18 settembre, 2008

Maestre (parte 5)

Ma questa vicenda del passaggio da un’idea di insegnamento singolare a uno plurale e viceversa andrebbe letta, con calma, entro la più lunga storia della scuola elementare italiana. Per ora mi fermo su poche cose.
Come già detto, quando si passò a più docenti per classe si era in un tempo di forte protagonismo e innovazione pedagogici, partiti spesso dal basso; e si era sotto la spinta di esigenze sociali che reclamavano un prolungamento del tempo-scuola. La spinta all’innovazione era costantemente cresciuta nelle scuole ed era un moto collettivo, fatto da gruppi di docenti, da associazioni, da riviste e convegni, da moltissime pratiche spontanee di persone che si incontravano per fare cose e cambiare cose nelle scuole e anche da esperienze educative fuori dalle scuole e che con le scuole venivano in contatto, tra conflitti e integrazioni. Ma spesso tutte queste esperienze si nutrivano – e questo è un paradosso da rimarcare - di esemplarità singolari, di ispirazioni a maestri singoli o singoli maestri. Che innovavano e grandemente. Ma in “solitudine e in eroismo”. Mario Lodi. Il maestro di Pietralata Albino Bernardini. Il maestro Alberto Manzi. Lo stesso don Milani a Barbiana. Quelle erano le icone singolari – e maschili - di un variegato moto fatto di proponimenti collegiali. Tanto è vero che questa ambivalenza tra azione comune e ispirazione singolare resta ancora oggi nell’aria: la mia parte cultural-politica indica don Milani, che faceva quel che gli pareva a scuola, una scuola privata, va detto – e, al contempo, difende la pluralità docente contro i maestri unici. Lo stesso Bruno Ciari, altra grande ispirazione di quella stagione, coniuga in sé il ruolo di figura-guida e la spinta, al contrario, verso un movimento cooperativo. Così come – nella storia delle nostre nascenti scuole per la prima infanzia – fece Loris Malaguzzi, in origine maestro elementare, anche lui simbolo maschile che opera in un contesto prevalentemente femminile e che ispira un moto collettivo usando una leadership di tipo carismatico.
Così, molti di noi, usciti dal ’68 - che entrarono a fare le/i maestre/i nella scuola elementare, ottenendo il ruolo in uno dei molti concorsi magistrali che si susseguirno tra la fine degli anni sessanta e la fine degli anni settanta e che consentirono un grande turn-over del personale delle scuole elementari – eravamo fatti in un modo strano, sospesi tra i miti di leader pedagogici ideali e carismatici e voglia e anche pratica di azione collettiva. E questa era un’atmosfera più generale, sospesa tra leaderismo e anti-leaderismo con cui il sessantotto italiano non ha ancora davvero saputo fare i conti. Uno spirito del tempo che prese varie forme: in area laica ereditando il romanticismo risorgimentale ripreso dalla resistenza, in area marxista prendendo le tinte più cupe, di ossequio al capo e all’organizzazione di appartenenza che guida la palingenesi collettiva, in area cattolica, ispirandosi esplicitamente o implicitamente a una tradizione educativa in odore di santità, in primis quella di don Bosco. Solitario monito contro i pericoli insiti nei modelli-guida – e nelle formulazioni rigide e nelle omologazioni che necessariamente ne sarebbero derivate, a tutto danno delle pratiche vive e ricche e delle persone - fu la voce deweyana e libertaria di Lamberto Borghi. Ed è forse proprio a quella voce che oggi si potrebbe tornare per capire, culturalmente, il senso pedagogico dell’operare singolare e/o collettivo a scuola.
Ma le cose furono anche più complesse di così. Perché – come accade per ogni prassi, faticata e imperfetta per definizione – l’andare a insegnare fu una scuola filosofica vera, capace anche di disintegrare ogni mito e carisma grazie alla santa quotidianità. Infatti molti giovani allora entrati a scuola, me compreso, avevano, anche saggiamente, preferito scelte di vita improntate a un’idea di impegno radicato in un compito e in un contesto, nutrito, dunque, più da una “militanza-cittadinanza, fondata sul mestiere” che da una “militanza-appartenenza fondata su un’adesione ideal-politica”. E, perciò, volevano fare innanzitutto buona scuola. Sì fare buona scuola, nel concreto di ogni giorno, con i bambini, era la cosa più importante per tanti di noi. E tanti di noi hanno, perciò, scelto la scuola per fare scuola. Esattamente. E non per fare politica o per svolgere azione sindacale attraverso la scuola. Certo, è anche vero che in tanti si è anche rimasti in mezzo a tale guado, tra il mestiere e l’appartenenza; e in tanti si è andati più verso l’appartenenza e lontano dal mestiere…. Ma in tanti siamo, invece, rimasti legati proprio al mestiere. E, in questo, quei maestri ideali e un po’ iconici ci sono stati davvero preziosi. Perché ognuno di essi scriveva e parlava perché aveva agito e agiva e si riferiva non già a precetti pedagogici astratti ma a azioni concrete, pratiche, a esempi e a metodologie e didattiche non già auspicati ma attuati e mostrati. E che erano propri di un approccio empirico, operativo, in cui teoria e pratica stavano insieme, anche accogliendo la sperimentalità e le contraddizioni che questa genera e sapendo assaporare sconfitte, sorprese e ironie – l’opposto esatto delle rigidità sistemiche e del modello fornito dall’idealismo gentiliano che aveva permeato e ancora permea l’istruzione superiore italiana, come Luigi Berlinguer ha giustamente rimarcato in questi giorni.
Il maestro unico sta, dunque, nelle corde di chi viene da questa storia di scuola militante. Ma sta anche nelle nostre corde l’averlo superato proprio grazie alla fatica delle pratiche e del confronto. Per questo vi è un’ambivalenza in noi: abbiamo fatto bene le/i maestre/i unici e li sapremmo rifare e ne abbiamo cullato dentro anche una nostalgia ma abbiamo al contempo lavorato sodo per essere in tanti e per fare bene insieme, agendo, con pazienza e temperanza, per addizioni tra persone diverse, un’altra arte assai poco italiana. Il solo fatto – da questo punto di vista – che 140.000 gruppi di docenti, tra loro diversi, in ogni luogo d’Italia, abbiano speso due ore a settimana tutte le settimane, per 18 anni, a confrontarsi tra pari sul da fare concreto con i bambini a scuola è un valore immenso nell’italietta dello sterile litigio e della perenne contrapposizione. Un valore fatto di operatività positiva, a cui, però, nessuno oggi sa inchinarsi con rispetto.

Sulla storia della scuola elementare italiana mi viene di suggerire una bibliografia a chi volesse approfondire con l'invito di guardare innanzitutto a Lamberto Borghi:

A. Arcomano, La formazione del maestro in Italia, in “La riforma della scuola”, marzo 1977, pp. 27-35.
G. Bini, Romanzi e realtà di maestri e maestre, in C. Vivanti (a cura di), Storia d’Italia. Annali, vol. 4, Torino, Enaudi, 1981, pp. 1197-1224.
G. Bonetta, Storia della scuola e delle istituzioni educative. Scuola e processi formativi in Italia dal XVIII al XX secolo, Firenze, Giunti, 1999.
L. Borghi, Educazione e autorità nell’Italia moderna, Firenze, La Nuova Italia, 1974.
L. Borghi, Maestri e problemi dell’educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1987.
E. Catarsi, Storia dei programmi della scuola elementare (1860- 1985), Firenze, La Nuova Italia, 1990.
G. Cives (a cura), La scuola italiana dall’unità ai nostri giorni, Firenze, La Nuova Italia, 1990.
M. Dei, Colletto bianco, grembiule nero. Gli insegnanti elementari italiani tra l’inizio del secolo e il secondo dopoguerra, Bologna, Il Mulino, 1994.
E. De Fort, I maestri elementari italiani dai primi del novecento alla caduta del fascismo, in “Nuova rivista storica”, settembre-dicembre 1984.
E. De Fort, La scuola elementare. Dall’Unità alla caduta del fascismo, Bologna, Il Mulino, 1996.
E. De Fort, Scuola e alfabetismo nell’Italia del Novecento, Bologna, Il Mulino, 1995.
G. Genovesi, P. Russo (a cura), La formazione del maestro in Italia. Atti dell’VIII convegno nazionale del CIRSE, Cassino, 8-11 novembre 1995, Ferrara, Corso, 1996.
A. Santoni Rugiu, Ideologia e programmi nelle scuole elementari e magistrali dal 1858 al 1955, Firenze, Manzuoli, 1980.
A. Santoni Rugiu, Maestri e maestre. La difficile storia degli insegnanti elementari, Roma, Carocci, 2006.
A. Semeraro, Il sistema scolastico italiano. Profilo storico, Roma, NIS, 1995.
S. Soldani, G. Turi, (a cura), Fare gli italiani. Scuola e cultura nell’Italia contemporanea. La nascita dello Stato nazionale, Bologna, Il Mulino, 1993.
T. Tomasi, Dalla scuola normale al liceo magistrale, in “Scuola e città”, giugno-luglio 1965, pp. 425-430.
S. Ulivieri, I maestri, in AA.VV., L’istruzione di base in Italia (1859-1977), Firenze, Vallecchi, 1978.
G. Vigo, Il maestro elementare italiano nell’ottocento. Condizioni economiche e status sociale, in “Nuova rivista storica”, gennaio-aprile 1977, pp. 43-84.

1 commento:

Padmin ha detto...

Grazie, fratello. Mi ci sono ritrovata "tutta" in quello che scrivi. Sono approdata qui per caso e non riuscivo a staccarmi, come davanti ad uno specchio che pochissimo deforma.
Posso inserirti tra i miei link?
Io sono qui
http://salvacolnome.blogspot.com/
Pensavo di creare un diario a tempo determinato e invece vado avanti da qualche mese e magari non mi fermo più :-)