In tanti paesi del mondo si sta oggi affrontando con strategie diverse il tema della qualità e dell'inclusività dei sistemi di istruzione. Anche l'Italia, tra ritardi e nuove sfide, sta cercando la via per ridurre gli abbandoni scolastici. Una mia riflessione su La Stampa di venerdì 28 Settembre.
In occasione dell’apertura dell’anno scolastico Il Presidente Giorgio Napolitano ha ricordato che in generale l’istruzione nel nostro Paese è migliorata, ma che nuovi compiti – di consolidamento e innovazione – sono all’ordine del giorno. Oggi a Torino si apre un confronto sulla lotta al fallimento formativo. Ma quali sono le tendenze nel mondo riguardo alla scuola per tutti?
Ovunque le politiche per l’istruzione seguono traiettorie ricorrenti, legate alle tappe dello sviluppo. Con la prima industrializzazione e l’ammodernamento dell’agricoltura si edifica il sistema scolastico nazionale, con il compito della lotta all’analfabetismo. Successivamente si rafforza il settore tecnico, per formare un’ampia fascia di lavoratori dell’industria qualificati. Infine, nel momento di massima espansione e crescita, si utilizza parte delle risorse per aumentare la qualità generale dell’istruzione e della formazione. E’ il momento in cui le politiche pubbliche investono fortemente e per periodi prolungati in quattro direzioni: ricerca e ricerca applicata, generalizzazione degli studi universitari o tecnici superiori, azioni dedicate alle fasce più povere rimaste escluse, apprendimento lungo tutto l’arco della vita.
Mentre queste fasi nel mondo occidentale hanno impiegato oltre un secolo, nei paesi emergenti a partire dagli anni ’70 l’intero processo corre a velocità doppia. Il Brasile negli ultimi dieci anni ha dedicato idee e risorse per innalzare il tasso di istruzione universitaria specialmente tra i soggetti più deboli. L’India, che dalla metà degli anni Ottanta dispone di un sistema di istruzione selettivo e di buona qualità, in particolare per i settori tecnici e scientifici, oggi è chiamata ad affrontare il tema della disuguaglianza. Una situazione analoga riguarda la Cina, dove fino ad oggi l’obiettivo principale è stato quello della produttività. Da quando nel 1998 è stato lanciato un programma per l’istruzione superiore, le iscrizioni all’università sono aumentate subito del 165% e poi del 50% per ulteriori quattro anni. E tutti ripetono: non uno deve restare indietro, ognuno deve riuscire secondo le sue possibilità.
L’Italia - che aveva combattuto l’analfabetismo fin dall’Unità – insieme al decollo industriale degli anni ’50-‘70, è riuscita ad ampliare la base di accesso all’istruzione superiore e poi anche a creare una buona rete di istituti tecnici. E’ riuscita invece peggio degli altri paesi europei, purtroppo, a diminuire il tasso di abbandono precoce degli studi, soprattutto nelle sacche di maggiore esclusione economica e sociale. E non ha aumentato a sufficienza il numero di laureati, che inoltre fatica a inserire nel lavoro.
Continuiamo a perdere prima del diploma o della qualifica professionale quasi uno studente su cinque, il 18,8%, con enormi e intollerabili disparità geografiche e sociali. Questa disuguaglianza delle opportunità, oltre ad essere un fallimento per un Paese collocato nel solco del modello sociale europeo, è anche una grave perdita di risorse.
Il libro bianco sulla scuola del 2007 stimava che la dispersione scolastica, all’epoca del 20,6%, costasse all’Italia 2 miliardi e mezzo di euro.
Il nostro Paese si trova dunque di fronte a una duplice sfida: dover correre ai ripari e doverlo fare in un contesto economico profondamente mutato, senza poter utilizzare programmi estensivi, centralizzati e basati sull’aumento della spesa pubblica.
Dobbiamo affrontare questa sfida sapendo che l’abbandono precoce degli studi non è la malattia della nostra scuola, ma un suo sintomo. La malattia è la standardizzazione dell’apprendimento e delle strade a disposizione dei giovani per costruire la propria vita autonoma.
Una possibile cura può partire da due elementi: la rottura dello standard, attraverso una personalizzazione della didattica fin dalla prima infanzia; la partecipazione dello straordinario esercito civile che abbiamo a disposizione- gli insegnanti e gli operatori sociali- per costruire nei territori più difficili delle vere e proprie comunità educanti. E’ il lavoro che il Governo ha avviato nel Mezzogiorno e che speriamo possa tracciare un inizio di strada verso l’obiettivo più importante: sostenere equità e sviluppo a partire dai diritti dell’infanzia e dal futuro dei giovani.
29 settembre, 2012
22 settembre, 2012
Una gioiosa macchina di pace
Scampia, istituto comprensivo Virgilio 4, proprio a un passo dalle famigerate vele. Il Ministro Barca ed io siamo qui per presentare il bando di concorso per il contrasto alla dispersione scolastica rivolto a Campania, Calabria, Sicilia e Puglia, per un investimento complessivo di oltre 100 milioni di euro. 23 milioni di fondi europei del Ministero per la Coesione, 77 milioni di PON per il programma “giovani, sicurezza e legalità” del Ministero dell’interno.
Ci accoglie un clima sereno. I ragazzi e le ragazze dell’istituto alberghiero sostenuti da prof e dirigente, fanno accoglienza e gestiscono il buffet, tirati ed emozionati nelle loro uniformi. Il dirigente scolastico, che ha lavorato duro per preparare tutto, rifugge da ogni complimento:”Come dico sempre, siamo una gioiosa macchina di pace.” Quant’è vero. Non è un caso se siamo qui, se siamo a Scampia, dove è in atto una recrudescenza criminale.
Qualche mese fa accompagnai il Commissario europeo Hahn nella visita di una scuola in cui una volta c’era il padiglione di Chance, la scuola di seconda occasione messa in piedi dai maestri di strada. Quel padiglione era distrutto e vandalizzato e non fu facile per me andare oltre la commozione e presentare ad Hahn le idee del Governo per rilanciare il contrasto alla dispersione scolastica.
Diversi mesi dopo ce l’abbiamo fatta ad avviare una vera inversione di tendenza: il bando, già pubblico, permetterà ad oltre 100 esperienze di rete di accedere a finanziamenti certi fino al 2014 e riprogrammabili fino al 2021. Questa azione ha le gambe per camminare, come ha detto giustamente il Ministro Barca. Nel Mezzogiorno si prova a costruire una politica pubblica duratura a supporto dei bambini e ragazzi che ne hanno piu' bisogno.
E questa politica conta su un esercito civile composto da due reparti: gli insegnanti e gli operatori del privato sociale.
Noi chiediamo a entrambi i reparti di lavorare in sinergia e vogliamo sostenere ciò che in questi anni ha funzionato. So bene quali eroici sforzi quotidiani tanti di loro compiono per portare avanti qualche esperienza che dà risultati giorno per giorno. E’ la magia di questo bellissimo e difficile lavoro: Pasquale che arriva alla licenza media. Antonietta che decide che un’idea per la sua vita ce l’ha. E qui imparare un mestiere e avere un pezzo di carta in tasca vale molto e non è scontato. So bene come vanno le cose. Perché è quello che ho fatto fino a pochi anni fa. So bene che l’appoggio dello Stato non è tutto. So bene che è qualcosa, però. E soldi, regia, azione pubblica per fare le cose sono importanti!
Pensare a e occuparsi di questi ragazzi, in maniera sistematica e non randomica, come finora è avvenuto, significa molto, per la scuola e per l’intera società. Sono diventato maestro elementare nel 1975, ho avuto la fortuna di insegnare in contesti molto differenti l’uno dall’altro. Con Chance ho fatto l’insegnante di chi a scuola non ci va più, insegnando le conoscenze di base a chi non le aveva apprese all’età giusta, ad adolescenti e non a bambini. Successivamente, ho progettato e coordinato progetti e azioni per costruire contesti di apprendimento “altri e diversi” rispetto a quelli della scuola ordinaria, a misura di chi non ci va.
Oltre - e proprio grazie a - ad avere insegnato ho imparato molto. Qualche anno fa ne ho scritto così:
"La cosa più importante che ho imparato è che – esattamente come i sintomi ci spingono a misurarci con le malattie - i ragazzi che a centinaia di migliaia non riescono a scuola, suggeriscono molte cose sul mancato funzionamento generale della scuola stessa. E proprio come i sintomi – che si rendono palesi attraverso il dolore e le sofferenze – invitano a trovare i lenimenti per i sintomi stessi ma, al contempo, a scoprire i perché di tale condizione, questi nostri ragazzi non chiedono solo sollievo momentaneo, che pure serve, ma esigono un’analisi più profonda, una ricerca delle cause della malattia e una cura capace di guarirla davvero. (…)
Nel misurarmi con le cause di tale malattia, ho dovuto ritornare inevitabilmente a considerare le funzioni generali della scuola, le sue prime ragioni d’essere. E sono ripartito, necessariamente, dal guardare alla scuola come “spazio sociale dedicato all’apprendimento”. In tale prospettiva funzionale – che risponde alla domanda basilare su cosa sia e a che serva la scuola – mi sono persuaso che, in qualche maniera, una richiesta di speciale attenzione e di aiuto da parte del gruppo più debole di ragazzi non va intesa solo per loro ma, invece, riguarda tutti. "
Un’ultima cosa: al cinema è uscito il film di un amico regista, Leonardo Di Costanzo. Si chiama “L’intervallo” e parla di ragazzi così e di ragazzi, di adolescenti in generali. E' bello da vedere.
Qui le slide di presentazione dell'azione contro la dispersione scolastica.
Ci accoglie un clima sereno. I ragazzi e le ragazze dell’istituto alberghiero sostenuti da prof e dirigente, fanno accoglienza e gestiscono il buffet, tirati ed emozionati nelle loro uniformi. Il dirigente scolastico, che ha lavorato duro per preparare tutto, rifugge da ogni complimento:”Come dico sempre, siamo una gioiosa macchina di pace.” Quant’è vero. Non è un caso se siamo qui, se siamo a Scampia, dove è in atto una recrudescenza criminale.
Qualche mese fa accompagnai il Commissario europeo Hahn nella visita di una scuola in cui una volta c’era il padiglione di Chance, la scuola di seconda occasione messa in piedi dai maestri di strada. Quel padiglione era distrutto e vandalizzato e non fu facile per me andare oltre la commozione e presentare ad Hahn le idee del Governo per rilanciare il contrasto alla dispersione scolastica.
Diversi mesi dopo ce l’abbiamo fatta ad avviare una vera inversione di tendenza: il bando, già pubblico, permetterà ad oltre 100 esperienze di rete di accedere a finanziamenti certi fino al 2014 e riprogrammabili fino al 2021. Questa azione ha le gambe per camminare, come ha detto giustamente il Ministro Barca. Nel Mezzogiorno si prova a costruire una politica pubblica duratura a supporto dei bambini e ragazzi che ne hanno piu' bisogno.
E questa politica conta su un esercito civile composto da due reparti: gli insegnanti e gli operatori del privato sociale.
Noi chiediamo a entrambi i reparti di lavorare in sinergia e vogliamo sostenere ciò che in questi anni ha funzionato. So bene quali eroici sforzi quotidiani tanti di loro compiono per portare avanti qualche esperienza che dà risultati giorno per giorno. E’ la magia di questo bellissimo e difficile lavoro: Pasquale che arriva alla licenza media. Antonietta che decide che un’idea per la sua vita ce l’ha. E qui imparare un mestiere e avere un pezzo di carta in tasca vale molto e non è scontato. So bene come vanno le cose. Perché è quello che ho fatto fino a pochi anni fa. So bene che l’appoggio dello Stato non è tutto. So bene che è qualcosa, però. E soldi, regia, azione pubblica per fare le cose sono importanti!
Pensare a e occuparsi di questi ragazzi, in maniera sistematica e non randomica, come finora è avvenuto, significa molto, per la scuola e per l’intera società. Sono diventato maestro elementare nel 1975, ho avuto la fortuna di insegnare in contesti molto differenti l’uno dall’altro. Con Chance ho fatto l’insegnante di chi a scuola non ci va più, insegnando le conoscenze di base a chi non le aveva apprese all’età giusta, ad adolescenti e non a bambini. Successivamente, ho progettato e coordinato progetti e azioni per costruire contesti di apprendimento “altri e diversi” rispetto a quelli della scuola ordinaria, a misura di chi non ci va.
Oltre - e proprio grazie a - ad avere insegnato ho imparato molto. Qualche anno fa ne ho scritto così:
"La cosa più importante che ho imparato è che – esattamente come i sintomi ci spingono a misurarci con le malattie - i ragazzi che a centinaia di migliaia non riescono a scuola, suggeriscono molte cose sul mancato funzionamento generale della scuola stessa. E proprio come i sintomi – che si rendono palesi attraverso il dolore e le sofferenze – invitano a trovare i lenimenti per i sintomi stessi ma, al contempo, a scoprire i perché di tale condizione, questi nostri ragazzi non chiedono solo sollievo momentaneo, che pure serve, ma esigono un’analisi più profonda, una ricerca delle cause della malattia e una cura capace di guarirla davvero. (…)
Nel misurarmi con le cause di tale malattia, ho dovuto ritornare inevitabilmente a considerare le funzioni generali della scuola, le sue prime ragioni d’essere. E sono ripartito, necessariamente, dal guardare alla scuola come “spazio sociale dedicato all’apprendimento”. In tale prospettiva funzionale – che risponde alla domanda basilare su cosa sia e a che serva la scuola – mi sono persuaso che, in qualche maniera, una richiesta di speciale attenzione e di aiuto da parte del gruppo più debole di ragazzi non va intesa solo per loro ma, invece, riguarda tutti. "
Un’ultima cosa: al cinema è uscito il film di un amico regista, Leonardo Di Costanzo. Si chiama “L’intervallo” e parla di ragazzi così e di ragazzi, di adolescenti in generali. E' bello da vedere.
Qui le slide di presentazione dell'azione contro la dispersione scolastica.
14 settembre, 2012
Il pane e le scarpe
Il rapporto Ocse “Education at a glance” 2012 pubblicato in questi giorni ci conferma alcuni aspetti che già conosciamo. Il nostro sistema scolastico ha due problemi storici: gli stipendi dei docenti sono inferiori al resto d’Europa; i finanziamenti non crescono abbastanza con l’aumentare dei gradi dell’istruzione.
Nel periodo considerato dal rapporto, tra il 2000 e il 2009, le risorse per l’istruzione sono diminuite dello 0,8%. Da quando si è insediato il Governo Monti, stiamo lavorando per una prima inversione di tendenza, ottimizzando l’uso delle risorse esistenti. Però servirà anche reperire risorse fresche per la scuola, mano a mano che l’Italia esce dalle difficoltà.
All’avvio di questo anno scolastico dobbiamo rinnovare il nostro impegno per una grande riparazione nazionale. Senza mai perdere di vista, però, quello che le scuole portano avanti con successo. Da qui a dicembre, dobbiamo portare a compimento le cose avviate: il 20 Settembre presenteremo a Napoli il bando per i prototipi contro la dispersione scolastica, che partiranno in autunno. Per il concorso abbiamo un lavoro serrato: farlo bene, fornendo tutte le indicazioni per tempo e con precisione, tenendo in grande considerazione le legittime preoccupazioni dei docenti precari. Che sostengono le nostre scuole con professionalità da tanti anni.
La conferenza stampa tenuta dal Ministro Profumo per l’apertura dell’anno scolastico ha sottolineato la capacità di innovazione che tante scuole ed Enti locali stanno dimostrando. Una buona novità è anche il progetto “Messaggeri”, presentato dai Ministri Profumo e Barca. Cento ricercatori italiani all’estero verranno selezionati per portare innovazione nelle Università del Mezzogiorno, seguendo il lavoro di gruppi di ricerca italiani.
Perché, anche se è certamente difficile, noi dobbiamo fare entrambe le cose insieme: riparare e innovare.
Nel romanzo “La Tregua”, il giovane Primo Levi cerca il pane per mangiare, nella Cracovia devastata dalla guerra. Mordo Nahum, ebreo di Salonicco, gli dice “Quando c’è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo luogo alla roba da mangiare; e non viceversa”.
E’ un po’ così anche per l’Italia della crisi: per occuparci delle difficoltà del presente, ci servono scarpe per camminare. Le scarpe sono il metodo per riparare e innovare insieme. Per portare il Paese fin dove deve e può arrivare, con un orizzonte di impegno e speranza.
30 agosto, 2012
Importanti novità
Il Consiglio dei Ministri del 24 Agosto ha approvato il decreto di regolamento del Sistema Nazionale di Valutazione (SNV) e ha dato il via libera ai nuovi concorsi per il reclutamento dei docenti. Attorno a entrambe le tematiche ferve il dibattito e sento di dover contribuire con qualche pensiero.
Ritengo che dotare il nostro sistema-scuola, dopo 15 anni di parole e sperimentazioni, di metodi e strutture permanenti di valutazione sia cosa indispensabile per poter analizzare punti di debolezza, punti di forza e impatto delle scelte centrali e periferiche sugli apprendimenti dei ragazzi. E’ un passo che l’Europa ci chiede da tempo, perché garantisce alla nostra scuola di potersi confrontare- che non significa necessariamente o soltanto competere- con altri sistemi di altri paesi.
Mi rende particolarmente felice che nel decreto sia presente la parola “Autovalutazione”: non solo test standardizzati, quindi. Anche e soprattutto responsabilità degli insegnanti, trattati come conviene e cioè da professionisti riflessivi capaci di valutare il proprio lavoro. Quella cosa che già in migliaia applicano ogni giorno insieme alla ricerca, nel proprio lavoro quotidiano in classe e con i colleghi. Curiosità, voglia di sperimentare, di confrontare metodi diversi, di riflettere in modo cooperativo e collegiale sull’andamento e sui risultati. E’ questa la famosa cultura della valutazione di cui si è discusso ultimamente anche su questo blog.
Secondo punto, il reclutamento. Noi ereditiamo una situazione tremenda e intricatissima, frutto di molti anni in cui si è implementato il precariato attraverso il sistema delle graduatorie. Causando danni gravissimi alla scuola, agli studenti e a migliaia di persone intrappolate nei contratti a termine per anni, persino per decenni. Il Ministro Profumo ha voluto fare un primo passo, particolarmente significativo dato il momento di pesante difficoltà finanziaria del Paese. Mentre quest’anno - come negli ultimi anni - i posti liberati dal turn over sono stati coperti al 100% prendendo i docenti dalle graduatorie, dal prossimo anno decidiamo di tornare alla Costituzione, che prevede il concorso pubblico, e alla legge (n. 124/99) che prevede il 50% dei posti a chi sta nelle graduatorie e l’altro 50% attraverso il concorso. Metà dei posti disponibili, dunque, verranno banditi in una gara concorsuale aperta a tutti gli abilitati all’insegnamento.
L’altra metà dei posti, invece, continuerà a essere coperta attraverso lo scorrimento delle graduatorie. Anche i docenti precari, dunque, potranno partecipare al concorso. Se non vogliamo rassegnarci a parlare di una “generazione perduta”, dobbiamo tutelare coloro che in questi anni hanno insegnato e che aspettano da troppo tempo la stabilizzazione. Ma se vogliamo scongiurare il rischio di ritrovarci con più “generazioni perdute”, dobbiamo tenere insieme a queste potenti ragioni anche la speranza di chi, abilitato di recente o nel prossimo futuro, desidera insegnare. L’esperienza a scuola conta. Ma conta tanto anche la mescolanza di esperienze e generazioni diverse. Conta anche l’energia e l’entusiasmo di chi entra in classe per la prima volta.
Non è un sistema perfetto, ma è una scelta importante, che indirizza il sistema verso l’esaurimento delle graduatorie e verso concorsi regolari ogni due anni. Concorsi in cui si vince oppure si perde. Senza code, con possibilità di riprovarci, perché torna la stagione dei concorsi frequenti.
Ora tutto il nostro sforzo si concentra sulla costruzione di prove rigorose e ben fatte, capaci di valutare non soltanto la preparazione nelle discipline, ma anche la capacità didattica e pedagogica dei candidati. Cose normali, insomma. Che troppe volte e per troppo tempo sono sembrate a tutti noi impossibili o straordinarie.
09 agosto, 2012
Cose buone prima della pausa
Prima di segnalare qualche buona notizia, torno ancora sulle prove INVALSI - o più in generale - sulla valutazione: come sottolineato in alcuni commenti qui sul blog, non possiamo pensare che bastino prove standardizzate per rilevare differenze ampie nelle forme e nei modi, oltre che nella quantità e qualità degli apprendimenti. E nessuno lo pensa all’Invalsi, infatti. Sono stato alla presentazione, ben curata dall’Invalsi, dei dati: era molto evidente un metodo aperto, riflessivo, pronto a recepire ogni necessario miglioramento, consapevole che l’opera di valutazione di un sistema complesso è una cosa difficile e che si costruisce solo insieme a scuole e docenti. Non esiste nessun test al mondo che basti a se stesso. Gli insegnanti sanno - ne danno prova ogni giorno - che la valutazione è sempre anche auto-valutazione ed è materia complicata, movimentata e incerta, che non può prescindere dal contesto, dal metodo, dai molti ingredienti della didattica, dalla persona in formazione e dalla relazione educativa che si instaura tra il docente e lo studente e tra il docente e la classe. Rimane però la necessità dell’accountability nella e della scuola e dunque anche di avere dei parametri comuni sui quali confrontarsi liberamente e collegialmente, per individuare differenze, forze e debolezze in rapporto a quelle di altre scuole, di altre zone, di altri paesi. Nessun Paese europeo oggi prescinde da strumenti di questo tipo per il sistema di istruzione. All’interno, dunque, della necessità assoluta, per l’Italia e per la nostra scuola, di costruire e rafforzare una cultura della valutazione dell’intero sistema - dallo studente al docente, al dirigente, ai vertici ministeriali - possiamo e dobbiamo proseguire la discussione su quali siano gli strumenti e le modalità più adatte. Grazie alla libertà di insegnamento e all’autonomia scolastica questo già avviene in molte scuole, le quali, da sole o in rete, da tempo iniziano a valutare le prove in gruppi di lavoro e nel collegio dei docenti e usano bene questi materiali, insieme a molti altri, spesso auto-prodotti per riflettere sui risultati del proprio lavoro, che è un lavoro di una comunità professionale e umana. Ecco: la cultura dei risultati è una cosa preziosa, di decisiva importanza. Che va sostenuta, in modo ricco. Si tratta di un compito politico, in senso proprio: ragionare sui risultati della scuola serve alla nostra polis perché rappresenta un antidoto alla cultura della rendita di posizione e dà valore al tanto buon lavoro che le scuole, nella loro maggioranza, già fanno, propone criticità da affrontare, mostra nuove sfide, indica compiti e trasformazioni necessari. Insomma: decidere che uso fare e come trattare le prove INVALSI è già possibile ed è un tassello importante per sviluppare il nostro sistema di valutazione in senso cooperativo e per far crescere una cultura di valutazione dei risultati che la scuola pubblica ottiene.
Ci avviciniamo alla pausa estiva - breve, per evidenti ragioni- con qualche buona notizia in più. E’ stato ultimato il bando di concorso per i prototipi contro la dispersione scolastica, che saranno circa 120 nelle quattro Regioni obiettivo (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia). Le scuole, capofila di progetti di rete sul territorio con istituzioni e privato sociale, hanno tempo fino alla metà di settembre per partecipare. E’ la prima volta che in Italia si profila una policy pubblica di contrasto del fallimento formativo, fortemente condivisa con gli enti locali e tra scuole e altri agenti educativi di ogni territorio - ognuno individuato secondo parametri sia di densità del fenomeno della dispersione sia di presenza di un esercito civile capace di contrastarlo. A inizio settembre saranno anche pronte le linee-guida per facilitare l’azione e una struttura di coordinamento fortemente partecipativa. E’ un primo vero passo verso le zone di formazione prioritaria anche nel nostro Paese. Qui la lettera dell'Assessore all'Istruzione del Comune di Napoli indirizzata a tutti i dirigenti scolastici.
Nel frattempo il MIUR ha avuto il via libera per procedere al piano di immissioni in ruolo sui posti vacanti: si tratta di 21.112 unità di personale docente ed educativo per l’anno scolastico 2012/13. Sono persone che inizieranno a lavorare in modo stabile dal 1 settembre. E, al contempo, stiamo lavorando per predisporre i concorsi.
Non mi resta che augurare a tutti una buona pausa estiva, per ritrovarci presto con le tante cose che ci aspettano alla riapertura dell’anno scolastico.
Ci avviciniamo alla pausa estiva - breve, per evidenti ragioni- con qualche buona notizia in più. E’ stato ultimato il bando di concorso per i prototipi contro la dispersione scolastica, che saranno circa 120 nelle quattro Regioni obiettivo (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia). Le scuole, capofila di progetti di rete sul territorio con istituzioni e privato sociale, hanno tempo fino alla metà di settembre per partecipare. E’ la prima volta che in Italia si profila una policy pubblica di contrasto del fallimento formativo, fortemente condivisa con gli enti locali e tra scuole e altri agenti educativi di ogni territorio - ognuno individuato secondo parametri sia di densità del fenomeno della dispersione sia di presenza di un esercito civile capace di contrastarlo. A inizio settembre saranno anche pronte le linee-guida per facilitare l’azione e una struttura di coordinamento fortemente partecipativa. E’ un primo vero passo verso le zone di formazione prioritaria anche nel nostro Paese. Qui la lettera dell'Assessore all'Istruzione del Comune di Napoli indirizzata a tutti i dirigenti scolastici.
Nel frattempo il MIUR ha avuto il via libera per procedere al piano di immissioni in ruolo sui posti vacanti: si tratta di 21.112 unità di personale docente ed educativo per l’anno scolastico 2012/13. Sono persone che inizieranno a lavorare in modo stabile dal 1 settembre. E, al contempo, stiamo lavorando per predisporre i concorsi.
Non mi resta che augurare a tutti una buona pausa estiva, per ritrovarci presto con le tante cose che ci aspettano alla riapertura dell’anno scolastico.
30 luglio, 2012
Prove e sfide
I dati emersi dalle prove INVALSI 2012 sono interessanti e meritano qualche riflessione. Non perché queste prove siano esenti da limiti o imperfezioni, ma perché sono l’unico strumento, migliorato e migliorabile, in grado di restituirci ogni anno fotografie degli apprendimenti standard e quindi confrontabili tra loro.
Il problema della scuola è sempre lo stesso: i gap nei livelli di apprendimento tra zone diverse, che tendono ad aggravarsi anziché a diminuire con l’aumentare dei gradi dell’istruzione. Esistono, lo sappiamo, almeno due “Italie” anche per quanto riguarda la scuola. Non possiamo accontentarci di facili quanto fallaci interpretazioni, volte soltanto a screditare insegnanti e studenti di mezza Italia. Sono infatti soprattutto le differenze profonde tra le scuole e tra i territori e le effettive condizioni di vita a pesare sui risultati nel Mezzogiorno. Lo dimostrano da anni anche i dati di Banca d’Italia e della Commissione Povertà. Differenze presenti fin dalla primaria, che esplodono nelle prove del secondo anno delle superiori.
La nostra scuola primaria si conferma comunque all’altezza dei confronti internazionali, sebbene, essendo chiamata a numerosi nuovi compiti- dall’integrazione degli alunni non italiani alle forme di apprendimento dei nativi digitali- cominci a presentare più marcate divergenze nelle prove di quinta elementare, che tendono poi nel tempo a riproporsi e aggravarsi.
Sono temi che stiamo affrontando nelle nuove indicazioni nazionali per il curricolo della scuola di base, approvate da poco dal CNPI.
Il quadro emerso ci spinge a proseguire il lavoro di rafforzamento delle competenze di base e di contrasto alla dispersione scolastica avviato con il Piano Azione Coesione nelle regioni meridionali.
Vale la pena continuare a impegnarsi per questa scuola nonostante le difficoltà. E’ questo che vorrei dire a Silvia Avallone. Ma voglio ricordare l’immensa difficoltà per un paio di generazioni di accedere al lavoro in generale. E' sotto i nostri occhi come gli equilibri consolidati non bastino più. Il Paese non può uscire dai problemi se ai giovani non sarà consentito, attraverso una rottura degli equilibri, di esprimere se stessi contribuendo alla crescita. La scuola ha estremo bisogno di insegnanti giovani e preparati. Se io, come tanti, siamo potuti entrare a scuola a 20 anni, è perché un sistema di concorsi regolari consentiva di vincere o perdere, senza liste d’attesa infinite. Noi stiamo provando a ripristinarli e sappiamo purtroppo che se nulla può cambiare, se non si faranno delle scelte anche difficili, non ci riusciremo.
La nostra generazione non è in grado di trovare da sola le risposte al nuovo contesto. Questo sono andato a dire anche al Revolution Camp della Rete degli Studenti Medi: abbiamo bisogno che voi non vi arrendiate, della vostra pressione, del vostro conflitto, della vostra azione. Soltanto così l’Italia saprà reagire.
12 luglio, 2012
Di quando i clan cacciarono i bimbi rom
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La foto è presa da qui |
E’ giunta notizia dell’arresto di 18 persone a Napoli per l’incendio del campo nomadi di Via Gianturco, a Ponticelli, nel dicembre del 2010. Sono accusate, oltre che di estorsione e di associazione di stampo mafioso, dell’aggravante dell’odio razziale.
E’ un fatto importante, che ci riporta alla memoria alcuni gravissimi episodi verificatisi a Napoli, nello stesso quartiere Ponticelli, tra il 2008 e il 2010. Nel primo caso, un vero e proprio pogrom costrinse alla fuga notturna 500 persone dal campo rom incendiato, tra gli insulti di due ali di folla. La scuola del quartiere, l’88° circolo didattico, aveva unito i bambini attraverso le fiabe rom: i compagni di scuola dei bambini costretti a fuggire, il giorno dopo il pogrom, piangevano disperati.
Nel 2010 è stata proprio la scuola al centro delle “attenzioni”: boss locali minacciano le famiglie rom e fanno pressioni sulla preside perché non permetta a questi bambini di frequentare la scuola dove vanno i loro figli. La preside resiste, il campo brucia. Ma grazie a numerose denunce oggi si arriva a questi arresti.
Stiamo lavorando in stretto raccordo con il Ministro Fabrizio Barca, il Ministro Cancellieri, con le Regioni Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, con le realtà del privato sociale che spesso in quartieri come Ponticelli svolgono un delicatissimo ruolo di mediazione, per integrare le azioni di contrasto alla dispersione scolastica con azioni dedicate all’integrazione dei bambini e dei ragazzi rom nelle scuole.
Abbiamo inserito le diverse azioni per l’istruzione all’interno della Strategia nazionale d'inclusione dei rom, sinti e caminanti voluta dal Ministro Riccardi.
Si tratta di riannodare i fili tra scuole, insegnanti, famiglie rom, privato sociale e istituzioni per fare delle cose mirate, misurabili nell’impatto e nei risultati. Abbattere il tasso di abbandono scolastico precoce dei bambini rom, oggi quasi al 42%; favorire percorsi di istruzione ad hoc per le giovani madri che hanno abbandonato la scuola; lavorare fin dalla prima infanzia sull’autorappresentazione della cultura rom (le fiabe, la lingua, la musica), anche attraverso progetti che uniscano le orchestre rom alle orchestre dei conservatori. Ci stiamo confrontando con la Roma Foundation, forte di una grande esperienza in Centro Europa.
Casa, lavoro e istruzione sono le cose che possono cambiare i destini di chi nasce in un campo. Come a Lamezia Terme ci ha raccontato Ciaiò.
Da qui passa il rispetto dei diritti e della dignità di ogni essere umano. Che quando le istituzioni lasciano un vuoto, possono essere cancellati in pochi secondi. Lo spazio di un incendio di baracche. Il tempo di una minaccia alla scuola e al suo ruolo costituzionale.
C’è molto lavoro concreto e utile da fare.
25 giugno, 2012
La scuola non abbandoni i più deboli
La scuola italiana racchiude un immenso patrimonio di coesione sociale, solidarietà, inclusione, equità. Ed è ancora la porta attraverso cui tutti crescono, diversi ed eguali, nell’incontro con l’altro da sé. E’ per questo che la scuola è il retroterra forse più importante per la tenuta del Paese. E non può cedere alla più semplice e ingiusta delle risposte che è quella di rifarsi sui più deboli e scaricare su di loro le nostre responsabilità. Un mio articolo ieri su La Stampa.
Caro direttore,
in pochi sanno che nel ministero dell’Istruzione c’è una meravigliosa biblioteca, che racchiude i tesori di 150 anni di scuola. Tra questi c’è un registro del 1944-45, di una scuola elementare di San Lorenzo, Roma. La maestra racconta nel diario di classe di tutti gli alunni che perde. Per fame, povertà, malattia. Della difficoltà di fare lezione d’inverno, con le finestre rotte dalle bombe. E della fatica di andare avanti tutti insieme.
Sono pagine commoventi che raccontano un’Italia che è esistita. E che esiste ancora, per fortuna entro nuove condizioni. E’ un’Italia fatta d’insegnanti che ogni giorno entrano in classe, in mezzo a difficoltà più o meno grandi, e si rivolgono con fiducia ai loro alunni. Mantengono alta la speranza nel futuro operando con dedizione. E che fanno anche un’altra cosa che è forse la più preziosa per qualsiasi comunità. Distinguono ogni volta “il fare scuola” e, cioè, l’accompagnare i bambini e i ragazzi nell'apprendimento e nella crescita dal fatto che si può essere scontenti – come insegnanti e come cittadini – per le condizioni entro le quali si è chiamati a operare.
Le classi numerose, la mancanza di mezzi, le altre difficoltà vanno sì combattute. E va sì sostenuto che ogni soldo per la scuola, se lo si usa bene, è un investimento per la crescita e la coesione del Paese. Ma le difficoltà non possono essere mai usate oltre il limite dato dalla sua stessa funzione sociale. Perché la scuola è il luogo che fa prevalere la responsabilità come base per l’assunzione della funzione educativa adulta. Ed è proprio per questa sua capacità di essere responsabile che intorno alla scuola vive e cresce un senso di “essere parte di”. Lo si vede ogni giorno nelle migliaia di azioni volontarie dei genitori a suo vantaggio, nella difficile mediazione tra genitori e docenti sul tema di come educare oggi, nella sapienza con la quale riesce a integrare 710 mila bambini e ragazzi di cittadinanza non italiana e 184 mila studenti disabili. O nel costruire azioni per riconquistare le migliaia di ragazzi che ancora perde. O, anche, in episodi simbolicamente forti. Come è stato quello di aver saputo inviare la settimana scorsa le prove di esame di maturità con i nuovi media, dopo anni di proponimenti disattesi per troppa timidezza quando, invece, la scuola sa e può osare moltissimo.
Poi, certo, le cronache raccontano di una scuola primaria, dove in 2 prime classi per un totale di 59 bambini si è voluto bocciarne 5. E quando il Ministero ha chiesto di ripensarci, li si è nuovamente bocciati. Con alcuni genitori che hanno detto che è colpa delle classi numerose…. Cinque bocciati su 59, l’8,5%! Quando la media di bocciature in Italia nella scuola primaria – dalla prima alla quinta – è molto meno dell’1%. Con ottimi risultati nelle prove internazionalmente vagliate. Perché non è la bocciatura che fa la qualità. Poi, certo, può capitare di bocciare. In 35 anni due volte l’ho fatto. Ma la riflessione coi colleghi non verteva sulla classe numerosa, che pur c’era. E so che per fortuna nelle scuole quando si boccia le ore sono dedicate agli errori comuni, alle strategie di recupero e al parlare a lungo e per tempo per condividere con genitori in difficoltà.
Può essere utile prendere a pretesto questo episodio per riflettere sul momento che tutti stiamo vivendo, di fronte al protrarsi della crisi. L’impegno del governo sta mettendo al riparo il sistema-Paese dalle conseguenze più gravi, anche chiedendo grandi sacrifici. Ma ci vorrà tempo e forza comune per uscirne. E, intanto, cresce la disoccupazione. Oltre 3 milioni le persone vivono in povertà di cui 1 milione e 800 mila sono minori. Sono dati che evidenziano un rischio per la tenuta della coesione sociale, quella che Durkheim descriveva come la «durezza del bronzo»: una forza che non risiede nei suoi singoli componenti, ma nel loro insieme. Si tratta della capacità di una comunità di stare unita nelle difficoltà.
La scuola coinvolge quasi 10 milioni di bambini e ragazzi, le relative famiglie e un milione di lavoratori. Ed è ancora la porta attraverso cui tutti crescono, diversi ed eguali, nell'incontro con l’altro da sé. E’ per questo che la scuola è il retroterra forse più importante per la tenuta del Paese. E non può cedere alla più semplice e ingiusta delle risposte che è quella di rifarsi sui più deboli e scaricare su di loro le nostre responsabilità. Lorenzo Milani riassumeva tutto questo nello slogan I care. Il tuo problema è un mio problema. Mi interessa. Non mi posso girare dall'altra parte. Perciò l’immenso patrimonio di coesione sociale, solidarietà, inclusione, equità - e anche di merito ottenuto per conquista e non per destino - che è presente nella scuola italiana deve essere accudito. Da un rinnovato patto sociale per la scuola. Che sappia trovare risorse e innovare quel che va innovato. Ma che deve salvaguardare la priorità del principio di responsabilità.
19 giugno, 2012
Dopo l'ultima campanella
Un augurio va a tutti gli studenti per la fine dell’anno scolastico e per l’inizio degli esami di Stato. Un pensiero particolare va a tutti i ragazzi impegnati negli esami in Emilia Romagna, nelle zone terremotate. Il Miur si è impegnato per garantire loro uno svolgimento delle prove più sereno possibile.
Il nostro lavoro continua, in vista del prossimo anno scolastico. Purtroppo il nostro Paese non è ancora al riparo dalle tempeste finanziarie internazionali. Ma il lavoro del Governo di questi mesi ci sta consentendo- anche con tanti sacrifici- di evitare i guai peggiori. Tutto questo rende difficile reperire risorse fresche per la scuola. Che però andranno trovate, come ho ribadito nella trasmissione Agorà e nella mia intervista all’Unità.
Anche gli studenti di Brindisi ci chiedono di andare avanti e di dare loro risposte concrete agli interrogativi che sollevano in una bella lettera pubblica ai Ministri Profumo e Riccardi. Chiedono che si difenda la scuola. Cambiandola, però. Sono d’accordo con loro.
08 giugno, 2012
Un merito per conquista. Non per destino.

Io penso che valorizzare il merito significhi dare fiducia ai ragazzi portandoli prima di tutto ad accettare la sfida e la competizione con se stessi. Per rafforzare le loro parti deboli e sviluppare quelle forti, per scoprire le loro parti nascoste, interessandoli a quello che studiano. E che sia necessario riconoscere il merito di quei docenti che si impegnano in zone difficili, con buoni risultati.
Dobbiamo tutti chiederci, però, se oggi uno studente che si è impegnato ed è riuscito bene a scuola viene considerato meritevole dalla società che lo attende fuori. Se riesce nella vita grazie al suo impegno oppure più di frequente grazie a conoscenze, rendite e privilegi.
E’ un tema importante, per questo stiamo seguendo la discussione in corso con grande attenzione.
Come ho dichiarato a La Repubblica, il nostro faro non può che essere l’articolo 34 della Costituzione. Che va letto nella sua interezza: in principio afferma che la scuola è aperta a tutti, poi si concentra sui meritevoli privi di mezzi, che lo Stato deve sostenere.
Come sappiamo la scuola italiana è aperta a tutti, ma perde il 20% dei ragazzi prima del diploma. Per questo il Governo ha fatto tanto: 102 milioni per la lotta alla dispersione scolastica in oltre 100 micro-aree, 400 milioni per 18.000 posti in più nei nidi in Campania, Calabria, Sicilia e Puglia.
C’è da fare ancora molto. Ho indicato alcune priorità nel corso della trasmissione di Rai Tre Agorà: corsi di recupero dei debiti formativi, lotta alla dispersione anche nel Centro-Nord, borse di studio per gli studenti universitari. Negli ultimi cinque anni sono 175mila gli studenti con redditi bassi che non hanno ricevuto la borsa pur essendo meritevoli. Dobbiamo lavorare su questo nonostante la difficile situazione economica, cercare delle strade per trovare un po’ di risorse in più.
02 giugno, 2012
Il Mezzogiorno per l'Europa
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La palestra di arrampicata nella scuola Don Milani |
La settimana scorsa a Napoli, le straordinarie capacità dei ragazzi che studiano la ceramica all’istituto professionale di Capodimonte. Chiedono più ore di pratica e la possibilità di trovare un lavoro.
Questa settimana, in Calabria:l’ITIS Fermi di Fuscaldo Marina guarda al Mediterraneo. Ha messo in piedi uno scambio con centinaia di ragazzi egiziani. Imparano la lingua, vanno in laboratorio, vivono a casa dei compagni italiani.
E la scuola Don Milani di Lamezia Terme, dove i bambini si allenano alla scalata della vita sulla palestra artificiale per l’arrampicata. Imparano a gestire le emozioni, a non farsi prendere dal panico, a usare la testa per uscire da un momento di crisi.
Anche in condizioni molto difficili sorgono esperienze innovative e coraggiose, le scuole si raccordano con il privato sociale. A Scampia, presso il Centro Hurtado, abbiamo discusso di un possibile futuro per uno dei quartieri più disagiati di Napoli.
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Con Don Panizza nella Comunità Progetto Sud |
Ascoltiamo racconti e riflessioni sul modo di fare le cose bene. Ascoltiamo la storia di Ciaiò, il rom che è uscito dal campo grazie al diritto alla scuola, alla casa e a un lavoro.
Quest’aria che si respira non è la richiesta di aiuto o assistenza. E’ la voglia di concretezza e di risposte costruite insieme, nel mare aperto dei dubbi e delle difficoltà. E’ la rivendicazione di un ruolo per il Sud, è la voglia di contribuire allo sviluppo dell’Italia in un momento di crisi. Il bisogno di capire cosa si può fare, come si può fare. Non il Nord per il Sud. Il Mezzogiorno per l’Europa.
22 maggio, 2012
Nessuno tocchi la scuola
La giornata di Sabato 19 Maggio verrà ricordata a lungo, purtroppo. Per il terribile atto di stampo terroristico che ha insanguinato- per la prima volta nella Storia d’Italia- l’ingresso di una scuola. Togliendo la vita a Melissa Bassi- di 16 anni- e ferendo gravemente altri studenti.
Il Ministro Profumo, in una lettera indirizzata a tutte le scuole, ha rivolto agli studenti del Paese parole di vicinanza, chiedendo a tutti di non cedere alla rabbia e al dolore.
Ancora non sappiamo chi e perché abbia voluto compiere un simile gesto. Le domande sono troppe e troppo poche, ancora, le risposte. Di sicuro si voleva terrorizzare la popolazione- in particolare le scuole- ed è per questo che abbiamo detto che loro- chiunque siano- non hanno vinto.
Perché Sabato le piazze italiane si sono riempite della solidarietà e della vicinanza di migliaia di persone alle famiglie, agli studenti, agli insegnanti colpiti. Perché Domenica alle ore 18 tante scuole in tutta Italia hanno fatto un’apertura straordinaria. Perché da ieri si entra in classe normalmente- e proprio ieri insieme al Ministro Barca siamo stati nelle scuole di Napoli . E perché stasera migliaia di studenti si imbarcheranno con le Navi della legalità, destinazione Palermo. Dove domani celebreremo insieme alle alte cariche dello Stato il ventennale delle stragi di Capaci e Via D’Amelio.
Lo dobbiamo a questi ragazzi- attenti, curiosi, impegnati. Alla forza e alla speranza che ho sentito nelle parole di una studentessa di Brindisi dal palco della manifestazione a poche ore dalla tragedia. E dobbiamo dare più forza alle scuole soprattutto nel Mezzogiorno. E’ quel che ho detto ieri alla Camera alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
14 maggio, 2012
Crescita, Coesione, Equità
La spending review servirà a tagliare sprechi e inefficienze dell’amministrazione: ne ho parlato in un’intervista pubblicata Domenica sul Corriere della Sera. Le scuole non si toccano. La spesa per l’istruzione è investimento vivo per il futuro del Paese. Ci crediamo e ci battiamo per questo, seppure in un momento difficilissimo.
Dopo i primi sei mesi di lavoro, si raccolgono alcuni frutti. Con il Ministro Profumo siamo in grado di presentare i primi risultati concreti di un impegno volto a rimettere la scuola al centro dell’agenda politica italiana. Perché serve alla crescita e serve all’equità. Tutte e due le cose insieme.
Venerdì scorso, alla conferenza stampa del Presidente del Consiglio Monti, il Ministro Fabrizio Barca ha presentato le misure per l’inclusione e la coesione, realizzate con i fondi europei non spesi dalle Regioni del Sud. Tra queste misure, le oltre 100 microaree in cui collocheremo le azioni integrate contro la dispersione scolastica: a inizio giugno la mappa sarà completa, a settembre si parte.
Lavoriamo per sostenere i soggetti più deboli della società, per ridurre la povertà minorile: in questo quadro vanno collocate le misure per la scolarizzazione dei rom, in particolare delle donne e delle giovani madri, ma anche interventi sui nidi e prima infanzia (Qui il documento completo: “Strategia nazionale d’inclusione dei rom, sinti e caminanti. “).
E poi c’è il piano culturale e degli apprendimenti, dove stiamo lavorando per consolidare il lavoro delle scuole introducendo anche qualche novità. Sono alla revisione finale le indicazioni nazionali per il curriculum della scuola di base. Con la partecipazione e la consultazione delle scuole verrà pubblicato un documento di indirizzo, per definire i traguardi da raggiungere entro la fine della terza media per ogni alunno.
Infine, due azioni per raccordare le iniziative delle scuole su due temi cruciali per la formazione delle giovani generazioni: le pari opportunità- con particolare attenzione al tema della violenza sulle donne- e il contrasto all’omofobia. Per la prima volta il Ministero dell’Istruzione ha inviato una circolare per la giornata mondiale contro l’omofobia del 17 maggio.
04 maggio, 2012
Scuola malata, è ora di tornare a Barbiana
Adele Corradi nel libro "Non so se Don Lorenzo" (Feltrinelli) racconta la sua esperienza nella scuola di Barbiana. Da quell'esperienza alle periferie di oggi dobbiamo riuscire a dare di più a chi parte con meno nella vita. E la scuola va ancora ben sostenuta perché non vi è altro luogo che possa essere leva precoce di emancipazione e riequilibrio sociale. Un mio articolo ieri su La Stampa.
Eravamo nel pieno del boom economico e tutto sembrava finalmente andare per il meglio. Quando, nel 1967, uscì Lettera a una professoressa e arrivò in ogni angolo d’Italia il monito, severo e profetico, di don Milani: “la scuola ha un solo problema: i ragazzi che perde”.
In quel libro c’erano i dati che mostravano che la classe sociale dei genitori determinava il successo o l’insuccesso scolastico, in larghissima misura. Quel monito ci sta ancora addosso. Perché è ancor oggi così. Sono i figli dei poveri a fallire a scuola. E sono tanti: il venti percento del totale dei nostri ragazzi. Che tendono a diventare il trenta percento e più nel Sud come nelle periferie del Centro e del Nord. Lo dicono i dati del Ministero dell’Istruzione, quelli Istat, la Banca d’Italia, la relazione della Commissione indagine sulla povertà. Lo mostra, pezzo per pezzo, il bellissimo Atlante dell’infanzia a rischio, curato da Save the children - che ci ricorda che mentre nella maggior parte d’Europa il figlio di un genitore di medio reddito e istruito ha 2 o 3 volte più probabilità di completare l’intero ciclo di studi, da noi ha 7,7 più probabilità! Il più grande scandalo d’Italia.
Così, è passato quasi mezzo secolo. Ma resta questo il principale problema non solo della scuola ma dell’intera società italiana. Dobbiamo riuscire a dare di più a chi parte con meno nella vita e la scuola va ancora ben sostenuta perché non vi è altro luogo che possa essere leva precoce di emancipazione e riequilibrio sociale.
Per questo l’Unione Europea dal 2000 – la famosa agenda di Lisbona - ci chiede di scendere sotto il dieci percento di fallimento formativo. E la questione è che noi non ci siamo ancora riusciti. Benché siamo ben consapevoli che il non riuscirci, oltre a essere una minaccia alla coesione sociale, ci priva di enormi risorse umane capaci di azioni positive, un fatto che condiziona la stessa crescita economica. Perciò: l’agenda politica, le scelte nella revisione delle spese e degli investimenti pubblici deve tenere conto innanzitutto di questa questione.
Ma più che i dati, come spesso accade, le vie da imboccare per riparare alle ingiustizie generali le descrivono bene i libri che parlano di gesti, di giorni, di vicende umane.
Nelle bellissime pagine di Insegnare al principe di Danimarca la molto compianta Carla Melazzini racconta del lungo nostro lavoro con i ragazzi che avevano abbandonato la scuola a S. Giovanni a Teduccio, Barra, Quartieri Spagnoli, Soccavo, Ponticelli. E’ una scrittura sorvegliata, severa – come Carla era - che mostra, con fatica e poesia, il lavoro della scuola che sa andare verso chi ne è stato escluso. Lavoro di grande complessità artigianale, fatto a Napoli eppure simile a quello svolto da altri insegnanti ed educatori a Torino, a Verona, a Palermo, a Reggio Emilia, a Milano. Il creare un luogo salvo, una zona franca, una chance. Dove curare - nel bel mezzo delle devastazioni - le ferite sociali ed emotive. Per restituire la guida adulta, la via dell’apprendimento, della motivazione, della cura di sé. Per ridare la capacità di aspirare, the capacity to aspire - come viene definita in un importante saggio di Arjun Appadurai.
Sono pagine difficili quelle di Carla Melazzini. Perché chiedono di ritornare a pensare alle persone che crescono. Perché chiamano l’intero sistema d’istruzione e formazione a rimettere insieme i pezzi, a coniugare meglio il sapere e il saper fare. E a misurarsi molto di più con l’essere quotidiano di ciascun ragazzo. Com’era a Barbiana, dove nell’aula di sopra c’erano i libri, le figure geometriche e le mappe, nell’aula di sotto gli arnesi per costruire e manutenere oggetti e il laboratorio di esplorazione scientifica e in ogni momento la possibilità di fermarsi e “parlare di noi”, di quel che sta succedendo e di come va, senza mai dimenticare che si sta lì per imparare.
Quattro anni prima dell’uscita di Lettera a una professoressa Adele Corradi salì a Barbiana. Ora finalmente lo racconta nel libro Non so se don Lorenzo. Era il 29 settembre del 1963. Chi si è recato lì se la può immaginare, una professoressa non ancora quarantenne che percorre in salita la via in mezzo al bosco, per capire, per fare. Adele oggi decide di lasciare indietro la sua riservatezza e ci riporta proprio lì. Con un avvertimento: “Non si racconta in questo libro la storia di don Milani…. Si parla di lui, ma non se ne racconta la storia. Chi la volesse conoscere dovrà rivolgersi altrove…. Qui sono messi a fuoco frammenti di vita, frammenti sparsi, affiorati alla memoria col disordine dei ricordi”. Adele ricorda il giorno dell’inizio, domenica, S. Michele. Ma non ricorda che lezione avesse tenuto. Rammenta, però, che don Lorenzo, in modo per lui inconsueto, le disse: “ritorni”. E lei si è da allora sempre chiesta perché: “.. o gliel’ha suggerito lo Spirito Santo o io con la telepatia”. Così, dopo qualche giorno ritornò. E partecipò alla prima vera lezione, un esercizio di scrittura collettiva. E di lì si va avanti nel racconto, scena dopo scena, con i gesti e il parlato riportati entro un interrogarsi profondo e semplice. Perché questo libro rimette ogni lettore nel ritmo e nella parola di quel luogo, nel suo senso quotidiano. E così Adele ci fa un regalo immenso: toglie il peso del mito a Barbiana. E finalmente restituisce quella scena alla magica imperfezione delle persone al lavoro, che tentano, che riparano, che si chiedono, che litigano, che non sanno e che comunque riescono.
Ritrovare l’occasione e il modo di fare bene scuola provando a capire il proprio tempo e il mondo è sempre possibile. E rimettersi in gioco è la chiave dell’educare. Come ci dice ancora Adele, oggi quasi novantenne: “Sono stata insegnante di lettere alle medie fino alla pensione a sessantasette anni. Devo confessare che ero un’insegnante identica alla destinataria di Lettera a una professoressa… L’incontro con la scuola di Barbiana ha scavato un solco nella mia vita. Mi sono vista come non mi ero mai vista. E non solo come insegnante, ma come persona”.
Dunque, la vicenda di Barbiana e delle buone scuole delle nostre troppe periferie non è solo un’azione a sostegno dell’equità e a vantaggio di una società democratica. Ma permette trasformazioni. E ci dice la direzione da prendere per tutta la scuola. Perché l’azione pedagogica diretta a chi ha più bisogno spesso muta gli approcci profondi e sa indicare vie innovative. La necessità fa virtù. Perciò don Milani diceva: “Verrà un giorno in cui coloro che vogliono guarire le scuole malate dovranno salire a Barbiana”
E’ ora di ripartire da una scuola a tutto tondo, che integri studio, esperienza, riflessione ben organizzata sul mondo e sul sé. E che consenta di riportare anche tutta la meraviglia del sapere diffuso dai nuovi media entro l’azione composita e costante di un luogo accogliente e rigoroso. Un luogo salvo e innovato.
Save the Children
Atlante dell’infanzia a rischio
2011
Carla Melazzini
Insegnare al Principe di Danimarca
Sellerio, 2011
Arjun Appadurai
Le aspirazioni nutrono la democrazia
et.al, 2011
Adele Corradi
Non so se don Lorenzo
Feltrinelli, 2012
Eravamo nel pieno del boom economico e tutto sembrava finalmente andare per il meglio. Quando, nel 1967, uscì Lettera a una professoressa e arrivò in ogni angolo d’Italia il monito, severo e profetico, di don Milani: “la scuola ha un solo problema: i ragazzi che perde”.
In quel libro c’erano i dati che mostravano che la classe sociale dei genitori determinava il successo o l’insuccesso scolastico, in larghissima misura. Quel monito ci sta ancora addosso. Perché è ancor oggi così. Sono i figli dei poveri a fallire a scuola. E sono tanti: il venti percento del totale dei nostri ragazzi. Che tendono a diventare il trenta percento e più nel Sud come nelle periferie del Centro e del Nord. Lo dicono i dati del Ministero dell’Istruzione, quelli Istat, la Banca d’Italia, la relazione della Commissione indagine sulla povertà. Lo mostra, pezzo per pezzo, il bellissimo Atlante dell’infanzia a rischio, curato da Save the children - che ci ricorda che mentre nella maggior parte d’Europa il figlio di un genitore di medio reddito e istruito ha 2 o 3 volte più probabilità di completare l’intero ciclo di studi, da noi ha 7,7 più probabilità! Il più grande scandalo d’Italia.
Così, è passato quasi mezzo secolo. Ma resta questo il principale problema non solo della scuola ma dell’intera società italiana. Dobbiamo riuscire a dare di più a chi parte con meno nella vita e la scuola va ancora ben sostenuta perché non vi è altro luogo che possa essere leva precoce di emancipazione e riequilibrio sociale.
Per questo l’Unione Europea dal 2000 – la famosa agenda di Lisbona - ci chiede di scendere sotto il dieci percento di fallimento formativo. E la questione è che noi non ci siamo ancora riusciti. Benché siamo ben consapevoli che il non riuscirci, oltre a essere una minaccia alla coesione sociale, ci priva di enormi risorse umane capaci di azioni positive, un fatto che condiziona la stessa crescita economica. Perciò: l’agenda politica, le scelte nella revisione delle spese e degli investimenti pubblici deve tenere conto innanzitutto di questa questione.
Ma più che i dati, come spesso accade, le vie da imboccare per riparare alle ingiustizie generali le descrivono bene i libri che parlano di gesti, di giorni, di vicende umane.
Nelle bellissime pagine di Insegnare al principe di Danimarca la molto compianta Carla Melazzini racconta del lungo nostro lavoro con i ragazzi che avevano abbandonato la scuola a S. Giovanni a Teduccio, Barra, Quartieri Spagnoli, Soccavo, Ponticelli. E’ una scrittura sorvegliata, severa – come Carla era - che mostra, con fatica e poesia, il lavoro della scuola che sa andare verso chi ne è stato escluso. Lavoro di grande complessità artigianale, fatto a Napoli eppure simile a quello svolto da altri insegnanti ed educatori a Torino, a Verona, a Palermo, a Reggio Emilia, a Milano. Il creare un luogo salvo, una zona franca, una chance. Dove curare - nel bel mezzo delle devastazioni - le ferite sociali ed emotive. Per restituire la guida adulta, la via dell’apprendimento, della motivazione, della cura di sé. Per ridare la capacità di aspirare, the capacity to aspire - come viene definita in un importante saggio di Arjun Appadurai.
Sono pagine difficili quelle di Carla Melazzini. Perché chiedono di ritornare a pensare alle persone che crescono. Perché chiamano l’intero sistema d’istruzione e formazione a rimettere insieme i pezzi, a coniugare meglio il sapere e il saper fare. E a misurarsi molto di più con l’essere quotidiano di ciascun ragazzo. Com’era a Barbiana, dove nell’aula di sopra c’erano i libri, le figure geometriche e le mappe, nell’aula di sotto gli arnesi per costruire e manutenere oggetti e il laboratorio di esplorazione scientifica e in ogni momento la possibilità di fermarsi e “parlare di noi”, di quel che sta succedendo e di come va, senza mai dimenticare che si sta lì per imparare.
Quattro anni prima dell’uscita di Lettera a una professoressa Adele Corradi salì a Barbiana. Ora finalmente lo racconta nel libro Non so se don Lorenzo. Era il 29 settembre del 1963. Chi si è recato lì se la può immaginare, una professoressa non ancora quarantenne che percorre in salita la via in mezzo al bosco, per capire, per fare. Adele oggi decide di lasciare indietro la sua riservatezza e ci riporta proprio lì. Con un avvertimento: “Non si racconta in questo libro la storia di don Milani…. Si parla di lui, ma non se ne racconta la storia. Chi la volesse conoscere dovrà rivolgersi altrove…. Qui sono messi a fuoco frammenti di vita, frammenti sparsi, affiorati alla memoria col disordine dei ricordi”. Adele ricorda il giorno dell’inizio, domenica, S. Michele. Ma non ricorda che lezione avesse tenuto. Rammenta, però, che don Lorenzo, in modo per lui inconsueto, le disse: “ritorni”. E lei si è da allora sempre chiesta perché: “.. o gliel’ha suggerito lo Spirito Santo o io con la telepatia”. Così, dopo qualche giorno ritornò. E partecipò alla prima vera lezione, un esercizio di scrittura collettiva. E di lì si va avanti nel racconto, scena dopo scena, con i gesti e il parlato riportati entro un interrogarsi profondo e semplice. Perché questo libro rimette ogni lettore nel ritmo e nella parola di quel luogo, nel suo senso quotidiano. E così Adele ci fa un regalo immenso: toglie il peso del mito a Barbiana. E finalmente restituisce quella scena alla magica imperfezione delle persone al lavoro, che tentano, che riparano, che si chiedono, che litigano, che non sanno e che comunque riescono.
Ritrovare l’occasione e il modo di fare bene scuola provando a capire il proprio tempo e il mondo è sempre possibile. E rimettersi in gioco è la chiave dell’educare. Come ci dice ancora Adele, oggi quasi novantenne: “Sono stata insegnante di lettere alle medie fino alla pensione a sessantasette anni. Devo confessare che ero un’insegnante identica alla destinataria di Lettera a una professoressa… L’incontro con la scuola di Barbiana ha scavato un solco nella mia vita. Mi sono vista come non mi ero mai vista. E non solo come insegnante, ma come persona”.
Dunque, la vicenda di Barbiana e delle buone scuole delle nostre troppe periferie non è solo un’azione a sostegno dell’equità e a vantaggio di una società democratica. Ma permette trasformazioni. E ci dice la direzione da prendere per tutta la scuola. Perché l’azione pedagogica diretta a chi ha più bisogno spesso muta gli approcci profondi e sa indicare vie innovative. La necessità fa virtù. Perciò don Milani diceva: “Verrà un giorno in cui coloro che vogliono guarire le scuole malate dovranno salire a Barbiana”
E’ ora di ripartire da una scuola a tutto tondo, che integri studio, esperienza, riflessione ben organizzata sul mondo e sul sé. E che consenta di riportare anche tutta la meraviglia del sapere diffuso dai nuovi media entro l’azione composita e costante di un luogo accogliente e rigoroso. Un luogo salvo e innovato.
Save the Children
Atlante dell’infanzia a rischio
2011
Carla Melazzini
Insegnare al Principe di Danimarca
Sellerio, 2011
Arjun Appadurai
Le aspirazioni nutrono la democrazia
et.al, 2011
Adele Corradi
Non so se don Lorenzo
Feltrinelli, 2012
23 aprile, 2012
Numeri e Chilometri
Sono giorni intensi, tanto lavoro e tanti chilometri da fare. Sono partito giovedì alla volta di Milano, per una visita all’Istituto Comprensivo Ciresola di Milano, dove si sperimenta l'insegnamento bilingue fin dalla prima elementare, e per un seminario sull’autonomia scolastica. Un processo da portare a compimento anche con l’attuazione della riforma del Titolo V.
Poi Trieste, Risiera di San Sabba: un posto terribile in cui i ragazzi delle scuole del Friuli Venezia Giulia ammutoliscono e ascoltano attenti le testimonianze di due ragazze di allora, deportate a Bergen- Belsen.
A Benevento invece si parla di innovazione e Mezzogiorno. A Napoli incontro i ragazzi del Movimento Studenti di Azione Cattolica. Preparatissimi, mi interrogano su questioni complesse, che stanno a cuore a tutti noi.
Nel frattempo, ci sono i dati impressionanti contenuti nella prima relazione annuale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia: 2 milioni di bambini poveri, 653 mila in povertà assoluta. L’appello del neoeletto Garante per l’infanzia non può essere ignorato e si lavora per risposte rapide e concrete.
Come quelle contenute nel “Piano rom”, dove si parla di piccole borse di studio e percorsi di alternanza scuola-lavoro per le donne rom che hanno precocemente abbandonato gli studi.
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