbiamo visto i nostri compagni di classe fuggire piangendo tra la folla inferocita”.
E la politica? Mentre venivano lanciate le molotov i partiti di destra e il PD, all’unisono, tacevano sulle violenze e insistevano sullo smantellamento dei campi. E il PD affiggeva un manifesto per le vie della sua roccaforte elettorale che resterà un’onta nella sua storia perché confondeva rifiuti e presenza rom chiamando alla loro immediata cacciata dal quartiere mentre le bande erano già all’assalto.
Ma quel che è ancor più grave è che nessuno con una funzione di rappresentanza politica è stato lì sul posto insieme alle forze dell’ordine. Né un parlamentare né un solo rappresentante di comune o provincia o regione. Nessuno è stato in grado di parlare con le due parti.
Queste cose sono avvenute l’anno scorso nella nostra città e – per la loro inaudita gravità - sono state oggetto di studio e riflessione da parte degli studiosi del razzismo e delle persecuzioni dell’Europa intera. E queste cose non sono, purtroppo, restate isolate. Anzi. Da allora c’è stato il massacro di lavoratori neri a Castel Volturno, i cortei contro gli stranieri nella zona occidentale, il pestaggio di un ragazzo italiano perché non era bianco, l’astio contro alunni rom di una scuola elementare sol perché una bimba rom era risultata positiva al test della TBC senza essere malata, la separazione “d’autorità” di una mamma africana dal suo bimbo appena nato in un ospedale cittadino.
Di fronte a tutto ciò sono poco credibili le ricorrenti prediche auto-assolutorie sulla buona natura partenopea, che sarebbe diversa da quella di altre parti d’Italia. Ed è davvero tempo che si torni anche a Napoli all’impegno sui diritti umani e civili.
2 commenti:
Caro Marco,
ti avranno detto come è andata la manifestazione. C'erano molte persone secondo me, della Caritas e della comunità di S.Egidio, c'erano immigrati, portatori di handicap, bambini, molti bambini; molte persone che di solito non vanno alle manifestazioni e che mi ha fatto molto piacere di vedere lì. Però c'era anche poca gente, di quella che va alle manifestazioni di solito, poche bandiere del sindacato, nessuna di partito, qualche "cane sciolto" ma appena appena. non c'era nemmeno la prevedibile "passerella" elettorale dei tanti candidati delle liste di sinistra. il che, a dire la verità, non è che dia fastidio, anzi. a dire la verità mi sono sentito bene come da molto tempo non mi capitava ad una manifestazione, e ne ho fatte tante, tante. c'era un bel clima, belle persone, c'erano le vittime dirette del razzismo e tanti che convivono ogni giorno con problemi gravi, fisici, psichici, sociali e che trovano nell'associazionismo, cristiano e non, un aiuto concreto e un veicolo di vera solidarietà, creano "comunità" di persone.
c'erano pochi invece della "società civile" e nessuno (quasi) della società politica, il che mostra un certo scollamento, la difficoltà (o il rifiuto) di metterla (o al limite "buttarla") in politica, di trarne un ragionamento politico. e se non si può metterla in politica, se non si traduce direttamente in polemica elettorale, non attira tanto. se come dici tu quell'appuntamento chiamava"a un esame impietoso di noi stessi. Come italiani e come napoletani" se ne deve concludere che, come italiani e come napoletani, questo esame non ci piace o, per lo meno, non siamo molto preparati. ne traggo personalmente l'impressione che il "fare politica", anche a sinistra, sia da tempo ormai cosa che non ha niente a che vedere con il "fare comunità" o con il sentirsi parte di una comunità. lo dico senza alcun intento polemico, mi ci sento dentro anche io. e capisco che le scadenze elettorali favoriscono l'assolutizzazione del punto di vista delle istituzioni a scapito della società. e si finisce facilmente per pensare che fare qualcosa contro il razzismo sia solo replicare alla Lega, opporsi a Berlusconi e ai respingimenti, raccogliere firme contro la Bossi-Fini.Certamente è anche quello, ma la gente che brucia i campi rom è quella che secondo i sondaggi dà l'80% dei consensi ai provvedimenti razzisti del governo. e invece quella che va alla manifestazione della Comunità di S.Egidio è sempre più sola.
Firmo e sottoscrivo il post di MRD e il commento di Spina.
Mi piacerebbe aggiungere qualcosa, ma avete detto davvero tutto.
Ieri sera un giovane rom è caduto innocente sotto i colpi di un commando della camorra; un agguato che ha visto anche il ferimento di un ragazzino di 14 anni.
Questa è la vera emergenza sicurezza, altro che ladri di bambini.
Qui parliamo di ladri di vite, ladri di risorse, persone che spezzano esistenze e le speranze di un'intera città.
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