Intanto serve guardare questo "sunto" sui rifiuti in Campania. Forse è troppo semplice. Ma qualche sano dubbio lo si potrà pur avere?
Poi sul centro storico di Napoli e su chi deve fare le cose e come è utile leggere questo invito a distinguere le persone dalle pietre.
Per pensare alle policies sulla povertà non è male prendere atto che qualcuno in giro le pensa e le fa anche.
E per “dovere di ufficio” c'è un contributo mio, uscito su La Stampa tre giorni fa di ricordi delle estati di lettura di Gomorra e delle percezioni e discussioni amicali che ne seguirono, molto preso davvero dalle voci ascoltate in questi anni e solo un po’ fiction.
E “last, but not least”, questa proposta di riflessione non banale di D.I.
15 settembre, 2009
10 settembre, 2009
Segna…libro
Mentre, per ciò che riguarda il futuro sindaco, dopo il Bassolino, anche la Mussolini viene iscritta al programma "facce nuove" al governo della nostra povera città, per quel che riguarda la valutazione della lunga stagione del centro-sinistra campano segnalo che ieri è uscito il libro di Mariano Maugeri sugli anni di Bassolino. Ne parlano per ora il foglio e napolionline.
E anche io ne parlerò insieme all’autore. Lo farò alla presentazione il libreria a Spaccanapoli giovedì, 17 settembre.
Sarebbe bello se fosse occasione per creare “effettivo spazio pubblico”. E, dunque, se si potesse anche riflettere, forse, sul cosa fare per ricominciare a nutrire speranze per il futuro. Cosa sempre difficile, però mai impossibile.
E anche io ne parlerò insieme all’autore. Lo farò alla presentazione il libreria a Spaccanapoli giovedì, 17 settembre.
Sarebbe bello se fosse occasione per creare “effettivo spazio pubblico”. E, dunque, se si potesse anche riflettere, forse, sul cosa fare per ricominciare a nutrire speranze per il futuro. Cosa sempre difficile, però mai impossibile.
06 settembre, 2009
Segnalazioni sulla scuola per chi è escluso dalla scuola
Nel salutare il fatto che Cesare Moreno ha aperto il blog di maestri di strada – luogo dove vi sono aggiornamenti sulle vicende del progetto Chance e le sue persistenti difficoltà - nonostante le rassicurazioni del Presidente Bassolino apparse su il Foglio - a esistere nella normalità che si meriterebbe, segnalo anche le risposte di Cesare ad alcune mie osservazioni al suo appello su facebook, espresse nell’ultima parte dell’intervista a napolionline il 28 agosto.
Sui temi delle metodologie e della trasferibilità di esperienze come Chance e simili, che giustamente Cesare richiama come questione cruciale, segnalo il II volume del lavoro scientifico sulle scuole di seconda occasione curato da Cristina Bertazzoni, che esce insieme alla ripubblicazione, nella forma di I volume di un’unica opera, del libro di Elena Brighenti
già uscito tre anni fa grazie all’intenso lavoro della rete nazionale di queste esperienze che si dedicano a un amplissimo lavoro con i ragazzini che non andavano più a scuola che si svolge da anni a Roma, a Torino, a Reggio Emilia, a Trento, a Verona e naturalmente a Napoli con Chance.
Per chi è interessato, l’insieme dei due volumi rappresenta la più aggiornata compilazione sistematica di esperienze, percorsi, riflessioni e proposte di cui disponiamo su una nuova scuola per chi non riesce a stare nella scuola cosidetta ordinamentale.
Si tratta delle risposte propositive concrete – riformiste, mi viene da dire – al fatto, terribile e innegabile, che la scuola pubblica italiana resta di classe, come molte volte, ben oltre gli anni di don Milani, è stato documentato.
E’ interessante notare come le indicazioni che emergono – che partono da quindici anni di complesso e costante lavoro con chi non riesce a stare a scuola – siano preziose per riflettere sulla scuola in generale, che finalmente dovrebbe essere capace di andare oltre la standardizzazione e dare risposte a ciascun ragazzino, in modo ricco, flessibile.
Sui temi delle metodologie e della trasferibilità di esperienze come Chance e simili, che giustamente Cesare richiama come questione cruciale, segnalo il II volume del lavoro scientifico sulle scuole di seconda occasione curato da Cristina Bertazzoni, che esce insieme alla ripubblicazione, nella forma di I volume di un’unica opera, del libro di Elena Brighenti
già uscito tre anni fa grazie all’intenso lavoro della rete nazionale di queste esperienze che si dedicano a un amplissimo lavoro con i ragazzini che non andavano più a scuola che si svolge da anni a Roma, a Torino, a Reggio Emilia, a Trento, a Verona e naturalmente a Napoli con Chance.
Per chi è interessato, l’insieme dei due volumi rappresenta la più aggiornata compilazione sistematica di esperienze, percorsi, riflessioni e proposte di cui disponiamo su una nuova scuola per chi non riesce a stare nella scuola cosidetta ordinamentale.
Si tratta delle risposte propositive concrete – riformiste, mi viene da dire – al fatto, terribile e innegabile, che la scuola pubblica italiana resta di classe, come molte volte, ben oltre gli anni di don Milani, è stato documentato.
E’ interessante notare come le indicazioni che emergono – che partono da quindici anni di complesso e costante lavoro con chi non riesce a stare a scuola – siano preziose per riflettere sulla scuola in generale, che finalmente dovrebbe essere capace di andare oltre la standardizzazione e dare risposte a ciascun ragazzino, in modo ricco, flessibile.
05 settembre, 2009
Ragazzini fuori di testa, declino comunitario, responsabilità
C’è finalmente da fare una riflessione politica – in senso vero – e, perciò, un confronto pacato e preoccupato sulle terribili scene che abitano la nostra città e in particolare sulle ulteriori violente incursioni di giovanissimi. In merito ho brevemente risposto a domande di Dario del Porto per la Repubblica nazionale di ieri 4 settembre.
E sono tornato sull’argomento con più calma oggi su Repubblica Napoli.
I temi di un confronto serio potrebbero essere la questione dell’esclusione sociale di massa di lunghissima lena, gli spazi simbolici occupati dall’assenza di parole tipica della nuova camorra e l’eclissi della mediazione di quartiere, la ulteriore e potente vicenda della diffusione della cocaina.
Resta, poi, la questione della responsabilità individuale per gli atti commessi. Che non è più eludibile.
Aggiornamento:
Sugli stessi temi questo ottimo contributo di Maurizio Braucci apparso su Napoli Monitor.
E sono tornato sull’argomento con più calma oggi su Repubblica Napoli.
I temi di un confronto serio potrebbero essere la questione dell’esclusione sociale di massa di lunghissima lena, gli spazi simbolici occupati dall’assenza di parole tipica della nuova camorra e l’eclissi della mediazione di quartiere, la ulteriore e potente vicenda della diffusione della cocaina.
Resta, poi, la questione della responsabilità individuale per gli atti commessi. Che non è più eludibile.
Aggiornamento:
Sugli stessi temi questo ottimo contributo di Maurizio Braucci apparso su Napoli Monitor.
28 agosto, 2009
Su Napoli, sulle povertà, sulla scuola

segnalazioni di fine agosto
Oggi Norberto Gallo mi mette in rete con una lunga intervista radiofonica - a margine dell’ennesimo pour parler estivo su Bassolino and company - sui temi più strutturali della società e della politica a Napoli e nel Sud. In fondo all’intervista aggiungo poche cose alla bella intervista fatta sempre da Norberto a Cesare Moreno sui rischi di chiusura e le possibilità di rilancio del progetto Chance, riprese ieri da Il Mattino e poi dal Foglio con un articolo di Adriano Sofri.
Dopo l’appello al PD apparso su pagina 19 de l’Unità del 23 luglio che richiede una vera politica su giovani, scuola, Mezzogiorno, povertà - al quale si ebbero risposte il 24 luglio alle pagine 13 e 14 - segnalo anche il mio editoriale su La scuola alla rovescia, apparso a pagina 2 de l’Unità del 20 agosto .
Ho poi iniziato una collaborazione con La Stampa con un contributo sulla scuola e il rapporto tra standardizzazione e merito a cui ha fatto seguito un largo dibattito durante il quale, nei giorni successivi, sono intervenuti Umberto Veronesi, Luigi Berlinguer, Daniele Checchi, Anna Maria Ajello, ecc.
Per docenti e operatori della formazione e dell’educazione che fossero interessati segnalo inoltre la rivista Educationduepuntozero della quale, in particolare, coordino le pagine dedicate ai tema della città educativa .
le figurine vengono da queste vacanze lavoro.
12 agosto, 2009
Il ferragosto e il filosofo
L’estate entra nel pieno. Resta addosso questa pena terribile per Napoli, per la Campania, per il Sud.
Mi sono venuti in mente ulteriori pensieri sul governo, la lega, il meridionalismo vero e quello cialtrone. Forse ne scriverò in questi giorni. Forse dormo, leggo e basta; e riprendo a fine mese. Vedrò. Per ora suggerisco vivamente questa stringente argomentazione su un tema a me caro
- il rapporto tra i modi di fare del sindaco Iervolino e la democrazia e la responsabilità politica – qui svolta, con sano piglio kantiano, dal maggiore filosofo della nostra città.
Mi sono venuti in mente ulteriori pensieri sul governo, la lega, il meridionalismo vero e quello cialtrone. Forse ne scriverò in questi giorni. Forse dormo, leggo e basta; e riprendo a fine mese. Vedrò. Per ora suggerisco vivamente questa stringente argomentazione su un tema a me caro
- il rapporto tra i modi di fare del sindaco Iervolino e la democrazia e la responsabilità politica – qui svolta, con sano piglio kantiano, dal maggiore filosofo della nostra città.
02 agosto, 2009
Questione Meridionale?
I crudi dati del rapporto Svimez (di cui parlavo qui sotto), dopo pochi giorni, scivolano nel dimenticatoio. Il governo, forte delle storture (o peggio) nella spesa delle regioni meridionali, si mostra “risoluto”, ancora una volta. E evoca, con la solita propensione allo spot semplificatorio, la Cassa del Mezzogiorno. L’esecutivo - qui come per la monnezza o per la scuola o per l’Aquila - fa finta di agire alla grande per fare, in realtà, piccole cose. Non ha i soldi per fare altro. In questo caso li riprende dove li aveva accantonati e gli dà un nuovo nome: si tratta di soldi FAS dedicati alle aree deboli, che erano stati tolti e che per ora vanno verso la Sicilia. E’ rimandata al poi la trattativa vera su quanti saranno e chi li userà e come…
Ma gli altri che fanno? Difendono il Sud? L’impressione è che gridano a difesa del Sud sulla base di un unico quesito: chi sarà a disporre delle briciole da elargire? Il problema è solo chi ne controlla la spesa. C’è chi, sospinto dall’ingordigia della Lega e in barba al federalismo dichiarato, vuole riportarli nelle mani del governo a Roma dichiarando di volerli “spendere bene” e chi, nei palazzi delle regioni del Sud, ha paura di non poterli gestire più come prima. Ma, poi, in verità, si infittiscono le manovre perché l’una cosa e l’altra possano convivere tranquillamente: li spende Roma e li benedico io, li benedice Roma e li continuo a spendere pure io…
Qualcuno ha notato che ne nascerà un ircocervo. Insomma: tutto si può dire ora… purché - in vista della scadenza delle regionali, tra pochi mesi - ognuno possa ancora indirizzare i ridotti rivoli d’acqua che escono dai rubinetti della spesa pubblica verso le proprie macchine di consenso. Il partito della spesa pubblica sudista è proprio questa cosa qui: dividersi ma poi chiudersi in qualche spicchio d’ombra a ragionare sulle vere mediazioni, lontani da ogni controllo pubblico, da ogni dibattito, da ogni civile obiettivo, da ogni resoconto ai cittadini.
Chi conosce un po’ la storia degli interventi pubblici nel Sud sorride di un sorriso amaro quando sente Antonio Bassolino che dice che la Cassa del Mezzogiorno era roba vecchia e che ci vuole il nuovo. Le cose sono complicatissime e sarebbe ora di fare un vero dibattito. Ma è evidente che la questione per Bassolino è solo “politica”. E’, appunto, la questione di quanta parte egli avrà, per continuare a stare in gioco, alla fine di quella mediazione da farsi in quello spicchio d’ombra.
Questa è la sostanza. Ma le parole pesano. E allora: è proprio sicuro Antonio Bassolino di poter dire che la Cassa del Mezzogiorno è roba vecchia e che c’è il nuovo? A me pare proprio di no e, anche qui, piacerebbe un dibattito vero. Infatti la letteratura competente in materia converge nel ritenere che la Cassa abbia avuto più fasi e che comunque le azioni per il Sud furono spesso assai più serie di quelli odierni. Perché sì, la Cassa del Mezzogiorno ha anche sprecato denaro ed è stata occasione di costruzione di consensi. Ma ha soprattutto bonificato terreni, costruito vie e ferrovie e acquedotti e porti e ha avviato fabbriche e contribuito ad ammodernare l’agricoltura e fondare qui il turismo e ha costruito migliaia di scuole. E – aggiungo - ogni volta che ha fatto male, aveva chi, dati alla mano, sapeva dimostrarlo dinanzi alla pubblica opinione, costringendo a un confronto continuo, sulle cose fatte e su quelle da farsi.
Magari ci fosse questo vecchio di cui parla così male il nostro governatore! Magari ci fosse quel tempo! Quando gli scandali venivano documentati da tecnici di valore e chi governava doveva anche dar conto nel merito e non dividere il mondo tra amici e nemici.
E poi il promettente nuovo vagamente suggerito dalle parole di Bassolino che sarebbe? Restiamo in attesa di magniche elaborazione in arrivo? O restiamo ai fatti di questi anni: il commissariamento dei rifiuti, la gestione dei fondi per i disoccupati o quella per la formazione, i conti della sanità, la gestione ventennale della bonifica del fiume Sarno?
L’azione di incentivazione allo sviluppo della Cassa del Mezzogiorno - di cui Bassolino parla come di cosa vecchia e da guardare dall’alto in basso - non era, certo, fatta solo di rose e fiori; ed ha avuto guasti e corruzioni contro le quali sempre, in tanti, ci siamo battuti. Ma c’è oggi qualcuno che davvero puà scagliare la prima pietra dalle nostre parti in tema di guasti e corruzioni? E va anche detto, invece, che, per lunghi anni quella “vecchia” azione di incentivazione è stata accompagnata da un livello di competenza, di capacità realizzativa e anche di risposta alle critiche molto superiore ad oggi. Ed era un tempo in cui, sulle cose da fare e non fatte o fatte male, si litigava nelle aule del Parlamento, dati alla mano.
E poi – diciamolo – la tanta biasimata Cassa del Mezzogiorno è stata guidata a lungo da gente spesso onesta e competente. E vi si teneva conto di un dibattito scientifico alto. Perché vi era stato, a partire dagli anni cinquanta e attraverso gli anni sessanta – soprattutto nell’area riformista e di governo ma anche da parte dell’opposizione comunista - un confronto serio sui modelli di sviluppo nel Mezzogiorno. Che aveva coinvolto la politica in senso alto. C’è forse in giro – nei popolati palazzi delle regioni meridionali - un personale tecnico del livello dei Saraceno, Pastore, Rossi-Doria (qui va citato per forza), Compagna, Olivetti, Ceriani Sebregondi? E oggi quando qualche tecnico di valore scrive e mostra le cose, viene ascoltato più di allora?
Ma al di là di questo - e più banalmente - si riunisce con regolarità il pool degli assessori della regione con i pur bravi tecnici a fare il punto su cosa è stato fatto, sul suo impatto reale entro la complessità del territorio, sulla sua valutazione, su cosa si può correggere? I fondi attivati sono stati erogati sempre sulla base di quanto dichiarato negli intendimenti pubblicamente espressi o, invece, c’è uno scarto tra quanto programmato e quanto attuato? E di questo normale scarto ne sono spiegate le ragioni ai cittadini? Ci sono state regolari occasioni di quello che in termini tecnici viene chiamata accountability, ossia il regolare confronto tra spese fatte e ricadute avute? E - pur con budget minori di allora e facendo tutte le dovute differenze - le azioni della regione Campania, in termini di politiche degli incentivi allo sviluppo locale, riguardanti industria, agricoltura, pesca, terziario, infrastrutture, formazione, turismo – hanno ottenuto risultati paragonabili a quelli avuti in forza degli incentivi della famosa legge 634 del 1957 che istituì la Cassa del Mezzogiorno?
E’ proprio disinformato o fazioso o troppo avanti negli anni Giorgio Ruffolo, che di queste cose si è occupato per una vita intera, quando dice che “la ragione essenziale del fallimento delle politiche pubbliche nel Sud negli ultimi decenni sta nell´affidamento della gestione delle ingenti risorse destinate a questo scopo a una classe politica regionale complessivamente incapace”?
Se ne può seriamente dibattere di tutto questo per una buona volta? O dobbiamo fermarci a sentire gli slogan sul “vecchio e il nuovo” che il signor governatore ci propina e fare la claque alla fondazione Sudd sulla base del logo disegnato dall’ottimo Mimmo Paladino?
Ma gli altri che fanno? Difendono il Sud? L’impressione è che gridano a difesa del Sud sulla base di un unico quesito: chi sarà a disporre delle briciole da elargire? Il problema è solo chi ne controlla la spesa. C’è chi, sospinto dall’ingordigia della Lega e in barba al federalismo dichiarato, vuole riportarli nelle mani del governo a Roma dichiarando di volerli “spendere bene” e chi, nei palazzi delle regioni del Sud, ha paura di non poterli gestire più come prima. Ma, poi, in verità, si infittiscono le manovre perché l’una cosa e l’altra possano convivere tranquillamente: li spende Roma e li benedico io, li benedice Roma e li continuo a spendere pure io…
Qualcuno ha notato che ne nascerà un ircocervo. Insomma: tutto si può dire ora… purché - in vista della scadenza delle regionali, tra pochi mesi - ognuno possa ancora indirizzare i ridotti rivoli d’acqua che escono dai rubinetti della spesa pubblica verso le proprie macchine di consenso. Il partito della spesa pubblica sudista è proprio questa cosa qui: dividersi ma poi chiudersi in qualche spicchio d’ombra a ragionare sulle vere mediazioni, lontani da ogni controllo pubblico, da ogni dibattito, da ogni civile obiettivo, da ogni resoconto ai cittadini.
Chi conosce un po’ la storia degli interventi pubblici nel Sud sorride di un sorriso amaro quando sente Antonio Bassolino che dice che la Cassa del Mezzogiorno era roba vecchia e che ci vuole il nuovo. Le cose sono complicatissime e sarebbe ora di fare un vero dibattito. Ma è evidente che la questione per Bassolino è solo “politica”. E’, appunto, la questione di quanta parte egli avrà, per continuare a stare in gioco, alla fine di quella mediazione da farsi in quello spicchio d’ombra.
Questa è la sostanza. Ma le parole pesano. E allora: è proprio sicuro Antonio Bassolino di poter dire che la Cassa del Mezzogiorno è roba vecchia e che c’è il nuovo? A me pare proprio di no e, anche qui, piacerebbe un dibattito vero. Infatti la letteratura competente in materia converge nel ritenere che la Cassa abbia avuto più fasi e che comunque le azioni per il Sud furono spesso assai più serie di quelli odierni. Perché sì, la Cassa del Mezzogiorno ha anche sprecato denaro ed è stata occasione di costruzione di consensi. Ma ha soprattutto bonificato terreni, costruito vie e ferrovie e acquedotti e porti e ha avviato fabbriche e contribuito ad ammodernare l’agricoltura e fondare qui il turismo e ha costruito migliaia di scuole. E – aggiungo - ogni volta che ha fatto male, aveva chi, dati alla mano, sapeva dimostrarlo dinanzi alla pubblica opinione, costringendo a un confronto continuo, sulle cose fatte e su quelle da farsi.
Magari ci fosse questo vecchio di cui parla così male il nostro governatore! Magari ci fosse quel tempo! Quando gli scandali venivano documentati da tecnici di valore e chi governava doveva anche dar conto nel merito e non dividere il mondo tra amici e nemici.
E poi il promettente nuovo vagamente suggerito dalle parole di Bassolino che sarebbe? Restiamo in attesa di magniche elaborazione in arrivo? O restiamo ai fatti di questi anni: il commissariamento dei rifiuti, la gestione dei fondi per i disoccupati o quella per la formazione, i conti della sanità, la gestione ventennale della bonifica del fiume Sarno?
L’azione di incentivazione allo sviluppo della Cassa del Mezzogiorno - di cui Bassolino parla come di cosa vecchia e da guardare dall’alto in basso - non era, certo, fatta solo di rose e fiori; ed ha avuto guasti e corruzioni contro le quali sempre, in tanti, ci siamo battuti. Ma c’è oggi qualcuno che davvero puà scagliare la prima pietra dalle nostre parti in tema di guasti e corruzioni? E va anche detto, invece, che, per lunghi anni quella “vecchia” azione di incentivazione è stata accompagnata da un livello di competenza, di capacità realizzativa e anche di risposta alle critiche molto superiore ad oggi. Ed era un tempo in cui, sulle cose da fare e non fatte o fatte male, si litigava nelle aule del Parlamento, dati alla mano.
E poi – diciamolo – la tanta biasimata Cassa del Mezzogiorno è stata guidata a lungo da gente spesso onesta e competente. E vi si teneva conto di un dibattito scientifico alto. Perché vi era stato, a partire dagli anni cinquanta e attraverso gli anni sessanta – soprattutto nell’area riformista e di governo ma anche da parte dell’opposizione comunista - un confronto serio sui modelli di sviluppo nel Mezzogiorno. Che aveva coinvolto la politica in senso alto. C’è forse in giro – nei popolati palazzi delle regioni meridionali - un personale tecnico del livello dei Saraceno, Pastore, Rossi-Doria (qui va citato per forza), Compagna, Olivetti, Ceriani Sebregondi? E oggi quando qualche tecnico di valore scrive e mostra le cose, viene ascoltato più di allora?
Ma al di là di questo - e più banalmente - si riunisce con regolarità il pool degli assessori della regione con i pur bravi tecnici a fare il punto su cosa è stato fatto, sul suo impatto reale entro la complessità del territorio, sulla sua valutazione, su cosa si può correggere? I fondi attivati sono stati erogati sempre sulla base di quanto dichiarato negli intendimenti pubblicamente espressi o, invece, c’è uno scarto tra quanto programmato e quanto attuato? E di questo normale scarto ne sono spiegate le ragioni ai cittadini? Ci sono state regolari occasioni di quello che in termini tecnici viene chiamata accountability, ossia il regolare confronto tra spese fatte e ricadute avute? E - pur con budget minori di allora e facendo tutte le dovute differenze - le azioni della regione Campania, in termini di politiche degli incentivi allo sviluppo locale, riguardanti industria, agricoltura, pesca, terziario, infrastrutture, formazione, turismo – hanno ottenuto risultati paragonabili a quelli avuti in forza degli incentivi della famosa legge 634 del 1957 che istituì la Cassa del Mezzogiorno?
E’ proprio disinformato o fazioso o troppo avanti negli anni Giorgio Ruffolo, che di queste cose si è occupato per una vita intera, quando dice che “la ragione essenziale del fallimento delle politiche pubbliche nel Sud negli ultimi decenni sta nell´affidamento della gestione delle ingenti risorse destinate a questo scopo a una classe politica regionale complessivamente incapace”?
Se ne può seriamente dibattere di tutto questo per una buona volta? O dobbiamo fermarci a sentire gli slogan sul “vecchio e il nuovo” che il signor governatore ci propina e fare la claque alla fondazione Sudd sulla base del logo disegnato dall’ottimo Mimmo Paladino?
24 luglio, 2009
Lo stesso ci provo
Ieri l’Unità ha pubblicato un mio appello ai candidati segretari del PD.
Confesso candidamente che temo che non funzionerà. Perché sono pessimista sulla competenza e sulla volontà del PD a dedicarsi a una relazione vera con il Paese fuori dal ceto politico e a fare, dunque, i conti con problemi e con soluzioni da elaborare insieme ai tanti che ci si dedicano, da rendere credibili, realistiche, sostenute ecc.
Ma c’ho provato lo stesso…
Aggiornamento: Oggi mi rispondono in tre (sull'Unità a pp.12 e 13), Mimmo Lucà, Pina Picierno e Rosa Villecco Calipari.
Confesso candidamente che temo che non funzionerà. Perché sono pessimista sulla competenza e sulla volontà del PD a dedicarsi a una relazione vera con il Paese fuori dal ceto politico e a fare, dunque, i conti con problemi e con soluzioni da elaborare insieme ai tanti che ci si dedicano, da rendere credibili, realistiche, sostenute ecc.
Ma c’ho provato lo stesso…
Aggiornamento: Oggi mi rispondono in tre (sull'Unità a pp.12 e 13), Mimmo Lucà, Pina Picierno e Rosa Villecco Calipari.
21 luglio, 2009
Emigranti, vermi… e tessere
Quando si cerca di chiudere con il lavoro per poi prendersi dei giorni… il blog viene abbandonato, come si è visto.
Ma forse è anche la stanchezza vera per le cattive sorti dei luoghi che si amano che fa passare la voglia di commentare
Mentre la Svimez ci racconta quel che già sapevamo sul fiume di cittadini e di giovani che partono da questi luoghi senza speranza, i vermi e altro invadono il nostro bel golfo tanto che, in pieno luglio, la gente con scende più a mare e la stagione turistica è duramente colpita.
Eppure, imperterriti come statue cieche, sorde e mute - in perfetta continuità con il comportamento lungamente tenuto durante la persistente stagione delle discariche tossiche, del degrado e della sistematica distruzione ambientale della Campania felix - il nostro prode governatore (e chi con lui ricopre responsabilità di governo locale e di indirizzo politico) non parla.
Davanti alle evidenze, costoro (assessori, segretari cittadini, sindaci, governatore) non si recano certo a Cuma a vedere cosa è successo alla grande cloaca senza più depurazione, si limitano a generiche rassicurazioni (mai documentate a dovere) e comunque non dicono ai cittadini la situazione reale di un impianto che sta vomitando a mare, senza sosta, una impressionante quantità di melma non trattata e esiziale per la salute, non sanno indicare responsabilità e tanto meno rimedi, non intervengono.
In generale la salute, il lavoro, la scuola, la povertà che cresce, la ripresa massiccia dell’emigrazione: tutto questo non pare mai riguardare costoro. Perché mai ne rispondono; mai sanno dire la loro.
Ma, per magia - come d’incanto - la loro paralisi e afasia si interrompono sulla soglia delle tessere… Sì, le tessere per il futuro congresso del PD – che in Campania sono addirittura un terzo (!!!) di tutte le tessere d’Italia. Su ciò – unicamente su ciò! – le statue immobili che non vedono e non sentono divengono agili animali predatori in poderosa operosità. E ascoltano, rispondono, si attivano, corrono, dicono, fanno. Perché esse – tessere – sono la sola e unica garanzia del futuro politico (e non) di costoro.
Il resto? Costoro pensano che “il resto” sia robetta che riguarda le miserie di chi va a lavorare (o non trova lavoro) e paga le tasse; o di chi porta i figli al mare sulle spiagge dove si reca il volgo. O che riguarda quei “cretini” che pensano che ci si debba indignare per le cose che non vanno e proporre soluzioni – quelli che ancora credono che la politica sia l’arte di organizzare il bene comune o - come dicevano i padri fondatori – “l’intérét général”. Degli ingenui, “impolitici”…
Beh, sia pure in pochi è ancora il caso di restare fieramente tra questi ultimi. E chi vivrà, vedrà.
Ma forse è anche la stanchezza vera per le cattive sorti dei luoghi che si amano che fa passare la voglia di commentare

Mentre la Svimez ci racconta quel che già sapevamo sul fiume di cittadini e di giovani che partono da questi luoghi senza speranza, i vermi e altro invadono il nostro bel golfo tanto che, in pieno luglio, la gente con scende più a mare e la stagione turistica è duramente colpita.
Eppure, imperterriti come statue cieche, sorde e mute - in perfetta continuità con il comportamento lungamente tenuto durante la persistente stagione delle discariche tossiche, del degrado e della sistematica distruzione ambientale della Campania felix - il nostro prode governatore (e chi con lui ricopre responsabilità di governo locale e di indirizzo politico) non parla.
Davanti alle evidenze, costoro (assessori, segretari cittadini, sindaci, governatore) non si recano certo a Cuma a vedere cosa è successo alla grande cloaca senza più depurazione, si limitano a generiche rassicurazioni (mai documentate a dovere) e comunque non dicono ai cittadini la situazione reale di un impianto che sta vomitando a mare, senza sosta, una impressionante quantità di melma non trattata e esiziale per la salute, non sanno indicare responsabilità e tanto meno rimedi, non intervengono.
In generale la salute, il lavoro, la scuola, la povertà che cresce, la ripresa massiccia dell’emigrazione: tutto questo non pare mai riguardare costoro. Perché mai ne rispondono; mai sanno dire la loro.
Ma, per magia - come d’incanto - la loro paralisi e afasia si interrompono sulla soglia delle tessere… Sì, le tessere per il futuro congresso del PD – che in Campania sono addirittura un terzo (!!!) di tutte le tessere d’Italia. Su ciò – unicamente su ciò! – le statue immobili che non vedono e non sentono divengono agili animali predatori in poderosa operosità. E ascoltano, rispondono, si attivano, corrono, dicono, fanno. Perché esse – tessere – sono la sola e unica garanzia del futuro politico (e non) di costoro.
Il resto? Costoro pensano che “il resto” sia robetta che riguarda le miserie di chi va a lavorare (o non trova lavoro) e paga le tasse; o di chi porta i figli al mare sulle spiagge dove si reca il volgo. O che riguarda quei “cretini” che pensano che ci si debba indignare per le cose che non vanno e proporre soluzioni – quelli che ancora credono che la politica sia l’arte di organizzare il bene comune o - come dicevano i padri fondatori – “l’intérét général”. Degli ingenui, “impolitici”…
Beh, sia pure in pochi è ancora il caso di restare fieramente tra questi ultimi. E chi vivrà, vedrà.
27 giugno, 2009
Lamento
Vorrei scrivere della "nuova" (sic!) lobby della casta bassoliniana, Sudd. Vorrei e non vorrei. Perché mi pare un incubo. Immaginate che bello: un partito unico del voto di scambio, la promessa di eterna cattiva spesa pubblica in cambio di voti - destra, centro, sinistra, amici, nemici purché si resti lì usando il denaro dei contribuenti per fare poco e soprattutto male. La proposta, poi, di farlo tutti assieme: Calabria, Sicilia, Campania, Puglia... Il regno delle due Sicilie rinato in salsa alle vongole. Magari con la benedizione di Berlusconi e sotto il solito vessillo di Impregilo. Una sorta di compromesso storico per decretare definitivamente la spaccatura dell'Italia: a Nord produttori selvaggi, a Sud consumatori di elemosina o di opere faraoniche poco importa, saltati in padella da piccoli Mubarak locali.
E vorrei mostrare ciò con due colonne: sulla sinistra il gettito di spesa pubblica dai tempi di Gava a oggi e sulla destra le relative "realizzazioni...." Se avessi i soldi ne farei un manifesto anonimo, tre per quattro o sei per otto: queste due colonne con le cifre e i fatti, inoppugnabili; e poi sotto, scritto a grandi caratteri: Sudd? No grazie. Sulla sfondo metterei Piazza Plebiscito, vuota, linda e pinta più che mai, spettrale, come da sempre piace a costoro.
Altre volte, più umilmente, mi verrebbe da riunire in un solo articolo alcuni passaggi squisiti scritti un secolo fa da Giustino Fortunato dove già era ben delineata la propensione della Politica Meridionale a delapidare le casse comuni per perpetuare null'altro che se stessa.
Ma confesso la fatica e lo sconforto che questi tristi proponimenti dettati dall'indignazione mi procurano. Così - in improbabile attesa di trovare le forze per mostrare il cattivo Sudd e dire altro e magari pure "in positivo" - ho fatto i soliti giri in giro. E ho visto che altrove, però, sanno lamentarsi meglio di me, di noi. Sentitevi questa cosa lamentosa milanese, ché è bellissima e che è un'idea che gira per il mondo a pertire da qui.
Quando l'ho sentita, ho ripensato al nostro manifesto di d. i., con le nostre facce. E a Napoli - città piena di musicisti e di piccoli moti diffusi di gente per bene che, però, non conta niente a causa dell'indecenza della politica. E mi sono chiesto se, forse, per una volta, noi potremmo prendere esempio da Milano. Ecco, una roba del genere: quanto mi piacerebbe che si facesse, che fossimo capaci di farlo e quanto mi divertirebbe...
E vorrei mostrare ciò con due colonne: sulla sinistra il gettito di spesa pubblica dai tempi di Gava a oggi e sulla destra le relative "realizzazioni...." Se avessi i soldi ne farei un manifesto anonimo, tre per quattro o sei per otto: queste due colonne con le cifre e i fatti, inoppugnabili; e poi sotto, scritto a grandi caratteri: Sudd? No grazie. Sulla sfondo metterei Piazza Plebiscito, vuota, linda e pinta più che mai, spettrale, come da sempre piace a costoro.
Altre volte, più umilmente, mi verrebbe da riunire in un solo articolo alcuni passaggi squisiti scritti un secolo fa da Giustino Fortunato dove già era ben delineata la propensione della Politica Meridionale a delapidare le casse comuni per perpetuare null'altro che se stessa.
Ma confesso la fatica e lo sconforto che questi tristi proponimenti dettati dall'indignazione mi procurano. Così - in improbabile attesa di trovare le forze per mostrare il cattivo Sudd e dire altro e magari pure "in positivo" - ho fatto i soliti giri in giro. E ho visto che altrove, però, sanno lamentarsi meglio di me, di noi. Sentitevi questa cosa lamentosa milanese, ché è bellissima e che è un'idea che gira per il mondo a pertire da qui.
Quando l'ho sentita, ho ripensato al nostro manifesto di d. i., con le nostre facce. E a Napoli - città piena di musicisti e di piccoli moti diffusi di gente per bene che, però, non conta niente a causa dell'indecenza della politica. E mi sono chiesto se, forse, per una volta, noi potremmo prendere esempio da Milano. Ecco, una roba del genere: quanto mi piacerebbe che si facesse, che fossimo capaci di farlo e quanto mi divertirebbe...
22 giugno, 2009
Brevissimo
L'Iran resta drammaticamente al centro dei pensieri e coinvolge chiunque nel mondo voglia dedicarsi al tema del partecipare alle cose comuni, del "potere essere parte di", del decidere ed esprimersi.
Per quanto riguarda il seguito del mio articolo di otto giorni fa sulle ben minori cose politiche napoletane a partire dalla netta sconfitta del PD, segnalo per ora questo cortese invito di Daniela su DI e mi riprometto di tornarci con calma.
Per quanto riguarda il seguito del mio articolo di otto giorni fa sulle ben minori cose politiche napoletane a partire dalla netta sconfitta del PD, segnalo per ora questo cortese invito di Daniela su DI e mi riprometto di tornarci con calma.
17 giugno, 2009
Molto, molto più importante
Quello che avviene in Iran è un milione di volte più importante delle nostre stantie vicende.
I costi delle giornate iraniane sono elevatissimi, terribili. Dobbiamo manifestare, firmare appelli, fare ogni piccola cosa possibile.
Così oggi pubblico queste cose, che ho ricevuto da un’amica iraniana, M.:
tra le molte foto in giro questa immagine, adottata come simbolo di questi giorni, un suo straziante appello di oggi, un bellissimo e diretto resoconto, inviato ieri, della grande manifestazione del pomeriggio di lunedì 15 giugno a Teheran dopo che si è avuta la certezza di un vero e proprio golpe elettorale, con brogli enormi e un elenco degli slogan:
Appello del 17 giugno
Grazie, grazie. Stiamo troppo male, siamo soli senza appoggio, tanti amici feriti, alcuni uccisi e tanti arrestati; ma da dove vengono questi assassini senza patria?!!!! Loro sono i nostri connazionali che ci ammazzano in questo modo?!!
Io sono disperata, ogni giorno che mi sveglio mi sembra l'ultimo giorno della mia vita, non sappiamo se rimarremo vivi o no!
Abbiamo bisogno di aiuti fortissimi, il popolo e' veramente solo! Nemmeno i giornalisti stranieri possono entrare in Iran, quelli che c'erano non ci sono più.
La manifestazione di oggi sarà una manifestazione sanguinosa.
Non so piu' che dire…
Resoconto del 15 giugno
Ci siamo avvicinati con apprensione a Via Enghelab o via Rivoluzione oggi alle quattro del pomeriggio.
Quante persone ci sarebbero state? Quanti corpi paramilitari e polizia e agenti speciali dei servizi? Ci sarebbe stato un bagno di sangue? Saremmo mai potuti scappare abbastanza veloci da non essere massacrati di botte?
Per e-mail e anche di voce in voce avevamo saputo della convocazione della manifestazione da parte dei sostenitori di Moussavi – sapevamo che dovevamo esserci. Poi, però, erano giunti messaggi contraddittori: la manifestazione era stata disdetta perché non aveva avuto l’autorizzazione o perché Moussavi temeva un bagno di sangue e così via…. Ma come aveva detto il mio amico N., il suono delle parole di Ahmadinejad che ci paragonavano a polvere e segature durante il suo discorso della cosiddetta “vittoria” non riuscivano ad abbandonare le nostre orecchie… Così siamo andati avanti nonostante i nostri timori. Eravamo stati di nuovo oltraggiati dalle parole e dalle azioni di Ahmadinejad. E non vi è alcun dubbio che i nostri voti siano stati rubati. Una menzogna, dunque. Ma quanto grande? E quante altre grandi menzogne?
Nessuno di noi si aspettava la rivolta più grande dai giorni della rivoluzione islamica. Molti tra noi non avevamo neanche votato alle passate elezioni e in tanti avevamo giurato di non votare mai più finché ci fosse la Repubblica Islamica. Ma poi in qualche modo, lentamente e tenacemente, ci siamo persuasi e abbiamo persuaso tanti altri che vi era una differenza tra “male e “peggio”. Anche in un sistema nel quale gli elettori possono solo scegliere entro candidati pre-selezionati chi non riusciva a vedere che comunque vi era una differenza tra Khatami e Ahmadinejad?
Così siamo entrati nella Via della Rivoluzione prendendo la direzione di Piazza Azadi o piazza della Libertà. E siamo presto stati investiti da un felice senso di sicurezza che solo una folla molto ma molto ma molto grande può dare. Vi era la polizia e la polizia anti-sommossa ma non hanno fatto nulla…. Fino a quando non eravamo, poi, tutti o quasi andati via. Dopo abbiamo saputo che solo allora i paramilitari avevano sparato su persone inermi e ucciso sette cittadini.
Questo Paese non sarà mai più lo stesso.
Lo stesso Consiglio delle guardie della rivoluzione ha alla fine dovuto per ora riconoscere che bisognava verificare il risultato delle elezioni, verificare se ci fossero brogli e ricontare i voti, dando un response entro dieci giorni. Dobbiamo tenere su il movimento per i prossimi dieci giorni. Stamattina – 16 giugno – ci è parso incredibile, quasi impossibile che il Consiglio potesse andare contro l’opinione di Khamenei e chiamare l’elezione un imbroglio. Ma dopo quella manifestazione appare altrettanto impossibile che essi potessero dire che l’elezione era regolare.
Perciò, per i prossimi dieci giorni noi abbiamo davvero bisogno del vostro sostegno affinché l’Iran resti sulle prime pagine, affinché si creda che le nostre elezioni ci sono state rubate.
Per questo ora ti saluto con alcuni degli slogan che ieri oltre un milione di persone hanno cantato nelle vie di Teheran e che suonano tanto bene in questa bella lingua… Le persone si stanno facendo molto creative con gli slogan e li inventano nello svolgersi della manifestazione. La lingua Farsi si presta bene allo shoaar-sazi, al modulare suoni e ritmi, grazie alla flessibilità che possiede e alla naturale vicinanza a ritmo e metro, come ci insegna tutta la nostra poesia… Ma ecco gli slogan:
Naft o Tala ro bordand, sibzamini avordand
C’hanno tolto petrolio e oro, ci danno in cambio patate (si riferisce ai “doni” di patate date in campagna elettorale da Ahmadinejad)
Doctor boro doctor
Doctor vai dal doctor (si riferisce alla fissazione di Ahmadinejad di farsi chiamare col titolo di dottore)
Atal matal toutouleh, dictatore koutouleh
“Atal aetal toutouleh” tu corto dittatore (Qui viene cantata sulle note di una canzoncina per bambini)
Ahmadi bye bye, Ahmadi bye bye!
Agar taghalob besheh, Iran ghiyaamat misheh
Se vi è imbroglio vi sarà rivolta in Iran
Hemayat Hemayat Iranie ba gheirat
Date aiuto, date aiuto, siate fieri iraniani
Natarsid, natarsid, ma ba hamim natarsid!
Niente paura niente paura, stiamo tutti uniti
Marg bar in dolate mardom farib
Morte al governo morente
Allah o Akbar
Moussavi Moussvi hemayatat mikonim
Moussavi Moussavi, siamo noi a proteggerti
Dorooghgoo, shast o seh darsadet koo?
Menzogne, menzogne, dov’è il tuo 63 percento
Dolat-e Kudeta, Estafaa Estafaa
Dimissioni, dimissioni del governo del colpo di stato
Khas o khaashaak toyi, doshman-e in khaak toyi Khas o khashak khodeti,
Khas of Khashaaksei solo tu , il nemico di questa terra sei tu (Qui ci si riferisce al discorso di Ahmadinejad in cui egli aveva definito i manifestanti "khas of khashak", che vuol dire “polvere e segatura”)
Ey Mahmoud-e bichaareh, baaz ham begoo footballeh
Povero Mahmoud, dillo di nuovo che è solo una partita di pallone (qui ci si riferisce sempre al discorso di Ahmadinejad nel corso del quale egli aveva paragonato i cortei a proteste dopo la sconfitta della squadra del cuore)
Raayeh maaro dozdideh, baa raayeh maa poz mideh
Hanno scippato i nostri voti e ora li usano per vantarsene
Hatta agar bemiram, raayam ra pass migiram
Anche se muoio il mio voto lo ri-otterrò
Moussavi, Moussavi, Raaye ma ra pass begir!
Moussavi, Moussavi, fammi riavere indietro il voto!
Moussavi, Moussavi, Parchamam ra pass begir!
Moussavi, Moussavi, fammi riavere indietro la mia bandiera (Ci si riferisce al fatto che la bandiera iraniana è stata usata come simbolo elettorale da Ahmadinejad)
Mijangam, mijangam, Raayam ro pass migiram!
Lotterò, lotterò, riavrò indietro il mio voto
Azadie andishe poshte shisheh nemisheh
La libertà non si conquista spiando da dietro alle finestre (ci si riferisce a chi guarda passare i cortei da dietro le finestre di casa)
Mikosham, Mikosham, har ke baradarm kosht!
Ucciderò, ucciderò, ucciderò chi uccide il mio fratello (Questo slogan è stato gridato dopo che sono stati uccisi 7 manifestanti)
I costi delle giornate iraniane sono elevatissimi, terribili. Dobbiamo manifestare, firmare appelli, fare ogni piccola cosa possibile.
Così oggi pubblico queste cose, che ho ricevuto da un’amica iraniana, M.:
tra le molte foto in giro questa immagine, adottata come simbolo di questi giorni, un suo straziante appello di oggi, un bellissimo e diretto resoconto, inviato ieri, della grande manifestazione del pomeriggio di lunedì 15 giugno a Teheran dopo che si è avuta la certezza di un vero e proprio golpe elettorale, con brogli enormi e un elenco degli slogan:
Appello del 17 giugno

Grazie, grazie. Stiamo troppo male, siamo soli senza appoggio, tanti amici feriti, alcuni uccisi e tanti arrestati; ma da dove vengono questi assassini senza patria?!!!! Loro sono i nostri connazionali che ci ammazzano in questo modo?!!
Io sono disperata, ogni giorno che mi sveglio mi sembra l'ultimo giorno della mia vita, non sappiamo se rimarremo vivi o no!
Abbiamo bisogno di aiuti fortissimi, il popolo e' veramente solo! Nemmeno i giornalisti stranieri possono entrare in Iran, quelli che c'erano non ci sono più.
La manifestazione di oggi sarà una manifestazione sanguinosa.
Non so piu' che dire…
Resoconto del 15 giugno
Ci siamo avvicinati con apprensione a Via Enghelab o via Rivoluzione oggi alle quattro del pomeriggio.
Quante persone ci sarebbero state? Quanti corpi paramilitari e polizia e agenti speciali dei servizi? Ci sarebbe stato un bagno di sangue? Saremmo mai potuti scappare abbastanza veloci da non essere massacrati di botte?
Per e-mail e anche di voce in voce avevamo saputo della convocazione della manifestazione da parte dei sostenitori di Moussavi – sapevamo che dovevamo esserci. Poi, però, erano giunti messaggi contraddittori: la manifestazione era stata disdetta perché non aveva avuto l’autorizzazione o perché Moussavi temeva un bagno di sangue e così via…. Ma come aveva detto il mio amico N., il suono delle parole di Ahmadinejad che ci paragonavano a polvere e segature durante il suo discorso della cosiddetta “vittoria” non riuscivano ad abbandonare le nostre orecchie… Così siamo andati avanti nonostante i nostri timori. Eravamo stati di nuovo oltraggiati dalle parole e dalle azioni di Ahmadinejad. E non vi è alcun dubbio che i nostri voti siano stati rubati. Una menzogna, dunque. Ma quanto grande? E quante altre grandi menzogne?
Nessuno di noi si aspettava la rivolta più grande dai giorni della rivoluzione islamica. Molti tra noi non avevamo neanche votato alle passate elezioni e in tanti avevamo giurato di non votare mai più finché ci fosse la Repubblica Islamica. Ma poi in qualche modo, lentamente e tenacemente, ci siamo persuasi e abbiamo persuaso tanti altri che vi era una differenza tra “male e “peggio”. Anche in un sistema nel quale gli elettori possono solo scegliere entro candidati pre-selezionati chi non riusciva a vedere che comunque vi era una differenza tra Khatami e Ahmadinejad?
Così siamo entrati nella Via della Rivoluzione prendendo la direzione di Piazza Azadi o piazza della Libertà. E siamo presto stati investiti da un felice senso di sicurezza che solo una folla molto ma molto ma molto grande può dare. Vi era la polizia e la polizia anti-sommossa ma non hanno fatto nulla…. Fino a quando non eravamo, poi, tutti o quasi andati via. Dopo abbiamo saputo che solo allora i paramilitari avevano sparato su persone inermi e ucciso sette cittadini.
Questo Paese non sarà mai più lo stesso.
Lo stesso Consiglio delle guardie della rivoluzione ha alla fine dovuto per ora riconoscere che bisognava verificare il risultato delle elezioni, verificare se ci fossero brogli e ricontare i voti, dando un response entro dieci giorni. Dobbiamo tenere su il movimento per i prossimi dieci giorni. Stamattina – 16 giugno – ci è parso incredibile, quasi impossibile che il Consiglio potesse andare contro l’opinione di Khamenei e chiamare l’elezione un imbroglio. Ma dopo quella manifestazione appare altrettanto impossibile che essi potessero dire che l’elezione era regolare.
Perciò, per i prossimi dieci giorni noi abbiamo davvero bisogno del vostro sostegno affinché l’Iran resti sulle prime pagine, affinché si creda che le nostre elezioni ci sono state rubate.
Per questo ora ti saluto con alcuni degli slogan che ieri oltre un milione di persone hanno cantato nelle vie di Teheran e che suonano tanto bene in questa bella lingua… Le persone si stanno facendo molto creative con gli slogan e li inventano nello svolgersi della manifestazione. La lingua Farsi si presta bene allo shoaar-sazi, al modulare suoni e ritmi, grazie alla flessibilità che possiede e alla naturale vicinanza a ritmo e metro, come ci insegna tutta la nostra poesia… Ma ecco gli slogan:
Naft o Tala ro bordand, sibzamini avordand
C’hanno tolto petrolio e oro, ci danno in cambio patate (si riferisce ai “doni” di patate date in campagna elettorale da Ahmadinejad)
Doctor boro doctor
Doctor vai dal doctor (si riferisce alla fissazione di Ahmadinejad di farsi chiamare col titolo di dottore)
Atal matal toutouleh, dictatore koutouleh
“Atal aetal toutouleh” tu corto dittatore (Qui viene cantata sulle note di una canzoncina per bambini)
Ahmadi bye bye, Ahmadi bye bye!
Agar taghalob besheh, Iran ghiyaamat misheh
Se vi è imbroglio vi sarà rivolta in Iran
Hemayat Hemayat Iranie ba gheirat
Date aiuto, date aiuto, siate fieri iraniani
Natarsid, natarsid, ma ba hamim natarsid!
Niente paura niente paura, stiamo tutti uniti
Marg bar in dolate mardom farib
Morte al governo morente
Allah o Akbar
Moussavi Moussvi hemayatat mikonim
Moussavi Moussavi, siamo noi a proteggerti
Dorooghgoo, shast o seh darsadet koo?
Menzogne, menzogne, dov’è il tuo 63 percento
Dolat-e Kudeta, Estafaa Estafaa
Dimissioni, dimissioni del governo del colpo di stato
Khas o khaashaak toyi, doshman-e in khaak toyi Khas o khashak khodeti,
Khas of Khashaaksei solo tu , il nemico di questa terra sei tu (Qui ci si riferisce al discorso di Ahmadinejad in cui egli aveva definito i manifestanti "khas of khashak", che vuol dire “polvere e segatura”)
Ey Mahmoud-e bichaareh, baaz ham begoo footballeh
Povero Mahmoud, dillo di nuovo che è solo una partita di pallone (qui ci si riferisce sempre al discorso di Ahmadinejad nel corso del quale egli aveva paragonato i cortei a proteste dopo la sconfitta della squadra del cuore)
Raayeh maaro dozdideh, baa raayeh maa poz mideh
Hanno scippato i nostri voti e ora li usano per vantarsene
Hatta agar bemiram, raayam ra pass migiram
Anche se muoio il mio voto lo ri-otterrò
Moussavi, Moussavi, Raaye ma ra pass begir!
Moussavi, Moussavi, fammi riavere indietro il voto!
Moussavi, Moussavi, Parchamam ra pass begir!
Moussavi, Moussavi, fammi riavere indietro la mia bandiera (Ci si riferisce al fatto che la bandiera iraniana è stata usata come simbolo elettorale da Ahmadinejad)
Mijangam, mijangam, Raayam ro pass migiram!
Lotterò, lotterò, riavrò indietro il mio voto
Azadie andishe poshte shisheh nemisheh
La libertà non si conquista spiando da dietro alle finestre (ci si riferisce a chi guarda passare i cortei da dietro le finestre di casa)
Mikosham, Mikosham, har ke baradarm kosht!
Ucciderò, ucciderò, ucciderò chi uccide il mio fratello (Questo slogan è stato gridato dopo che sono stati uccisi 7 manifestanti)
15 giugno, 2009
Ri-perdere le elezioni
Ieri Repubblica-Napoli ha pubblicato questo mio fondo. Lo metto anche qui, per chi napoletano non è.
ll centro-sinistra ha di nuovo perso le elezioni. Di nuovo.
Infatti nelle elezioni politiche del 2008 il “laboratorio campano” di centro-sinistra - al quale Bassolino ha legato il suo nome - aveva già perso mezzo milione di voti, oltre il 12 percento. E nella città di Napoli la grande coalizione che ci governava aveva perduto 93.057 voti, passando dal 56,7% al 43,9% in un solo anno.
Già un anno fa, dunque, gli elettori o non votarono o votarono contro chi qui governava. Perché era finito un ciclo - come tutti dissero. Perché in aggiunta al vento di destra nazionale vi fu una reazione, alla prima utile occasione di voto, a più cose: alla mancata riconversione dello sviluppo locale dopo gli anni della dismissione delle industrie, alla persistenza della disoccupazione, al dilagare della camorra, alla palese distanza tra scopi dichiarati e uso della spesa pubblica, alla cattiva gestione degli enti locali. A lungo le disaffezioni elettorali sono restate in gestazione, in risposta a una crisi complessa della società, dell’economia e del modello di governo. Infine, è stata la crisi dei rifiuti che ha sgretolato il mito del buon governo del laboratorio campano ed ha dato vita alla caduta verticale dei consensi.
Allora il nostro governatore minimizzò la sconfitta e annunciò una “riflessione”. Ma si guardò bene dal farla. Egli – insieme a quasi tutto il ceto politico del quale è espressione - preferì affidarsi al tempo che passava; e all’idea che comunque chi controlla i rubinetti della spesa pubblica, ieri come oggi, può mantenere i voti.
Analizzare la crisi di consensi? Discutere delle diverse difficoltà che ogni governo locale incontra nel Mezzogiorno? Misurarsi con le effettive mancanze culturali o programmatiche della “classe politica e della classe dirigente più generalmente intesa” – come le chiamava Guido Dorso? No. Chi rifletteva fu avversato, chi analizzava indicato come illuso o tacciato di tradimento. Perché indeboliva il fronte comune quando i “barbari” del centro-destra erano alle porte. E non fu solo Bassolino. La verità è che la grande maggioranza di questo ceto politico di centro-sinistra – il capo, i capetti e i gregari - in fondo non conosce gli strumenti di analisi e intervento propri della complessità e, in più, non crede che governare c’entra con i fatti della vita quotidiana, per i quali le persone stanno peggio o meglio, possono sperare o non sperare, spendersi o non spendersi. Per loro “a’ politica è n’ata cosa”. E’ un ceto politico pervicacemente anti-obamiano. Che, perciò, non nutre più alcuna curiosità né rapporto con le ansie, i sentimenti, le emergenze vive delle persone. Con chi va a insegnare in una scuola di formazione professionale i cui macchinari sono quelli degli anni settanta e dove i ragazzi si assentano sempre più. Con chi apre la saracinesca di un negozio che vende sempre meno. Con quel trenta percento di cittadini che vivono con meno di mille euro al mese in una famiglia di quattro persone. Con chi sta in ansia la sera per il figlio che è andato a mangiare una pizza in un centro-città solcato da bande di ragazzini imbottiti di coca e armati di mazze di ferro, coltelli o anche pistole. Con chi ha già accompagnato figli e nipoti a vivere altrove. Con chi ogni volta guarda mestamente al luogo del giardino pubblico promesso e constata che il cantiere è fermo da anni.
Invece prevale da tempo l’idea che le persone non sono gli interlocutori indispensabili al farsi della politica ma sono categorie che corrispondono o a voci di spesa pubblica o a destinatari di messaggi elettorali. Perciò il centro sinistra perde. Perciò Napoli ha l’astensione al 48 percento. Perciò il PD - che dallo studio di Gad Lerner, Antonio Bassolino proclamava di “volere mettere in sicurezza” – è sceso, invece, al 27, 3 percento alle europee e al 24,5 alle provinciali. Contro il 35 delle politiche del 2008. E i cosidetti “barbari” sono entrati dalla porta principale.
Ora, dopo l’ennesima sconfitta, l’elettore di centro-sinistra deve sentirsi dire che non è detta l’ultima: “na cosa a vota”? Oppure che è colpa dell’imperizia del candidato alle provinciali? O che c’è stata la minore sconfitta – si fa per dire - alle europee grazie alla valanga di preferenze ottenute da quei suoi esponenti che hanno più direttamente gestito la spesa pubblica?
Non sarebbe meglio ascoltare le semplici parole “ce la siamo meritata”. Per poi poter finalmente affrontare la crisi e avviare una trasformazione radicale, senza la quale non ci sarà più un credibile centro-sinistra in Campania.
ll centro-sinistra ha di nuovo perso le elezioni. Di nuovo.
Infatti nelle elezioni politiche del 2008 il “laboratorio campano” di centro-sinistra - al quale Bassolino ha legato il suo nome - aveva già perso mezzo milione di voti, oltre il 12 percento. E nella città di Napoli la grande coalizione che ci governava aveva perduto 93.057 voti, passando dal 56,7% al 43,9% in un solo anno.
Già un anno fa, dunque, gli elettori o non votarono o votarono contro chi qui governava. Perché era finito un ciclo - come tutti dissero. Perché in aggiunta al vento di destra nazionale vi fu una reazione, alla prima utile occasione di voto, a più cose: alla mancata riconversione dello sviluppo locale dopo gli anni della dismissione delle industrie, alla persistenza della disoccupazione, al dilagare della camorra, alla palese distanza tra scopi dichiarati e uso della spesa pubblica, alla cattiva gestione degli enti locali. A lungo le disaffezioni elettorali sono restate in gestazione, in risposta a una crisi complessa della società, dell’economia e del modello di governo. Infine, è stata la crisi dei rifiuti che ha sgretolato il mito del buon governo del laboratorio campano ed ha dato vita alla caduta verticale dei consensi.
Allora il nostro governatore minimizzò la sconfitta e annunciò una “riflessione”. Ma si guardò bene dal farla. Egli – insieme a quasi tutto il ceto politico del quale è espressione - preferì affidarsi al tempo che passava; e all’idea che comunque chi controlla i rubinetti della spesa pubblica, ieri come oggi, può mantenere i voti.
Analizzare la crisi di consensi? Discutere delle diverse difficoltà che ogni governo locale incontra nel Mezzogiorno? Misurarsi con le effettive mancanze culturali o programmatiche della “classe politica e della classe dirigente più generalmente intesa” – come le chiamava Guido Dorso? No. Chi rifletteva fu avversato, chi analizzava indicato come illuso o tacciato di tradimento. Perché indeboliva il fronte comune quando i “barbari” del centro-destra erano alle porte. E non fu solo Bassolino. La verità è che la grande maggioranza di questo ceto politico di centro-sinistra – il capo, i capetti e i gregari - in fondo non conosce gli strumenti di analisi e intervento propri della complessità e, in più, non crede che governare c’entra con i fatti della vita quotidiana, per i quali le persone stanno peggio o meglio, possono sperare o non sperare, spendersi o non spendersi. Per loro “a’ politica è n’ata cosa”. E’ un ceto politico pervicacemente anti-obamiano. Che, perciò, non nutre più alcuna curiosità né rapporto con le ansie, i sentimenti, le emergenze vive delle persone. Con chi va a insegnare in una scuola di formazione professionale i cui macchinari sono quelli degli anni settanta e dove i ragazzi si assentano sempre più. Con chi apre la saracinesca di un negozio che vende sempre meno. Con quel trenta percento di cittadini che vivono con meno di mille euro al mese in una famiglia di quattro persone. Con chi sta in ansia la sera per il figlio che è andato a mangiare una pizza in un centro-città solcato da bande di ragazzini imbottiti di coca e armati di mazze di ferro, coltelli o anche pistole. Con chi ha già accompagnato figli e nipoti a vivere altrove. Con chi ogni volta guarda mestamente al luogo del giardino pubblico promesso e constata che il cantiere è fermo da anni.
Invece prevale da tempo l’idea che le persone non sono gli interlocutori indispensabili al farsi della politica ma sono categorie che corrispondono o a voci di spesa pubblica o a destinatari di messaggi elettorali. Perciò il centro sinistra perde. Perciò Napoli ha l’astensione al 48 percento. Perciò il PD - che dallo studio di Gad Lerner, Antonio Bassolino proclamava di “volere mettere in sicurezza” – è sceso, invece, al 27, 3 percento alle europee e al 24,5 alle provinciali. Contro il 35 delle politiche del 2008. E i cosidetti “barbari” sono entrati dalla porta principale.
Ora, dopo l’ennesima sconfitta, l’elettore di centro-sinistra deve sentirsi dire che non è detta l’ultima: “na cosa a vota”? Oppure che è colpa dell’imperizia del candidato alle provinciali? O che c’è stata la minore sconfitta – si fa per dire - alle europee grazie alla valanga di preferenze ottenute da quei suoi esponenti che hanno più direttamente gestito la spesa pubblica?
Non sarebbe meglio ascoltare le semplici parole “ce la siamo meritata”. Per poi poter finalmente affrontare la crisi e avviare una trasformazione radicale, senza la quale non ci sarà più un credibile centro-sinistra in Campania.
08 giugno, 2009
Brutte notizie dalla vecchia Europa
Alcuni di noi hanno sempre pensato che la vicenda europea è cosa assai seria. Noi – e io – non siamo mai stati tra gli euroscettici di sinistra, mai.
La riprova di questa nostra affezione alla difficile scommessa europea sta nel senso di angoscia vero, profondo che stamattina sentiamo per i risultati delle elezioni per il parlamento della Unione.
L’Europa si astiene. Molto meno della metà dei suoi cittadini non va a votare per una prospettiva comune. Certo, protesta contro i buriocrati di Bruxelles, una casta a se stante. Certo, segnala che la Unione non ha un esecutivo né un esercito né una politica estera, ecc. Ma va oggi riconosciuto che - di fronte ai suoi compiti e alla responsabilità dovuta alle sue costruzioni costituzionali basate sulla cultura dei diritti, alla sua forza economica e al posto che ha avuto nella storia e che ancora ha – la grande maggioranza degli europei si è ritratta, lasciando il campo al protagonismo di altri.
L’Europa si astiene lasciando spazio alla Cina del capitale finanziario centralizzato come in nessun altro luogo e dello sfruttamento feroce, del totalitarismo abietto e dell’accaparramento planetario delle risorse; dando più forza alla Russia putiniana che è ancora fuori dalla cultura liberale e dei diritti, anche essa forte nel perpetuare, ad un tempo, un liberismo selvaggio e un decisionismo privo di controlli.
L’Europa si astiene lasciando lontana da sé la difficile scommessa della democrazia indiana che prova ad andare avanti sulla via del tenere insieme le grandi diversità interne. E soprattutto lasciando soli gli Stati Uniti di Obama. Più soli nel mostrare le vie difficili – quasi temerarie – della speranza alle giovani gererazioni, nella possibilità di tessere comprensione vera tra diversi, nella via per riprendere un’altra idea di sviluppo, nella proposta di intehrare stato e concorrenza nella risposta alla crisi. E più sola nell’indicare un mondo ragionevole e possibile per tutti. Da questo punto di vista lo straordinario discorso di Obama al Cairo stride davvero con i risultati delle elezioni europee.
Così l’Europa si avviluppa sulla sua parte meno capace di dire e proporre. Perché si chiude in difesa. Perché non riconosce le origini della presente crisi. Perché non si confronta con il mondo e con le sue grandi questioni… Infatti ovunque vince o aumenta la destra conservatrice – quella che negli ultimi quindici anni almeno ha sostenuto il delirio liberista e la moltiplicazione del denaro attraverso denaro fittizio – un modello che ci ha portato dentro questa crisi. E’ paradossale eppure vero: è come se il partito di Bush vincesse in Europa, nonostante la crisi – o, anzi, proprio in virtù della crisi.
Perché accade ciò, a differenza che negli stati Uniti? Ci dobbiamo finalmente domandare in modo radicale – oggi – se e quanto pesano, in questo, i ruderi ideologici di una sinistra conservatrice, incapace di proposta, culturalmente autoreferenziale, inetta anche a pensare agli individui, alle loro libertà e, al contempo alla responsabilità collettiva; e sovranamente incapace di ricambio nel suo personale politico e nel suo metodo, nei suoi linguaggi e nei suoi contenuti… incapace di aprirsi e di ricercare e mettersi in gioco. In controtendenza il grande e piccolo successo di Cohen-Bendit in Francia - che aveva rotto da tempo con i brontosauri della sinistra (a differenza dei verdi italici) - forse ci dice qualcosa su questo tema.
L’Europa si ripara nei suoi mille provincialismi. Lo fa anche l’Italia sostenendo la Lega ma non solo: la nostra politica – tutta - ha fatto di queste elezioni una vicenda del nostro angusto cortile. Dentro il quale - si dica quel che si vuole – continua a regnare un bulletto di quarto ordine, sostanzialmente incontrastato.
L’Europa dei cittadini è più debole stamattina. Essa si chiude intorno a antiche difese di privilegi e pregiudizi. E a piccole o ignobili vicende nazionali e locali. E’ senza respiro, non mostra orizzonte.
Questo è un male enorme per i nostri figli.
E di più: l’Europa mostra anche una terribile tendenza a ricadere nelle ombre orribili del secolo scorso. Infatti i partiti euroscettici e i bagliori apertamente razzisti e anche fascisti hanno ottenuto forti consensi ovunque, dalla civilissima Londra a Milano a Vienna a Bratislava a Praga. E a Budapest. Penso in particolare a quel 16 percento di ungheresi che sostengono con il voto la recrudescenza antisemita e antizigana della destra estrema ungherese; nell’Ungheria che fu il territorio delle terribili armate dell’ammiraglio Horty che, durante la guerra, aiutarono i nazisti a portare allo sterminio 700.000 ebrei e 200.000 zingari magiari. E’ la storia triste di una parte della mia famiglia e dunque mi colpisce ancor di più. E poi: il risultato di Budapest non è qualcosa di alieno a noi… parla lo stesso straziante linguaggio, si nutre del medesimo humus che hanno fatto morire in quel modo il povero Petru nel centro della nostra città , che hanno permesso l’assalto ai campi Rom di un anno fa, che hanno fatto cacciare una donna africana da vicino al suo bambino appena nato…
E’ così: le grandi assunzioni di responsabilità di fronte alle sfide vere del nostro tempo – cittadinanza, sviluppo, ecologia - sono più lontane e alcuni mostri stanno ritornando. E l’America solitaria di Obama appare davvero troppo simile a quella di Roosvelt degli anni trenta.
Proviamo, almeno noi nel nostro piccolo, ad aprire un dibattito su queste cose. E evitiamo di avvilupparci a nostra volta solo sulle vicende della nostra povera provincia… che tra tutte è quella e sarà quella ancor più lontana da ogni prospettiva di sviluppo basato sulla difesa dei diritti di tutti e ciascuno…
Proviamo ad aprire un dibattito più largo almeno noi. Perché se non parliamo della crisi dell’Europa non abbiamo prospettiva alcuna neanche per le vicende nostre.
L'immagine mostra la concentrazione troposferica del biossido di azoto, proxy di inquinamento.
La riprova di questa nostra affezione alla difficile scommessa europea sta nel senso di angoscia vero, profondo che stamattina sentiamo per i risultati delle elezioni per il parlamento della Unione.

L’Europa si astiene. Molto meno della metà dei suoi cittadini non va a votare per una prospettiva comune. Certo, protesta contro i buriocrati di Bruxelles, una casta a se stante. Certo, segnala che la Unione non ha un esecutivo né un esercito né una politica estera, ecc. Ma va oggi riconosciuto che - di fronte ai suoi compiti e alla responsabilità dovuta alle sue costruzioni costituzionali basate sulla cultura dei diritti, alla sua forza economica e al posto che ha avuto nella storia e che ancora ha – la grande maggioranza degli europei si è ritratta, lasciando il campo al protagonismo di altri.
L’Europa si astiene lasciando spazio alla Cina del capitale finanziario centralizzato come in nessun altro luogo e dello sfruttamento feroce, del totalitarismo abietto e dell’accaparramento planetario delle risorse; dando più forza alla Russia putiniana che è ancora fuori dalla cultura liberale e dei diritti, anche essa forte nel perpetuare, ad un tempo, un liberismo selvaggio e un decisionismo privo di controlli.
L’Europa si astiene lasciando lontana da sé la difficile scommessa della democrazia indiana che prova ad andare avanti sulla via del tenere insieme le grandi diversità interne. E soprattutto lasciando soli gli Stati Uniti di Obama. Più soli nel mostrare le vie difficili – quasi temerarie – della speranza alle giovani gererazioni, nella possibilità di tessere comprensione vera tra diversi, nella via per riprendere un’altra idea di sviluppo, nella proposta di intehrare stato e concorrenza nella risposta alla crisi. E più sola nell’indicare un mondo ragionevole e possibile per tutti. Da questo punto di vista lo straordinario discorso di Obama al Cairo stride davvero con i risultati delle elezioni europee.
Così l’Europa si avviluppa sulla sua parte meno capace di dire e proporre. Perché si chiude in difesa. Perché non riconosce le origini della presente crisi. Perché non si confronta con il mondo e con le sue grandi questioni… Infatti ovunque vince o aumenta la destra conservatrice – quella che negli ultimi quindici anni almeno ha sostenuto il delirio liberista e la moltiplicazione del denaro attraverso denaro fittizio – un modello che ci ha portato dentro questa crisi. E’ paradossale eppure vero: è come se il partito di Bush vincesse in Europa, nonostante la crisi – o, anzi, proprio in virtù della crisi.
Perché accade ciò, a differenza che negli stati Uniti? Ci dobbiamo finalmente domandare in modo radicale – oggi – se e quanto pesano, in questo, i ruderi ideologici di una sinistra conservatrice, incapace di proposta, culturalmente autoreferenziale, inetta anche a pensare agli individui, alle loro libertà e, al contempo alla responsabilità collettiva; e sovranamente incapace di ricambio nel suo personale politico e nel suo metodo, nei suoi linguaggi e nei suoi contenuti… incapace di aprirsi e di ricercare e mettersi in gioco. In controtendenza il grande e piccolo successo di Cohen-Bendit in Francia - che aveva rotto da tempo con i brontosauri della sinistra (a differenza dei verdi italici) - forse ci dice qualcosa su questo tema.
L’Europa si ripara nei suoi mille provincialismi. Lo fa anche l’Italia sostenendo la Lega ma non solo: la nostra politica – tutta - ha fatto di queste elezioni una vicenda del nostro angusto cortile. Dentro il quale - si dica quel che si vuole – continua a regnare un bulletto di quarto ordine, sostanzialmente incontrastato.
L’Europa dei cittadini è più debole stamattina. Essa si chiude intorno a antiche difese di privilegi e pregiudizi. E a piccole o ignobili vicende nazionali e locali. E’ senza respiro, non mostra orizzonte.
Questo è un male enorme per i nostri figli.
E di più: l’Europa mostra anche una terribile tendenza a ricadere nelle ombre orribili del secolo scorso. Infatti i partiti euroscettici e i bagliori apertamente razzisti e anche fascisti hanno ottenuto forti consensi ovunque, dalla civilissima Londra a Milano a Vienna a Bratislava a Praga. E a Budapest. Penso in particolare a quel 16 percento di ungheresi che sostengono con il voto la recrudescenza antisemita e antizigana della destra estrema ungherese; nell’Ungheria che fu il territorio delle terribili armate dell’ammiraglio Horty che, durante la guerra, aiutarono i nazisti a portare allo sterminio 700.000 ebrei e 200.000 zingari magiari. E’ la storia triste di una parte della mia famiglia e dunque mi colpisce ancor di più. E poi: il risultato di Budapest non è qualcosa di alieno a noi… parla lo stesso straziante linguaggio, si nutre del medesimo humus che hanno fatto morire in quel modo il povero Petru nel centro della nostra città , che hanno permesso l’assalto ai campi Rom di un anno fa, che hanno fatto cacciare una donna africana da vicino al suo bambino appena nato…
E’ così: le grandi assunzioni di responsabilità di fronte alle sfide vere del nostro tempo – cittadinanza, sviluppo, ecologia - sono più lontane e alcuni mostri stanno ritornando. E l’America solitaria di Obama appare davvero troppo simile a quella di Roosvelt degli anni trenta.
Proviamo, almeno noi nel nostro piccolo, ad aprire un dibattito su queste cose. E evitiamo di avvilupparci a nostra volta solo sulle vicende della nostra povera provincia… che tra tutte è quella e sarà quella ancor più lontana da ogni prospettiva di sviluppo basato sulla difesa dei diritti di tutti e ciascuno…
Proviamo ad aprire un dibattito più largo almeno noi. Perché se non parliamo della crisi dell’Europa non abbiamo prospettiva alcuna neanche per le vicende nostre.
L'immagine mostra la concentrazione troposferica del biossido di azoto, proxy di inquinamento.
03 giugno, 2009
Non è tutto la stessa cosa
Sono più affezionato alle cose che si muovono in città tra le persone, per esempio la manifestazione di domani 4 giugno, (riunione oggi al Damm) in risposta alla pazzesca sparatoria di Montesanto e alla uccisione di Petru Birladeanu, ma qui mi tocca occuparsi di politica tra virgolette.
Le elezioni in questa città da tempo immemorabile si svolgono anche all’ombra dell’offerta (e, dunque, anche della domanda) di servigi atti a conquistare voti da parte di portatori di pacchetti dei medesimi come ancora una volta ha ieri denunciato Norberto Gallo.
Le democrazie sono creature imperfette. E Napoli è stato un laboratorio per lo studio di tali imperfezioni, fino a ispirare dei classici in materia.
E’ difficile dover constatare quanto sta messa male la politica in Italia e a Napoli e al contempo pensare che è bene provarci e riprovarci a migliorare la politica. Confesso che spesso penso che non ci sia molto da fare. Eppure davvero non mi sono molto congeniali quelli che dicono che fa tutto shifo comunque. Per esempio mi ha infastidito l’ultima sortita dell’assessore Velardi che, dalla sua posizione nella giunta Bassolino, invoca una politica “più interessante e più coinvolgente” un po’ contro tutto e tutti, posti su un unico piano.
Sì, la politica sta proprio messa malissimo in questo Paese. Ma non è vero che tutto sta sullo stesso piano. E mi ostino a pensare che – nel mondo imperfetto – le prime cose “interessanti e coinvolgenti” sono i piccoli segni di democrazia “meno imperfetta” che si muovono in una città come la nostra, in un Paese come l’Italia.
Insomma, proprio perché è una campagna elettorale brutta e deprimente, forse assume maggiore importanza la denuncia di Norberto. E forse acquista più valore il fatto che Gino Nicolais parla senza demagogia dello stato della provincia o del programma realistico che sta portando in giro – come ha fatto lunedì nell’incontro ad Ercolano a cui ho partecipato – davanti a un pubblico non fatto di ceto politico ma di insegnanti e giovani. E forse c’è da dare credito a Tommaso Sodano per una campagna elettorale pulita e di merito.
La foto è di delpax, il riferimento a Kandinsky.

Le elezioni in questa città da tempo immemorabile si svolgono anche all’ombra dell’offerta (e, dunque, anche della domanda) di servigi atti a conquistare voti da parte di portatori di pacchetti dei medesimi come ancora una volta ha ieri denunciato Norberto Gallo.
Le democrazie sono creature imperfette. E Napoli è stato un laboratorio per lo studio di tali imperfezioni, fino a ispirare dei classici in materia.
E’ difficile dover constatare quanto sta messa male la politica in Italia e a Napoli e al contempo pensare che è bene provarci e riprovarci a migliorare la politica. Confesso che spesso penso che non ci sia molto da fare. Eppure davvero non mi sono molto congeniali quelli che dicono che fa tutto shifo comunque. Per esempio mi ha infastidito l’ultima sortita dell’assessore Velardi che, dalla sua posizione nella giunta Bassolino, invoca una politica “più interessante e più coinvolgente” un po’ contro tutto e tutti, posti su un unico piano.
Sì, la politica sta proprio messa malissimo in questo Paese. Ma non è vero che tutto sta sullo stesso piano. E mi ostino a pensare che – nel mondo imperfetto – le prime cose “interessanti e coinvolgenti” sono i piccoli segni di democrazia “meno imperfetta” che si muovono in una città come la nostra, in un Paese come l’Italia.
Insomma, proprio perché è una campagna elettorale brutta e deprimente, forse assume maggiore importanza la denuncia di Norberto. E forse acquista più valore il fatto che Gino Nicolais parla senza demagogia dello stato della provincia o del programma realistico che sta portando in giro – come ha fatto lunedì nell’incontro ad Ercolano a cui ho partecipato – davanti a un pubblico non fatto di ceto politico ma di insegnanti e giovani. E forse c’è da dare credito a Tommaso Sodano per una campagna elettorale pulita e di merito.
La foto è di delpax, il riferimento a Kandinsky.
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