Sono a Trento, ma la situazione in città pare che si sia davvero complicata. Ho scritto questo articolo per l'Unità di domani, 25 giugno. E vi penso.
Quando la terza città d’Italia è a rischio di epidemia, gli incendi diffondono la diossina ovunque, c’è vero pericolo per la salute soprattutto dei più deboli e vi sono segnali di una pericolosa esasperazione della popolazione, è tempo di politica alta, di politica vera. Ci vuole uno spirito che sia repubblicano e, al contempo, operativo, pragmatico. L’appello del presidente Napolitano ha significato questo. E’ la voce della ragione, quella che invoca il senso della comunità nazionale.
E che oggi significa cose molto concrete.
In primo luogo il governo nazionale deve subito emanare un decreto che consenta di trasferire i rifiuti nelle altre regioni che hanno dato la disponibilità ad occoglierli, secondo lo spirito evocato dal Presidente della Conferenza unificata stato-regioni, che ha subito risposto positivamente all’appello del Presidente della Repubblica. Nessun localismo o polemica irresponsabile e strumentale della Lega Nord è ammissibile.
In secondo luogo è bene che tutti sostengano i primi segnali di cambiamento positivo che stanno avvenendo a Napoli e in Campania, per quanto iniziali e È, infatti, possibile che vi siano i primi passi che vanno nella direzione giusta.
Il primo riguarda l’avvio di un coordinamento tra Regione Campania, Provincia e Comune, fondato finalmente sul principio di responsabilità condivisa e di riconoscimento reciproco delle diverse competenze. In tale spirito la regione deve continuare a stabilire bene i flussi dell’immondizia raccolta, proporre i luoghi per le discariche e rimettere in moto le linee di Acerra ora in avaria. La provincia deve trovare presto la soluzione per l’umido in discarica e potenziare gli impianti di cui è responsabile, poiché a febbraio aveva preso l’impegno di siti capaci di contenere un milione di tonnellate di rifiuti e bisogna passare ai fatti. Il comune deve rapidamente rivoluzionare i modi della raccolta, cosa che, ad onor del vero, si è subito messo a fare con i primi decreti di de Magistris, che invertono un’inerzia colpevole, durata dieci anni.
In questo spirito vanno subito portate via dalla Campania le 2200 tonnellate che oggi sono per strada. Su questo fronte il comune sta facendo uno sforzo enorme. Ha portato le azioni di rimozione a un ritmo di 24 ore su 24 e garantisce di prendere da terra ogni giorno le 1200 tonnellate quotidianamente prodotte più un’eccedenza di altre 400. Sta attivando isole ecologiche mobili e 4 siti di trasferenza. Ma oggi, subito, ha bisogno dell’aiuto di tutta Italia per trovare le destinazioni di tale raccolta straordinaria.
Inoltre, l’incontro di ieri tra il ministro Prestigiacomo e il sindaco de Magistris può significare che quasi un quarto dei 150 milioni di euro dei fondi Fas siano destinati all’avvio vero della raccolta differenziata a Napoli. Avvio vero: perché i due decreti del sindaco sulla differenziata e la riduzione dei rifiuti vanno in questa direzione e perché il suo staff, fatto di persone di provata competenza, sta finalmente costruendo, in poche ore, un piano operativo dettagliato di raccolta differenziata in tutti i quartieri, che può partire a pieno ritmo a settembre ma che già sta potenziando i risultati positivi nei quartieri pilota.
Presto sarà tempo di fare anche i bilanci duri per le molte occasioni perse. Perché tutta Italia possa imparare dalle colpe e dagli errori di chi non ha saputo o voluto costruire una politica responsabile a Napoli. Ma oggi chi si muove per il cambiamento non può pagare per le colpe dei predecessori. E si tratta di sostenere un’occasione di riscatto che non tornerà.
24 giugno, 2011
21 giugno, 2011
Lettere ai sindaci
Penso che sia un tempo per fare proposte. Che vengono dall’esperienza. Chiare. In positivo.
Sul prossimo numero del settimanale Vita, dedicato al settore non profit, ci saranno alcune lettere, sulle questioni dell’inclusione sociale, rivolte ai nuovi sindaci.
Per Milano ci sarà la scrittrice italo-egiziana Randa Gazhi.
Per Torino, il sociologo e ex presidente della commissione povertà Marco Revelli.
Per Napoli ci sarò io.
Ecco la mia lettera:
Caro Sindaco Luigi,
Tu e la tua giunta venite da una cultura e da esperienze anche personali profondamente vicine ai problemi di una città martoriata dall’esclusione sociale.
Ma la scena entro la quale siete chiamati – e siamo tutti chiamati - al compito va ben oltre le competenze e possibilità di un’amministrazione comunale. E chiama alla responsabilità nazionale. Questa è una verità incontrovertibile. Perché la quantità di famiglie e minori che vivono sotto la linea di povertà, di donne completamente escluse dal mercato del lavoro, di disoccupati uomini, di nuclei famigliari sostenuti da un solo reddito raggiunge percentuali doppie rispetto a una città del Nord. Perché i livelli di dispersione scolastica precoce sono tra i più elevati d’Europa. Perché il lavoro in nero ha numeri pari ai lavori precari e entrambi riguardano sia i giovani che le altre età. Perché ogni anno dell’ultimo decennio sei ragazzi su mille sono partiti per lavorare lontano, spesso per salari bassissimi. Perché il welfare è stato ridotto all’osso; e l’associazionismo, le reti di sostegno a disagio e esclusione, i progetti che avevano fatto scuola come buone pratiche sono stati costretti o a chiudere o a vivere sul crinale della sopravvivenza.
Il sindaco della terza città d’Italia può affrontare problemi così strutturali e macroscopici solo facendosi carico di mostrare la valenza nazionale del compito, facendo pesare il valore politico e simbolico del suo ruolo e, al contempo, attuando alcuni passi concreti che assumano una valenza di “segnale di riscossa”.
Così oggi siamo tutti chiamati a sostenere la tua fatica non su una cosa sola ma su tre compiti insieme:
1. va ripresa la battaglia culturale e politica tesa a chiedere al governo di interrompere il drenaggio di fondi per il welfare, di recuperare i fondi FAS, di ri-modulare i fondi europei e considerare finalmente la spesa sociale improrogabile, pena l’apertura di una stagione di vera rottura della coesione sociale a Napoli;
2. vanno ripristinati fondi e concertate linee-guida per usarli bene e rapidamente, convincendo regione e provincia ad uscire dallo stallo e farsi valere a Roma insieme al sindaco, per il bene comune, ben al di là dell’appartenenza politica;
3. vanno riaperti i cantieri sociali, riprese le cose che hanno funzionato, garantite le prime urgenze, favoriti il confronto e la partecipazione.
Su questo ultimo fronte, in particolare bisogna:
• mettere le organizzazioni non profit in condizioni di riprendere a lavorare, concordando il rientro dei fondi 328 con la regione, restituendo in poche rate l’insieme del debito vantato dal terzo settore, costituendo un fondo unico comunale protetto da altre spese, facendo del comune il garante presso le banche degli anticipi sulle spese già approvate per permettere a chi lavora nel sociale di essere pagato regolarmente;
• rendere trasparente e razionalizzare la spesa sociale attraverso un albo pubblico e concorsi specchiati per dirigenti e consulenti, costituire un luogo permanente di confronto su indirizzi e priorità delle politiche sociali (con pratiche di democrazia deliberativa che coinvolgano anche chi beneficia dei servizi), fare piani di priorità per zone, rilanciare le competenze dei servizi sociali comunali utilizzando subito i nuovi assistenti sociali;
• ricostruire le esperienze pilota a favore dei giovani esclusi legando il sostegno alla persona alla formazione e a esperienze di vero auto-impiego;
• attivare misure urgenti per i senza fissa dimora, le povertà estreme, le comunità rom.
Sappiamo quanto sia difficile riprendere il cammino. Ma possiamo farcela.
Sul prossimo numero del settimanale Vita, dedicato al settore non profit, ci saranno alcune lettere, sulle questioni dell’inclusione sociale, rivolte ai nuovi sindaci.
Per Milano ci sarà la scrittrice italo-egiziana Randa Gazhi.
Per Torino, il sociologo e ex presidente della commissione povertà Marco Revelli.
Per Napoli ci sarò io.
Ecco la mia lettera:
Caro Sindaco Luigi,
Tu e la tua giunta venite da una cultura e da esperienze anche personali profondamente vicine ai problemi di una città martoriata dall’esclusione sociale.
Ma la scena entro la quale siete chiamati – e siamo tutti chiamati - al compito va ben oltre le competenze e possibilità di un’amministrazione comunale. E chiama alla responsabilità nazionale. Questa è una verità incontrovertibile. Perché la quantità di famiglie e minori che vivono sotto la linea di povertà, di donne completamente escluse dal mercato del lavoro, di disoccupati uomini, di nuclei famigliari sostenuti da un solo reddito raggiunge percentuali doppie rispetto a una città del Nord. Perché i livelli di dispersione scolastica precoce sono tra i più elevati d’Europa. Perché il lavoro in nero ha numeri pari ai lavori precari e entrambi riguardano sia i giovani che le altre età. Perché ogni anno dell’ultimo decennio sei ragazzi su mille sono partiti per lavorare lontano, spesso per salari bassissimi. Perché il welfare è stato ridotto all’osso; e l’associazionismo, le reti di sostegno a disagio e esclusione, i progetti che avevano fatto scuola come buone pratiche sono stati costretti o a chiudere o a vivere sul crinale della sopravvivenza.
Il sindaco della terza città d’Italia può affrontare problemi così strutturali e macroscopici solo facendosi carico di mostrare la valenza nazionale del compito, facendo pesare il valore politico e simbolico del suo ruolo e, al contempo, attuando alcuni passi concreti che assumano una valenza di “segnale di riscossa”.
Così oggi siamo tutti chiamati a sostenere la tua fatica non su una cosa sola ma su tre compiti insieme:
1. va ripresa la battaglia culturale e politica tesa a chiedere al governo di interrompere il drenaggio di fondi per il welfare, di recuperare i fondi FAS, di ri-modulare i fondi europei e considerare finalmente la spesa sociale improrogabile, pena l’apertura di una stagione di vera rottura della coesione sociale a Napoli;
2. vanno ripristinati fondi e concertate linee-guida per usarli bene e rapidamente, convincendo regione e provincia ad uscire dallo stallo e farsi valere a Roma insieme al sindaco, per il bene comune, ben al di là dell’appartenenza politica;
3. vanno riaperti i cantieri sociali, riprese le cose che hanno funzionato, garantite le prime urgenze, favoriti il confronto e la partecipazione.
Su questo ultimo fronte, in particolare bisogna:
• mettere le organizzazioni non profit in condizioni di riprendere a lavorare, concordando il rientro dei fondi 328 con la regione, restituendo in poche rate l’insieme del debito vantato dal terzo settore, costituendo un fondo unico comunale protetto da altre spese, facendo del comune il garante presso le banche degli anticipi sulle spese già approvate per permettere a chi lavora nel sociale di essere pagato regolarmente;
• rendere trasparente e razionalizzare la spesa sociale attraverso un albo pubblico e concorsi specchiati per dirigenti e consulenti, costituire un luogo permanente di confronto su indirizzi e priorità delle politiche sociali (con pratiche di democrazia deliberativa che coinvolgano anche chi beneficia dei servizi), fare piani di priorità per zone, rilanciare le competenze dei servizi sociali comunali utilizzando subito i nuovi assistenti sociali;
• ricostruire le esperienze pilota a favore dei giovani esclusi legando il sostegno alla persona alla formazione e a esperienze di vero auto-impiego;
• attivare misure urgenti per i senza fissa dimora, le povertà estreme, le comunità rom.
Sappiamo quanto sia difficile riprendere il cammino. Ma possiamo farcela.
13 giugno, 2011
La giunta e la città
Non è solo la giunta a mettere nuovamente in gioco una città. Ci vuole la città intera a rimettere in moto le cose. E penso che ognuno deve ri-imparare a farlo e proporre e partecipare e inventare cose. E studiare soluzioni nuove. Studiare.
Ciò detto, la giunta è importante. E la giunta eccola, è fatta.
Sono persone che fanno parte di una cultura politica e anche tecnica che non è la mia. Ma non sono persone della casta. E esprimono volontà di azione. A Napoli non è poca cosa.
Vi sono stati e vi saranno commenti critici su talune scelte, come quella del magistrato Narducci, di D'Angelo e commenti distaccati e d’insieme.
I commenti non omologati, in democrazia, vanno letti con cura da chi governa e da tutti. Perché dobbiamo tutti, in questa città, ri-abituarci a un senso critico da cittadini, tanto diretto quanto propositivo; e dismettere rapidamente i toni da tifoseria, che poco hanno a che vedere con le fatiche necessarie ad un’autentica democrazia partecipativa, cosa seria e difficile da costruire e mantenere nel tempo.
Però, con franchezza, non condivido gli eccessi di critica. E non mi piace, neanche dentro di me, lo storcere il naso. Perché la giunta ha un grande pregio: rappresenta la città e il suo voto. Ed è del tutto naturale che il sindaco costruisca una squadra a sua misura: in ciò vi è una forza e una coerenza.
Mi dicono: avrebbe potuto aprire di più alle differenti voci e capacità della città, come a Milano. A me, invece, pare inutile e anche sbagliato fare raffronti. La giunta non è quella milanese e non ha il pluralismo promesso. Ma Napoli e il voto napoletano non sono Milano e il voto milanese. Questa è la nostra città ed è così e non in altra maniera che siamo potuti uscire da oltre quindici anni di devastante regime bassoliniano. Punto.
Perciò: va bene così. E’ giusto che il nuovo sindaco voglia cimentarsi col compito a partire dalla proposta che ha fatto e intorno alla quale ha vinto.
Inoltre, va pur detto che abbiamo subìto una sequela di giunte negli ultimi dieci anni e passa davvero insopportabili. Dunque, non è bene parlare male di questa ancor prima che si misuri col compito. Che è di quelli da fare tremare i polsi. E che richiede le sue concretezze, che sono già lì.
Perciò: da me oggi viene un augurio vero di buon lavoro.
Ciò detto, la giunta è importante. E la giunta eccola, è fatta.
Sono persone che fanno parte di una cultura politica e anche tecnica che non è la mia. Ma non sono persone della casta. E esprimono volontà di azione. A Napoli non è poca cosa.
Vi sono stati e vi saranno commenti critici su talune scelte, come quella del magistrato Narducci, di D'Angelo e commenti distaccati e d’insieme.
I commenti non omologati, in democrazia, vanno letti con cura da chi governa e da tutti. Perché dobbiamo tutti, in questa città, ri-abituarci a un senso critico da cittadini, tanto diretto quanto propositivo; e dismettere rapidamente i toni da tifoseria, che poco hanno a che vedere con le fatiche necessarie ad un’autentica democrazia partecipativa, cosa seria e difficile da costruire e mantenere nel tempo.
Però, con franchezza, non condivido gli eccessi di critica. E non mi piace, neanche dentro di me, lo storcere il naso. Perché la giunta ha un grande pregio: rappresenta la città e il suo voto. Ed è del tutto naturale che il sindaco costruisca una squadra a sua misura: in ciò vi è una forza e una coerenza.
Mi dicono: avrebbe potuto aprire di più alle differenti voci e capacità della città, come a Milano. A me, invece, pare inutile e anche sbagliato fare raffronti. La giunta non è quella milanese e non ha il pluralismo promesso. Ma Napoli e il voto napoletano non sono Milano e il voto milanese. Questa è la nostra città ed è così e non in altra maniera che siamo potuti uscire da oltre quindici anni di devastante regime bassoliniano. Punto.
Perciò: va bene così. E’ giusto che il nuovo sindaco voglia cimentarsi col compito a partire dalla proposta che ha fatto e intorno alla quale ha vinto.
Inoltre, va pur detto che abbiamo subìto una sequela di giunte negli ultimi dieci anni e passa davvero insopportabili. Dunque, non è bene parlare male di questa ancor prima che si misuri col compito. Che è di quelli da fare tremare i polsi. E che richiede le sue concretezze, che sono già lì.
Perciò: da me oggi viene un augurio vero di buon lavoro.
02 giugno, 2011
L’ignominia di Rosetta e i compiti di Luigi
Gigino “ha scassato”. Ma ora per Luigi c’è da fare. E il tempo stringe.
Però la colpa prima dei tempi stretti che piombono addosso a Luigi de Magistris è di Iervolino Russo Rosa.
Ho tante volte detto che Rosetta ha governato male, tanto che mi sono candidato contro, a suo tempo. E che l’ho fatto mentre molti, compresi taluni odierni esponenti dell’inner circle del nuovo sindaco, continuavano a sostenerla e guai a chi la criticava…
Ho di recente scritto – Rosa triste – che Iervolino Russo Rosa se ne è anche andata via male: con astio e senza stile – caratteristiche che, purtroppo, l’hanno spesso accompagnata – e soprattutto senza un bilancio del suo operare, che fosse pubblico, serio, ben composto. Un atto, questo, di raro malcostume politico.
Però la colpa prima dei tempi stretti che piombono addosso a Luigi de Magistris è di Iervolino Russo Rosa.
Ho tante volte detto che Rosetta ha governato male, tanto che mi sono candidato contro, a suo tempo. E che l’ho fatto mentre molti, compresi taluni odierni esponenti dell’inner circle del nuovo sindaco, continuavano a sostenerla e guai a chi la criticava…
Ho di recente scritto – Rosa triste – che Iervolino Russo Rosa se ne è anche andata via male: con astio e senza stile – caratteristiche che, purtroppo, l’hanno spesso accompagnata – e soprattutto senza un bilancio del suo operare, che fosse pubblico, serio, ben composto. Un atto, questo, di raro malcostume politico.
31 maggio, 2011
Il voto libero a Napoli
Questo articolo dovrebbe uscire domani, su La Stampa.
Lunedì sera le strade di Napoli si sono riempite di una gioia immane, quasi che il Napoli avesse vinto lo scudetto. Sono forze potenziali inaudite e, fino a poco fa, insperate. Che spingono Napoli fuori dalla lunga depressione.
Poi ci sarà un mondo da ricostruire. Ci saranno le fatiche. Ora, però, va riconosciuto che Luigi de Magistris ha colto il momento, la situazione matura e l’ha trascinata in avanti. Sì, in avanti. Perché si è sgretolato un intero sistema di potere che sembrava inossidabile, a sinistra come a destra. E che ha mutilato la terza città d’Italia per oltre tre lustri.
Non sappiamo cosa succederà. Ma da lunedì la politica buona a nulla ma capace di tutto, che ha attraversato gli schieramenti della città, non esiste più. E i suoi esponenti sono finiti.
Lunedì sera le strade di Napoli si sono riempite di una gioia immane, quasi che il Napoli avesse vinto lo scudetto. Sono forze potenziali inaudite e, fino a poco fa, insperate. Che spingono Napoli fuori dalla lunga depressione.
Poi ci sarà un mondo da ricostruire. Ci saranno le fatiche. Ora, però, va riconosciuto che Luigi de Magistris ha colto il momento, la situazione matura e l’ha trascinata in avanti. Sì, in avanti. Perché si è sgretolato un intero sistema di potere che sembrava inossidabile, a sinistra come a destra. E che ha mutilato la terza città d’Italia per oltre tre lustri.
Non sappiamo cosa succederà. Ma da lunedì la politica buona a nulla ma capace di tutto, che ha attraversato gli schieramenti della città, non esiste più. E i suoi esponenti sono finiti.
26 maggio, 2011
Tre cose
1 – Voto con convinzione Luigi De Magistris. E invito a votarlo.
Perché c’è una grande questione nazionale in palio. Perché la destra napoletana, quella di Lettieri, non è mai stata né liberale né fattiva. Bensì statalista per i fatti suoi e capace di tutto e buona a niente. Lo dimostrano due decenni di consociativismo e di mancata reale opposizione. E come ci dicono le gestioni recenti di Provincia e Regione, supine verso Roma e il leghismo e incapaci di qualsiasi slancio, novità, merito.
2 – La vittoria di De Magistris è la condizione per una svolta in città. Una città mortificata fino all’inverosimile sta esprimendo la propria rabbia. Alcuni di noi, io compreso, abbiamo sottovalutato l’urgenza di tale passaggio. La vittoria di De Magistris aprirà a una fase costruens. Andranno riparate le rovine e costruiti nuovi legami sociali e civili. E ci si dovrà per forza concentrare su misure, procedure, invenzioni, dispositivi, metodi, costanze di lavoro. Le cose indispensabili per far ripartire la città.
3 – Dentro questa nuova stagione – quella del governo nuovo, fatto in modo nuovo – un’anima giovane, fatta di ragazzi e ragazze di un’altra generazione da quelli della mia età, può diventare una guida civile. E un ricambio. Ma questo ricambio deve sapere da subito evitare le risacche dell’adesione. A favore del protagonismo propositivo. Dobbiamo sostenere tutti questa prospettiva. Ma – perché ciò accada - non possono esserci più i tanti che dopo essersi conformati a tutte le stagioni passate oggi premono per salire anche sul carro del prossimo vincitore. Vanno scelte, invece, persone che – come ha ripetuto De Magistris – siano state e siano coraggiose; il cui curriculum, in termini di scelte anche personali e di competenza, possa parlare per loro.
Molti di quelli che si sono esclusi, o che sono andati via possono ritornare in città. Ma perché ciò sia, è necessario che i troppi trasformismi non abbiano alcun premio. E siano invece e finalmente premiate l’innovazione e il sapere fare le cose e farle con gli altri. E’ tempo di imparare di nuovo. C’è urgenza di un radicale cambio di paradigmi e modi di fare. Negli obiettivi, nel metodo, nel linguaggio, nelle facce, negli stili.
Se ci sarà questa svolta si potrà andare avanti. Se non accade questo, no.
Perché c’è una grande questione nazionale in palio. Perché la destra napoletana, quella di Lettieri, non è mai stata né liberale né fattiva. Bensì statalista per i fatti suoi e capace di tutto e buona a niente. Lo dimostrano due decenni di consociativismo e di mancata reale opposizione. E come ci dicono le gestioni recenti di Provincia e Regione, supine verso Roma e il leghismo e incapaci di qualsiasi slancio, novità, merito.
2 – La vittoria di De Magistris è la condizione per una svolta in città. Una città mortificata fino all’inverosimile sta esprimendo la propria rabbia. Alcuni di noi, io compreso, abbiamo sottovalutato l’urgenza di tale passaggio. La vittoria di De Magistris aprirà a una fase costruens. Andranno riparate le rovine e costruiti nuovi legami sociali e civili. E ci si dovrà per forza concentrare su misure, procedure, invenzioni, dispositivi, metodi, costanze di lavoro. Le cose indispensabili per far ripartire la città.
3 – Dentro questa nuova stagione – quella del governo nuovo, fatto in modo nuovo – un’anima giovane, fatta di ragazzi e ragazze di un’altra generazione da quelli della mia età, può diventare una guida civile. E un ricambio. Ma questo ricambio deve sapere da subito evitare le risacche dell’adesione. A favore del protagonismo propositivo. Dobbiamo sostenere tutti questa prospettiva. Ma – perché ciò accada - non possono esserci più i tanti che dopo essersi conformati a tutte le stagioni passate oggi premono per salire anche sul carro del prossimo vincitore. Vanno scelte, invece, persone che – come ha ripetuto De Magistris – siano state e siano coraggiose; il cui curriculum, in termini di scelte anche personali e di competenza, possa parlare per loro.
Molti di quelli che si sono esclusi, o che sono andati via possono ritornare in città. Ma perché ciò sia, è necessario che i troppi trasformismi non abbiano alcun premio. E siano invece e finalmente premiate l’innovazione e il sapere fare le cose e farle con gli altri. E’ tempo di imparare di nuovo. C’è urgenza di un radicale cambio di paradigmi e modi di fare. Negli obiettivi, nel metodo, nel linguaggio, nelle facce, negli stili.
Se ci sarà questa svolta si potrà andare avanti. Se non accade questo, no.

21 maggio, 2011
Giovanni propone a De Magistris sulle politiche sociali
Il mio amico Giovanni Laino ha inviato, con competenza e umiltà, a Luigi De Magistris le seguenti chiare proposte su cosa fare a Napoli per le politiche di inclusione sociale.
Condivido totalmente e dunque riporto:
Dare una grande attenzione alla lotta alla povertà, con il rispetto dei diritti e con livelli dignitosi della spesa sociale, a partire dai compiti specifici del Comune, con particolare attenzione ai rioni più in difficoltà.
· Battaglia con il Governo e la Regione per ridestinare a Napoli quote significative dei fondi FAS e rimodulazione dei fondi europei per un fondo per la coesione sociale. Nel medio periodo recupero dell’evasione contributiva e delle multe.
· Pagamento in poche trance dell’insieme del debito vantato dalle organizzazioni non profit trovando una formula credibile per pagare le fatture di detti fornitori entro 90 giorni e per superare il criterio cronologico nei pagamenti delle spese per servizi sociali.
· Razionalizzazione della spesa sociale, progressiva lotta alla precarietà dei lavoratori del terzo settore, pretendendo una giusta retribuzione per i servizi esternalizzati.
· A partire dalle 165 nuove assistenti sociali riorganizzare i centri di servizio sociale territoriale valorizzando il lavoro di tutti gli addetti del Comune impegnati nei servizi.
· Favorire e rispettare l’autonomia politica delle organizzazioni, concertando la costruzione di formule di confronto permanente, trasparenti, senza confusione di ruoli, per realizzare pratiche di democrazia deliberativa che coinvolgano anche i beneficiari dei servizi.
· Incrementare il numero di asili nido.
· Chiedere e incentivare tutte le scuole di proprietà del Comune a consentire l’uso degli spazi sino a sera per attività sociali.
· Assegnare la delega per le politiche sociali e per l'educazione ad una persona di alto profilo e competenza di "chiara fama".
Cordiali e modesti saluti,
Giovanni Laino
Condivido totalmente e dunque riporto:
Dare una grande attenzione alla lotta alla povertà, con il rispetto dei diritti e con livelli dignitosi della spesa sociale, a partire dai compiti specifici del Comune, con particolare attenzione ai rioni più in difficoltà.
· Battaglia con il Governo e la Regione per ridestinare a Napoli quote significative dei fondi FAS e rimodulazione dei fondi europei per un fondo per la coesione sociale. Nel medio periodo recupero dell’evasione contributiva e delle multe.
· Pagamento in poche trance dell’insieme del debito vantato dalle organizzazioni non profit trovando una formula credibile per pagare le fatture di detti fornitori entro 90 giorni e per superare il criterio cronologico nei pagamenti delle spese per servizi sociali.
· Razionalizzazione della spesa sociale, progressiva lotta alla precarietà dei lavoratori del terzo settore, pretendendo una giusta retribuzione per i servizi esternalizzati.
· A partire dalle 165 nuove assistenti sociali riorganizzare i centri di servizio sociale territoriale valorizzando il lavoro di tutti gli addetti del Comune impegnati nei servizi.
· Favorire e rispettare l’autonomia politica delle organizzazioni, concertando la costruzione di formule di confronto permanente, trasparenti, senza confusione di ruoli, per realizzare pratiche di democrazia deliberativa che coinvolgano anche i beneficiari dei servizi.
· Incrementare il numero di asili nido.
· Chiedere e incentivare tutte le scuole di proprietà del Comune a consentire l’uso degli spazi sino a sera per attività sociali.
· Assegnare la delega per le politiche sociali e per l'educazione ad una persona di alto profilo e competenza di "chiara fama".
Cordiali e modesti saluti,
Giovanni Laino
Fare la speranza
Oggi è uscito su L'Unità questo mio articolo su Napoli
“Uscire dal buio, fare la speranza: è questo il fatto di questi giorni”. La frase me la dice Gino, dal suo cel: “Non mi interessa la politica ma fuori dal buio sì”. Non è uno studente universitario. E’ un ragazzino del mio quartiere che lavora in un bar. Ma ha la stessa voce dei ragazzi che hanno gridato durante l’inverno sui tetti e nelle vie. E che ora vanno a votare.
Anche a Napoli c’è un vento nuovo. E se c’è una città che ne ha bisogno è Napoli. Il suo buio è stato ed è ancora fitto. La povertà e la disoccupazione hanno i tassi più alti del paese. Siamo ultimi per qualità di vita. Quasi centomila persone sono andate via.
Questo governo e la destra c’entrano. Eccome. Ma in quasi venti anni di amministrazioni di centro-sinistra non s’è costruita un’idea di città produttiva e inclusiva.
“Uscire dal buio, fare la speranza: è questo il fatto di questi giorni”. La frase me la dice Gino, dal suo cel: “Non mi interessa la politica ma fuori dal buio sì”. Non è uno studente universitario. E’ un ragazzino del mio quartiere che lavora in un bar. Ma ha la stessa voce dei ragazzi che hanno gridato durante l’inverno sui tetti e nelle vie. E che ora vanno a votare.
Anche a Napoli c’è un vento nuovo. E se c’è una città che ne ha bisogno è Napoli. Il suo buio è stato ed è ancora fitto. La povertà e la disoccupazione hanno i tassi più alti del paese. Siamo ultimi per qualità di vita. Quasi centomila persone sono andate via.
Questo governo e la destra c’entrano. Eccome. Ma in quasi venti anni di amministrazioni di centro-sinistra non s’è costruita un’idea di città produttiva e inclusiva.
19 maggio, 2011
Troppi errori nel Pd, De Magistris ha capito la rabbia
Massimiliano Amato de l’Unità mi ha intervistato sul risultato delle elezioni a Napoli, questo è il testo uscito oggi.
Visto che è avvenuto, sostiene Marco Rossi Doria, l’arrevuoto era “filosoficamente necessario”. I giuristi direbbero: cosa fatta, capo ha. «Più o meno è così». E tuttavia, professore… «E tuttavia lo ammetto: avevo completamente sbagliato analisi». Il maestro di strada parla dall’”esilio” di Trento, ma le sue analisi squarciano il ventre di Napoli come lama acuminata. Nel 2006, indicò una prospettiva: uscire dal pantano con un metodo e un progetto di governo. Ma la sua battaglia rimase imprigionata nel recinto della testimonianza: snobbata dal centrosinistra ufficiale che si compattò sul nome di Rosa Russo Iervolino, poco percepita dalla base elettorale. Altri tempi. Se cominciamo con l’autocritica non la finiamo più.
«Mi lasci spiegare. Premessa: non c’è ironia, né risentimento, in quello che dico. Dopo che è stato scaraventato nella polvere l’eroe Bassolino, ho sperato nell’individuazione di un capo-cantiere per la ricostruzione».
Invece?
«Invece ora abbiamo un capo che indica il nemico, che sicuramente esiste. Ma è cosa abbastanza diversa rispetto all’aspirazione di cui sopra: va bene lo stesso»
E se fosse proprio ciò di cui Napoli ha bisogno?
«L’ho detto prima: quando una cosa accade, vuol dire che era filosoficamente necessaria. De Magistris, che al ballottaggio va sostenuto con tutte le forze per evitare la sciagura di consegnare il Comune a questo centrodestra, ha interpretato efficacemente la rabbia e l’indignazione della gente, l’insopportabilità della vita civile e sociale».
Si sente aleggiare un ma.
«De Magistris usa un metro: quello della rabbia, e quindi è sintonizzato perfettamente con questa particolare fase della storia della città. È un atteggiamento che produce una rottura».
Ma è un’offerta esaustiva?
«Da liberale rispondo che è un’offerta povera, ma è l’unica che c’è. E le responsabilità sono del centrosinistra: non ha ben governato, non ha fatto politica, avviluppato com’era nelle sue diatribe interne. Questo ceto politico autocentrato e autoreferenziale, da tempo parla solo di sé e tra sé. E, di fronte a tutte le provocazioni, compresa la mia piccola esperienza di cinque anni fa, ha resistito con stile sovietico. Sono quindici anni che un intero ceto politico, e non solo il capro espiatorio Antonio Bassolino, si rifiuta di ragionare su una nuova idea di città. Adesso non ci si può meravigliare».
Sembra di capire che lei si sarebbe volentieri risparmiato la fase termidoriana. È così?
«Non proprio. Io indicavo la necessità di fare non uno, ma due passi avanti: rottura e ricostruzione dovevano e potevano essere contestuali, anzi, la seconda conseguenza della prima. Ora lavorerò per far vincere De Magistris, ma anche per costruire un dopo. Se ce ne saranno le condizioni, ovviamente».
Mettiamola giù brutalmente secondo lei il Pd ha sbagliato candidato?
«Il prefetto Morcone era un eccellente candidato e sarebbe stato un eccellente sindaco, ma è arrivato dopo una sequela di errori inenarrabili. A me non piace piangere sul latte versato. La gente ha scelto e io rispetto il verdetto popolare. Adesso si è espressa la rottura, a un certo punto si dovrà pur aprire il cantiere. Se si vince».
Appunto se si vince?
«Vedremo come si apre questo cantiere, dove troveremo i soldi e le competenze per ricostruire la città».
Cioè?
«Dico solo che una cosa è la battaglia, tutt’altra la guerra. Una volta vinta la prima, poi comincia la fase del governo».
E il solo metro della rabbia potrebbe non bastare. Giusto?
«Io non ho capito che la rabbia era necessaria, e ho anticipato un’aspirazione ricostruttiva. Mi auguro che non si pensi che la rabbia sia sufficiente, perché sarebbe una tragica illusione»
Visto che è avvenuto, sostiene Marco Rossi Doria, l’arrevuoto era “filosoficamente necessario”. I giuristi direbbero: cosa fatta, capo ha. «Più o meno è così». E tuttavia, professore… «E tuttavia lo ammetto: avevo completamente sbagliato analisi». Il maestro di strada parla dall’”esilio” di Trento, ma le sue analisi squarciano il ventre di Napoli come lama acuminata. Nel 2006, indicò una prospettiva: uscire dal pantano con un metodo e un progetto di governo. Ma la sua battaglia rimase imprigionata nel recinto della testimonianza: snobbata dal centrosinistra ufficiale che si compattò sul nome di Rosa Russo Iervolino, poco percepita dalla base elettorale. Altri tempi. Se cominciamo con l’autocritica non la finiamo più.
«Mi lasci spiegare. Premessa: non c’è ironia, né risentimento, in quello che dico. Dopo che è stato scaraventato nella polvere l’eroe Bassolino, ho sperato nell’individuazione di un capo-cantiere per la ricostruzione».
Invece?
«Invece ora abbiamo un capo che indica il nemico, che sicuramente esiste. Ma è cosa abbastanza diversa rispetto all’aspirazione di cui sopra: va bene lo stesso»
E se fosse proprio ciò di cui Napoli ha bisogno?
«L’ho detto prima: quando una cosa accade, vuol dire che era filosoficamente necessaria. De Magistris, che al ballottaggio va sostenuto con tutte le forze per evitare la sciagura di consegnare il Comune a questo centrodestra, ha interpretato efficacemente la rabbia e l’indignazione della gente, l’insopportabilità della vita civile e sociale».
Si sente aleggiare un ma.
«De Magistris usa un metro: quello della rabbia, e quindi è sintonizzato perfettamente con questa particolare fase della storia della città. È un atteggiamento che produce una rottura».
Ma è un’offerta esaustiva?
«Da liberale rispondo che è un’offerta povera, ma è l’unica che c’è. E le responsabilità sono del centrosinistra: non ha ben governato, non ha fatto politica, avviluppato com’era nelle sue diatribe interne. Questo ceto politico autocentrato e autoreferenziale, da tempo parla solo di sé e tra sé. E, di fronte a tutte le provocazioni, compresa la mia piccola esperienza di cinque anni fa, ha resistito con stile sovietico. Sono quindici anni che un intero ceto politico, e non solo il capro espiatorio Antonio Bassolino, si rifiuta di ragionare su una nuova idea di città. Adesso non ci si può meravigliare».
Sembra di capire che lei si sarebbe volentieri risparmiato la fase termidoriana. È così?
«Non proprio. Io indicavo la necessità di fare non uno, ma due passi avanti: rottura e ricostruzione dovevano e potevano essere contestuali, anzi, la seconda conseguenza della prima. Ora lavorerò per far vincere De Magistris, ma anche per costruire un dopo. Se ce ne saranno le condizioni, ovviamente».
Mettiamola giù brutalmente secondo lei il Pd ha sbagliato candidato?
«Il prefetto Morcone era un eccellente candidato e sarebbe stato un eccellente sindaco, ma è arrivato dopo una sequela di errori inenarrabili. A me non piace piangere sul latte versato. La gente ha scelto e io rispetto il verdetto popolare. Adesso si è espressa la rottura, a un certo punto si dovrà pur aprire il cantiere. Se si vince».
Appunto se si vince?
«Vedremo come si apre questo cantiere, dove troveremo i soldi e le competenze per ricostruire la città».
Cioè?
«Dico solo che una cosa è la battaglia, tutt’altra la guerra. Una volta vinta la prima, poi comincia la fase del governo».
E il solo metro della rabbia potrebbe non bastare. Giusto?
«Io non ho capito che la rabbia era necessaria, e ho anticipato un’aspirazione ricostruttiva. Mi auguro che non si pensi che la rabbia sia sufficiente, perché sarebbe una tragica illusione»
18 maggio, 2011
Sostenere De Magistris e…
Ho, insieme a tanti, sostenuto Morcone. Che ha perso. C’è tanta gente niente affatto legata al cattivo centro-sinistra di Napoli che l’ha fatto. L’ho chiamato al telefono Morcone, a urne ancora aperte. Era tranquillo. Torna al suo lavoro. Una persona brava, concreta, equilibrata. Niente a che fare con il ceto politico. Che ora – ci possiamo giurare – lo lascerà da solo. Per salire su un carro, o l’uno o l’altro.
Poi, ha perso il Pd; e ben gli sta. E su questo si dovrà tornare. E tornare ancora.
Ma di valutazioni argomentate su come andava a finire il pd napoletano forse nessuno ne ha fatte, negli ultimi anni, più di chi scrive, sui giornali e qui. Non c’è peggiore sordo di chi non vuol sentire, chi è causa del suo mal… ecc.
Soprattutto ha vinto De Magistris. Bene così. E si va avanti. Il doppio turno è bello e serve per questo. De Magistris lo ha fatto usando bene, molto bene, il sentire profondo e indignato della città. Di questo gli va dato merito. La città ha voluto un capo, che desse voce a questo. Era una condizione necessaria. E De Magistris ha avuto ragione politica a sostenerla. “Amma scassà” – così ha gridato al comizio finale. E questo che serve a tanti cittadini e cittadine di Napoli oggi. Che, intanto, hanno bisogno di reagire e uscire dal pantano depressivo nel quale il ceto politico e l’amministrazione Iervolino ci hanno gettato. Perciò: il voto gli dà ragione. E gli consiglia di non apparentarsi con i partiti e di continuare su questa onda. E lo farà. E lo stesso voto dà torto a chi, come me, aveva sostenuto la necessità di una squadra guidata da una personalità sobria e operosa e non trascinante, più che di un capo capace di galvanizzare e ha argomentato che la ripresa di Napoli si fondasse, da subito, sulla ricostruzione più che sulla rabbia. Il voto sancisce, senza ombra di dubbio, che non è così. Avevo usato la metafora del capo-cantiere. Invece il voto dice che la domanda e il bisogno profondo erano quelle del capo-popolo.
E’ un risultato chiaro. Che va accolto. E poi ci sarà il poi… E ci vorrà anche il cantiere e le sue funzioni e un dibattito civico su come fare le cose, quando, con chi, con quali priorità e reperendo come i soldi. Ma questo sarà. E dovranno maturare le condizioni e i convincimenti profondi perché ciò sia.
Ora è evidente che si tratta di sostenere Luigi De Magistris. Darsi da fare. E davvero. Perché questo centro-destra va fermato.
Ho sostenuto anche Fernanda Tuccillo. Riporto qui di seguito alcune parti di quel che ci ha scritto:
Carissime/i,
i dati non sono ancora definitivi ma appare ormai evidente un risultato negativo per la lista nella quale ero candidata. C’è stato un chiaro voto di protesta; non spetta a me analizzare il voto e l’altissima percentuale di astensionismo… C´è un elemento su cui riflettere: lo scarso numero di preferenze espresse per me nei seggi del quartiere. Abbiamo sicuramente sbagliato qualcosa che, al momento, non si riesce a cogliere del tutto. Tuttavia, ripensando agli episodi di malcostume ai quali abbiamo assistito durante i giorni delle elezioni, mi sento di affermare che forse è stato chiesto troppo alla coscienza civica delle mamme del quartiere. La spiegazione del dato negativo potrebbe proprio essere spiegato con l´impossibilità, da parte di molti, a resistere alle pressioni e alle vessazioni cui sono state sottoposti.
E allora si riparte: avevo detto che, se eletta, avrei continuato a fare la preside, figuriamoci ora! Adesso l´impegno di tutti deve essere quello di consentire ai bambini e alle bambine di Napoli, quando saranno adulti, di esprimere il proprio voto in assoluta libertà. Grazie ancora!
Fernanda
Poi, ha perso il Pd; e ben gli sta. E su questo si dovrà tornare. E tornare ancora.
Ma di valutazioni argomentate su come andava a finire il pd napoletano forse nessuno ne ha fatte, negli ultimi anni, più di chi scrive, sui giornali e qui. Non c’è peggiore sordo di chi non vuol sentire, chi è causa del suo mal… ecc.
Soprattutto ha vinto De Magistris. Bene così. E si va avanti. Il doppio turno è bello e serve per questo. De Magistris lo ha fatto usando bene, molto bene, il sentire profondo e indignato della città. Di questo gli va dato merito. La città ha voluto un capo, che desse voce a questo. Era una condizione necessaria. E De Magistris ha avuto ragione politica a sostenerla. “Amma scassà” – così ha gridato al comizio finale. E questo che serve a tanti cittadini e cittadine di Napoli oggi. Che, intanto, hanno bisogno di reagire e uscire dal pantano depressivo nel quale il ceto politico e l’amministrazione Iervolino ci hanno gettato. Perciò: il voto gli dà ragione. E gli consiglia di non apparentarsi con i partiti e di continuare su questa onda. E lo farà. E lo stesso voto dà torto a chi, come me, aveva sostenuto la necessità di una squadra guidata da una personalità sobria e operosa e non trascinante, più che di un capo capace di galvanizzare e ha argomentato che la ripresa di Napoli si fondasse, da subito, sulla ricostruzione più che sulla rabbia. Il voto sancisce, senza ombra di dubbio, che non è così. Avevo usato la metafora del capo-cantiere. Invece il voto dice che la domanda e il bisogno profondo erano quelle del capo-popolo.
E’ un risultato chiaro. Che va accolto. E poi ci sarà il poi… E ci vorrà anche il cantiere e le sue funzioni e un dibattito civico su come fare le cose, quando, con chi, con quali priorità e reperendo come i soldi. Ma questo sarà. E dovranno maturare le condizioni e i convincimenti profondi perché ciò sia.
Ora è evidente che si tratta di sostenere Luigi De Magistris. Darsi da fare. E davvero. Perché questo centro-destra va fermato.
Ho sostenuto anche Fernanda Tuccillo. Riporto qui di seguito alcune parti di quel che ci ha scritto:
Carissime/i,
i dati non sono ancora definitivi ma appare ormai evidente un risultato negativo per la lista nella quale ero candidata. C’è stato un chiaro voto di protesta; non spetta a me analizzare il voto e l’altissima percentuale di astensionismo… C´è un elemento su cui riflettere: lo scarso numero di preferenze espresse per me nei seggi del quartiere. Abbiamo sicuramente sbagliato qualcosa che, al momento, non si riesce a cogliere del tutto. Tuttavia, ripensando agli episodi di malcostume ai quali abbiamo assistito durante i giorni delle elezioni, mi sento di affermare che forse è stato chiesto troppo alla coscienza civica delle mamme del quartiere. La spiegazione del dato negativo potrebbe proprio essere spiegato con l´impossibilità, da parte di molti, a resistere alle pressioni e alle vessazioni cui sono state sottoposti.
E allora si riparte: avevo detto che, se eletta, avrei continuato a fare la preside, figuriamoci ora! Adesso l´impegno di tutti deve essere quello di consentire ai bambini e alle bambine di Napoli, quando saranno adulti, di esprimere il proprio voto in assoluta libertà. Grazie ancora!
Fernanda
12 maggio, 2011
Votare persone
Anche questa volta le elezioni amministrative porteranno nel consiglio comunale di Napoli molte persone che sanno fare poco nella vita e hanno fatto della politica un business personale; che non dialogano con la città reale e sono distanti dalla fatica dei processi autenticamente partecipativi; che costruiscono consenso sulla base di scambio, di potere o peggio; che non studiano i problemi, non fanno proposte in modo disinteressato e competente; che appartengono a gruppi fondati su interessi e fedeltà a capi; che, inoltre, sono spesso molto provinciali, sciatti e anche dai modi privi di qualsiasi garbo, a dir poco.
E’ così. Lo sappiamo. Dobbiamo ricordarcene.
E’ per questo che ho deciso che, nei miei limiti, sosterrò delle persone che si sono, nella vita, opposte veramente a tutto questo. E che – perciò - sono portatrici di competenze, continuano a studiare, sono propositive perché sanno fare cose e conservano, inoltre, modi e metodi capaci di favorire dialogo pubblico e incontro tra cittadini e idee, anche nella diversità di vedute. Sono persone che rappresentano una città diversa. Che esiste ma non è stata rappresentata in questi anni se non da pochissimi.
Ce ne sono di persone così; io segnalo queste.
Ho già scritto qui che, per sindaco di Napoli, sostengo MARIO MORCONE. Anche per le sue competenze e le sue qualità umane. E più lo conosco e più di ciò sono convinto. Non sono ingenuo né ho cambiato idea su certo centro-sinistra. Non mi piacciono affatto molti che sostengono Morcone. Ma chi mi conosce sa che non mi bastano le questioni di schieramento basate sull’essere contro. Mario Morcone ha le doti per essere un buon sindaco.
Poi, mi hanno sollecitato, anche qui, a dire perché sono contro gli altri candidati. L’ho fatto per quello di destra, con ragionamenti inerenti a politica e legalità. Ma oltre non sono proprio voluto andare. Perché non c’è sempre bisogno di dire, in negativo, perché non votare per gli altri e non è sempre politicamente intelligente farlo, dato che si vota con due turni.
Per il Consiglio comunale, sostengo innanzitutto FERNANDA TUCCILLO. Che è candidata per la lista civica di Morcone.
Conosco Fernanda dal 1994. Ero appena stato comandato a fare il maestro di strada nei Quartieri Spagnoli, presso l'Associazione Quartieri Spagnoli, dall'allora Ministro Giovanni Berlinguer e lei insegnava in una scuola del Quartiere.
Parlavamo per ore di come aiutare ogni singolo ragazza e ragazzo. Per arrivare a costruire strategie educative operative, equilibrate, possibili. Tra scuola e fuori scuola. Coinvolgendo ogni volta il ragazzo innanzitutto. E la famiglia, le forze vive del quartiere, gli insegnanti.
Chi sa di queste cose sa anche quanto sia questo l'importante.
E sa, soprattutto, che nel fare per anni queste cose e nel studiare come farle si costruisce un metodo capace di guardare alla complessità, un metodo di studio, azione e partecipazione che è il più adatto a trovare soluzioni per la città insieme ai cittadini della città. In ogni campo.
Quel modo in Fernanda non è mai venuto meno.
Tra le persone che conosco il Pd a Napoli è considerato male. Perché ha fatto male e ha fatto male a lungo. Ma tra chi comunque decide di sostenerlo segnalo, per il consiglio comunale, GIULIANO LACCETTI, della rinnovata componente di Ignazio Marino.
Giuliano proviene dall'associazionismo; è professore ordinario di Informatica alla Federico II. Il suo contributo sui temi della ricerca e dell'innovazione culturale si coniuga con un'idea di città fondata sui diritti delle persone.
Per le Municipalità sostengo, in luoghi diversi, 3 candidati.
Per la Municipalità 1 invito a votare ANDREA FURGIUELE - che è candidato capolista del PD, entro l'area di Ignazio Marino. Andrea è radicale. Ha una storia di autentica rottura con il modo di fare politica che ci ha oppresso in questi anni, è una persona disinteressata ed aperta, impegnata da sempre con l'Associazione Ernesto Rossi di cui è segretario, che si batte attivamente per la legalità, la laicità, la civiltà democratica e la partecipazione, i diritti delle persone.
Nella Municipalità 8 invito a votare ERNESTO MOSTARDI nella lista del Partito Democratico. Ernesto è insegnante di filosofia alle scuole superiori, impegnato per la difesa e l'innovazione della scuola pubblica. La politica, per lui, non è un mestiere o l'occasione per accumulare vantaggi personali. Con il periodico on line Fuoricentroscampia.it mette in rete le esperienze e i linguaggi dell’Area Nord di Napoli.
Nella Municipalità 2 invito a votare ARTURO CASTALDI, nella lista Sinistra ecologia e libertà. Arturo è un giovane giurista colto e cosmopolita, impegnato per la legalità; è avvocato penalista docente di diritti umani. Ha passato l’ultimo anno e mezzo a Kabul nella Missione di RuleofLaw.
E’ così. Lo sappiamo. Dobbiamo ricordarcene.
Ce ne sono di persone così; io segnalo queste.
Ho già scritto qui che, per sindaco di Napoli, sostengo MARIO MORCONE. Anche per le sue competenze e le sue qualità umane. E più lo conosco e più di ciò sono convinto. Non sono ingenuo né ho cambiato idea su certo centro-sinistra. Non mi piacciono affatto molti che sostengono Morcone. Ma chi mi conosce sa che non mi bastano le questioni di schieramento basate sull’essere contro. Mario Morcone ha le doti per essere un buon sindaco.
Poi, mi hanno sollecitato, anche qui, a dire perché sono contro gli altri candidati. L’ho fatto per quello di destra, con ragionamenti inerenti a politica e legalità. Ma oltre non sono proprio voluto andare. Perché non c’è sempre bisogno di dire, in negativo, perché non votare per gli altri e non è sempre politicamente intelligente farlo, dato che si vota con due turni.
Per il Consiglio comunale, sostengo innanzitutto FERNANDA TUCCILLO. Che è candidata per la lista civica di Morcone.
Conosco Fernanda dal 1994. Ero appena stato comandato a fare il maestro di strada nei Quartieri Spagnoli, presso l'Associazione Quartieri Spagnoli, dall'allora Ministro Giovanni Berlinguer e lei insegnava in una scuola del Quartiere.
Parlavamo per ore di come aiutare ogni singolo ragazza e ragazzo. Per arrivare a costruire strategie educative operative, equilibrate, possibili. Tra scuola e fuori scuola. Coinvolgendo ogni volta il ragazzo innanzitutto. E la famiglia, le forze vive del quartiere, gli insegnanti.
Chi sa di queste cose sa anche quanto sia questo l'importante.
E sa, soprattutto, che nel fare per anni queste cose e nel studiare come farle si costruisce un metodo capace di guardare alla complessità, un metodo di studio, azione e partecipazione che è il più adatto a trovare soluzioni per la città insieme ai cittadini della città. In ogni campo.
Quel modo in Fernanda non è mai venuto meno.
Tra le persone che conosco il Pd a Napoli è considerato male. Perché ha fatto male e ha fatto male a lungo. Ma tra chi comunque decide di sostenerlo segnalo, per il consiglio comunale, GIULIANO LACCETTI, della rinnovata componente di Ignazio Marino.
Giuliano proviene dall'associazionismo; è professore ordinario di Informatica alla Federico II. Il suo contributo sui temi della ricerca e dell'innovazione culturale si coniuga con un'idea di città fondata sui diritti delle persone.
Per le Municipalità sostengo, in luoghi diversi, 3 candidati.
Per la Municipalità 1 invito a votare ANDREA FURGIUELE - che è candidato capolista del PD, entro l'area di Ignazio Marino. Andrea è radicale. Ha una storia di autentica rottura con il modo di fare politica che ci ha oppresso in questi anni, è una persona disinteressata ed aperta, impegnata da sempre con l'Associazione Ernesto Rossi di cui è segretario, che si batte attivamente per la legalità, la laicità, la civiltà democratica e la partecipazione, i diritti delle persone.
Nella Municipalità 8 invito a votare ERNESTO MOSTARDI nella lista del Partito Democratico. Ernesto è insegnante di filosofia alle scuole superiori, impegnato per la difesa e l'innovazione della scuola pubblica. La politica, per lui, non è un mestiere o l'occasione per accumulare vantaggi personali. Con il periodico on line Fuoricentroscampia.it mette in rete le esperienze e i linguaggi dell’Area Nord di Napoli.
Nella Municipalità 2 invito a votare ARTURO CASTALDI, nella lista Sinistra ecologia e libertà. Arturo è un giovane giurista colto e cosmopolita, impegnato per la legalità; è avvocato penalista docente di diritti umani. Ha passato l’ultimo anno e mezzo a Kabul nella Missione di RuleofLaw.
28 aprile, 2011
Endorsement
Questo è l’articolo, uscito su La Repubblica Napoli il giorno di Pasqua, con il quale ho argomentato la mia preferenza per Morcone.
Cinque anni fa mi sono presentato alle primarie, che furono annullate; e dunque a sindaco. In tanti costruimmo una lista civica. Con un programma realizzabile e ancora largamente attuale. In quella prova di democrazia – il doppio turno è questo – fummo accusati di favorire Berlusconi e di altre cose non vere. Fui e fummo sconfitti. Ma – come ebbe a dire la compianta Monica Tavernini – “abbiamo commesso errori, abbiamo detto molte verità, fatto proposte serie, perseguito un metodo di confronto tra appartenenze diverse sul da fare per la città e soprattutto ci siamo divertiti”. Siamo tornati ognuno a fare il proprio mestiere. Senza risentimenti, rivendicazioni o cooptazioni. In una città dove la politica è divenuta una pratica aggressiva e noiosa, che viene usata per molte rendite e con pochi risultati, quella dimensione civica, gaia e attenta all’ascolto dell’altro resta la promessa.
Oggi molte persone che hanno vissuto quella esperienza sostengono uno o l’altro degli attuali candidati. E spesso portano alla presente prova elettorale metodi, elementi di programma, speranze nati allora. C’è da esserne contenti. E per fortuna nessuno più si permette di dire che l’avere al primo turno tanti candidati favorisce chi sa quali terribili pericoli.
Ciò detto, il tempo non è passato bene. Né per la città né per la politica.
La povertà ha i tassi più alti del paese. Siamo ultimi per qualità di vita. Quasi centomila persone sono andate via. Sono le persone meglio preparate, più libere, giovani e fattive. Siamo tornati sotto il milione di abitanti, come sessanta anni fa. Non si è fatto mai il piano strategico promesso per uscire dalla crisi industriale che ebbe inizio quaranta anni fa e un idea di città produttiva non ha trovato la sua via. Il piano regolatore è rimasto un moloch disatteso. Ma mentre i suoi proponimenti hanno languito protetti da un delirio dirigista, è successo che, in mille rivoli incontrollati, piccoli e grandi potenti hanno fatto quel che volevano mentre, specularmente, le esperienze di “rispettoso e creativo uso della città” sono state derise e mortificate. Il decentramento amministrativo non ha avuto strumenti per diventare tale. Salvo creare un esercito di mediatori clientelari in ogni quartiere e di ogni colore. La manutenzione ordinaria semplicemente non esiste e strade, sottosuolo, fogne, spazi pubblici ne sono la prova. Non si è mai voluto credere alla raccolta differenziata. La più parte delle opere pubbliche ristagna da anni. La città dei bambini si è eclissata. Le politiche per il welfare e la scuola si sono trascinate nell’inerzia, fino a fare chiudere le tante buone iniziative. La macchina comunale è almeno venti anni indietro rispetto a una normale città europea. Le società partecipate sono state largamente improduttive mentre hanno foraggiato intere schiere di parassiti. Il budget è a un passo dal dissesto.
E la politica? Mancano venti giorni alle elezioni e ancora si spera – lo dico senza ironia - che il sindaco uscente consegni alla città l’elenco delle cose fatte e non fatte, il pubblico bilancio del proprio operato di dieci anni. Vedremo. Ma, intanto, a nessuno sfugge che viviamo in una città peggiorata come poche volte in tempo di pace. E poiché questo non era un risultato inevitabile, è largamente dovuto alla politica locale. In primis al centro-sinistra che ha governato male. E anche alla destra, che non ha proposto vera alternativa. In aggiunta, la gestione della crisi ha visto costanti trasferimenti di capitali da sud a nord colpendo la nostra economia mentre i forti tagli nei trasferimenti pubblici alle città penalizzano chi sta peggio, evidenziando la volontà di punire il Sud da parte di un governo molto amico della lega e poco di Napoli.
Così andiamo al voto. E sappiamo tutti che ci andiamo menomati nella nostra stessa libertà di scelta a causa di un sistema di consenso anomalo perché condizionato da “pacchi di voti” controllati su base di scambio o peggio. Il che, in una città povera, è parte integrante dell’esclusione sociale e civile, qualcosa di molto pervasivo, che attraversa ogni forza politica.
E’ in questa situazione che ho deciso di sostenere la candidatura a sindaco di Mario Morcone.
Infatti non posso votare Lettieri. Perché la sua candidatura è stata decisa su diretta indicazione di Silvio Berlusconi. Perché il centro-destra è condizionato in tutto dalle politiche del governo più anti-meridionalista della storia e perché - una volta conquistate provincia e regione - non ha mostrato alcun buon risultato né orizzonte di speranza. Inoltre egli è legato alla porzione più opaca del suo schieramento, con la forte influenza di Cosentino. Quando sul palco degli appelli finali saranno fianco a fianco il Berlusconi di questi mesi terribili, Cosentino e Lettieri, sarà difficile non vedere di che si tratta.
E rispetto agli altri candidati – intendo dirlo in positivo - preferisco Morcone perché egli rappresenta una chiara cesura: è un prefetto e ha un profilo tale da promettere una ormai indispensabile sospensione del fallimentare primato delle vicende di partiti e correnti di tanto centro-sinistra locale. Egli sta mostrando in queste settimane di volere stare ancorato alle cose da fare, di comprenderne la complessità, di avere più passione per la costruzione di soluzioni che per le denunce e le promesse. Ha un’evidente propensione – nel profilo umano come nel lessico - alla riparazione più che al grido. E Dio sa quanto ne abbiamo bisogno. Infatti Morcone non evoca il salvatore della patria che tanto danno ha fatto alla nostra città, così incline a farsi intrappolare tra mitizzazione del capo-salvatore e sua trasformazione in capro espiatorio. Se della lunga stagione passata dobbiamo imparare qualcosa, questa è che non abbiamo più bisogno di capi eroici a cui giurare fedeltà e di proclami altisonanti. Morcone ha scelto di mostrarsi per quello che è: un capo cantiere sofisticato, solido, pacato e costante. Con cui confrontarsi sulle cose possibili, con garbo e attenzione al come fare. Dicono questo di lui il suo profilo professionale, i suoi tanti estimatori, il suo stile. E poi i risultati del suo lavoro all’estero, sui rifugiati, sui beni sequestrati al malaffare. E lo dice il modo con il quale sono stati conseguiti: ascolto, gioco di squadra, decisione. E’ intorno a una persona così che, con fatica, si possono rimuovere le nostre macerie e far ripartire la città.
Cinque anni fa mi sono presentato alle primarie, che furono annullate; e dunque a sindaco. In tanti costruimmo una lista civica. Con un programma realizzabile e ancora largamente attuale. In quella prova di democrazia – il doppio turno è questo – fummo accusati di favorire Berlusconi e di altre cose non vere. Fui e fummo sconfitti. Ma – come ebbe a dire la compianta Monica Tavernini – “abbiamo commesso errori, abbiamo detto molte verità, fatto proposte serie, perseguito un metodo di confronto tra appartenenze diverse sul da fare per la città e soprattutto ci siamo divertiti”. Siamo tornati ognuno a fare il proprio mestiere. Senza risentimenti, rivendicazioni o cooptazioni. In una città dove la politica è divenuta una pratica aggressiva e noiosa, che viene usata per molte rendite e con pochi risultati, quella dimensione civica, gaia e attenta all’ascolto dell’altro resta la promessa.
Oggi molte persone che hanno vissuto quella esperienza sostengono uno o l’altro degli attuali candidati. E spesso portano alla presente prova elettorale metodi, elementi di programma, speranze nati allora. C’è da esserne contenti. E per fortuna nessuno più si permette di dire che l’avere al primo turno tanti candidati favorisce chi sa quali terribili pericoli.
Ciò detto, il tempo non è passato bene. Né per la città né per la politica.
La povertà ha i tassi più alti del paese. Siamo ultimi per qualità di vita. Quasi centomila persone sono andate via. Sono le persone meglio preparate, più libere, giovani e fattive. Siamo tornati sotto il milione di abitanti, come sessanta anni fa. Non si è fatto mai il piano strategico promesso per uscire dalla crisi industriale che ebbe inizio quaranta anni fa e un idea di città produttiva non ha trovato la sua via. Il piano regolatore è rimasto un moloch disatteso. Ma mentre i suoi proponimenti hanno languito protetti da un delirio dirigista, è successo che, in mille rivoli incontrollati, piccoli e grandi potenti hanno fatto quel che volevano mentre, specularmente, le esperienze di “rispettoso e creativo uso della città” sono state derise e mortificate. Il decentramento amministrativo non ha avuto strumenti per diventare tale. Salvo creare un esercito di mediatori clientelari in ogni quartiere e di ogni colore. La manutenzione ordinaria semplicemente non esiste e strade, sottosuolo, fogne, spazi pubblici ne sono la prova. Non si è mai voluto credere alla raccolta differenziata. La più parte delle opere pubbliche ristagna da anni. La città dei bambini si è eclissata. Le politiche per il welfare e la scuola si sono trascinate nell’inerzia, fino a fare chiudere le tante buone iniziative. La macchina comunale è almeno venti anni indietro rispetto a una normale città europea. Le società partecipate sono state largamente improduttive mentre hanno foraggiato intere schiere di parassiti. Il budget è a un passo dal dissesto.
E la politica? Mancano venti giorni alle elezioni e ancora si spera – lo dico senza ironia - che il sindaco uscente consegni alla città l’elenco delle cose fatte e non fatte, il pubblico bilancio del proprio operato di dieci anni. Vedremo. Ma, intanto, a nessuno sfugge che viviamo in una città peggiorata come poche volte in tempo di pace. E poiché questo non era un risultato inevitabile, è largamente dovuto alla politica locale. In primis al centro-sinistra che ha governato male. E anche alla destra, che non ha proposto vera alternativa. In aggiunta, la gestione della crisi ha visto costanti trasferimenti di capitali da sud a nord colpendo la nostra economia mentre i forti tagli nei trasferimenti pubblici alle città penalizzano chi sta peggio, evidenziando la volontà di punire il Sud da parte di un governo molto amico della lega e poco di Napoli.
Così andiamo al voto. E sappiamo tutti che ci andiamo menomati nella nostra stessa libertà di scelta a causa di un sistema di consenso anomalo perché condizionato da “pacchi di voti” controllati su base di scambio o peggio. Il che, in una città povera, è parte integrante dell’esclusione sociale e civile, qualcosa di molto pervasivo, che attraversa ogni forza politica.
E’ in questa situazione che ho deciso di sostenere la candidatura a sindaco di Mario Morcone.
Infatti non posso votare Lettieri. Perché la sua candidatura è stata decisa su diretta indicazione di Silvio Berlusconi. Perché il centro-destra è condizionato in tutto dalle politiche del governo più anti-meridionalista della storia e perché - una volta conquistate provincia e regione - non ha mostrato alcun buon risultato né orizzonte di speranza. Inoltre egli è legato alla porzione più opaca del suo schieramento, con la forte influenza di Cosentino. Quando sul palco degli appelli finali saranno fianco a fianco il Berlusconi di questi mesi terribili, Cosentino e Lettieri, sarà difficile non vedere di che si tratta.
E rispetto agli altri candidati – intendo dirlo in positivo - preferisco Morcone perché egli rappresenta una chiara cesura: è un prefetto e ha un profilo tale da promettere una ormai indispensabile sospensione del fallimentare primato delle vicende di partiti e correnti di tanto centro-sinistra locale. Egli sta mostrando in queste settimane di volere stare ancorato alle cose da fare, di comprenderne la complessità, di avere più passione per la costruzione di soluzioni che per le denunce e le promesse. Ha un’evidente propensione – nel profilo umano come nel lessico - alla riparazione più che al grido. E Dio sa quanto ne abbiamo bisogno. Infatti Morcone non evoca il salvatore della patria che tanto danno ha fatto alla nostra città, così incline a farsi intrappolare tra mitizzazione del capo-salvatore e sua trasformazione in capro espiatorio. Se della lunga stagione passata dobbiamo imparare qualcosa, questa è che non abbiamo più bisogno di capi eroici a cui giurare fedeltà e di proclami altisonanti. Morcone ha scelto di mostrarsi per quello che è: un capo cantiere sofisticato, solido, pacato e costante. Con cui confrontarsi sulle cose possibili, con garbo e attenzione al come fare. Dicono questo di lui il suo profilo professionale, i suoi tanti estimatori, il suo stile. E poi i risultati del suo lavoro all’estero, sui rifugiati, sui beni sequestrati al malaffare. E lo dice il modo con il quale sono stati conseguiti: ascolto, gioco di squadra, decisione. E’ intorno a una persona così che, con fatica, si possono rimuovere le nostre macerie e far ripartire la città.
20 aprile, 2011
Le cose più care
Questo editoriale è uscito su L'Unità domenica 17 aprile.
Lunedì mattina la maestra Pina entrerà in classe. Ha cinquantasei anni e nei due terzi del suo tempo di vita ha insegnato a settecento bambini a leggere, scrivere, far di conto, cercare parole sul vocabolario, capire cosa è un atlante. E poi cercare informazioni in rete sul computer, in una sala ricavata in un corridoio, con macchine vecchie di tre generazioni, avendo lei voluto testardamente imparare a sua volta, aiutata dai figli. E ha insegnato la storia patria – così si chiama. Sui libri scelti insieme alle colleghe. Accordandosi sul merito delle diverse opzioni che il libero mercato dei libri offre. Come prescrive la legge. Mai scelti mai per ideologia. Ma perché si capiscono meglio. O sono più idonei a quei bimbi lì. E ha insegnato anche a giocare insieme. Con Nadim che è il più bravo della classe e con Pasquale che ha il padre in carcere e Antonietta che ha un braccio solo. E ha insegnato a cantare. A mettere a posto le cose alla fine della giornata. Ad organizzare la gita fuori città e la visita all’acquario. Mette i bimbi in fila. Vede che si salutino con garbo all’uscita. Si ferma e parla con le mamme del quartiere ogni giorno. Raccoglie le loro lamentele sulla mancanza di lavoro, sui debiti, sulla febbre alta dei fratellini piccoli, sulla nonna incontinente per la quale non ci sono abbastanza pannoloni. Lo fa con serenità, costanza, stile e competenza. Per 1500 euro al mese. Dopo trentacinque anni. Pina è catechista nella parrocchia. Non mi hai voluto dire per chi vota perché “il voto è segreto”. Dice che la scuola pubblica è il luogo salvo del quartiere. Ed è stata contenta quando la CEI a febbraio ha difeso la scuola dagli attacchi del presidente del consiglio. “Il signor B. – così lo chiama – non può parlare né di famiglia né di scuola. Non è titolato. E mi fermo qui. Perché voglio fermarmi, devo fermarmi. Io sono una persona responsabile. Ho fatto della responsabilità il mio lavoro e la mia vita. Sono fatta così. E ora non dobbiamo innervosirci. Dobbiamo solo tenere ancor meglio la scuola. Tutte le scuole. Anche con poche risorse. Lo dobbiamo al rispetto per noi stessi e per l’Italia. Dobbiamo fare come quando si portavano nel rifugio le poche cose più care durante i bombardamenti della guerra – me lo raccontava mia mamma. Dobbiamo aprirle la scuola alle mamme il pomeriggio. Superare le nostre fatiche e andare avanti più forti di prima. Sì, più forti di prima. E lo possiamo fare. E lo sai perché? Perché siamo noi che portiamo il sole in tasca quando usciamo di casa per andare a scuola. Noi!”.
Ci sono un milione di persone – persone! - che, ognuno come può e come sa, fanno come fa Pina. La mia collega da sempre. Con bimbi piccoli o ragazzi grandi. E milioni di papà e mamme e nonni gli consegnano ogni giorno i figli e i nipoti. In una scuola che può e deve migliorare, cambiare. Ma che è “il luogo salvo”. Per tutti e per ciascuno.
Questo è il momento di andare oltre l’indignazione. Il signor B. vuole trascinarci chissà dove. Invece no. Dobbiamo agire da esercito civile, pacifico e capace, quale siamo: responsabilità e tenuta! Ha ragione Pina: “Siamo noi che abbiamo il sole in tasca ogni mattina. Noi!” C’è da lavorare ancor meglio di prima. Guardarsi in faccia. Essere più gentili l’uno con l’altro tra noi che a scuola viviamo. Trovare soluzioni possibili ogni giorno a una emergenza educativa che è grande. E salvare la scuola. Come in tempo di guerra.
Lunedì mattina la maestra Pina entrerà in classe. Ha cinquantasei anni e nei due terzi del suo tempo di vita ha insegnato a settecento bambini a leggere, scrivere, far di conto, cercare parole sul vocabolario, capire cosa è un atlante. E poi cercare informazioni in rete sul computer, in una sala ricavata in un corridoio, con macchine vecchie di tre generazioni, avendo lei voluto testardamente imparare a sua volta, aiutata dai figli. E ha insegnato la storia patria – così si chiama. Sui libri scelti insieme alle colleghe. Accordandosi sul merito delle diverse opzioni che il libero mercato dei libri offre. Come prescrive la legge. Mai scelti mai per ideologia. Ma perché si capiscono meglio. O sono più idonei a quei bimbi lì. E ha insegnato anche a giocare insieme. Con Nadim che è il più bravo della classe e con Pasquale che ha il padre in carcere e Antonietta che ha un braccio solo. E ha insegnato a cantare. A mettere a posto le cose alla fine della giornata. Ad organizzare la gita fuori città e la visita all’acquario. Mette i bimbi in fila. Vede che si salutino con garbo all’uscita. Si ferma e parla con le mamme del quartiere ogni giorno. Raccoglie le loro lamentele sulla mancanza di lavoro, sui debiti, sulla febbre alta dei fratellini piccoli, sulla nonna incontinente per la quale non ci sono abbastanza pannoloni. Lo fa con serenità, costanza, stile e competenza. Per 1500 euro al mese. Dopo trentacinque anni. Pina è catechista nella parrocchia. Non mi hai voluto dire per chi vota perché “il voto è segreto”. Dice che la scuola pubblica è il luogo salvo del quartiere. Ed è stata contenta quando la CEI a febbraio ha difeso la scuola dagli attacchi del presidente del consiglio. “Il signor B. – così lo chiama – non può parlare né di famiglia né di scuola. Non è titolato. E mi fermo qui. Perché voglio fermarmi, devo fermarmi. Io sono una persona responsabile. Ho fatto della responsabilità il mio lavoro e la mia vita. Sono fatta così. E ora non dobbiamo innervosirci. Dobbiamo solo tenere ancor meglio la scuola. Tutte le scuole. Anche con poche risorse. Lo dobbiamo al rispetto per noi stessi e per l’Italia. Dobbiamo fare come quando si portavano nel rifugio le poche cose più care durante i bombardamenti della guerra – me lo raccontava mia mamma. Dobbiamo aprirle la scuola alle mamme il pomeriggio. Superare le nostre fatiche e andare avanti più forti di prima. Sì, più forti di prima. E lo possiamo fare. E lo sai perché? Perché siamo noi che portiamo il sole in tasca quando usciamo di casa per andare a scuola. Noi!”.
Ci sono un milione di persone – persone! - che, ognuno come può e come sa, fanno come fa Pina. La mia collega da sempre. Con bimbi piccoli o ragazzi grandi. E milioni di papà e mamme e nonni gli consegnano ogni giorno i figli e i nipoti. In una scuola che può e deve migliorare, cambiare. Ma che è “il luogo salvo”. Per tutti e per ciascuno.
Questo è il momento di andare oltre l’indignazione. Il signor B. vuole trascinarci chissà dove. Invece no. Dobbiamo agire da esercito civile, pacifico e capace, quale siamo: responsabilità e tenuta! Ha ragione Pina: “Siamo noi che abbiamo il sole in tasca ogni mattina. Noi!” C’è da lavorare ancor meglio di prima. Guardarsi in faccia. Essere più gentili l’uno con l’altro tra noi che a scuola viviamo. Trovare soluzioni possibili ogni giorno a una emergenza educativa che è grande. E salvare la scuola. Come in tempo di guerra.
12 aprile, 2011
Triste Rosa
In un clima segnato da stanche ripetizioni il sindaco di Napoli, Rosa Iervolino Russo, continua a "parlare in mezzo".
E uscente sì. Ma proprio non riesce a non far acide polemiche. O inutili o dannose.
Una donna della sua età e cultura e esperienza avrebbe potuto uscire di scena con un gesto faticoso ma alto. L’uscita dalle cose è importante. E lei, con la città messa com’è, avrebbe potuto provare, almeno in parte, a fare un sobrio bilancio dei suoi dieci anni. Dati. Cose fatte. Cose non fatte. Ragioni. E se non riconoscere torti, almeno dare voce a qualche santo dubbio o assumersi un pochettino pochettino qualche parte di questa storia che ci pesa addosso. La sua parte – sia chiaro – non quella di tutti. Perché non si pretende che dica “io parlo per tutti e rispondo in solido in quanto sindaco”, da buon capitano del vascello civile. Nell’italietta povera di spirito e angusta nel pensare, queste cose qui non appaiono proprio più all’orizzonte…
Ma evidentemente non ne è capace. Né politicamente – similmente a tutti coloro che sono stati a governare la città. E neanche personalmente. Il che è la cosa più triste. Andarsene così, senza parole pacate e vere. Triste, triste…
E uscente sì. Ma proprio non riesce a non far acide polemiche. O inutili o dannose.
Una donna della sua età e cultura e esperienza avrebbe potuto uscire di scena con un gesto faticoso ma alto. L’uscita dalle cose è importante. E lei, con la città messa com’è, avrebbe potuto provare, almeno in parte, a fare un sobrio bilancio dei suoi dieci anni. Dati. Cose fatte. Cose non fatte. Ragioni. E se non riconoscere torti, almeno dare voce a qualche santo dubbio o assumersi un pochettino pochettino qualche parte di questa storia che ci pesa addosso. La sua parte – sia chiaro – non quella di tutti. Perché non si pretende che dica “io parlo per tutti e rispondo in solido in quanto sindaco”, da buon capitano del vascello civile. Nell’italietta povera di spirito e angusta nel pensare, queste cose qui non appaiono proprio più all’orizzonte…
Ma evidentemente non ne è capace. Né politicamente – similmente a tutti coloro che sono stati a governare la città. E neanche personalmente. Il che è la cosa più triste. Andarsene così, senza parole pacate e vere. Triste, triste…
09 aprile, 2011
Intervista a Raffaele Del Giudice
Le vicende di ogni giorno esistono e l'immondizia continua a essere il tratto incombente del vivere quotidiano a Napoli. Ho intervistato Raffaele Del Giudice di Legambiente, una persona che da anni sta cercando di capire e di far capire i meccanismi che costringono la città in questa situazione. Lo fa con grande passione, spesso isolato e lo abbiamo visto in Biùtiful Cauntri mentre ci mostrava la Campania delle discariche.
L’intervista è uscita su la Repubblica Napoli, e la riporto qui nella sua forma integrale.
Quando vivi lontano ti perseguitano le ferite della tua città. E, poi, ogni volta che migliaia di tonnellate di immondizia indifferenziata tornano per strada devi spiegare alle persone intorno cosa è successo. E cosa si può fare. Così qualche tempo fa ho visitato gli impianti di valorizzazione dei rifiuti di Brescia. E lì la prima cosa che colpisce non è quel che esce dagli impianti ma cosa ci entra. Perché hanno, a monte e intorno, un’opera poderosa di differenziazione da parte dei cittadini. Che ha sempre inizio con la separazione del secco dall’umido e che vede azioni di smaltimento plurali: carta, alluminio, vetro, plastica ecc. Senza andare lontano: come a Vico Equense, per esempio. E soprattutto l’esatto opposto di quanto tanti dicevano durante la scorsa campagna elettorale, sindaco uscente compreso: “Il termovalorizzatore è la soluzione”. Ricordo pure una mia replica di allora: “Sindaco, prima di esserlo, c’è da differenziare e da togliere l’umido, che è acqua e l’acqua consuma energia per bruciarsi, non ne produce” E la sua risposta, simile a quella di tanti: “Ma dobbiamo fare presto…”. Invece sono passati altri cinque anni.
“Ma adesso cosa si farà?”– me lo chiede un ragazzo di Padova, che ama Napoli. Gli rispondo: si deve differenziare, subito. Annuisce. Ma lo vedo poco convinto. Così decido di chiamare il mio amico Raffaele Del Giudice, direttore di Legambiente Campania, quel signore che, nel film-documentario Biùtiful Cauntri, gira come un ossesso a controllare lo stato miserevole delle discariche. Gli chiedo di rispondere alle domande in modo breve e propositivo.
Raffaele, ma è possibile fare in poco tempo il 50 per cento di differenziata a Napoli?
Non è bene chiedersi se è possibile. Perché quel chiederselo produce il lassismo e la delega mal riposta di questi anni, con il miraggio degli inceneritori come soluzione di tutto. E’ obbligatorio differenziare! Anche perché quegli impianti - che piacciano o non piacciano - comunque non possono valorizzare acqua, né creare compost o gas dall’umido né fare carta da carta né bruciare alluminio né plastiche clorurate.
Ma scusa, se è così, se al massimo devono bruciare quel che resta e farne energia, perché ne vogliono fare cinque o sei di inceneritori in Campania?
E’ avvenuto sotto la spinta della Fibe. Sostenuta da tanta politica. E’ una follia. O peggio. Comunque dissuade dal differenziare e de –responsabilizza ognununo di noi dal compito di trattare i nostri residui in quanto problema nostro. E mentre lo fa, non c’è che da cercare ogni volta un altro buco, un fosso dove sversare tutto così com’è. Con il percolato che, poi, fa i danni che fa, nelle falde sottostanti o addirittura buttato a mare aum aum! E mentre si cerca un altro fosso, le strade tornano ciclicamente in emergenza monnezza. E questo al netto dei 200 euro a tonnellata per portarla, poi, via dalla regione ormai satura e del rischio di scontri violenti all’apertura di ogni sito.
Ma Acerra c’è. Che ne facciamo?
Acerra c’è e non c’è. Perché oggi tutti i tecnici riconoscono che ci sono stati gravi difetti di progettazione e che non funge come dovrebbe. E aggiungo che - poiché Napoli è co-promotore di quel impianto - oggi ne dobbiamo esigere il funzionamento vero, delle tre linee!
Ok, esigiamolo… Ma cosa ci deve andare dentro?
La stessa roba che hai visto a Brescia, il residuo al netto della differenziata.
Allora torniamo alla differenziata. Per il 50 per cento presto, in concreto cosa si deve fare?
Intanto diciamolo chiaro: se chi diventa sindaco non attrezza tutta la logistica e non costruisce il moto di partecipazione necessario alla differenziata al 50 percento almeno, beh, va veramente sciolto il consiglio comunale, senza ulteriori alibi. Lo dice la legge e lo si faccia.
Ma se dessero a te questo compito del 50 per cento… Con chi lo fai e come?
Lo faccio con l’ASIA.
Con l’ASIA?
Si lavora con quel che c’è. Ma in modo un po’ diverso. Più che concentrarsi sull’impiantistica, lo sguardo va rivolto al chi, quando e come del differenziare. Comunque, ora lasciamo stare le pecche del passato. La situazione è così cronicamente grave che bisogna insistere su proposte concrete passaggio dopo passaggio.
Quali sono?
1 – fare un sopralluogo quartiere per quartiere, strada per strada, di ciò che esiste e funziona e di cosa manca, con i cittadini; dare un volantino sul piano; fare assemblee di strada e mettere subito contenitori differenziati tarati secondo l’urbanistica.
2 – intanto continuare a togliere l’ingombrante. Si è iniziato questo lavoro ma si può fare molto meglio. Gli elettrodomestici, pena multe salatissime, devono essere ritirati dai negozi che li vendono. Mobili, gomme, materassi, ecc. devono vedere una raccolta di 2 giorni sicuri e fissi ogni mese, zona per zona, con unità mobili. Quando ciò avviene le persone collaborano.
3 – i cartoni e anche la carta vanno raccolti separati e già lo si fa; bisogno farlo meglio, con mezzi dedicati , a partire dai grandi magazzini, dai negozi, dagli enti pubblici. I negozi devono avere uno sgravio in cambio di una funzione mobilitante, con i cittadini.
4 - e a proposito dei grandi centri commerciali dove si recano centinaia di migliaia di persone, va ingiunto subito loro di predisporre isole ecologiche e va fatta una campagna battente perché la roba, differenziata, la si porti lì nel week-end. Ci vuole un accordo subito. Perché le cose che non puzzano si possono tenere una settimana.
5 – così si differenzia l’umido da carta, alluminio, plastica e vetro. Come peraltro già accade da anni in tanti comuni virtuosi campani. Se Napoli non lo fa va commissariata. Punto.
Raffaele, perdonami: nove anni fa ci fu un inizio di differenziata. Nel mio quartiere, i Quartieri Spagnoli, i ragazzi delle scuole, anche del progetto Chance differenziavano. Un numero importante di famiglie aderirono. Poi – per dirla alla loro maniera – videro che “nun è nient o vero”. Ci fu una disillusione e una regressione terribili. Fu una vergogna politica, civile, educativa.
Lo so. Ma oggi si possono mostrare i luoghi – campani! – dove già si riconverte in modo eccellente vetro, alluminio, carta, l’olio esausto delle friggitrici, copertoni, plastica e anche i RAE, i rifiuti elettrici ed elettronici. Li mostriamo. Ci portiamo le scuole, le famiglie. Ci vuole una stagione di azione civile. E poi mostriamo le isole ecologiche che raccolgono le diverse cose. Nelle grandi superficie commerciali, appunto e in punti di raccolta, uno per ogni municipalità. Va smontata la filosofia che sta a monte di quel CDR indifferenziato basato sul mito parossistico degli inceneritori di tutto, che copriva e copre gli affari peggiori. CDR che oggi chiamano STIR – stabilimento triturazione rifiuti, che se non si differenzia è solo un cambiamento di nome. Invece vanno trasformati in centri di compostaggio. Quel che Bertolaso non ha voluto fare. Con spesa contenuta è possibile in sei mesi. Ce ne sono 7, che possono in breve trattare un totale di oltre 100 mila tonnellate.
Poi torneremo sul compostaggio. Ma ora, come si prende raccoglie la differenziata?
Come ovunque, con piccoli mezzi nei quartieri diversi, a giorni fissi a settimana. E, in più, anche alle isole ecologiche nei centri commerciali. Con buste differenziate. Con multe vere. E con la mobilitazione immediata, subito, di personale ASIA, volontari, consiglieri di tutti i partiti del nuovo consiglio comunale e di quelli di municipalità. Ci vuole un movimento per la dignità di Napoli. Un immediato scatto di orgoglio. Proprio in occasione della nuova amministrazione. E chi promuove si fa controllore.
I ragazzi almeno delle superiori potrebbero farne parte promuovente di questo movimento?
Può esserci almeno su questo un patto bipartisan prima del voto che questo giornale chiede a tutti?
Magari!!
Allora torniamo al compost.
Si fa con l’umido e anche l’ammendante, i residui legnosi e il fogliame presi dal verde urbano di Napoli.
Ho capito che vuoi invertire il trend voluto da Bertolaso che non favorì i centri per il compostaggio e riciclare in tal senso gli impianti esistenti di vario tipo. Ma come raccogli l’umido?
Con piccoli mezzi tre volte a settimana, magari anche la domenica, giorno in cui l’umido è maggiore. Inoltre le grandi utenze possono avere micro-impianti modulabili che fanno compost in proprio. Esistono già.
La regione ha presentato il suo nuovo piano. Che ne dici?
Ha cose buone. Ma è anche molto sbilanciato, ancora una volta, sui grandi impianti e sugli annunci di soluzioni generali. Poca attenzione agli impianti di compostaggio che già esistono, sul come metterli in moto, sui dettagli essenziali della raccolta, sulle buone pratiche diffuse. E soprattutto sul movimento civile necessario. Che in ogni posto del mondo serve a differenziare a fare funzionare un ciclo virtuoso dei rifiuti.
Chi guida questo movimento, nel concreto della vita cittadina?
Municipalià, ASIA, associazioni, parrocchie. Coinvolgendo, come tu dici, i giovani, le scuole. I giornali regalano un CD. Le tv locali fanno battage.
Ma ci vuole un accordo solenne e solidale tra tutti e davanti all’Italia che non ce la fa più a vederci così?
Sì.
L’intervista è uscita su la Repubblica Napoli, e la riporto qui nella sua forma integrale.
Quando vivi lontano ti perseguitano le ferite della tua città. E, poi, ogni volta che migliaia di tonnellate di immondizia indifferenziata tornano per strada devi spiegare alle persone intorno cosa è successo. E cosa si può fare. Così qualche tempo fa ho visitato gli impianti di valorizzazione dei rifiuti di Brescia. E lì la prima cosa che colpisce non è quel che esce dagli impianti ma cosa ci entra. Perché hanno, a monte e intorno, un’opera poderosa di differenziazione da parte dei cittadini. Che ha sempre inizio con la separazione del secco dall’umido e che vede azioni di smaltimento plurali: carta, alluminio, vetro, plastica ecc. Senza andare lontano: come a Vico Equense, per esempio. E soprattutto l’esatto opposto di quanto tanti dicevano durante la scorsa campagna elettorale, sindaco uscente compreso: “Il termovalorizzatore è la soluzione”. Ricordo pure una mia replica di allora: “Sindaco, prima di esserlo, c’è da differenziare e da togliere l’umido, che è acqua e l’acqua consuma energia per bruciarsi, non ne produce” E la sua risposta, simile a quella di tanti: “Ma dobbiamo fare presto…”. Invece sono passati altri cinque anni.
“Ma adesso cosa si farà?”– me lo chiede un ragazzo di Padova, che ama Napoli. Gli rispondo: si deve differenziare, subito. Annuisce. Ma lo vedo poco convinto. Così decido di chiamare il mio amico Raffaele Del Giudice, direttore di Legambiente Campania, quel signore che, nel film-documentario Biùtiful Cauntri, gira come un ossesso a controllare lo stato miserevole delle discariche. Gli chiedo di rispondere alle domande in modo breve e propositivo.
Raffaele, ma è possibile fare in poco tempo il 50 per cento di differenziata a Napoli?
Non è bene chiedersi se è possibile. Perché quel chiederselo produce il lassismo e la delega mal riposta di questi anni, con il miraggio degli inceneritori come soluzione di tutto. E’ obbligatorio differenziare! Anche perché quegli impianti - che piacciano o non piacciano - comunque non possono valorizzare acqua, né creare compost o gas dall’umido né fare carta da carta né bruciare alluminio né plastiche clorurate.
Ma scusa, se è così, se al massimo devono bruciare quel che resta e farne energia, perché ne vogliono fare cinque o sei di inceneritori in Campania?
E’ avvenuto sotto la spinta della Fibe. Sostenuta da tanta politica. E’ una follia. O peggio. Comunque dissuade dal differenziare e de –responsabilizza ognununo di noi dal compito di trattare i nostri residui in quanto problema nostro. E mentre lo fa, non c’è che da cercare ogni volta un altro buco, un fosso dove sversare tutto così com’è. Con il percolato che, poi, fa i danni che fa, nelle falde sottostanti o addirittura buttato a mare aum aum! E mentre si cerca un altro fosso, le strade tornano ciclicamente in emergenza monnezza. E questo al netto dei 200 euro a tonnellata per portarla, poi, via dalla regione ormai satura e del rischio di scontri violenti all’apertura di ogni sito.
Ma Acerra c’è. Che ne facciamo?
Acerra c’è e non c’è. Perché oggi tutti i tecnici riconoscono che ci sono stati gravi difetti di progettazione e che non funge come dovrebbe. E aggiungo che - poiché Napoli è co-promotore di quel impianto - oggi ne dobbiamo esigere il funzionamento vero, delle tre linee!
Ok, esigiamolo… Ma cosa ci deve andare dentro?
La stessa roba che hai visto a Brescia, il residuo al netto della differenziata.
Allora torniamo alla differenziata. Per il 50 per cento presto, in concreto cosa si deve fare?
Intanto diciamolo chiaro: se chi diventa sindaco non attrezza tutta la logistica e non costruisce il moto di partecipazione necessario alla differenziata al 50 percento almeno, beh, va veramente sciolto il consiglio comunale, senza ulteriori alibi. Lo dice la legge e lo si faccia.
Ma se dessero a te questo compito del 50 per cento… Con chi lo fai e come?
Lo faccio con l’ASIA.
Con l’ASIA?
Si lavora con quel che c’è. Ma in modo un po’ diverso. Più che concentrarsi sull’impiantistica, lo sguardo va rivolto al chi, quando e come del differenziare. Comunque, ora lasciamo stare le pecche del passato. La situazione è così cronicamente grave che bisogna insistere su proposte concrete passaggio dopo passaggio.
Quali sono?
1 – fare un sopralluogo quartiere per quartiere, strada per strada, di ciò che esiste e funziona e di cosa manca, con i cittadini; dare un volantino sul piano; fare assemblee di strada e mettere subito contenitori differenziati tarati secondo l’urbanistica.
2 – intanto continuare a togliere l’ingombrante. Si è iniziato questo lavoro ma si può fare molto meglio. Gli elettrodomestici, pena multe salatissime, devono essere ritirati dai negozi che li vendono. Mobili, gomme, materassi, ecc. devono vedere una raccolta di 2 giorni sicuri e fissi ogni mese, zona per zona, con unità mobili. Quando ciò avviene le persone collaborano.
3 – i cartoni e anche la carta vanno raccolti separati e già lo si fa; bisogno farlo meglio, con mezzi dedicati , a partire dai grandi magazzini, dai negozi, dagli enti pubblici. I negozi devono avere uno sgravio in cambio di una funzione mobilitante, con i cittadini.
4 - e a proposito dei grandi centri commerciali dove si recano centinaia di migliaia di persone, va ingiunto subito loro di predisporre isole ecologiche e va fatta una campagna battente perché la roba, differenziata, la si porti lì nel week-end. Ci vuole un accordo subito. Perché le cose che non puzzano si possono tenere una settimana.
5 – così si differenzia l’umido da carta, alluminio, plastica e vetro. Come peraltro già accade da anni in tanti comuni virtuosi campani. Se Napoli non lo fa va commissariata. Punto.
Raffaele, perdonami: nove anni fa ci fu un inizio di differenziata. Nel mio quartiere, i Quartieri Spagnoli, i ragazzi delle scuole, anche del progetto Chance differenziavano. Un numero importante di famiglie aderirono. Poi – per dirla alla loro maniera – videro che “nun è nient o vero”. Ci fu una disillusione e una regressione terribili. Fu una vergogna politica, civile, educativa.
Lo so. Ma oggi si possono mostrare i luoghi – campani! – dove già si riconverte in modo eccellente vetro, alluminio, carta, l’olio esausto delle friggitrici, copertoni, plastica e anche i RAE, i rifiuti elettrici ed elettronici. Li mostriamo. Ci portiamo le scuole, le famiglie. Ci vuole una stagione di azione civile. E poi mostriamo le isole ecologiche che raccolgono le diverse cose. Nelle grandi superficie commerciali, appunto e in punti di raccolta, uno per ogni municipalità. Va smontata la filosofia che sta a monte di quel CDR indifferenziato basato sul mito parossistico degli inceneritori di tutto, che copriva e copre gli affari peggiori. CDR che oggi chiamano STIR – stabilimento triturazione rifiuti, che se non si differenzia è solo un cambiamento di nome. Invece vanno trasformati in centri di compostaggio. Quel che Bertolaso non ha voluto fare. Con spesa contenuta è possibile in sei mesi. Ce ne sono 7, che possono in breve trattare un totale di oltre 100 mila tonnellate.
Poi torneremo sul compostaggio. Ma ora, come si prende raccoglie la differenziata?
Come ovunque, con piccoli mezzi nei quartieri diversi, a giorni fissi a settimana. E, in più, anche alle isole ecologiche nei centri commerciali. Con buste differenziate. Con multe vere. E con la mobilitazione immediata, subito, di personale ASIA, volontari, consiglieri di tutti i partiti del nuovo consiglio comunale e di quelli di municipalità. Ci vuole un movimento per la dignità di Napoli. Un immediato scatto di orgoglio. Proprio in occasione della nuova amministrazione. E chi promuove si fa controllore.
I ragazzi almeno delle superiori potrebbero farne parte promuovente di questo movimento?
Può esserci almeno su questo un patto bipartisan prima del voto che questo giornale chiede a tutti?
Magari!!
Allora torniamo al compost.
Si fa con l’umido e anche l’ammendante, i residui legnosi e il fogliame presi dal verde urbano di Napoli.
Ho capito che vuoi invertire il trend voluto da Bertolaso che non favorì i centri per il compostaggio e riciclare in tal senso gli impianti esistenti di vario tipo. Ma come raccogli l’umido?
Con piccoli mezzi tre volte a settimana, magari anche la domenica, giorno in cui l’umido è maggiore. Inoltre le grandi utenze possono avere micro-impianti modulabili che fanno compost in proprio. Esistono già.
La regione ha presentato il suo nuovo piano. Che ne dici?
Ha cose buone. Ma è anche molto sbilanciato, ancora una volta, sui grandi impianti e sugli annunci di soluzioni generali. Poca attenzione agli impianti di compostaggio che già esistono, sul come metterli in moto, sui dettagli essenziali della raccolta, sulle buone pratiche diffuse. E soprattutto sul movimento civile necessario. Che in ogni posto del mondo serve a differenziare a fare funzionare un ciclo virtuoso dei rifiuti.
Chi guida questo movimento, nel concreto della vita cittadina?
Municipalià, ASIA, associazioni, parrocchie. Coinvolgendo, come tu dici, i giovani, le scuole. I giornali regalano un CD. Le tv locali fanno battage.
Ma ci vuole un accordo solenne e solidale tra tutti e davanti all’Italia che non ce la fa più a vederci così?
Sì.
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