11 giugno, 2010

I rapporti di forza e Pomigliano

Domenica scorsa sono salito sul solito treno che di notte attraversa l’Italia. I ragazzi di Napoli erano anche loro in partenza. Le mamme, le fidanzate, i fratellini più piccoli, i padri silenziosi che vanno a comprare l’acqua per non stare lì a guardarli partire, qualche nonna anche… Per una settimana, per due, per un mese staranno via. Per poi tornare un altro breve week end e ancora ripartire. Biglietto di seconda sull’espresso notturno. Raggiungono i lavori precari e mal pagati dell’Italia di oggi, in un Nord flagellato dalla cassa integrazione, dai licenziamenti nelle tante piccole aziende, dalla drammatica crisi del lavoro interinale.Sul treno parlano dei loro compagni di lavoro del Nord, diventati amici. Sono i loro coetanei appena sposati, che avevano da due o tre anni osato fare un mutuo per la casa. Casa piccola ma casa, con piccolissimi figli dentro. Che ora rischia l’ipoteca. “Lavorare in due, comprare una casa lì, poi si vede”. Questo è il programma civile e personale dei 6 napoletani per ogni mille abitanti che da quasi dieci anni vanno via dalla città. E’ il programma del decoro e della dignità del Sud. Che, nonostante la Lega, tanti coetanei dei nostri ragazzi, di Treviso o di Torino, di Piacenza o di Udine, hanno imparato ad apprezzare. E’ il programma dell’art. 1 della Costituzione: fondarsi sul lavoro. Ma oggi ripartono verso il Nord senza neanche quel programma. Perché vedono la fine di un orizzonte di speranza negli occhi dei loro coetanei settentrionali, spauriti dai morsi della crisi. Terribile, che più terribile non si può.

E in questo paesaggio, solcato da un’incertezza che investe il mondo intero, a pochi chilometri dalla nostra città - la quale non vede salvare né aprire un’industria da molti lustri, che conosce un tasso di disoccupazione, in particolare femminile, da terzo mondo e una percentuale di famiglie povere ben oltre un terzo dell’intera popolazione – si assiste da giorni alla mancata chiusura dell’accordo per lo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco. Sulla cui vicenda solo qualche raro politico spende poche parole e nessun intellettuale un briciolo di attenzione. Una vergogna pari solo alla depressione civile che ci attanaglia.
Per il rispetto che si deve a quei ragazzi di Napoli in partenza e anche ai loro coetanei del Nord, vogliamo, per piacere – tutti - ricordare a noi stessi i termini nudi e crudi della vicenda di Pomigliano?
Le cose stanno come segue. La Fiat intende investire 700 milioni di euro per risanare una fabbrica da capo a piedi. E’ un’operazione che può garantire lavoro per diciotto anni. A 4700 operai. Il che significa che garantisce lavoro a altri 12.000 dell’indotto campano. Sono ventimila famiglie. Centomila persone almeno. Persone con un lavoro e una dignità qui. Che fanno il tessuto civile di un territorio. Ad altri 500 operai è stata garantita l’andata in pensione. Perché ne avevano i requisiti. A Pomigliano si vuole trasferire la produzione di massa della nuova panda, che sta per uscire, una produzione che si intende riportare in Italia dalla Polonia. Si tratta della produzione dell’utilitaria europea che ambisce al primato delle vendite continentali nella stagione della lunga crisi e della possibile ripresa. Si programmano duecento ottanta mila vetture l’anno. Vetture che promettono la migliore performance ecologica oggi a portata di mano, con motori misti, benzina, GPL, metano, a bassi costi di consumo, in molte versioni. La Fiat, per garantire queste ambizioni, di fronte a una concorrenza fortissima, chiede 280 giorni lavorati effettivi, a diciotto turni per 6 giorni a settimana. Ogni operaio avrà due giorni di riposo. L’accordo è a portata di mano. Si è già giunti a una dignitosa mediazione sulle pause passate da 40 a 30 minuti e sulla mensa a fine turno. Ora la Fiat chiede due cose. Che l’accordo sia esigibile e dunque assolutamente protetto dalle micro-conflittualità di azienda o di reparto. E che si dia un taglio all’assenteismo cosidetto anomalo. Che ha luogo quando, per esempio, c’è una partita di calcio o anche quando c’è uno sciopero in vista e all’improvviso aumentano le malattie a dismisura. Cose che rendono meno credibile la tenuta della produzione programmata.
Non è tempo di raccontare frottole sulla beltà della produzione contemporanea: la vita in fabbrica è dura, spesso insopportabile. Si esce stravolti. Ma viviamo in un tempo – è tanto brutto quanto necessario doverlo riconoscere – in cui la vita senza quel lavoro è peggio ancora. Di molto. Forse è davvero l’ora di dire che non ci sono scelte. E il mondo sindacale e politico deve saperlo dire. Forse ci sarà un nuovo ciclo espansivo. E si potranno ri-contrattare i termini delle cose. Ma non ora. Ora è il tempo della serietà davanti a quei ragazzi del Nord e del Sud. E’ il tempo di un patto forte e dichiarato tra produttori. Che salvi il lavoro e che contribuisca a rimettere il Mezzogiorno produttivo al centro della vicenda economica del Paese.

15 commenti:

caroline ha detto...

grazie marco per questo lavoro che fai, il silenzio dei commenti è buon segno . E' il segno dell'ascolto, il segno che qua non si tratta di opinioni ma di una realtà insopportabile.

Marco Rossi-Doria ha detto...

grazie Caroline. Oggi le notizie ci segnalano che purtroppo la FIOM pare non capire i rapporti di forza e la situazione; non tutta la CGIL - pare - abbia la stessa miopia. Vedremo. Comunque pochi parlano di operai, poveri, società.

Pietro Spina ha detto...

Caro Marco, se finora non ho risposto è perchè seguo la vicenda con molta apprensione (anche personale, visto il lavoro che faccio) e spero sempre che un accordo si raggiunga. Tuttavia non sono d'accordo con quello che dici, o meglio, per il modo e il momento in cui lo dici. In certi momenti, dire che un accordo si deve fare a ogni costo, significa di fatto, unirsi al coro di chi cerca di allargare fratture nel campo dei lavoratori e isolare la FIOM (guarda, non è paranoia, lo stanno facendo da anni, Sacconi anche esplicitamente). Oggi poi dici anche a tu che la posizione del più grande sindacato metalmeccanico italiano è "miope" e non capisce i rapporti di forza, allora non posso non risponderti, per il bene che ti voglio, che non sono d'accordo per niente e secondo me sbagli.
non c'è nessuno che non voglia la FIAT a pomigliano, e non servirà descrivere le condisioni di vita di quella zona per mostrare quanto è profondo il baratro in cui rischia di cadere chi non accetta il diktat della Fabbrica (portando con sè gli "innocenti" per di più). Potrei risponderrti di pensare al distretto industriale polacco da cui quella fabbrica verrà spostata e tu non avresti il cuore di rispondermi "chissenefrega, noi guardiamo il nostro".

Pietro Spina ha detto...

...(segue)
DIci che gli intellettuali avrebbero dovuto interessarsi della vicenda e sono molto d'accordo, ma da noi gli intellettuali preferiscono fare i pronostici su chi vince i mondiali e chi fa il sindaco di Napoli. Ma anche tu, però non hai scritto una riga sul motivo per cui la FIOM non vuole firmare. Giusto o sbagliato che sia, un motivo c'è. é che un conto è dire che si richiedono più turni e anche di sabato e domenica (e non ti sto a dire, perchè lo sai, che significa lavorare su un turno a rotazione notturno e festivo per lo stesso stipendio...). Un conto è dire che se ti ammali perdi il posto (perchè guarda che qui non siamo in un ufficio pubblico, la fiat manda le visite fiscali ogni volta che riceve un certificato; chi parla di malattia come sinonimo di assenteismo è in malafede). Un conto è dire che per i lavoratori della fiat di pomigliano è revocato il diritto di sciopero. Un conto, insomma, è aumentare la produttività, un conto è dire "c'è la crisi, si torna all'inizio del 900". Io non mi posso associare al coro e, credo, neanche tu dovresti. Perchè Marchionne l'ha detto con un'arroganza di altri tempi: c'è la crisi, o fate come dice la FIAT (che, in quanto impresa è l'espressione della razionalità assoluta e quando parla esprime la necessità assoluta) o non lavorate più, nessuno lavora più e la colpa è di chi ha pensato che i propri bisogni e desideri potessero ancora contare qualcosa. NO, c'è la crisi. Se la metti così, si dovrà accettare qualunque cosa. Se pensi che l'esigenza della produzione sia necessità assoluta, tanto vale cominciare da subito a lavorare come i Cinesi in Cina, invece che sperare che in Cina comincino ad avere dei diritti come da noi. PErchè per l'impresa, quello checonta è il profitto e non c'è biosogno di essere marxisti, lo sa anche Marchionne e perfino Sacconi, forse. E se tu vuoi un "patto tra produttori", cominiciamo a dire, dillo tu se vuoi, che cosa ci mette (o ci rimette) la FIAT. i lavoratori ci rimettono sangue e sudore e soldi (ma tu hai mai lavorato di più per guadagnare di meno?). La fiat, dopo che si è presa e si prende tutt'ora i soldi dello stato (cioè degli stessi lavoratori) cosa ci rimette? NUlla, ci rimette, sennò le sue quotazioni scendono, i mercati crollano... Allora patto di che? si fa un patto con dice: questaè la crisi (che noi abbiamo creato) o accettate di pagarla voi o nulla? si può fare un patto così?
se la tua risposta è sì, perchè "i rapporti di forza" allora tanto vale accettare che il mondo va come dicono loro e dei diritti, per favore, non parliamo più. NOn c'è nessun diritto con la pistola alla tempia.

Sveva ha detto...

@spina
assolutamente daccordo!
la tua limpida e chiara spiegazione
dovrebbe far riflettere molti, tanti, e la FIOM gioca un ruolo, in questo momento, STORICO per il mondo del lavoro in ITalia, dispiace che tu Marco non lo comprenda, e tutte le lotte fatte dai nostri padri? buttate alle ortiche dall'indice PIL...che amarezza!

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo con Pietro Spina.
Marco, la Fiom in questo caso ha ragione per motivi liberali non comunisti. Qui si parla di diritti della persona non di diritti dei lavoratori. Ci sono tassi anomali di assenteismo? Che si combattano con gli strumenti che ci sono, che si persegua la responsabilità individuale. Quando si confonde la responsabilità individuale con la responsabilità collettiva si cade in un regime illiberale.

Marco Rossi-Doria ha detto...

grazie per gli interventi. davvero. pietro dice bene su tenere duro fino alla fine della trattativa; ma io non faccio il sindacalista e guardo e soffro ma penso anche che la città abbia bisogno di dibattito civile sulle cose, su tutte le cose, di polemos vero, bello, serio, nel quale si rischia nel dire;

la fiat, pietro, ci mette soldi, quei soldi, sì fatti anche come tu dici e soldi di profitti precedenti - io marx l'ho letto e pure ricardo;

allora la questione è una - non penserete che io sia un amico dei padroni o pensi che la fabbrica sia bella - l'ho detto peraltro che non lo è;

la questione è una:la fiat bluffa o c'è il rischio che se ne vada?; per me non è un bluff; e se non è un bluff e non ci sono le condizioni per la lotta si fa una ritirata strategica, si tiene la fabbrica lì, si accetta il ricatto - è un ricatto, ovviamente e lo penso anche io - e c'è un decennio davanti per riprendere le cose in mano; una ritirata strategica, chiara, onesta, basata sui rapporti di forza.

enneconerre ha detto...

C'era una volta una sindacalista che condusse una battaglia anomala. Da anni, infatti, l'unità produttiva dove lavorava la sindacalista era oggetto di un continuo smembramento e trasferimento di attività presso altre e sedi. Per comprare il consenso ed il silenzio dei lavoratori, il management aziendale decise di elargire cospicui aumenti a tutti i dipendenti. A pioggia e senza alcun criterio. Cosa fare? Accettare e condividere il consenso con i colleghi. Rifiutare e condurre una battaglia affinché gli aumenti fossero elargiti secondo criteri di merito e sulla base del lavoro svolto? La sindacalista non ci penso due volte e scelse la strada, perdente, di assicurare un futuro alla propria unità produttiva. Ragionava nel modo seguente: se riesco a far passare la logica del merito e della produttività, per un verso porrò un argine al continuo svuotamento di competenze che sta compromettendo il futuro della mia unità e del relativo indotto (che già sta prendendo altre strade), per l’altro verso creerò meccanismi di assicureranno un futuro anche ai giovani che verranno a lavorare in azienda.
Ovviamente la sindacalista perse la sua battaglia e quando le dissi che, tutto sommato, i suoi colleghi erano vittima di un ricatto, lei mi redarguì dicendomi: non bisogna mai ragionare in termini di ricatto. Attribuire le scelte a ragioni come il ricatto è quanto di più errato si possa fare.. Alla fine la gente decide e sceglie con la propria testa, l’idea del ricatto serve solo per continuare a ritenersi sempre e comunque dalla parte del giusto.
Aspettiamo con serenità il giudizio dei lavoratori. Vediamo se accetteranno di lavorare molto di più, con turni molto più stancanti ed a parità di stipendio solo per continuare a garantirsi e a garantire all’azienda un futuro.
Ovviamente se l’accordo salta e la FIAT se ne va, credo che tutti qui saranno d’accordo che fa una scelta legittima e insindacabile da un unto di vista aziendale. E le scelte aziendali non possono essere che commentate con argomentazioni aziendali.

Pietro Spina ha detto...

Anche io ringrazio marco per aver acceso questo piccolo dibattito, o, almeno, per avermi dato modo di chiarire anche a me stesso certe posizioni. Forse il mio intervento precedente sapeva un po' di retorica, e me ne scuso, ma resto dell'idea che sia giusta la posizione della Fiom. E non perchè spero che l'accordo salti e lo stabilimento chiuda, che sarebbe un disastro, ma perchè ritengo che lo scontro aperto a pomigliano sia una cosa che va molto al di là del pur importante quadro economico locale. Quello che c'è in gioco è l'assetto delle relazioni industriali nel nostro Paese e in Europa e lo stesso ruolo della politica rispetto all'economia. NOn esagero. Dal punto di vista del modello sindacale, accettare un accordo del genere senza nemmeno lottare significa aver già interiorizzato un ruolo del sindacato completamente subalterno, significa la fine del modello conflittuale (non vi spaventate del termine, non è una cosa "comunista", è il modello descritto dalla nostra costituzione e dallo statuto dei lavoratori) per accettare un sindacato-istituzione pubblica, chiamato a svolgere un ruolo nel regolare l'ingresso e l'uscita dal lavoro (assunzioni, formazione ma anche crisi aziendali e conversione), la mobilità (specie nel p.i.) e il conflitto individuale (per il quale è chiamatoa svolgere addirittura la funzione di arbitro!), ma non più la contrattazione. Non mi dilungo su questo, magari in altra sede, mi limito a far notare come ciò sia in perfetta sintonia non solo con le dichiarazioni di Sacconi e Marcegaglia e Bonanni, ma anche con le "riforme" anche costituzinoali che il governo si appresta a varare. E' questo che vuol dire marchionne quando dice che "queste condizioni non si trattano", vuol dire il sindacato non deve più contrattare con l'azienda perchè l'azienda ha le sue regole indiscutibili. Quello che si chiama "razionalità capitalista". La fiom non l'accetta e l'azienda lo sapeva che non l'avrebbe accettato (su questo si è fatto il congresso della CGIL) e per questo ha posto le condizioni esattamente in questi termini, per arrivare alla resa dei conti e vincere. Non si tratta, per la fiat, solo di assicurarsi la redditività dell'investimento. Premesso che da questo punto di vista era "economicamente" meglio restare in polonia, in ogni caso, i turni e lo straordinario li hanno già ottenuti. E la fiom ha infatti rilanciato su questo. Ma non basta alla fiat, vogliono far saltare il CCNL, vogliono la resa totale del sindacato che rinuncia a fare scioperi per migliorare le condizioni contrattuali. VOgliono un sindacato che non contrappone l'esigenza di vita dei lavoratori alla richieste dell'azienda con l'unica arma a disposizione (lo sciopero) ma che accetta supinamente la compatibilità con le esigenze finanziarie dell'impresa, punto e basta.

Pietro Spina ha detto...

...(segue)

Non è solo una questione di politica sindacale ma di politica tuot court, nel senso più alto del termine. Nel senso di chi decide di come va la vita delle persone e che strada prendiamo come collettività.
ENNECONERRE ha detto:
"Ovviamente se l’accordo salta e la FIAT se ne va, credo che tutti qui saranno d’accordo che fa una scelta legittima e insindacabile da un unto di vista aziendale. E le scelte aziendali non possono essere che commentate con argomentazioni aziendali."
Io non sono d'accordo che sia una scelta legittima e tanto meno che sia insindacabile. Nessuna scelta pubbilca è insindacabile in una democrazia.E soprattutto mi farò arrestare prima di accettare che le scelte aziendali si debbano commentare solo con argomenti aziendali. L'unico argomento che l'azienda può conoscere, infatti, è il profitto: una fabbrica senza sindacato dà un profitto maggiore, allora aboliamo il sindacato. Un lavoratore che sta 12 ore in catena di montaggio dà maggior profitto allora aumentiamo l'orario, sennò l'azienda va in Cina e realizza maggior profitto.
Vendere automobili fa realizzare profitto e quindi si fabbrichino al minor prezzo e si vendano al maggiore possibile e non importa se il mercato è strasaturo, se le strade sono insufficienti, le città invivibili per il traffico.Queste cose alla razionalità aziendale non importano. Paghiamo sempre meno gli operai sennò le auto costano troppo e non si vendono, ma così facendo gli aquirenti avranno meno soldi e non potranno comprarle e allora si ridurrà ancora il prezzo e il salario e così via.. la razionalità capitalista è "irrazionale" e sta portando il mondo allo sfacelo. La risposta non è la rivoluzione comunista, io credo, ma la politica deve trovare risposte a questo. Avevo visto nell'obamismo un segnale in questo senso.
Io credo che, come intellettuali e cittadini, abbiamo il dovere di ribellarci a questo modo di concepire le cose. E in questo momento abbiamo il dovere di pretendere che anche nella fabbrica sia messa al centro la persona, che conta più delle cose. La persona ha dei diritti che non si possono comprimere, per nessuna ragione, sennò torniamo indietro davvero. A che serve tassare le banche se poi le banche scaricano le tasse in aumenti delle commissioni perchè sennò i margini di profitto calano e perdono appetibilità per i mercati finanziari? Se questo per voi è insindacabile, non parliamo più di politica, limitiamoci a discutere di aborto e crocifissi nelle aule e distinguiamo pure da questo la destra dalla sinistra. Per me non è così. la sinistra deve avere obiettvi ambiziosi, non gli scongiuri con cui Bersani tenta di esorcizzare la portata devastante sugli assetti complessivi del sistema sindacale e sociale che l'accordo di pomigliano certamente avrà.
questa è la lettera di alcuni operai fiat polacchi ai loro colleghi italiani:
http://www.nuovasocieta.it/inchieste/6345-fiat-lettera-degli-operai-di-tychy-a-quelli-di-pomigliano.html

La sinistra deve dare risposte a queste cose e non negare la realtà.
Durante i giorni in cui la televisione si occupava della crisi greca, ho sentito una cittadina di quel paese che diceva che probabilente la manovra del governo sarebbe passata ma lei era d'accordo con le manifestazioni e gli scioperi perchè non si può permettere di calpestare diritti e cambiare un sistema sociale senza neanche lottare, accettando tutto come le percore, in nome di una necessità assoluta che ignora le esigenze delle persone, che arricchisce i ricchi a spese dei poveri (per usare termini cari a marco).
Per questo motivo, personalmente, ritengo non solo mio dovere intellettuale ma anche mio interesse diretto aderire allo sciopero indetto dalla CGIL per il 25 giugno. vi invito a farlo, è una battaglia di civiltà.

Mauro ha detto...

A quello che ha scritto Pietro Spina vorrei aggiungere che in quasi tutti i settori la contrattazione collettiva stabilisce specifiche procedure di confronto (fra azienda e sindacati) nei casi, ad esempio, di rilevanti riorganizzazioni, ristrutturazioni, cessioni o trasferimenti di rami d'azienda e via dicendo. Questo al fine di garantire forme di controllo sulla regolarità delle iniziative aziendali intraprese (regolarità intesa come conformità alla normativa vigente), l'adeguatezza delle motivazioni che sono alla base di quelle stesse iniziative, l'equità delle ricadute sui lavoratori in termini di mobilità territoriale e/o professionale. Perché l'organizzazione d'impresa è una cosa, le "mutazioni genetiche" societarie (nelle quali si giocano importantissime partire sui livelli occupazionali) ben altra. Pensate ai lavoratori dell'ex Eutelia. Oppure a tutti coloro i quali hanno perso il proprio posto di lavoro nei meccanismi tritacarne delle riorganizzazioni Telecom.
Ora, la Fiat è disposta ad effettuare un ingente investimento economico a Pomigliano, a dirottare una linea di prodotto in Italia (perché è normale che un'azienda che fa dell'italianità il suo brand, produca in Polonia, Romania e via dicendo), a scommettere sulla capacità competitiva di uno stabilimento (ah, quindi Pomigliano non è proprio da buttare!), ma solo se si accettano i termini indiscutibili di questo benedetto accordo. Se no si chiude. E nell'uno e nell'altro caso la posizione aziendale non risulta suscettibile di confronto. Come se le scelte manageriali non incidessero affatto sul buon andamento della produzione. Come se il calo della produzione non fosse legate al deterioramento (anche fisiologico) delle quote di mercato. Tutta la responsabilità sugli operai. Come per Alitalia. Una compagnia allo sfacelo perché le hostess avevano stipendi eccessivi. Certo. Tutto chiaro.
Io dico che la marginalizzazione del sindacato in azienda (ridotto al ruolo di mero ratificatore delle deliberazioni datoriali) non può che avere effetti devastanti.

Mauro ha detto...

"Non è un accordo, né un contratto, semmai un protocollo imposto dall’azienda, prendere in toto o lasciare. Nessun sindacalista avrebbe dovuto firmarlo. Semmai avrei detto alla
Fiat di chiedere direttamente ai lavoratori. Magari dicendo loro che la situazione è straordinaria, servono sacrifici, e ascoltare le loro risposte. Ma niente firma sindacale, né come sindacato avrei detto ai lavoratori cosa votare. In tanti anni di lavoro sindacale mi è capitato di fare accordi buoni e anche cattivi. Nel 1966, per esempio, firmai un contratto nazionale dei metalmeccanici che sembrava quello precedente, neanche il totale recupero dell’inflazione riuscimmo a strappare. La situazione era quel che era, ma almeno si contrattava. La procedura imposta oggi dalla Fiat per lo stabilimento di Pomigliano è veramente singolare, senza precedenti nel dopoguerra".
Pierre Carniti (ex segretario Cisl...)

Marco Rossi-Doria ha detto...

Quando ho scritto questo post, poi inviato a Repubblica Napoli e lì pubblicato, nessuno parlava di Pomigliano; dopo tre giorni apriti cielo... "finalmente!" mi sono detto.
Ora senza alcuna pretesa - ovviamente - di chiudere un dibattito proficuo e molto utile anche a me, ho in fondo una grande gratitudine verso chi pensa a queste cose in modo sereno e affaticato e un pensiero di merito.
In estrema sintesi:
1 - sono colpito dalla testimonianza di enneconerre e d'accordo con molto di quel che dice Pietro Spina, prima e dopo e niente affatto retorico, francamente; inoltre la citazione da Carniti di Mauro mi pare fulminante - quel accordo, se ricordo bene, arrivò dopo i fatti di Piazza Statuto.
2 - resta il problema centrale che ponevo: i rapporti di forza reali e come attestarsi in attesa di tempi migliori. Su ciò mi ha molto colpito - positivamente - un articolo su il Manifesto del mio amico Marco Revelli, nel quale dice: forse non c'è altro da fare ma è utile che una parte del sindacato dica una cosa del tipo "non con il mio consenso"... ma resta che non c'è altro da fare. Ecco: questo mio post voleva, in fondo, dire questo... La vita è fatta di libertà e necessità. verrà una nuova stagione di libertà e va preparata accettando le necessità e preservando al contempo la possibilità della libertà.

enneconerre ha detto...

insisto, il problema del livello di produttività e competitività esiste o è solo una invenzione del padrone per meglio sfruttare la classe operaia? La fiat chiede di aumentare sensibilmente il tasso di produttività, a parità di salario e riducendo il tempo delle pause. A questo punto il dibattito dovrebbe riguardare almeno 2 questioni:
1 a parità di costo del lavoro è possibile incrementare il salario mediante una riduzione del cuneo fiscale? secondo me si. Perche il sindacato non pone la questione e sfida l'azienda e il governo sul punto?
2. le norme, tutte le norme anche lo statuto dei lavoratori, col passare del tempo rischiano di diventare anacronistiche. senza minimamente voler mettere in discussione il diritto di sciopero si può ragionare sul suo utilizzo?
Infine, per rispondere alla tua domanda, si mi è capitato di lavorare di più per un guadagno minore, come mi è capitato di non lavorare più per non sottostare ad un ricatto inacettabile di una destra rozza e arruffona. In quelle occasioni ho scelto consapevolmente e ti assicuro che chi oggi si straccia le vesti, informato della questione, decise di guardaredall'altro lato.

ale ha detto...

colgo l'occasione per fare una domanda: la chiusura di un impianto quando non fa più profitto viola un "minimo morale?"