17 settembre, 2008

Maestre (parte 4)

Ma come è avvenuto il passaggio nel 1990 e perché? E in quale atmosfera ha avuto luogo?
Passare da uno a più maestre/i e poi ritornare indietro a una sola/o…
La ricostruzione della storia di come avvengono le modifiche profonde nel costume e nell’organizzazione delle scuole pubbliche sarebbe un compito di ricerca e una vera esigenza di riflessione politica – in senso nobile – per chiunque debba vagliare l’efficacia delle politiche pubbliche, che sia cittadina/o che abbia o meno i figli a scuola o operatore/trice del settore, intrinsicamente esperto in quanto quello è il suo impegno quotidiano o decisore politico o studioso del come e dove si apprende. La valutazione e validazione dei risultati entro contesti… un’arte necessaria e assai poco italiana. E un’urgenza che meriterebbe un momento di vera pausa riflessiva da parte di tutti coloro che hanno a cuore la scuola. Una cosa che dovrebbe essere proposta dallo stesso ministro.
E un primo compito della riflessione sarebbe quello di ripartire dal punto di svolta, dal momento – ma meglio è dire dalla ‘stagione’ - in cui si è passati da una/o a più maestre/i. E’, infatti, un passaggio non breve, che avvenne a partire dalle prime esperienze sperimentali di tempo pieno, a cavallo tra gli anni settanta e gli anni ottanta e la già citata legge del 1990. E che ha – in mezzo a tale guado – i programmi della scuola elementare del 1985 (DPR n.104/1985), promulgati da Franca Falcucci. I quali, a loro volta, furono il punto di arrivo, il risultato e la codificazione normativa di un nuovo “fare scuola”, di una serie di pratiche molto estese e di dibattito sulla scuola di base che permearono innanzitutto le scuole stesse, che influenzarono il pensiero pedagogico e la stessa accademia e che sospinsero il lavoro di una commissione di altissimo profilo, composta da docenti e studiosi di ogni tendenza culturale e politica, che scrisse quei programmi, tuttora notevolissimi e che, in qualche modo, semplificato e con maggiore autonomia reale data alle scuole, riecheggiano nelle stesse indicazioni nazionali recenti.

La Legge 148 del 1990 fu, dunque, il risultato di spinte innovative profonde e diffuse ma, al contempo – come sempre accade – delle ispirazioni della politica e delle mediazione di questa con le parti mediane e conservatrici e “molli” che pur operavano e pesavano nelle scuole. Questa complessità – tra spinte innovative e generose, nate dalle pratiche, idee di partito ben meno ricche e nuove conservazioni – produsse un lungo dibattito parlamentare dove, alla fine, minimo fu l’apporto di scuole in azione, pedagogisti ed educatori e dove, invece, fondamentale ruolo ebbero i partiti politici e le organizzazioni sindacali. La politica e il diritto mediano sempre, per poter legiferare, le spinte che salgono dai fenomeni educativi reali; e c’è sempre il rischio che l’apparato burocratico produca una pedagogia e una didattica a loro volta burocratiche a discapito della vitalità dell’educazione. Gli educatori, poi, sono presi dal vivo dell’azione quotidiana con bambini e ragazzi e spesso non hanno luoghi dove esprimere proposta e parere articolato mentre rilevante è la produzione di organizzazioni sindacali, di partiti politici, di organi amministrativi. Così accadde che l’iter legislativo della 148 iniziò davvero a contatto con il moto nelle scuole qualche mese dopo la promulgazione dei Programmi del 1985 ma poté trovare un riflesso forte all’inizio del suo iter e non nel risultato finale. Infatti, nell’aprile del 1985, quando Franca Falcucci presentò il disegno di legge n. 2801, chiamato “norme sull’ordinamento della scuola elementare”, vennero recepite le istanze della commissione dei programmi che aveva sottolineato la necessità di introdurre più insegnanti per classe ed aumentare parallelamente l’orario scolastico. Il problema fu: come farlo? Tutti sapevano che bisognava andare a un ampliamento di personale per attuare davvero quei programmi. E tutti riconoscevano che le/i maestri/e unici avevano fatto un percorso, soprattutto grazie alle esperienze di tempo pieno e classi aperte, che salvaguardava le loro riconosciute capacità di fare apprendere in ogni contesto culturale e sociale e la notevole propensione a innovare. Si parlò allora di una costellazione di docenti intorno alla conservazione, però, di una figura-chiave di maestro centrale o prevalente. E la prima proposta di legge della Falcucci prevedeva l’introduzione della pluralità dei docenti mantenendo, però, l’unitarietà dell’insegnamento poiché solo a partire dal secondo ciclo (dalla terza elementare) accanto agli insegnanti di classe si sarebbero introdotti insegnanti specializzati per l’insegnamento e la valorizzazione delle novità vere di quei programmi: l’educazione motoria, quella musicale e quella detta all’immagine che comprendeva l’espressione artistica, unitamente alla lingua straniera. Ma questo approccio equilibrato, che avrebbe rafforzato la collegialità che si esprimeva già nelle scuole, favorendo una specializzazione negli ambiti più innovativi senza stravolgere la tradizione del maestro/a che si stava già rinnovando, soprattutto grazie alle diffuse pratiche di classi aperte, che la norma permetteva e favoriva, fu duramente contestato dai sindacati confederali (CGIL scuola, SINASCEL-CISL, UIL-scuola), dall’Associazione italiana maestri cattolici, dal CIDI e, in aula, dal PCI. Iniziò allora un fuoco di fila a favore di più insegnanti tutti uguali tra loro e inquadrati nel modulo. Fu un attacco un po’ volgare perché poco rispettoso dei tanti maestri che lavoravano bene e a contatto con i propri colleghi, che aveva trovato slogan semplificatori e che se la prendeva con la “maestra chioccia” e con “il maestro tuttologo”. In verità i sindacati confederali e le associazioni professionali del personale scolastico vedevano nella diminuzione del numero di allievi che si stava verificando, conseguente al calo delle nascite, un grave pericolo e una minaccia di perdita molti posti di lavoro: gli alunni delle elementari erano, in effetti, passati da 4.964.000 nell’anno 1972-1973 a 3.247.000 nel 1988-1989. E queste priorità presero il posto di ogni valutazione pedagogica non solo sui pregi o i difetti della prevalenza di un docente in rapporto a contesto, a numero ed età degli alunni, a ambiti di insegnamento ecc. ma anche in rapporto alle ricche pratiche diffuse di classi aperte e di sperimentazione di collaborazioni in regime di autonoma concordia tra docenti, d’accordo con i propri collegi docenti. Così il disegno di legge venne revisionato e ne risultò un testo che introdusse - in luogo di un docente centrale più una costellazione di altri docenti, potenzialmente resi fluidi dalle norme sulle classi aperte - dei "moduli" rigidi e standardizzati, uguali per tutti e non decisi dalle scuole ma dal centro, di tre o quattro insegnanti tutti contitolari della classe. Sul tempo pieno si decise che lo si poteva fare ma non daperttutto. In effetti vi fu uno scontro culturale tra la tradizione laico-comunista che diceva che la scuola è comunque sempre meglio e quella cattolica che voleva lasciare spazio al ruolo della famiglia. La mediazione fu che si fece un orario lungo ma non pienissimo e che il tempo pieno si poteva fare a condizione che vi fossero nella scuola le strutture adatte, le quali dipendevano largamente dagli enti locali. Insomma: la legge del 1990 che mutò l’organizzazione delle scuole elementari e i programmi che la anticiparono furono avviati da una spinta iniziale autentica che raccoglieva le voci, le azioni, le aspirazioni di interi mondi che stavano quotidianamente con i bambini, nelle scuole elementari del Paese. Ma fu, poi, determinata e decisa da altre logiche, ben più centralistiche e improntate da un lato sulla classica mediazione politica della tradizione italiana e, dall’altro, su priorità sindacal-occupazionali.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Gent.mo Sig. Marco Rossi-Doria,

ho avuto la possibilità di ascoltarla qualche giorno fa, seguendo la trasmissione "Cominciamo bene", su rai3. Mi hanno profondamente colpito i suoi discorsi in merito alla "scuola", per me cardine fondamentale della società e della crescita non solo formativa di ogni essere umano.
Volevo complimentarmi con lei, ed esprimerle la mia gioia nell'aver trovato, per mezzo di questa inesauribile fonte di arricchimento quale considero internet, il suo blog, al fine di tenermi sempre aggiornata in materia e per saperne di più anche per quando, un domani, spero non lontanissimo, avrò dei figli da seguire ed ascoltare.
Le auguro una buona giornata.
Ilaria