02 ottobre, 2009

Le case di Ezra Pound

Ancora un pezzo che è uscito su Repubblica Napoli, stavolta in occasione di un corteo antifascista contro un centro di casapound e che è finito in modo violento.

Mentre i cortei si muovono tra le grida che evocano il ricordo delle Quattro Giornate, Erri De Luca chiama all’antifascismo militante anni settanta, i responsabili di causapound si proclamano oscuramente fascisti della terza generazione e il comune intende far disoccupare con la forza gli spazi da loro occupati intitolati al grande poeta americano, può capitare di pensare alle case di Ezra Pound, quelle vere, dove egli visse. E che forse potrebbero suggerirci qualcosa.
Sì, le case. Quella dove nacque in mezzo agli spazi vuoti e sotto il cielo largo dell’Idaho, quelle dove approdò, ancora ragazzo, nelle grandi città, dove poteva condurre la vita sregolata che desiderava, lontana dalla sua bigotta provincia. E dove accumulava i libri dei poeti antichi e medioevali o iniziava l’amicizia con T. S. Eliot o pranzava con William Carlos Williams o amoreggiava con Hilda Doolittle grande poetessa e donna apertamente bisessuale. Quelle inglesi o parigine dove studiava il teatro Nò giapponese con Yeats, imparava la boxe da Hemingway o da cui scendeva per presentare James Joyce alla sua futura editrice. O quelle italiane degli anni trenta dove scriveva versi di innovativa potenza, studiava le musiche rinascimentali e giocava a tennis. Ma dove iniziarono i segni di un lucido e terribile delirio. Infatti prese una vera fissazione contro le banche in quanto tali. Sposò le teorie sulla superiorità della razza ariana denigrando i neri d’America come inferiori mentre, al contempo, esaltava Thomas Jefferson come possibile ispiratore di Mussolini, dimenticando gli scritti sulla democrazia del fondatore degli Stati Uniti o il fatto che avesse vissuto e fatto molti figli con una donna nera dopo la morte di sua moglie. Poi vennero le case del tempo di guerra. Dove Pound continuò a difendere il regime anche durante la repubblica di Salò, facendosi portavoce del nazi-fascismo alla radio con parole incancellabili: “Se mai vi è stata nazione che ha prodotto efficiente democrazia, questa è stata la Germania. Eliminate Roosvelt e i suoi ebrei o gli ebrei e il loro Roosvelt”. E la casa della prigionia – che casa non era ma una gabbia all’aperto e poi una tenda – dove fu rinchiuso nel campo americano di Pisa, accusato di alto tradimento. O la prigione dove soggiornò durante il processo e dove si salvò dalla pena capitale solo perché quasi tutta l’avanguardia artistica del Novecento che aveva avversato il nazi fascismo si mobilitò generosamente per lui e perché, grazie alle garanzie liberali, i più grandi psichiatri d’America ne riconobbero la effettiva infermità mentale. Primo Levi un quarto di secolo dopo il processo scrisse: “Forse il tribunale americano che giudicò Pound mentalmente infermo aveva ragione: scrittore d'istinto, doveva essere un pessimo ragionatore e lo confermano il suo comportamento politico ed il suo odio maniacale per i banchieri. Ora, chi non sa ragionare deve essere curato, e nei limiti del possibile rispettato, anche se, come Ezra Pound, si induce a fare propaganda nazista contro il proprio paese in guerra contro la Germania di Hitler”. O l’altra casa di Pound che casa non era – ma stanza di ospedale psichiatrico – dove, nonostante tutto, continuava a incontrare i capi segregazionisti e a proclamare un testardo razzismo: “E’ una missione quella di lavar via dalla razza anglo-sassone gli elementi che la infangano, i negracci e gli ebreacci”. O l’ultima casa, a Venezia, dove un giorno del 1967 andò a trovarlo il poeta Allen Ginsberg. Lì salutandosi sull’uscio della porta - in risposta al “grazie per le sue poesie” del poeta della beat generation, ebreo fiero di esserlo – Ezra Pound timidamente disse con un fil di voce: “Il mio più grave errore è stato il mio stupido pregiudizio antisemita da sobborgo, una roba che ha rovinato tutto”.
Che dire allora di e su casapound? Sono figlio di un antifascista condannato a venti anni dal tribunale speciale. Da ragazzo facevo antifascismo militante per le strade di questa città ma leggevo con ammirazione i Cantos di Ezra Pound. E forse iniziavo a capire che si è chiamati a vivere in un mondo complicato, che ereditiamo da un secolo che è finito ma sul cui senso ci si deve interrogare ancora e con lo spirito del ventunesimo secolo che ha evocato Obama pochi giorni fa alle Nazioni Unite. E che si fonda sulla necessità imperativa di superare la paura dell’altro e di andare oltre gli steccati e parlare del merito delle cose. No, io non manderei la polizia a sgombrare casapound e tanto meno ci andrei io con i miei compagni. Ci andrei sì. Ma per parlare. E domanderei: quali delle case di Ezra Pound vi ispirerà in questo luogo? Quella dei poeti di ogni cultura e inclinazione sessuale? Quella dei proclami di odio? Quella della riflessione sugli errori? Perché - come ha scritto Paola Concia, donna di sinistra che lotta per la causa di ogni diversità e che si reca in questi giorni a casapound di Roma - la paura del diverso si annida in ogni cultura, a destra e a sinistra. E noi lo sappiamo nelle vicende quotidiane di razzismo e di omofobia che ci stanno opprimendo. E non basta il proclama antifascista: un nostro quartiere che è insorto contro i carri armati nazisti durante le Quattro Giornate, che sempre è restato fedele all’antifascismo, ha anche cacciato vecchi e bambini rom a suon di molotov. Sì, io andrei innanzitutto a parlare. Perché la città è satura di aggressività; c’è un bisogno immenso di parole scambiate, anche se sono difficili.

01 ottobre, 2009

Gli spazi dell'infanzia

La Questura di Napoli ha reso noto i primi risultati di una vasta operazione di indagine su video poker e slot machine. Centinaia di macchine, trovate manomesse, sono state sequestrate con multe per migliaia di euro. Nel corso dell’inchiesta è emerso che decine di ragazzini commettevano reati quali scippi e rapine, a Pianura, nei Quartieri Spagnoli, nella Sanità per rispondere al bisogno di giocare a soldi con questi arnesi. Ho commentato questa notizia su Repubblica Napoli di oggi con l'articolo che segue.

Alcuni video giochi - slot machine e video-poker - sono osservati da tempo da chi si occupa di povertà perché sono creatori di dipendenza, capaci di sottrarre soldi a chi ne ha già pochi. Accade nel nord come nel sud di vedere un uomo terminare una giornata di lavoro in cantiere, una donna che finisce un turno delle pulizie, una casalinga con la busta della spesa, un giovane disoccupato fermarsi in un caffè e ogni volta immettere in queste macchine quattro o cinque euro almeno e magari vincere e rigiocare fino a che perde ancora. Chi gestisce questi arnesi ha, dunque, molto da guadagnare. E da noi è la camorra che ha i liquidi e la rete organizzativa per l´acquisto e il controllo di questo vasto mercato, che permette riciclaggio di denaro e nuovo profitto.

Così il monopolio di Stato sul gioco viene espropriato, a maggior ragione in quanto le macchine vengono taroccate: promettono vincite superiori ai limiti fissati dalla legge, mentre in realtà diminuiscono le probabilità di vincita. Questo ha scoperto un lungo e puntiglioso lavoro investigativo della questura di Napoli. Ma l´indagine ha soprattutto confermato quanto molti operatori sociali intuiscono da tempo: sono aumentate le rapine di minorenni anche perché c´è crescente dipendenza dei ragazzi dalle slot e video-poker. Il gioco, le sale gioco sono da decenni occasioni di aggregazione tra ragazzi. Ciò non è un male in sé. Può esserlo o no. Infatti ogni esperienza adolescenziale comporta rischi. Girare tutta la notte in auto può favorire sano divertimento e amicizia o essere pericoloso. Fermarsi le ore dinanzi ai bar può costituire la base per relazioni e progetti costruttivi o la premessa per avventure rischiose. Anche la sala giochi può essere luogo di socialità e apprendimento o di dipendenza e pericolo. A Napoli come a Milano, Londra, Nuova Delhi ogni volta che capita di entrare in un bar o in un luna park ci si rende conto come i ragazzini si mettono alla prova in molte cose contemporaneamente.


Mentre manovrano con velocità sconvolgente i videogiochi, spesso in gruppo, inviano messaggi sms per confrontarsi sul da fare o ascoltano musiche. Intrattengono conversazioni su punteggi o record o tecniche di gestione dei giochi. Ma le parole rimandano al governo delle relazioni, all´instaurarsi di gerarchie basate su abilità, conoscenza e competenza, a promesse di insegnamento. E, intanto, si fanno strada altri temi di conversazione: commenti su film, riflessioni sui corteggiamenti propri o altrui, opinioni sulla domenica sportiva o sui fatti di quartiere, organizzazione delle partite di calcio, finanche pensieri sulla scuola. Da sempre intorno ai giochi prende forma la costruzione della vita sociale. Accade sulle spiagge, negli oratori, nei centri giovanili. Dunque si tratta di esperienze che in sé non vanno demonizzate. Perché la crescita ha luogo lì dove ogni generazione si misura con la costruzione dei suoi linguaggi, dei gusti e dei modi, fuori da casa, lontano da noi genitori. C´è il rischio di dipendenza? Certo che sì. Ma c´è anche quando il gioco avviene in casa.

Però l´inchiesta della polizia rivela la novità del gioco d´azzardo di minorenni con le macchine mangiasoldi. Se questa novità coinvolge anche ragazzini di famiglie bene non lo si sa. Alcune segnalazioni ci sono state in città del nord. Ma l´allarme sociale nasce quando sono i ragazzini poveri ad essere presi da questa dipendenza perché ne nascono scippi, rapine con coltelli sempre più diffusi, aggressioni di gruppo. Come accade per altre dipendenze. Sono atti che vanno repressi. Ma attenzione: le città sicure non sono quelle che promettono un controllo totale sui ragazzi chiusi dinanzi al video-gioco di casa. Sono quelle che reprimono il grande malaffare e che, al contempo, favoriscono libertà di movimento sicuro in città e spazi molteplici per chi è ragazzo. È una città dei bambini e dei ragazzi che fu promessa per Napoli, che altrove esiste, che si può riprendere a cercare, nonostante tutto.

28 settembre, 2009

Consiglio di classe


Sta per uscire Consiglio di classe, un libro curato da Angelo Ferracuti e Stefano Iucci.
Vi si prova a raccontare la scuola di oggi e le persone che la abitano, con l'occhio un po' oltre i cliché. Vi sono anche delle belle foto. E' stato scritto a più mani da scrittori che insegnano o insegnanti che scrivono, che dir si voglia.
C'è anche un mio racconto che non ha nulla a che fare con il consiglio di classe, tratto da un taccuino su cui annotavo impressioni dalla strada e che ho aggiornato a giugno di quest'anno dopo una nuova esplorazione di quartiere e dopo un confronto con Salvatore Pirozzi su letture comuni.

27 settembre, 2009

Obama alle Nazioni Unite e noi


Tre giorni fa Obama ha parlato all’Assemblea generale dell’ONU. Vale davvero la pena ascoltare il suo discorso o leggerlo con cura, in ogni sua parte.

Sì siamo di Napoli, sì ci occupiamo ognuno di qualcosa. Ma gli interessi generali esistono, il mondo è davvero globale, i problemi e le soluzioni possibili e la via – il metodo e lo spirito – per affrontarli lo sono altrettanto.

E nelle cose generali della vita umana su questo pianeta così come nelle vicende di questa nostra città, non cambiano le questioni di spirito e di metodo con le quali si affrontano situazioni, problemi, relazioni con gli altri. Per esempio non si può dire di essere d’accordo con Obama quando dice che bisogna affrontare il merito di ogni problema, ascoltarsi reciprocamente ed essere umili e poi affrontare la polemica politica locale senza mai parlare del contenuto delle cose, insultandosi. Non ha senso applaudire Obama quando dice che è tempo di dire pubblicamente ciò che si dice nelle chiuse stanze o quando sostiene che i veri cambiamenti avvengono grazie alla attivizzazione delle persone che si intende rappresentare e poi al contempo continuare a curare solo le chiuse stanze del potere e a contrastare ogni moto partecipativo reale per anni, ripetendo che è illusorio e che non è “la vera politica”.

Obama in un passaggio ha detto che i veri arsenali per affrontare i nostri problemi globali stanno nel nutrimento delle speranze e dell’attivizzazione degli esseri umani. Ecco: l’Italia e Napoli sono poveri di possibilità di riscatto oggi perché sono poveri di questo spirito e sono poveri di questo spirito perché siamo guidati da gente che non vuole e non sa e non può cambiare e che – come pure ha detto il presidente americano – si ostina ad affrontare le cose del 21esimo secolo con l’armamentario culturale e l’atteggiamento mentale delle parti peggiori del 20esimo secolo.

Quando si ascolta o si legge un discorso politico come questo è veramente impressionante l’abisso che c’è tra il nuovo metodo che si fa strada con Obama e gli arnesi nostrani. Per questo, testardamente, non si deve demordere dalle cose che in tanti, pure sparsi e deboli, continuiamo a dire e a fare. E non bisogna arrendersi all’idea che debba esistere sempre e solo questa politica stracciona e fallimentare. C’è un’altra politica.

25 settembre, 2009

Auguri ad Alberta

Oggi queste righe sono per Alberta Levi Temin,
per i suoi novant'anni.
Testimone della storia nella nostra città, donna e narratrice straordinaria, educatrice attenta di bambini e ragazzi di Napoli.
Auguri.

18 settembre, 2009

Gli uomini di Maugeri

Ieri sera presentazione del libro di Mariano Maugeri, "Tutti gli uomini del vicerè", alla libreria Ubik di Napoli. La serata è stata occasione per tornare sui temi del governo di questi luoghi e ha anche avuto momenti di imprevista vivacità. La registrazione è su Napolionline.

15 settembre, 2009

Piccoli inviti a riflettere

Intanto serve guardare questo "sunto" sui rifiuti in Campania. Forse è troppo semplice. Ma qualche sano dubbio lo si potrà pur avere?

Poi sul centro storico di Napoli e su chi deve fare le cose e come è utile leggere questo invito a distinguere le persone dalle pietre.

Per pensare alle policies sulla povertà non è male prendere atto che qualcuno in giro le pensa e le fa anche.

E per “dovere di ufficio” c'è un contributo mio, uscito su La Stampa tre giorni fa di ricordi delle estati di lettura di Gomorra e delle percezioni e discussioni amicali che ne seguirono, molto preso davvero dalle voci ascoltate in questi anni e solo un po’ fiction.

E “last, but not least”, questa proposta di riflessione non banale di D.I.

10 settembre, 2009

Segna…libro

Mentre, per ciò che riguarda il futuro sindaco, dopo il Bassolino, anche la Mussolini viene iscritta al programma "facce nuove" al governo della nostra povera città, per quel che riguarda la valutazione della lunga stagione del centro-sinistra campano segnalo che ieri è uscito il libro di Mariano Maugeri sugli anni di Bassolino. Ne parlano per ora il foglio e napolionline.

E anche io ne parlerò insieme all’autore. Lo farò alla presentazione il libreria a Spaccanapoli giovedì, 17 settembre.
Sarebbe bello se fosse occasione per creare “effettivo spazio pubblico”. E, dunque, se si potesse anche riflettere, forse, sul cosa fare per ricominciare a nutrire speranze per il futuro. Cosa sempre difficile, però mai impossibile.

06 settembre, 2009

Segnalazioni sulla scuola per chi è escluso dalla scuola

Nel salutare il fatto che Cesare Moreno ha aperto il blog di maestri di strada – luogo dove vi sono aggiornamenti sulle vicende del progetto Chance e le sue persistenti difficoltà - nonostante le rassicurazioni del Presidente Bassolino apparse su il Foglio - a esistere nella normalità che si meriterebbe, segnalo anche le risposte di Cesare ad alcune mie osservazioni al suo appello su facebook, espresse nell’ultima parte dell’intervista a napolionline il 28 agosto.
Sui temi delle metodologie e della trasferibilità di esperienze come Chance e simili, che giustamente Cesare richiama come questione cruciale, segnalo il II volume del lavoro scientifico sulle scuole di seconda occasione curato da Cristina Bertazzoni, che esce insieme alla ripubblicazione, nella forma di I volume di un’unica opera, del libro di Elena Brighenti
già uscito tre anni fa grazie all’intenso lavoro della rete nazionale di queste esperienze che si dedicano a un amplissimo lavoro con i ragazzini che non andavano più a scuola che si svolge da anni a Roma, a Torino, a Reggio Emilia, a Trento, a Verona e naturalmente a Napoli con Chance.
Per chi è interessato, l’insieme dei due volumi rappresenta la più aggiornata compilazione sistematica di esperienze, percorsi, riflessioni e proposte di cui disponiamo su una nuova scuola per chi non riesce a stare nella scuola cosidetta ordinamentale.
Si tratta delle risposte propositive concrete – riformiste, mi viene da dire – al fatto, terribile e innegabile, che la scuola pubblica italiana resta di classe, come molte volte, ben oltre gli anni di don Milani, è stato documentato.
E’ interessante notare come le indicazioni che emergono – che partono da quindici anni di complesso e costante lavoro con chi non riesce a stare a scuola – siano preziose per riflettere sulla scuola in generale, che finalmente dovrebbe essere capace di andare oltre la standardizzazione e dare risposte a ciascun ragazzino, in modo ricco, flessibile.

05 settembre, 2009

Ragazzini fuori di testa, declino comunitario, responsabilità

C’è finalmente da fare una riflessione politica – in senso vero – e, perciò, un confronto pacato e preoccupato sulle terribili scene che abitano la nostra città e in particolare sulle ulteriori violente incursioni di giovanissimi. In merito ho brevemente risposto a domande di Dario del Porto per la Repubblica nazionale di ieri 4 settembre.

E sono tornato sull’argomento con più calma oggi su Repubblica Napoli.

I temi di un confronto serio potrebbero essere la questione dell’esclusione sociale di massa di lunghissima lena, gli spazi simbolici occupati dall’assenza di parole tipica della nuova camorra e l’eclissi della mediazione di quartiere, la ulteriore e potente vicenda della diffusione della cocaina.
Resta, poi, la questione della responsabilità individuale per gli atti commessi. Che non è più eludibile.

Aggiornamento:
Sugli stessi temi questo ottimo contributo di Maurizio Braucci apparso su Napoli Monitor.

28 agosto, 2009

Su Napoli, sulle povertà, sulla scuola



segnalazioni di fine agosto

Oggi Norberto Gallo mi mette in rete con una lunga intervista radiofonica - a margine dell’ennesimo pour parler estivo su Bassolino and company - sui temi più strutturali della società e della politica a Napoli e nel Sud. In fondo all’intervista aggiungo poche cose alla bella intervista fatta sempre da Norberto a Cesare Moreno sui rischi di chiusura e le possibilità di rilancio del progetto Chance, riprese ieri da Il Mattino e poi dal Foglio con un articolo di Adriano Sofri.

Dopo l’appello al PD apparso su pagina 19 de l’Unità del 23 luglio che richiede una vera politica su giovani, scuola, Mezzogiorno, povertà - al quale si ebbero risposte il 24 luglio alle pagine 13 e 14 - segnalo anche il mio editoriale su La scuola alla rovescia, apparso a pagina 2 de l’Unità del 20 agosto .

Ho poi iniziato una collaborazione con La Stampa con un contributo sulla scuola e il rapporto tra standardizzazione e merito a cui ha fatto seguito un largo dibattito durante il quale, nei giorni successivi, sono intervenuti Umberto Veronesi, Luigi Berlinguer, Daniele Checchi, Anna Maria Ajello, ecc.

Per docenti e operatori della formazione e dell’educazione che fossero interessati segnalo inoltre la rivista Educationduepuntozero della quale, in particolare, coordino le pagine dedicate ai tema della città educativa .

le figurine vengono da queste vacanze lavoro.

12 agosto, 2009

Il ferragosto e il filosofo

L’estate entra nel pieno. Resta addosso questa pena terribile per Napoli, per la Campania, per il Sud.
Mi sono venuti in mente ulteriori pensieri sul governo, la lega, il meridionalismo vero e quello cialtrone. Forse ne scriverò in questi giorni. Forse dormo, leggo e basta; e riprendo a fine mese. Vedrò. Per ora suggerisco vivamente questa stringente argomentazione su un tema a me caro

- il rapporto tra i modi di fare del sindaco Iervolino e la democrazia e la responsabilità politica – qui svolta, con sano piglio kantiano, dal maggiore filosofo della nostra città.

02 agosto, 2009

Questione Meridionale?

I crudi dati del rapporto Svimez (di cui parlavo qui sotto), dopo pochi giorni, scivolano nel dimenticatoio. Il governo, forte delle storture (o peggio) nella spesa delle regioni meridionali, si mostra “risoluto”, ancora una volta. E evoca, con la solita propensione allo spot semplificatorio, la Cassa del Mezzogiorno. L’esecutivo - qui come per la monnezza o per la scuola o per l’Aquila - fa finta di agire alla grande per fare, in realtà, piccole cose. Non ha i soldi per fare altro. In questo caso li riprende dove li aveva accantonati e gli dà un nuovo nome: si tratta di soldi FAS dedicati alle aree deboli, che erano stati tolti e che per ora vanno verso la Sicilia. E’ rimandata al poi la trattativa vera su quanti saranno e chi li userà e come…
Ma gli altri che fanno? Difendono il Sud? L’impressione è che gridano a difesa del Sud sulla base di un unico quesito: chi sarà a disporre delle briciole da elargire? Il problema è solo chi ne controlla la spesa. C’è chi, sospinto dall’ingordigia della Lega e in barba al federalismo dichiarato, vuole riportarli nelle mani del governo a Roma dichiarando di volerli “spendere bene” e chi, nei palazzi delle regioni del Sud, ha paura di non poterli gestire più come prima. Ma, poi, in verità, si infittiscono le manovre perché l’una cosa e l’altra possano convivere tranquillamente: li spende Roma e li benedico io, li benedice Roma e li continuo a spendere pure io…
Qualcuno ha notato che ne nascerà un ircocervo. Insomma: tutto si può dire ora… purché - in vista della scadenza delle regionali, tra pochi mesi - ognuno possa ancora indirizzare i ridotti rivoli d’acqua che escono dai rubinetti della spesa pubblica verso le proprie macchine di consenso. Il partito della spesa pubblica sudista è proprio questa cosa qui: dividersi ma poi chiudersi in qualche spicchio d’ombra a ragionare sulle vere mediazioni, lontani da ogni controllo pubblico, da ogni dibattito, da ogni civile obiettivo, da ogni resoconto ai cittadini.
Chi conosce un po’ la storia degli interventi pubblici nel Sud sorride di un sorriso amaro quando sente Antonio Bassolino che dice che la Cassa del Mezzogiorno era roba vecchia e che ci vuole il nuovo. Le cose sono complicatissime e sarebbe ora di fare un vero dibattito. Ma è evidente che la questione per Bassolino è solo “politica”. E’, appunto, la questione di quanta parte egli avrà, per continuare a stare in gioco, alla fine di quella mediazione da farsi in quello spicchio d’ombra.
Questa è la sostanza. Ma le parole pesano. E allora: è proprio sicuro Antonio Bassolino di poter dire che la Cassa del Mezzogiorno è roba vecchia e che c’è il nuovo? A me pare proprio di no e, anche qui, piacerebbe un dibattito vero. Infatti la letteratura competente in materia converge nel ritenere che la Cassa abbia avuto più fasi e che comunque le azioni per il Sud furono spesso assai più serie di quelli odierni. Perché sì, la Cassa del Mezzogiorno ha anche sprecato denaro ed è stata occasione di costruzione di consensi. Ma ha soprattutto bonificato terreni, costruito vie e ferrovie e acquedotti e porti e ha avviato fabbriche e contribuito ad ammodernare l’agricoltura e fondare qui il turismo e ha costruito migliaia di scuole. E – aggiungo - ogni volta che ha fatto male, aveva chi, dati alla mano, sapeva dimostrarlo dinanzi alla pubblica opinione, costringendo a un confronto continuo, sulle cose fatte e su quelle da farsi.
Magari ci fosse questo vecchio di cui parla così male il nostro governatore! Magari ci fosse quel tempo! Quando gli scandali venivano documentati da tecnici di valore e chi governava doveva anche dar conto nel merito e non dividere il mondo tra amici e nemici.
E poi il promettente nuovo vagamente suggerito dalle parole di Bassolino che sarebbe? Restiamo in attesa di magniche elaborazione in arrivo? O restiamo ai fatti di questi anni: il commissariamento dei rifiuti, la gestione dei fondi per i disoccupati o quella per la formazione, i conti della sanità, la gestione ventennale della bonifica del fiume Sarno?
L’azione di incentivazione allo sviluppo della Cassa del Mezzogiorno - di cui Bassolino parla come di cosa vecchia e da guardare dall’alto in basso - non era, certo, fatta solo di rose e fiori; ed ha avuto guasti e corruzioni contro le quali sempre, in tanti, ci siamo battuti. Ma c’è oggi qualcuno che davvero puà scagliare la prima pietra dalle nostre parti in tema di guasti e corruzioni? E va anche detto, invece, che, per lunghi anni quella “vecchia” azione di incentivazione è stata accompagnata da un livello di competenza, di capacità realizzativa e anche di risposta alle critiche molto superiore ad oggi. Ed era un tempo in cui, sulle cose da fare e non fatte o fatte male, si litigava nelle aule del Parlamento, dati alla mano.
E poi – diciamolo – la tanta biasimata Cassa del Mezzogiorno è stata guidata a lungo da gente spesso onesta e competente. E vi si teneva conto di un dibattito scientifico alto. Perché vi era stato, a partire dagli anni cinquanta e attraverso gli anni sessanta – soprattutto nell’area riformista e di governo ma anche da parte dell’opposizione comunista - un confronto serio sui modelli di sviluppo nel Mezzogiorno. Che aveva coinvolto la politica in senso alto. C’è forse in giro – nei popolati palazzi delle regioni meridionali - un personale tecnico del livello dei Saraceno, Pastore, Rossi-Doria (qui va citato per forza), Compagna, Olivetti, Ceriani Sebregondi? E oggi quando qualche tecnico di valore scrive e mostra le cose, viene ascoltato più di allora?
Ma al di là di questo - e più banalmente - si riunisce con regolarità il pool degli assessori della regione con i pur bravi tecnici a fare il punto su cosa è stato fatto, sul suo impatto reale entro la complessità del territorio, sulla sua valutazione, su cosa si può correggere? I fondi attivati sono stati erogati sempre sulla base di quanto dichiarato negli intendimenti pubblicamente espressi o, invece, c’è uno scarto tra quanto programmato e quanto attuato? E di questo normale scarto ne sono spiegate le ragioni ai cittadini? Ci sono state regolari occasioni di quello che in termini tecnici viene chiamata accountability, ossia il regolare confronto tra spese fatte e ricadute avute? E - pur con budget minori di allora e facendo tutte le dovute differenze - le azioni della regione Campania, in termini di politiche degli incentivi allo sviluppo locale, riguardanti industria, agricoltura, pesca, terziario, infrastrutture, formazione, turismo – hanno ottenuto risultati paragonabili a quelli avuti in forza degli incentivi della famosa legge 634 del 1957 che istituì la Cassa del Mezzogiorno?
E’ proprio disinformato o fazioso o troppo avanti negli anni Giorgio Ruffolo, che di queste cose si è occupato per una vita intera, quando dice che “la ragione essenziale del fallimento delle politiche pubbliche nel Sud negli ultimi decenni sta nell´affidamento della gestione delle ingenti risorse destinate a questo scopo a una classe politica regionale complessivamente incapace”?
Se ne può seriamente dibattere di tutto questo per una buona volta? O dobbiamo fermarci a sentire gli slogan sul “vecchio e il nuovo” che il signor governatore ci propina e fare la claque alla fondazione Sudd sulla base del logo disegnato dall’ottimo Mimmo Paladino?

24 luglio, 2009

Lo stesso ci provo

Ieri l’Unità ha pubblicato un mio appello ai candidati segretari del PD.
Confesso candidamente che temo che non funzionerà. Perché sono pessimista sulla competenza e sulla volontà del PD a dedicarsi a una relazione vera con il Paese fuori dal ceto politico e a fare, dunque, i conti con problemi e con soluzioni da elaborare insieme ai tanti che ci si dedicano, da rendere credibili, realistiche, sostenute ecc.
Ma c’ho provato lo stesso…

Aggiornamento: Oggi mi rispondono in tre (sull'Unità a pp.12 e 13), Mimmo Lucà, Pina Picierno e Rosa Villecco Calipari.

21 luglio, 2009

Emigranti, vermi… e tessere

Quando si cerca di chiudere con il lavoro per poi prendersi dei giorni… il blog viene abbandonato, come si è visto.
Ma forse è anche la stanchezza vera per le cattive sorti dei luoghi che si amano che fa passare la voglia di commentare

Mentre la Svimez ci racconta quel che già sapevamo sul fiume di cittadini e di giovani che partono da questi luoghi senza speranza, i vermi e altro invadono il nostro bel golfo tanto che, in pieno luglio, la gente con scende più a mare e la stagione turistica è duramente colpita.
Eppure, imperterriti come statue cieche, sorde e mute - in perfetta continuità con il comportamento lungamente tenuto durante la persistente stagione delle discariche tossiche, del degrado e della sistematica distruzione ambientale della Campania felix - il nostro prode governatore (e chi con lui ricopre responsabilità di governo locale e di indirizzo politico) non parla.
Davanti alle evidenze, costoro (assessori, segretari cittadini, sindaci, governatore) non si recano certo a Cuma a vedere cosa è successo alla grande cloaca senza più depurazione, si limitano a generiche rassicurazioni (mai documentate a dovere) e comunque non dicono ai cittadini la situazione reale di un impianto che sta vomitando a mare, senza sosta, una impressionante quantità di melma non trattata e esiziale per la salute, non sanno indicare responsabilità e tanto meno rimedi, non intervengono.
In generale la salute, il lavoro, la scuola, la povertà che cresce, la ripresa massiccia dell’emigrazione: tutto questo non pare mai riguardare costoro. Perché mai ne rispondono; mai sanno dire la loro.
Ma, per magia - come d’incanto - la loro paralisi e afasia si interrompono sulla soglia delle tessere… Sì, le tessere per il futuro congresso del PD – che in Campania sono addirittura un terzo (!!!) di tutte le tessere d’Italia. Su ciò – unicamente su ciò! – le statue immobili che non vedono e non sentono divengono agili animali predatori in poderosa operosità. E ascoltano, rispondono, si attivano, corrono, dicono, fanno. Perché esse – tessere – sono la sola e unica garanzia del futuro politico (e non) di costoro.
Il resto? Costoro pensano che “il resto” sia robetta che riguarda le miserie di chi va a lavorare (o non trova lavoro) e paga le tasse; o di chi porta i figli al mare sulle spiagge dove si reca il volgo. O che riguarda quei “cretini” che pensano che ci si debba indignare per le cose che non vanno e proporre soluzioni – quelli che ancora credono che la politica sia l’arte di organizzare il bene comune o - come dicevano i padri fondatori – “l’intérét général”. Degli ingenui, “impolitici”…

Beh, sia pure in pochi è ancora il caso di restare fieramente tra questi ultimi. E chi vivrà, vedrà.