Con Sergio D'Angelo ho scritto questo articolo che è uscito ne La Repubblica-Napoli di oggi.
Siamo preoccupati. Si stanno avvicinando le elezioni comunali e Napoli ha urgente bisogno di riattivare le sue forze migliori intorno a un’idea di città produttiva, vivibile, sicura, solidale. Ma il dibattito pubblico rischia ancora una volta di arenarsi entro gli angusti e irresponsabili spazi di questi partiti, da anni penosamente rivolti solo a se stessi, senza ombra di analisi né di proposta né, tanto meno, volontà di cambiare facce. E Dio sa quanto ce ne sia bisogno e anche desiderio.
Sia chiaro: non nutriamo alcun sentimento di antipolitica o di delegittimazione dei partiti. Anzi, insieme a tanti ci siamo battuti perché essi riprendessero finalmente ad assolvere alla funzione che la Costituzione attribuisce loro. Abbiamo richiesto le primarie di coalizione perché il centro sinistra si rimetta a pensare e proporre. Oggi - con spirito di servizio – facciamo un appello all’impegno comune per dare speranza a questa città. Ci vuole uno scatto di orgoglio, un cambio di passo, di metodo e anche di stile. E di generazione.
Proponiamo di partire dalle cose da fare, in modo autenticamente partecipativo. Perciò, nei prossimi mesi, intendiamo predisporre con cura proposte nuove e realistiche confrontandoci sul merito con tutte le forze disponibili. Con alcune ispirazioni chiare.
Innanzitutto la ripresa delle produzioni a Napoli. Una metropoli senza industria e imprese corrette non può avere fiato. Napoli può diventare una città industriale del terzo millennio, che salvaguardi i diritti e sia competitiva nel produrre, purché esca dai vecchi paradigmi. È una grande questione nazionale. Napoli salva se stessa se riprende a fabbricare beni in modo sì attento al carattere globale delle produzioni e dei mercati ma anche alla civilizzazione dell’economia che è legata alla qualità della vita: salute, servizi fruibili, apprendimento in tutte le età, difesa e rigenerazione dei luoghi e dei beni collettivi, sanità dell’ambiente. La via maestra per combattere la disoccupazione è ricostruire e innovare il tessuto produttivo urbano integrandolo con la città e legandolo al sapere tecnico e scientifico connessi con la crescita dell’economia sostenibile. E’ tempo di essere ambiziosi, di superare i lacci culturali del passato, di rendere operativa l’idea dell’imprescindibilità dell’attività economica dalla solidarietà e dalla responsabilità, anticipando quel che si deve fare in tutta Italia. Per farlo bisogna riconoscere che la crisi ha ridotto risorse e margini di azione e che lo scenario globale è la scena di ogni possibile rilancio, anche per una città; che c’è da battersi per contrastare l’agenda del governo che nega le condizioni minime per la ripresa nel Mezzogiorno; che va promossa una concertazione su investimenti che siano direttamente produttivi e credibili, pubblici e privati, sostenuti da quella parte del sistema creditizio disposto ad affrancarsi da logiche spartitorie e difensive.
Rilanciare i servizi pubblici. Snellirli innanzitutto. E renderli più prossimi alle persone, a partire da chi sta peggio. Una città divisa in due - tra tanti poveri e precari e relativamente pochi privilegiati - non può essere vivibile e sicura, né per gli uni né per gli altri. La lotta contro la camorra e il controllo dello Stato sul territorio - il ripristino del monopolio della forza – va accompagnata e sostenuta dall’offerta di aiuto costante a chi è meno protetto. Investire nella lotta alle diseguaglianze ha funzionato in molti luoghi. Purché ci si basi su principi di responsabilità personale, si creino alleanze tra gruppi di cittadini e soggetti sociali ed economici, si diano sicurezze economiche e anche occasioni formative agli operatori sociali, che sono una grande risorsa della nostra città. C’è, poi, da ridare ossigeno alla scuola - a partire da quella di base - che, davvero eroicamente, ha resistito in questi anni. Non è più tempo di fare recriminazioni sulla città dei bambini che non c’è stata, ma questa partita va rilanciata subito.
Sui rifiuti, tema concreto e simbolico, si può ripartire velocemente iniziando dalla riorganizzazione della raccolta differenziata. Sull’inquinamento è il momento di decidere di strappare pezzi della città al traffico. Sulle aree della città da valorizzare in tempi stretti e sul rilancio delle periferie c’è da dismettere i baracconi politico-burocratici che non hanno prodotto soluzioni ma, anzi, hanno fatto parte del problema: sono maturi i tempi per rapide concertazioni partecipate e l’avvio della trasformazione e dell’uso dei luoghi. Il piano senza il pieno riconoscimento delle azioni di quartiere, del protagonismo e delle reti di cittadini non ha prodotto cambiamento. Controllo serio, progettualità diffusa e attivazione delle persone vanno rimessi insieme. E va ripreso, con serenità ma rapidamente, il tema dei diritti: dei bambini, delle donne, dei disabili, degli stranieri. E dei gay. Una città che ha accolto così il Pride - con le donne dei quartieri che hanno applaudito il corteo e l’indomani sono andate regolarmente in chiesa - non può paralizzarsi su questioni di un tempo ormai tramontato. C’è la possibilità di una città delle differenze che sappia riconoscersi sicura e vivibile perché accogliente.
Parliamoci chiaro. In assenza di un candidato già riconosciuto, nella città più difficile e più giovane d’Italia - per pensare di fare queste cose – c’è da uscire dai soliti giochi e invertire la procedura: prima i compiti e il profilo e poi i nomi. Va costruita una squadra, intanto, di solide competenze e con molti giovani. E, poi, le candidature non possono più prescindere da alcune condizioni irrinunciabili: l’assoluta onestà personale, una competenza non ristretta ai circuiti della politica e alla scena napoletana, un linguaggio nuovo e chiaro, una cultura organizzativa contemporanea, la capacità di tenere insieme le differenze.
Ci diranno che la politica non si fa così. Noi pensiamo, al contrario, che una fase si sta chiudendo nel modo stesso di fare politica, e che la politica riprende senso e valore solo se si fa così. Non è facile, lo sappiamo. Ma c’è un’altra via?
2 commenti:
può andare bene (o male), se la fissazione del "prima", degli elementi costitutivi di un agire corretto, non blocchi l'agire stesso. è questo che, traficamente, manca: un agire produttivo di pubblici, una costruzione, e non una premessa, di identità in transazioni inedite e con parole poetiche sconosciute al ceto politico; uno scompaginamento del "da un lato e dall'altro" e della conseguente cultura della mediazione.
il nome stesso, se ci sarà, non può essere un attore profilato su un copione, ma forse può essere un agente dell'emergere del copione stesso. e c'è b isogno, se forza c'è, di immaginare un agire irriducibile agli spazi prescritti della politica, che antinui a essere altro ma implicato col nuovo ceto.
l'alternativa è andreotti o lenin: sguinzagliare l'agitazione per scompaginare assetti e equilibri e tirare fuori dal cassetto un nome nuovo per la nuova mediazione.
temo che il profilo fungerebbe soprattutto da profilattico
Caro Marco, perchè non cominciamo a parlare di soluzioni possibili, invece di elencare sempre i problemi?
Invece di fare le analisi sociologiche infinite, avanziamo qualche proposta di soluzione di uno, due o tre problemi. Magari sbagliata, ma fattibile. Poi uno dice se è d'accordo o no e perchè e magari avanza altre proposte o migliora quelle in campo. Io vorrei scegliere la coalizione e il sindaco sulla base delle proposte che fa, se mi sembrano convincenti oppure no. Per esempio, parliamo della raccolta differenziata: i gruppi politici che sono attualmente e da 15 anni al governo locale (anche se fanno finta di stare all'opposizione) dicessero perchè non è ancora partita e come intendono fare, se intendono fare, per farla partire. Per esempio, almeno. Così discutiamo di qualcosa. Tu che puoi, perchè non provi a buttare una pietra del genere nello stagno (anche se lo so che lo stagno è talmente stagnante che rischi che la pietra ti rimbalzi addosso)?
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