Dalle nostre parti più che altrove l’aria che si respira nel costituire il Pd non è quella sperata. Perché le novità nel come fare un partito nuovo, in Campania, stanno subendo troppe tristi smentite.
Il Pd nasce, come si sa, introducendo tre vere novità. La prima è che si elegge una assemblea costituente di un partito il quale non è già definito e pronto per l’adesione ma chiama a un processo che ne stabilirà lo statuto, il programma e il segretario. Votando o facendo il candidato non ci si iscrive, dunque, già al partito; si partecipa al processo, alla fine del quale si può decidere se starci o meno. In secondo luogo gli stessi partecipanti non sono gli iscritti ai partiti che hanno deciso di sciogliersi per farne uno nuovo, bensì tutti i cittadini che intendono, appunto, partecipare. Chiunque, a partire dai 16 anni, può andare a votare, il 14 ottobre, con 1 euro, un documento valido e la tessera elettorale. In terzo luogo il processo di delega, attraverso le elezioni alla costituente, avviene sulla base di una stretta osservanza della parità tra donne e uomini: nel numero di candidati/e, di candidati/e capolista e nell’alternanza entro ogni lista.
Si sarebbe potuto fare di più e meglio nella cura dei meccanismi partecipativi e nelle aperture alle tante esperienze politiche che vivono fuori dai partiti. Ma va comunque riconosciuto che queste novità sono una gran cosa in un Paese terribilmente conservatore per quanto riguarda le forme di espressione della politica e che da sempre privilegia gli apparati e i capi rispetto alla cittadinanza attiva. Ma questa gran cosa è tale solo a condizione che quanto annunciato – e perciò atteso – corrisponda alla realtà dei fatti. In altre parole deve essere una cosa vera, autentica. Le liste devono davvero essere largamente aperte ai cittadini e non controllate dalle nomenclature e dai galoppini di partito. Deve veramente esserci il dibattito sui contenuti concreti della vita economica, culturale, sociale e questo deve prevedere momenti di confronto, anche diretti, espliciti e duri perché emergano le differenze tra le quali scegliere. L’alternanza dei candidati uomini e donne deve essere rigorosamente osservata, senza eccezioni.
Ma, appunto, l’aria che in Campania si respira non è questa. Non vi è ombra di dibattito di merito e il confronto è relegato ai nomi e agli schieramenti. Non sono annunciati confronti diretti. In troppe liste i posti sicuri sono coperti dagli apparati di partito mentre chi non ne fa parte è relegato nelle posizioni di coda. E, in ultimo – ma certo non per importanza – addirittura il collegio dei garanti, che dovrebbe difendere le regole condivise, le ha, invece, smentite e ha deciso di ammettere alla competizione campana liste che hanno impunemente calpestato il regolamento attribuendo un numero e un ordine di candidature che sfavorisce le donne.
Tuttavia va pur rimarcato che non è una notte in cui tutte le vacche sono nere. Sono, infatti, in modo particolare, estranee a questo andazzo le liste che sostengono Adinolfi, Bindi, Letta. Che premono per un dibattito vero e hanno liste fatte da moltissimi cittadini nuovi alla politica. E che hanno consegnato le liste secondo le regole e per tempo, mostrando di credere alla autenticità democratica di questo processo.
I potenti di sempre hanno, invece, innovato assai meno. E in vari casi hanno calpestato miserevolmente le stesse procedure pur condivise a parole, mostrandosi anche pre-potenti e contribuendo a infrangere speranze e ridurre interesse e partecipazione. Brutta storia. Che si ripete in molti modi. E che chiama a una stagione di battaglie democratiche davvero lunga. Ben oltre il 14 ottobre. E ben oltre il Pd.
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