24 settembre, 2010

Cronaca di un giovedì

Il Napoli e la monnezza
Sono arrivato a Napoli di pessimo umore per la sconfitta interna del Napoli col Chievo: 1-3. E i ragazzi del mio quartiere mi hanno subito raccontato che lo stadio era pienissimo e che era stata una mortificazione uscire in così tanti a viso basso. Ho pensato a come le delusioni sportive si avvinghiano intorno a un magone persistente dovuto allo stato della città, aumentandone il peso. E nelle narici e negli occhi ne ho subito avuto la conferma: nel mio quartiere come altrove i cumuli di monnezza sono alti come nei tempi peggiori e il caldo ha fatto il suo effetto aumentando il tanfo. Mi sono venute alla mente le scene della grande crisi. Del resto tutti i giornali nazionali ne parlano. Ma al solito l’analisi più puntuale di questa rinnovata crisi dei rifiuti ci viene da Francesco.

E' 'na parola riprendere la parola
Sono arrivato presto a Santa Maria la Nova per la nostra assemblea-iniziativa che vuole riprovare a dare parola allo stato reale della città e alle cose da fare. Infatti l’abbiamo voluta chiamare: riprendersi la parola. Sembra facile!. E’ ‘na parola riprendere la parola! Da quattro anni e ancor più negli ultimi mesi avverto - nelle parole, appunto, dei ragazzi, degli amici, dei colleghi di lavoro e nella mia “voce di dentro” - uno sconforto estremo. Perché c’è stato a Napoli – in tutti i campi della vita – un vero breakdown nello spirito della città, una china inesorabile, terribilissima, segnata da una catena di lutti che hanno annullato la speranza. E hanno prodotto una depressione civile grave e diffusa. Che sta alla base della difficoltà, appunto, di riprendere la parola. Tale difficoltà fa sì che anche la comunicazione politica è sempre più faticosa, sviata ancor più di quella nazionale.
Due episodi emblematici
Con questo in mente, due episodi della giornata mi hanno colpito. Sono gustosi e al contempo depressivi. Tra loro diversi eppure emblematici per chi vuole guardare ai segni come evidenze e non come mere casualità. Il primo è stato banale: nella sala del consiglio della Provincia più popolosa d’Italia non funzionavano i microfoni. Punto. Abbiamo così tenuto una riunione unplugged. Che ha costretto tutti a un compìto silenzio e a una maggiore attenzione. Il secondo episodio è stato attivato dall’ultimo post nel blog di Antonio Bassolino. Che aveva riportato la nostra iniziativa pubblica nelle ore precedenti come uno dei luoghi per riparlare della città. Niente altro che questo. Ma che i giornali avevano riportato con qualche titolo enfatico. Così, nella rete, le poche righe dell’ex governatore sono state lette da tanti addirittura come appoggio a una mia presunta candidatura a sindaco. Tanto che se ne chiedeva conto a quelli ritenuti “davvero informati”, che un’amica mi ha riferito che “tutti sanno che hai già preparato i manifesti”, che gli amici di napolipuntoeacapo mi hanno rivolto alcune domande.
Ma ben al di là di questo episodio, continua a colpire l’evidenza che, ancor più che altrove, nella nostra città, vale molto di più il supposto o il paventato di quello che uno dice o scrive e argomenta e fa lungo la sua vita.

Ritorno ai fondamentali
C’è davvero bisogno di un ritorno ai fondamentali. Così ad apertura dell’incontro ho ricordato che non mi sono candidato a sindaco. E ho sottolineato come il declino nei modi della politica nella città abbia prodotto guasti anche nell’uso della parola e dell’immaginario politico. Ho evidenziato come – l’ossessione sulla parola scritta da Bassolino – mostra anche quanto si è ancora intrappolati intorno all’idea di capo che detta l’agenda e guida alle soluzioni - il deus ex machina. Che svia da ogni esercizio democratico. Sono i miei temi di sempre: invece di affrontare la fatica dell’analisi e dell’elaborazione di proposte in risposta ai bisogni complessi e ai problemi si cercano scorciatoie, si seguono trame, si preferiscono i personalismi. Che hanno contribuito a ledere speranza nello spirito pubblico. Tanto che una nuova stagione non può che partire dalla fatica di proporre confronto vero e argomentato sull’economia, la pubblica amministrazione, la gestione del territorio, improntato anche a ricostruire comunicazione e confronto in senso liberale. Ho, poi, sottolineato come è ora di riprendere un’idea di città produttiva.

L’assemblea
Comunque l’iniziativa, ben riportata da Norberto in rassegna stampa e soprattutto con questo clip, è servita per spostare un po’ di attenzione sui problemi e le possibili soluzioni. Sono venute circa 120 persone. Pochi giovani – va detto. E troppe facce conosciute. E c’è, dunque un gran lavoro da fare. Per allestire ascolto diffuso. Fin dalle prossime settimane, municipalità per municipalità. Come ha proposto Sergio D’Angelo nelle premesse. Si tratta – ha detto Sergio – di un lavoro che intende ridare, appunto, parola. Che inverte le priorità spostando l’asse dal nome dei candidati intorno ai quali fare la consueta campagna ai temi della città. Il dibattito è stato ricco. Adriano Giannola ha descritto lo scenario entro il quale è possibile ridefinire un meridionalismo delle produzioni e dei mercati, una versione “nittiana” adeguata al terzo millennio, un’opera di ricostruzione economica, sostenuta in modi non protezionisti eppure tali da riconoscere l’esclusione effettiva del Mezzogiorno dallo sviluppo europeo, un’opera complessa da proporre entro i nuovi scenari Europa-Asia, nella quale la più grande area metropolitana del Sud non può non cercare un ruolo centrale. Si è soffermato sui diversi errori politici dovuti a approcci culturali provinciali e di corto respiro, che abbiamo subito troppo a lungo e alle scorrette analisi sulla fine della Questione Meridionale. Ha prospettato il compito di un aggancio del Sud alla green economy, una ricostruzione del credito, all’attenzione alle reti di legami sociali ed economici - cose che vanno guidate dalla politica di una grande città. Enrica Morlicchio, nella scia anche di un lavoro teorico che si sta riprendendo, finalmente, su questi temi, ha tracciato le gravissime dimensioni della povertà in città e i suoi nuovi caratteri insieme a una valutazione argomentata di quei dispositivi di welfare che pur hanno funzionato e che forse vanno ripresi, aggiornati, migliorati. Isaia Sales, a partire anche da un riconoscimento della propria parte nelle politiche pubbliche, ha posto l’accento sulle iniziative possibili se si considera Napoli come parte politiche dell’area che la circonda, dell’Italia, della UE e del mondo. Ha difeso alcune delle buone ragioni della sinistra in città anche se queste sono state poche efficaci a causa di un’idea di politica che ha escluso molte risorse umane, preferendo la pratica della cooptazione. Ha, poi, svolto considerazioni sulle aziende partecipate e il loro governo e sulla gestione dell’ordinario. La riunione è proseguita accogliendo taluni brevi interventi centrati su temi urbanistici, la questione dei rifiuti che continua a seguire logiche di potere anzicché partecipative, il come dare continuità a reti, azioni e servizi, il come usare i fondi pubblici e anche come rispondere alle politiche di governo sul pacchetto Sud. E si è conclusa con il rilancio di un prossimo calendario di iniziative, centrate sulla responsabilità attiva delle reti di cittadini, ben oltre il recinto dei partiti, ormai assai povero.

21 settembre, 2010

Cose possibili

L’iniziativa di giovedì inizia a trovare eco.
Si tratta di provare davvero a parlare dei problemi e soprattutto di come fare per dare risposte realistiche ma anche ambiziose, togliendoci di dosso la insopportabile cappa dei personalismi, della politica politicante, del parlare “vuoto a perdere”. Cosa proporre per Napoli. Cose possibili. Che ridiamo speranza. E’ un primo momento. E speriamo che…

Giovedì 23 settembre, ore 17.00
Sala del Consiglio provinciale di Napoli
Santa Maria La Nova

20 settembre, 2010

Differenziata: parlarne ancora e ancora, capire, fare


In questi giorni si riparla di differenziata a Napoli. E’ tema che fa ribollire il sangue…
E’ noto ma va ribadito: vi è uno strettissimo legame tra la crescita umana e di cittadinanza e la raccolta differenziata. Perché è un atto che si ripete, costante nel tempo. E’ una cosa pratica e quotidiana che lega l’etica all’operatività: ogni giorno ognuno tratta quel che butta via. O non lo tratta. La libertà individuale è ri-collegata alla responsabilità del fare individuale. Differenziare significa mettere le mani nella propria mondezza secondo criteri condivisi, costringe a parlare e decidere, da individui, appunto, ma come comunità e nell’interesse generale e non egoico. Inoltre sposta in avanti, nel futuro, i risultati dei propri personali comportamenti. Dunque è tema sommamente educativo. Come è per ogni tema che sia davvero politico. Ed è in questa chiave che è stato trattato in tante scuole, fin dal 1996 a Napoli – sì, a Napoli le scuole quindici anni fa avevano avviato una differenziazione partecipata, che coinvolse le famiglie, anche nei quartieri difficili! – per poi, però, essere violentemente disatteso, creando disillusioni tremende in generazioni di bambini che ora sono ragazzi e spesso cittadini maggiorenni. Una realtà diseducativa. Di cui risponde una intera stagione politica. Senza appello. Perché è stata una violenza che pesa, che fa ancora male. Perché è intervenuta sul principio di speranza nel tempo stesso della sua prima formazione, mortificandola nei giovani, togliendone orizzonti.

Ma proprio per questo, bisogna riprendere le cose in mano. E parlarne ancora. A partire dal mondo reale. Ed è a tal fine utile confrontare quel che accade per assenza di condizioni minime di effettiva raccolta a Napoli e quel che avviene per esempio a Vico Equense, a pochi chilometri dove si raccoglie il 62% in modo differenziato e si raggiungono i primi dieci comuni più virtuosi.

Per chi, come me, vive tra queste due città è impressionante la differenza nello stile e nella filosofia di vita ogni volta che si passa dalla responsabilità che nutre orgoglio e soddisfazione e la sciatta irresponsabilità che mortifica il senso civico interno e deprime l’anima!

Muoversi, muoversi!

C’è da muoversi. E a tal proposito, segnalo con soddisfazione la riuscita dell’ottima iniziativa di ripresa civile di parola sulle cose e le proposte concrete, sulla quale si sono impegnati gli amici di Napoli punto a capo e molti altri, con buona pace dei giornali immersi nel politichese  e vi ricordo l’appuntamento di giovedì, sempre per parlare di cosa fare della e nella nostra città!

Ecco il comunicato stampa:

La città può riprendersi la parola
Assemblea pubblica sulle priorità di Napoli in vista delle amministrative
Intervengono Sergio D’Angelo, Marco Rossi Doria, Isaia Sales, Adriano Giannola, Enrica Morlicchio

Giovedì 23 settembre 2010 ore 17.00
Napoli, Sala del Consiglio provinciale
Santa Maria La Nova

NAPOLI – Giovedì 23 settembre, a partire dalle ore 17.00, a Napoli presso la Sala del Consiglio provinciale di Santa Maria La Nova, si terrà l’assemblea pubblica dal titolo “La città può riprendersi la parola”, con interventi di Sergio D’Angelo, Marco Rossi Doria, Isaia Sales, Adriano Giannola, Enrica Morlicchio.
L’incontro si propone come un momento di riflessione comune sulle priorità di Napoli: ripulire l’ambiente e curare il ciclo dei rifiuti; combattere la povertà e la disoccupazione; ridurre drasticamente gli sprechi; ridare alla città servizi degni e produzioni industriali; rifondare la macchina amministrativa e chiudere con ogni forma di clientelismo; riportare i ragazzi alla scuola e alla formazione; colpire la camorra e dare possibilità vere a chi vuole uscire dalla strada sbagliata.
L’obiettivo è suscitare il coinvolgimento di singoli cittadini e di quella parte di società attiva che da tempo si organizza in comitati, associazioni, cooperative, movimenti civili, affinché le cose da fare diventino un percorso condiviso e non restino nell’ambito circoscritto del dibattito politico dei partiti.
L’assemblea sarà l’inizio di una serie di incontri che proseguiranno fino alla vigilia delle elezioni amministrative, per ridare la parola ai napoletani e rendere così l’appuntamento elettorale un concorso di idee e una mobilitazione civile.

16 settembre, 2010

Tempo di battaglia

Che lo vogliamo o no, che ne abbiamo o no le forze, è tempo di battaglia. Non possiamo sottrarci. Infatti l’educare – il tema decisivo in ogni società – vede attaccato il suo stesso fondamento. Perché si educa se si considerano uguali i bambini e i ragazzi. E’ questo che sta a fondamento di ogni scuola e di ogni apprendimento trasmesso da una generazione all’altra. Perciò: non si può non rispondere. E bisogna anche difendere ogni volta il senso positivo che la scuola ha. Nonostante tutti i suoi difetti. Bisogna lo stesso partire dalle cose buone che fa; per esempio partire dal suo rituale primo, il primo giorno di scuola dei bambini. Per questo ho scritto a loro, ai bambini su La Stampa del 13 settembre i miei consigli di maestro. Perché qualcosa va salvata. E’ parte della battaglia.

Mentre i “simboli padani” della scuola di Agro imbrattano ogni idea di diritto uguale e di scuola come luogo salvo per tutti, l’atmosfera europea è infestata dalla cacciata dei rom dalla Francia – con moltissimi bambini e adolescenti - un precedente storico che speriamo provochi un sollevamento di indignazione vero. Così come è il caso di indignarsi contro il nostro presidente del consiglio che ieri ha applaudito, in splendido isolamento, lo screditato Sarkozy.

In questo scenario, l’inizio dell’anno scolastico ha posto la scuola al centro dell’agenda. E non solo per Agro e i precari cacciati. Ci sono classi bellissime con ragazzini di ogni colore e lingua, con docenti che vi lavorano magnificamente: da Verona a Trento, da Caserta a Roma a Palermo a Mantova a Torino. Il mondo è il mondo. Ed è qui. Per fortuna. E per fortuna c’è chi se ne occupa, nonostante i tagli alle scuole. Così, piccoli e grandi segni marcano un paesaggio molto vario, che ha bisogno di letture e anche di militanza: forte, argomentata, propositiva. E di riconsiderare la scena antropologica nella quale viviamo e si fa scuola oggi. Come ho provato a iniziare a fare con l’articolo su L’Unità del 7 settembre che parla del patto saltato tra scuola e famiglia. C’è, dunque, un attacco alla scuola e c’è anche un nuovo scenario educativo entro il quale la scuola si muove, è spaesata, fa fatica, prova a resistere. Il Sud è ancora una volta il più colpito. E ha bisogno di proposte semplici. Ne parlo nell’editoriale di seconda pagina de L’Unità di oggi, con il titolo La scuola e le due Italie (vedi qui sotto).

E poi Napoli. Che è colpita dalla chiusura definitiva del progetto Chance… E’ stata distrutta in dieci mesi l’ultima prova, faticosamente messa su da Cesare Moreno con una mediazione estenuante con la vecchia giunta campana, un compromesso con tanto di delibera, che – visti i difetti di quel governo regionale e l’ignominia di questo – è finita male davvero…. Ne parla oggi Salvatore Pirozzi su Napoli Monitor, domandandosi cose pertinenti, sulle quali ci interroghiamo da tempo.

Per me – che mi occupo ora a Trento di ragazzi difficili di ogni paese, impegnati nella formazione professionale - questa fine della cosa alla quale ho dedicato dieci anni difficili e bellissimi è cosa dolorosa. Penso all’autunno del 1996, a quelle pagine scritte, a quelle poche aule visitate, ai primi colloqui coi genitori del mio quartiere i cui figli non andavano a scuola. Un potere politico ignobile, lungo questi duri anni, non ha voluto e saputo rappresentare Chance e ha distrutto le nostre forze impedendoci di crescere, esaltando così ogni nostra inevitabile debolezza e mandando tutto a malora. E’ la politica che ha impedito che una isttituzione buona, legata alle persone e ai bisogni, potesse imparare da se stessa e insegnare alla città mentre ancora imparava da altro, da altri. L’opposto di quel che è chiamata a fare la politica. Semplicemente.

La scuola e le due Italie

Questo articolo è uscito oggi, 16 settembre, su l’Unità come editoriale.

La posta in gioco per l’istruzione in Italia è altissima.
Per capire la partita in corso, bisogna partire dal fatto che accade sempre che due modi di considerare la scuola si confrontano. Da un lato c’è la scena educativa concreta, la vita vera a scuola. Dall’altro ci sono le cornici sistemiche: rapporto tra bisogni e organici, spesa, organizzazione generale. Sono due mondi, con due linguaggi che in ogni sistema d’istruzione vanno messi in una relazione virtuosa. E’ proprio questa relazione “il governo della scuola”. E poiché ogni contesto locale tende a auto-centrarsi, è bene che vi sia il contraltare di una visione generale. Per esempio i temi della verifica dei risultati delle scuole, l’esigenza di una semplificazione degli indirizzi, l’opportunità di decentrare le decisioni sono cose che chiamano a fare i conti con vincoli, doveri di verifica, assunzione di responsabilità diretta. Ma l’anomalia politica che ha luogo in Italia è che da anni la destra fa una propaganda vergognosa e ripete che le forze di centro-sinistra non hanno accolto questa prospettiva. E’ una menzogna. Questi temi sono, anzi, stati posti dal centro-sinistra: stabilimento del fabbisogno generale e proposta di allocazione delle risorse con risparmi veri ma anche sostenibili in termini di tenuta educativa delle scuole (libro bianco), piano di rientro dei precari al fine di riprendere i concorsi pubblici, piano per la sicurezza delle scuole, avvio del sistema di valutazione. La verità è un’altra. La destra non mette in relazione la vita vera delle scuole e il sistema, ha una visione dirigista del sistema e, soprattutto, lo fonda sul risparmio come unico criterio.
Perciò la destra va battuta con la ripresa della priorità educativa rispetto a quella fondata sul budget. E poi ci si misura sul come reperire i fondi. Questo approccio, nella storia italiana, ha una forte tradizione. Ne hanno fatto parte, in modi diversi, la destra storica, Giolitti, per certi versi lo stesso fascismo, i governi centristi del dopoguerra e, con un salto in avanti, il primo centro-sinistra che, con la scuola media unica, applicò la Costituzione e aprì la via al successivo difficile cammino, ancora in corso, dell’istruzione per tutti e ciascuno. Il governo Prodi, con l’elevamento dell’obbligo, stava in questo solco. In questa tradizione ci sono stati anche errori e limiti. Da correggere. Ma è questo il solco delle politiche pubbliche unitarie del Paese. L’attuale governo rappresenta una grave frattura in questo indirizzo di responsabilità verso le nuove generazioni di tutte le classi sociali. Infatti, la priorità assoluta data ai tagli rivela qualcos’altro. Rivela un’idea di scuola in cui chi è protetto - perché ha a casa persone istruite - può permettersi poco tempo-scuola e gli altri faranno quel che possono con quel tempo. Così, la scelta di indirizzo fondata solo su criteri di bilancio sancisce il principio di ineguaglianza: dare poche cose uguali a chi uguale non è. E smentisce l’articolo 3 della Costituzione che chiama la Repubblica a rimuovere le cause dell’ineguaglianza. Nessuna riparazione per chi sta indietro. Inoltre il criterio del risparmio fa sì che l’educare non è più una funzione della scuola che è limitata all’istruire e dunque i grandi temi della comunità a scuola, della relazione scuola-famiglia, della gestione delle difficoltà dell’adolescenza sono “esternalizzati”, non finanziabili se non con risorse altre. Chi le trova bene, chi no è lasciato solo. Si tratta di una politica che consolida la divisione, nel Paese, tra popolazione protetta e poveri e tra Nord e Sud. E che sta portando alla chiusura delle scuole di montagna, all’accorpamento nelle mani di pochi dirigenti di molte scuole, con relativo annullamento delle funzioni di coordinamento pedagogico a favore di quelle meramente burocratiche, all’affollamento ingestibile delle classi, al decadimento pericoloso del patrimonio edilizio. E’ l’approccio contrario a mettere insieme scuole e sistema.
L’alternativa a questa politica sulla scuola pone, invece, l’intelaiatura di sistema al servizio di chi fa scuola, di chi deve mantenere le promesse della scuola perché risponde ogni mattina alle persone e ai compiti educativi: trovare risposte, caso per caso, classe per classe, alla crisi dei modelli educativi e alla caduta generale delle regole, affrontare la grande fragilità di un’ adolescenza sottoposta ai richiami di consumo e di comportamento dominanti e promuoverne, al contempo, le immense vitalità, integrare davvero i bambini e ragazzi stranieri, fare i conti con il fatto che i modi di apprendere nella rete e nei media vanno ricondotti a un senso, contrastare gli effetti, spesso devastanti, della povertà e dell’illegalità in intere aree del Paese dove la scuola è il solo presidio democratico. Dunque: l’agenda sulla scuola ce la fornisce la vita vera e complessa che già avviene a scuola. Altro che l’aritmetica delle ore cattedra per risparmiare! Ma la situazione si è così aggravata che, per rimettere in piedi una politica per la scuola, un governo alternativo dovrà affrontare, insieme, le questioni di cosa e come si impara e le due prime emergenze, che sono: fornire le condizioni necessarie per una scuola del ventunesimo secolo e dare di più a chi parte con meno. Dunque, mettere in sicurezza le scuole oggi non a norma e degradate e fornirle dei mezzi per garantire manutenzione ordinaria, mense e luoghi comunitari aperti tutto il giorno, palestre, laboratori scientifici, multimedialità costantemente aggiornata. C’è da fare – federalisticamente! – un grande patto stato-regioni su questo. E poi: dare subito di più a quel 20 percento di bambini poveri, ovunque e soprattutto nel Sud. Più asili nido nelle aree metropolitane del Mezzogiorno. Fornire le scuole d’infanzia di un monte ore ulteriore per la mediazione con le famiglie povere e soprattutto con le mamme delle zone a forte rischio che chiedono sostegno a una genitorialità difficile. Dare il tempo lungo e un organico funzionale a tutto la scuola del nuovo obbligo, fino ai sedici anni, ma a partire dalle aree più difficili, sul modello delle zone di educazione prioritaria francese, assicurando l’effettiva alfabetizzazione irrinunciabile – in primis solide basi precoci in italiano e matematica - che non possiamo garantire, in quei contesti, con il tempo corto e l’organico ridotto. Fornire scuole di seconda occasione per chi è già “disperso” a dodici o tredici anni. Il governo dell’alternativa è queste cose qui, da verificare con rigore.

11 settembre, 2010

Riccardo Sarfatti

E’ morto l’altro ieri sera in un incidente d’auto Riccardo Sarfatti.
Una persona cara, squisita. Un imprenditore d’avanguardia, che ha inteso la politica come servizio compiuto con onestà intellettuale e personale, non un mestiere. Con il quale ho avuto il piacere di conversare sulle comuni sorti e sul cosa fare, apprezzando ogni volta la sua ironia, il suo realismo mai cinico, la sua cultura, la sua voglia di fare il possibile e bene, nel mondo possibile. Ci mancherà.

09 settembre, 2010

Fermati un momento per Angelo Vassallo


Venerdì 10 alle ore 10.30 in punto ovunque tu sia, qualunque cosa tu stia facendo.
Perchè l'hanno ucciso con nove colpi di pistola, ad Acciaroli.
Perchè era un uomo e un sindaco con la schiena dritta.
Perchè alle 11 lo seppelliscono, ma non vogliamo che seppelliscano i suoi sogni.
Perchè non potremo essere lì, ma vogliamo che la sua famiglia senta forte il nostro abbraccio.
Perchè dal minuto dopo continueremo il nostro impegno con più forza.
Perchè così abbiamo imparato ad onorare la memoria delle vittime innocenti delle mafie.

08 settembre, 2010

Riprendersi la parola

Prima o poi si andrà a votare e sarà dura. E a Napoli si voterà per il sindaco, in primavera in ogni caso e con possibili primarie a breve. Converrà provare a ragionare con calma… e provare a non perdere. Ma detto ciò, resta che i temi dei cittadini sono lontani da ogni dibattito e spazio pubblico. E quelli di cui mi occupo io – scuola, sociale – ancor più. Eppure vanno rimessi al centro. O ci si deve provare. Comunque: va ripresa la parola. Nel mio piccolo ci provo e proverò. Così, ho avviato una serie di articoli sulla scuola su l’Unità – di cui il primo è uscito l’altro ieri. E ho indetto, insieme a Sergio D’Angelo, e in seguito al promemoria uscito su Repubblica Napoli il 10 luglio, un momento di riflessione su cosa fare a Napoli.
Invito tutti a partecipare:

Giovedì 23 settembre, a partire dalle ore 17.00, a Napoli presso la Sala del Consiglio provinciale di S. Maria La Nova, si terrà l’assemblea pubblica dal titolo “La città può riprendersi la parola”.

Un momento di riflessione sulle priorità di Napoli: ripulire l’ambiente e curare i rifiuti, combattere la povertà e la disoccupazione, rompere con gli sprechi, ridare alla città servizi degni e produzioni industriali, rifondare la macchina amministrativa e chiudere con ogni forma di clientelismo, riportare i ragazzi alla scuola e alla formazione, colpire la camorra e dare possibilità vere a chi vuole uscire dalla strada sbagliata. Le energie migliori della città, il recupero del suo orgoglio e della sue potenzialità hanno bisogno di un immediato cambio di passo, di voce e di proposta.

Ne discuteranno: Sergio D’Angelo, Marco Rossi Doria, Isaia Sales, Adriano Giannola, Enrica Morlicchio.

Per informazioni e adesioni: 081 787 2037 int. 218

01 settembre, 2010

A rieccoce

Sono rientrato al lavoro. A Trento e sui temi della scuola in generale . Quest’anno qui a Trento stanno arrivando vari operatori sociali; e studenti, operai edili, informatici, insegnanti. Da Napoli. Così mi sento meno solo. E più triste.
Ma può ripartire Napoli? Vedo l’intervento di Braucci di ieri. Concordo. E va nella direzione di quanto scritto qui a luglio.
Ci vuole una squadra. Varia, agile, forte. E – aggiungo - qualcuno che la tenga assieme. Bisogna saperlo fare. Di questo si deve parlare. E ancora di contenuti. Ho ricominciato a farlo su Repubblica Napoli contro il balletto degli organigrammi che ha oppresso l’estate partenopea. E il 23 settembre farò un’iniziativa con Sergio D’Angelo, Isaia Sales, Adriano Giannola. Sui contenuti, sul da fare. A partire dalla città com’è.
Vedo che Pietro Spina consiglia di partire da qualcosa di concreto. Rilanciamo la raccolta differenziata – suggerisce. Sì. Ci sto. E lo ringrazio. Anche se sarà dura organizzare qualcosa. Tutti noi, Pietro, stiamo perdendo la memoria storica… delle stesse nostre battaglie. L’ultima proposta con l’appello sulla differenziata immediata la facemmo nel luglio di due (2!) anni fa. (si veda qui, con tanto di commenti e adesioni…)
Facciamo un sit-in, con le buste pronte e differenziate? Dico davvero. Anche in cinque. Muti e con il lutto al braccio. Chiamando i giornali. Un semplice gesto “situazionista”. Sono disposto a venire da Trento ad hoc.

10 luglio, 2010

Un’idea di città, poi i nomi

Con Sergio D'Angelo ho scritto questo articolo che è uscito ne La Repubblica-Napoli di oggi.

Siamo preoccupati. Si stanno avvicinando le elezioni comunali e Napoli ha urgente bisogno di riattivare le sue forze migliori intorno a un’idea di città produttiva, vivibile, sicura, solidale. Ma il dibattito pubblico rischia ancora una volta di arenarsi entro gli angusti e irresponsabili spazi di questi partiti, da anni penosamente rivolti solo a se stessi, senza ombra di analisi né di proposta né, tanto meno, volontà di cambiare facce. E Dio sa quanto ce ne sia bisogno e anche desiderio.
Sia chiaro: non nutriamo alcun sentimento di antipolitica o di delegittimazione dei partiti. Anzi, insieme a tanti ci siamo battuti perché essi riprendessero finalmente ad assolvere alla funzione che la Costituzione attribuisce loro. Abbiamo richiesto le primarie di coalizione perché il centro sinistra si rimetta a pensare e proporre. Oggi - con spirito di servizio – facciamo un appello all’impegno comune per dare speranza a questa città. Ci vuole uno scatto di orgoglio, un cambio di passo, di metodo e anche di stile. E di generazione.


Proponiamo di partire dalle cose da fare, in modo autenticamente partecipativo. Perciò, nei prossimi mesi, intendiamo predisporre con cura proposte nuove e realistiche confrontandoci sul merito con tutte le forze disponibili. Con alcune ispirazioni chiare.
Innanzitutto la ripresa delle produzioni a Napoli. Una metropoli senza industria e imprese corrette non può avere fiato. Napoli può diventare una città industriale del terzo millennio, che salvaguardi i diritti e sia competitiva nel produrre, purché esca dai vecchi paradigmi. È una grande questione nazionale. Napoli salva se stessa se riprende a fabbricare beni in modo sì attento al carattere globale delle produzioni e dei mercati ma anche alla civilizzazione dell’economia che è legata alla qualità della vita: salute, servizi fruibili, apprendimento in tutte le età, difesa e rigenerazione dei luoghi e dei beni collettivi, sanità dell’ambiente. La via maestra per combattere la disoccupazione è ricostruire e innovare il tessuto produttivo urbano integrandolo con la città e legandolo al sapere tecnico e scientifico connessi con la crescita dell’economia sostenibile. E’ tempo di essere ambiziosi, di superare i lacci culturali del passato, di rendere operativa l’idea dell’imprescindibilità dell’attività economica dalla solidarietà e dalla responsabilità, anticipando quel che si deve fare in tutta Italia. Per farlo bisogna riconoscere che la crisi ha ridotto risorse e margini di azione e che lo scenario globale è la scena di ogni possibile rilancio, anche per una città; che c’è da battersi per contrastare l’agenda del governo che nega le condizioni minime per la ripresa nel Mezzogiorno; che va promossa una concertazione su investimenti che siano direttamente produttivi e credibili, pubblici e privati, sostenuti da quella parte del sistema creditizio disposto ad affrancarsi da logiche spartitorie e difensive.
Rilanciare i servizi pubblici. Snellirli innanzitutto. E renderli più prossimi alle persone, a partire da chi sta peggio. Una città divisa in due - tra tanti poveri e precari e relativamente pochi privilegiati - non può essere vivibile e sicura, né per gli uni né per gli altri. La lotta contro la camorra e il controllo dello Stato sul territorio - il ripristino del monopolio della forza – va accompagnata e sostenuta dall’offerta di aiuto costante a chi è meno protetto. Investire nella lotta alle diseguaglianze ha funzionato in molti luoghi. Purché ci si basi su principi di responsabilità personale, si creino alleanze tra gruppi di cittadini e soggetti sociali ed economici, si diano sicurezze economiche e anche occasioni formative agli operatori sociali, che sono una grande risorsa della nostra città. C’è, poi, da ridare ossigeno alla scuola - a partire da quella di base - che, davvero eroicamente, ha resistito in questi anni. Non è più tempo di fare recriminazioni sulla città dei bambini che non c’è stata, ma questa partita va rilanciata subito.
Sui rifiuti, tema concreto e simbolico, si può ripartire velocemente iniziando dalla riorganizzazione della raccolta differenziata. Sull’inquinamento è il momento di decidere di strappare pezzi della città al traffico. Sulle aree della città da valorizzare in tempi stretti e sul rilancio delle periferie c’è da dismettere i baracconi politico-burocratici che non hanno prodotto soluzioni ma, anzi, hanno fatto parte del problema: sono maturi i tempi per rapide concertazioni partecipate e l’avvio della trasformazione e dell’uso dei luoghi. Il piano senza il pieno riconoscimento delle azioni di quartiere, del protagonismo e delle reti di cittadini non ha prodotto cambiamento. Controllo serio, progettualità diffusa e attivazione delle persone vanno rimessi insieme. E va ripreso, con serenità ma rapidamente, il tema dei diritti: dei bambini, delle donne, dei disabili, degli stranieri. E dei gay. Una città che ha accolto così il Pride - con le donne dei quartieri che hanno applaudito il corteo e l’indomani sono andate regolarmente in chiesa - non può paralizzarsi su questioni di un tempo ormai tramontato. C’è la possibilità di una città delle differenze che sappia riconoscersi sicura e vivibile perché accogliente.
Parliamoci chiaro. In assenza di un candidato già riconosciuto, nella città più difficile e più giovane d’Italia - per pensare di fare queste cose – c’è da uscire dai soliti giochi e invertire la procedura: prima i compiti e il profilo e poi i nomi. Va costruita una squadra, intanto, di solide competenze e con molti giovani. E, poi, le candidature non possono più prescindere da alcune condizioni irrinunciabili: l’assoluta onestà personale, una competenza non ristretta ai circuiti della politica e alla scena napoletana, un linguaggio nuovo e chiaro, una cultura organizzativa contemporanea, la capacità di tenere insieme le differenze.
Ci diranno che la politica non si fa così. Noi pensiamo, al contrario, che una fase si sta chiudendo nel modo stesso di fare politica, e che la politica riprende senso e valore solo se si fa così. Non è facile, lo sappiamo. Ma c’è un’altra via?

06 luglio, 2010

(L)ode dell’Accompagnatore di carrelli

Ho un amico a Verbania. Si chiama Gianmaria Ottolini. E’ insegnante e ha a lungo condotto importanti esperienze innovative insieme ai suoi colleghi e colleghe. In una scuola che è stata all’avanguardia in Italia nella peer education. Che è quella cosa per la quale i più grandi si occupano dei più piccoli e vi è cura costante dei gruppi di pari perché da che mondo è mondo si impara uno dall’altro. Gli sono sempre stato grato per il rigore con il quale ha mostrato come cambiare a scuola sia possibile e utilissimo. Ora mi manda questa bellissima cosa. E la metto qui.

Aeroporto di Amburgo, primo pomeriggio del 23 settembre 2000. Sono di fianco alla scala mobile che sale nell’area di imbarco mentre aspetto le quattro ragazze della mia scuola che ho accompagnato nella settimana precedente ad Emden per un workshop internazionale (Germania, Austria, Italia, Russia) sulla figura dell’educatore svoltosi presso il locale l’Istituto professionale (Berufsbildende Schulen I).



Le ragazze sono in giro per l’aeroporto a far fuori gli ultimi marchi prima di imbarcarsi. Sfoglio un giornale mentre curo tre carrelli con i nostri bagagli. La coda dell’occhio mi fa percepire uno strano movimento nell’area alle mie spalle. Alzo lo sguardo e osservo uno strano turista – tra i 60 e i 65 anni - che, proprio di fronte a me e alla scala mobile, va a ad appoggiarsi alla balaustra delle scale che scendono al piano inferiore.
Ha l’aria tranquilla di chi sa che deve aspettare e passa il tempo ad osservare il via vai. Mi colpisce il suo abbigliamento che era certo quello del turista (forse un inglese, penso) ma con qualche incongruenza. Un po’ trasandato ma a suo modo di un’eleganza vecchia maniera. Pantaloni di velluto, scarpe larghe e scamosciate, un soprabito un po’ fuori stagione visto che quel fine settembre era ancora abbastanza caldo e un cappello di feltro grezzo, mi pare di ricordare verde. Al suo fianco, appoggiata, una borsa di plastica larga ed alta che sembra contenere uno o due pacchi.
Ad un certo punto, ero ritornato al mio giornale, lo intravedo muoversi celermente ma senza scomporsi nel correre. All’inizio non capisco, la borsa era rimasta al suo posto e vedo il nostro “turista” prendere un carrello abbandonato a fianco della scala mobile e sistemarlo nelle guide dell’apposito deposito. Naturalmente recuperando la moneta di due marchi.
Allora capisco. Il nostro è una sorta di “barbone snob”. Quello è il lavoro che si è inventato: recuperare i carrelli abbandonati e riportarli a loro posto con un guadagno netto di due marchi a carrello; e magari il recupero di qualche oggetto, rivista od altro dimenticati. Nella mezzora che segue sono altri quattro o cinque i carrelli abbandonati da viaggiatori frettolosi di imbarcarsi. Faccio mentalmente un rapido calcolo e penso che se la media è quella, il nostro può guadagnarsi almeno dai 10 ai 20 marchi all’ora.
Quando tornano le quattro ragazze, senza dare a vedere, spiego loro l’attività del nostro dirimpettaio. Decidiamo di abbandonare a nostra volta i tre carrelli, tanto le monete in banca non le cambiano e tra poco più di un anno si sarebbe passati all’euro.
Mentre stiamo salendo sulla scala mobile mi volto ed incrocio lo sguardo del nostro; ha un mezzo sorriso d’intesa. Ci siamo capiti.

29 giugno 2010. La giunta leghista di Montecchio Maggiore (già famoso per il caso della mensa comunale che aveva tenuto a pane e acqua i bambini non in regola con la retta) approva il regolamento di polizia urbana che all’art. 34, intitolato « Divieto dell’esercizio del mestiere girovago del cosiddetto “accompagnatore di carrelli della spesa” »– così recita: “È vietato su tutto il territorio comunale l’esercizio del mestiere girovago di “accompagnatore di carrelli della spesa”. Chiunque viola le disposizioni del presente articolo è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria, da euro 25,00 ad euro 500,00.”

Leggendo questa notizia la prima cosa che ho pensato è che alla definizione di Carlo M. Cipolla secondo cui gli stupidi sono coloro che riescono a recar danno contemporaneamente a se stessi e agli altri si potrebbe anche aggiungere: coloro che non si rendono conto del ridicolo del loro agire.
Mi è poi visivamente tornato alla mente l’Accompagnatore di carrelli di Amburgo. Nella scala di Cipolla è certamente un rappresentante dell’intelligenza umana: capace di perseguire allo stesso tempo il vantaggio proprio e quello altrui. Mettere al loro posto carrelli che sarebbero di intralcio ai viaggiatori traendone un non insignificante guadagno.
Chissà se è ancora al suo posto? Mi piace pensare che la sua scelta dell’aeroporto non fosse casuale o solo frutto dell’ingegno, ma una sorta di preparazione al suo grande viaggio. Me lo immagino in qualche paese esotico a godersi, con meritato riposo, i marchi (e poi gli euro) accumulati carrello dopo carrello. Alla faccia degli stupidi intolleranti che non sanno apprezzare varietà e diversità dell’essere e dell’agire umano.

29 giugno, 2010

Dibattere Pomigliano

Anche il dibattito su questo piccolo blog mostra che in questi giorni alla Fiat di Pomigliano si è svolto un fatto decisivo e che è possibile e necessario favorire confronti e discussioni che, se fatti bene, possono fare cambiare e arricchire le posizioni, compresa la mia – che voleva rimarcare come i rapporti di forza erano una cosa importante, al di là di quel che si sente e si pensa ma che non ha visto altre cose.
Mi ha colpito, a tal proposito, un articolo di Guido Viale che va oltre le solite tifoserie. E che consiglio.
In generale questa vicenda è stata spesso raccontata in modo molto schematico, per slogan. Ci si è schierati, forse, ma più sulla sulla base di simpatie nuove o antiche che sulla base di informazioni nel merito.
Per questo sono contento che sia stato organizzato un seminario di approfondimento dei termini della vertenza Fiat: produzione, diritti, competizione, lavoro. Ci sarà una relazione illustrativa di Francesco Pirone (Università di Salerno) e sono previsti, tra gli altri, interventi di Davide Bubbico, Stefano Consiglio, Mario Mastrocecco, Biagio Quattrocchi, Enrico Rebeggiani, Luca Rossomando.

L'appuntamento è alla Facoltà di Sociologia di Napoli - giovedì prossimo, 1 luglio, alle ore 10:30.

11 giugno, 2010

I rapporti di forza e Pomigliano

Domenica scorsa sono salito sul solito treno che di notte attraversa l’Italia. I ragazzi di Napoli erano anche loro in partenza. Le mamme, le fidanzate, i fratellini più piccoli, i padri silenziosi che vanno a comprare l’acqua per non stare lì a guardarli partire, qualche nonna anche… Per una settimana, per due, per un mese staranno via. Per poi tornare un altro breve week end e ancora ripartire. Biglietto di seconda sull’espresso notturno. Raggiungono i lavori precari e mal pagati dell’Italia di oggi, in un Nord flagellato dalla cassa integrazione, dai licenziamenti nelle tante piccole aziende, dalla drammatica crisi del lavoro interinale.Sul treno parlano dei loro compagni di lavoro del Nord, diventati amici. Sono i loro coetanei appena sposati, che avevano da due o tre anni osato fare un mutuo per la casa. Casa piccola ma casa, con piccolissimi figli dentro. Che ora rischia l’ipoteca. “Lavorare in due, comprare una casa lì, poi si vede”. Questo è il programma civile e personale dei 6 napoletani per ogni mille abitanti che da quasi dieci anni vanno via dalla città. E’ il programma del decoro e della dignità del Sud. Che, nonostante la Lega, tanti coetanei dei nostri ragazzi, di Treviso o di Torino, di Piacenza o di Udine, hanno imparato ad apprezzare. E’ il programma dell’art. 1 della Costituzione: fondarsi sul lavoro. Ma oggi ripartono verso il Nord senza neanche quel programma. Perché vedono la fine di un orizzonte di speranza negli occhi dei loro coetanei settentrionali, spauriti dai morsi della crisi. Terribile, che più terribile non si può.

E in questo paesaggio, solcato da un’incertezza che investe il mondo intero, a pochi chilometri dalla nostra città - la quale non vede salvare né aprire un’industria da molti lustri, che conosce un tasso di disoccupazione, in particolare femminile, da terzo mondo e una percentuale di famiglie povere ben oltre un terzo dell’intera popolazione – si assiste da giorni alla mancata chiusura dell’accordo per lo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco. Sulla cui vicenda solo qualche raro politico spende poche parole e nessun intellettuale un briciolo di attenzione. Una vergogna pari solo alla depressione civile che ci attanaglia.
Per il rispetto che si deve a quei ragazzi di Napoli in partenza e anche ai loro coetanei del Nord, vogliamo, per piacere – tutti - ricordare a noi stessi i termini nudi e crudi della vicenda di Pomigliano?
Le cose stanno come segue. La Fiat intende investire 700 milioni di euro per risanare una fabbrica da capo a piedi. E’ un’operazione che può garantire lavoro per diciotto anni. A 4700 operai. Il che significa che garantisce lavoro a altri 12.000 dell’indotto campano. Sono ventimila famiglie. Centomila persone almeno. Persone con un lavoro e una dignità qui. Che fanno il tessuto civile di un territorio. Ad altri 500 operai è stata garantita l’andata in pensione. Perché ne avevano i requisiti. A Pomigliano si vuole trasferire la produzione di massa della nuova panda, che sta per uscire, una produzione che si intende riportare in Italia dalla Polonia. Si tratta della produzione dell’utilitaria europea che ambisce al primato delle vendite continentali nella stagione della lunga crisi e della possibile ripresa. Si programmano duecento ottanta mila vetture l’anno. Vetture che promettono la migliore performance ecologica oggi a portata di mano, con motori misti, benzina, GPL, metano, a bassi costi di consumo, in molte versioni. La Fiat, per garantire queste ambizioni, di fronte a una concorrenza fortissima, chiede 280 giorni lavorati effettivi, a diciotto turni per 6 giorni a settimana. Ogni operaio avrà due giorni di riposo. L’accordo è a portata di mano. Si è già giunti a una dignitosa mediazione sulle pause passate da 40 a 30 minuti e sulla mensa a fine turno. Ora la Fiat chiede due cose. Che l’accordo sia esigibile e dunque assolutamente protetto dalle micro-conflittualità di azienda o di reparto. E che si dia un taglio all’assenteismo cosidetto anomalo. Che ha luogo quando, per esempio, c’è una partita di calcio o anche quando c’è uno sciopero in vista e all’improvviso aumentano le malattie a dismisura. Cose che rendono meno credibile la tenuta della produzione programmata.
Non è tempo di raccontare frottole sulla beltà della produzione contemporanea: la vita in fabbrica è dura, spesso insopportabile. Si esce stravolti. Ma viviamo in un tempo – è tanto brutto quanto necessario doverlo riconoscere – in cui la vita senza quel lavoro è peggio ancora. Di molto. Forse è davvero l’ora di dire che non ci sono scelte. E il mondo sindacale e politico deve saperlo dire. Forse ci sarà un nuovo ciclo espansivo. E si potranno ri-contrattare i termini delle cose. Ma non ora. Ora è il tempo della serietà davanti a quei ragazzi del Nord e del Sud. E’ il tempo di un patto forte e dichiarato tra produttori. Che salvi il lavoro e che contribuisca a rimettere il Mezzogiorno produttivo al centro della vicenda economica del Paese.

09 giugno, 2010

Il Sud tagliato fuori

Ho deciso di riportare questo appello urgente. Che riguarda la vita del Sud e che la riguarderà a lungo. Si chiama: “Oggi Federalismo fiscale, Sud ai margini”. E’ una lettera aperta ai Parlamentari e ai Presidenti di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise e Puglia. E’ stata scritta dai responsabili del Mezzogiorno (Marco Esposito – Idv, Umberto Ranieri – Pd, Arturo Scotto – Sel) dei partiti dell’opposizione e da Gianni Pittella, vicepresidente del Parlamento Europeo. Che stanno assolvendo, per una volta, alla loro funzione. E’ impressionante come neanche le forme minime vengano più rispettate…


E’ in preparazione il decreto sui tributi locali che attua il federalismo fiscale. A tale appuntamento si arriva con un forte squilibrio territoriale visto che sei Regioni del Sud sono tenute ai margini del tavolo politico e di quello tecnico, nonostante lo spirito di collaborazione mostrato da forze politiche, anche di opposizione, come conferma il voto di Pd e Idv sul federalismo demaniale.

Ecco i fatti. Nella Commissione bicamerale sul federalismo i parlamentari di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania Molise e Puglia non sono rappresentati né nel gruppo di presidenza (presidente siciliano, vicepresidenti siciliano e veneto) né nei componenti della segreteria (Lazio e Friuli). E’ noto che la Sicilia, come tutte le Regioni a statuto speciale, ha problematiche diverse, al punto che i decreti delegati non si applicano alle Regioni autonome.

Nella Copaff, la Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, lo squilibrio è ancora più vistoso. Le nomine del Governo vedono 14 componenti scelti da ministri del Centronord contro uno indicato da un ministro del Sud. Le nomine degli enti locali garantiscono la presenza di tre Regioni del Sud (Calabria, Campania e Molise), tuttavia al momento della nomina del Consiglio di presidenza della Copaff il Sud è azzerato mentre la Lombardia ha quattro componenti su cinque e cioè il presidente (Luca Antonini, scelto da Tremonti), il vicepresidente (il più anziano dei componenti indicati da Tremonti), il terzo rappresentante del governo (scelto da Bossi), il rappresentante delle Regioni, indicato in quello della Lombardia, mentre il rappresentante del Comuni è scelto dall’Anci di Roma. La Copaff per regolamento va convocata “almeno una volta al mese”. Tra gennaio e maggio si è invece riunita in sede plenaria, cioè con i rappresentanti del Sud, solo una volta. Le sedute del Consiglio di presidenza sono state invece otto.

La Copaff ha dato vita inoltre a sei gruppi di lavoro. Significativo il fatto che tra i componenti indicati dalle Regioni il rappresentante della Lombardia (Antonello Turturiello, consulente di Formigoni) coordina due gruppi di lavoro mentre quello della Calabria (Gaetano Stornaiuolo) non è inserito in nessun gruppo. Clamorosa, infine, è la composizione del gruppo sulla Perequazione, tema chiave per il Mezzogiorno. I coordinatori sono scelti da Tremonti e Formigoni e le Regioni rappresentate sono Liguria, Emilia Romagna e Lazio. Il Sud è assente.