30 maggio, 2009

Fabrizia, testimone dell’aspirazione alla politica

Oggi a Galassia Gutenberg c'è stato un pomeriggio dedicato al ricordo di Fabrizia Ramondino a un anno dalla sua scomparsa.

Oltre Napoli: la vita e l’opera di Fabrizia Ramondino

L'incontro è stato curato da Goffredo Fofi con Patrizia Cotugno, sono intervenuti e hanno portato testimonianze Iaia Caputo, Arturo Cirillo, Valentina De Rosa, Patrizio Esposito, Wlodek Goldkorn, Enzo Golino, Peppe Morrone, Giovanni Mottura, Andreas Muller, Livia Patrizi, Enrico Pugliese, Valeria Parrella, Paola Splendore, Assunta Signorelli.

Ho detto qualcosa anch'io e questo è il testo che ho cercato di seguire.


Esattamente 3 anni fa, il 30 maggio 2006, Fabrizia mi ha chiamato al telefono da Itri – si era simbolicamente candidata nella nostra lista, contenta di farlo, sapendo di straperdere; sì, il giorno dopo la sconfitta elettorale della nostra avventura di “decidiamo insieme” mi ha chiamato. E ha parlato un po’ di altro con la voce di ogni volta; poi è venuta rapidamente al dunque; e io ho annotato quello che mi ha detto:

“Marco caro, lo sai già, ma proprio perché hanno vinto così tanto, quelli fatti come noi, la strana gente che siamo, abbiamo maggiore responsabilità nel far valere il programma quello vero per i cittadini e per la città; c’è da tanto ma tanto da fare…”

Fabrizia si occupava d’altro. Lo sappiamo e le siamo riconoscenti. Ma la politica “la pensava” sempre.
E, allora - mi chiedo - quale era “ ‘sto programma quello vero per i cittadini e la città” che stava in testa a Fabrizia? Da dove veniva questa sua idea? E che cosa erano queste “maggiori responsabilità” di cui parlava?

Ce lo spiega bene Fabrizia nella sua bella intervista a Franco Sepe titolata “Questi vetruzzi finiti sulla spiaggia mi sembrano tante vite umane, chissà da dove vengono…”

“Come donna, come persona, come napoletana sono stata sempre impegnata nella questione sociale, poco dal punto di vista ideologico molto a livello concreto. La sinistra ufficiale, soprattutto quella comunista, tranne eccezioni, ha spesso considerato le nostre iniziative come inutili – la classica goccia nel mare – o addirittura le ha contrastate. Per formazione politica appartengo al filone del socialismo libertario – la mia tesi di laurea su Proudhon fu pubblicata nel ’65 sulla rivista anarchica “Volontà”, fondata da Giovanna Berneri, il cui marito Camillo fu ucciso durante la guerra di Spagna dagli stalinisti. Ovviamente ho salutato tutte le rivoluzioni sociali, da quella di Masaniello e di Cromwell alla rivoluzione francese alla Comune di Parigi a quella bolscevica. E naturalmente la lunga marcia di Mao. Ma il potere è una brutta bestia, logora e corrompe chi ce l’ha. Per me esercitare il potere significa che già mentre lo eserciti lo condividi e lo estendi a quanti più individui possibile.”

Questa suo orizzonte politico era costante nel tempo. Sette anni prima ne parlammo in occasione dell’uscita della versione italiana del libro “il bambino e la città” dell’anarchico inglese Colin Ward. Gli erano piaciute due citazioni.
La prima era del grande anarchico Petr Kropotkin, dalla sua definizione dell’anarchia, scritta per la Enciclopaedia Britannica. La lesse due volte ad alta voce, estasiata. Eccola:

“l’armonia non si ottiene per sottomissione alla legge o obbedienza alle autorità, ma grazie ai liberi accordi conclusi tra gruppi diversi, territoriali e professionali, liberamente costituiti nel nome della produzione e del consumo, nonché per il soddisfacimento dell’infinita varietà di bisogni e aspirazioni degli esseri civili”

La rileggeva. E mi piace ricordare i suoi occhi soddisfatti, ridenti.

La seconda era da Martin Buber e oggi pare quasi un controcanto a quello che Fabrizia ci ha lasciato in quella ultima intervista, quando dice che si era impegnata nella questione sociale e che diffidava del potere…. Eccola:

“Il predominio del principio politico, del potere, della gerarchia e del dominio sul principio sociale dell’associazione spontanea per le esigenze comuni provoca una continua diminuzione della spontaneità sociale espressa nella capacità e nella volontà di svolgere un ruolo attivo nella comunità.”

“Accussì, proprio accussì” – ripeteva.

E alla domanda , sempre di Franco Sepe – “secondo te come si combatte il potere?” – ecco la sua risposta:

“Tanto i grandi poteri, che provocano guerre fra popoli, opprimono le libertà individuali, ignorano il senso del limite, quanto quelli quotidiani, familiari o amicali, si combattono con l’immaginazione, la facoltà di immedesimarsi nell’altro, popolo o singolo che sia. E soprattutto con la diffusione dell’istruzione e della cultura – la vera cultura che non ha niente a che fare con l’indottrinamento ideologico o con l’uso che ne fanno sempre più i mezzi di comunicazione di massa. Se fossi un ministro della pubblica istruzione introdurrei già all’asilo l’insegnamento della musica classica antica e moderna, che con il suo metalinguaggio unisce invece di dividere. Kafka sosteneva che la cosa più difficile al mondo sono i quotidiani rapporti umani.”

E’ una risposta complicata. E anche sofferta. Parla di educazione – quando la politica non sa risolvere si parla sempre di educazione. Parla di musica e del carattere speciale di quel linguaggio. Quando pare che i linguaggi faticano ad avere un senso comune, si invoca la musica. E non è un caso che la citazione di Kropotkin sull’anarchia inzia, appunto, con la parola ‘armonia’. E parla poi – con uno scatto tipico di Fabrizia – delle relazioni tra persone, della difficoltà dei rapporti umani quotidiani. Rapporti quotidiani che sono stati difficili, spesso, per Fabrizia e con Fabrizia.
La impossibilità di una politica che sia lontano dal tessuto sociale vivo – che diventa tecnica del dominio – si lega all’idea della fatica delle relazioni e all’aspirazione all’armonia.
Un giorno sulla spiaggia di Laurito, commentando non ricordo quale vicenda di quella che comunemente si chiama politica, al commento di qualcuno – fatto con un velato senso di ammirazione - che diceva che non so chi aveva avuto grande “cazzimma”, Fabrizia, secca, replicò:
“ ‘a cazzimme è ‘a cazzimm e la politica e la politica”.
Ne seguì una delle molte, infinite nostre discussioni sulla relazione tra le due cose…. Ma era evidente che Fabrizia aveva scelto da tempo immemorabile la politica che non avesse relazione con quel altro ente.

Fabrizia perciò, fin da ragazza, si era dedicata alla questione sociale e alle sue azioni concrete come dimensione politica. Per libera scelta disincantata. Disincantata come è il disincanto di chi viene dalla borghesia e si impegna dall’altra parte perché, come una volta scrisse Fabrizia:
“Se l’esempio non viene dai ‘signori’ essi non sono degni di essere tali”.
Di chi si può permettere di fare senza incanto, appunto; e, dunque, di crederci – e lei ci credeva molto - ma sapendo anche tutto il resto.

Così voglio ricordare ancora una volta le sue giornate con i bambini della Torre a Quarto e della Pigna dove Fabrizia ha lavorato ogni giorno dalle 9 alle 16, per 6 anni, prendendo dalla vita gli argomenti per aprire con i ragazzi le vie del sapere, andando con loro in giro, fermandosi poi in una stanza semivuota qualsiasi, tra campagna e periferia, raccogliendo i loro racconti….

“Così ho celebrato il mio passaggio all’età adulta”.

Vi è un legame antico tra l’aspirazione alla politica – o, se si vuole all’utopia ma nella sua funzione politica – e i bambini.
Non so dirla altimenti che con la visione del profeta Isaia che piaceva molto a Fabrizia, su un tempo che sarà:
“Il vitello e l’orso frequenteranno insieme i medesimi pascoli e i loro piccoli riposeranno insieme… e farà loro da pastore un fanciulletto”

3 commenti:

zetavu ha detto...

Bravo che lo hai messo... mo sai che faccio? lo metto in una nota su facebook, o meglio lo linko su facebook dalla mia pagina...
e non posso fare a meno di pensare quanto avrebbe ironizzato Fabrizia su questo ambaradam elettronico

pirozzi ha detto...

mi dispiace non averti sentito e quindi non aver visto alcune facce. mo il pobblema è continuare a fare in mille forme diverse quello che fabrizia diceva e faceva, con la sua irruducibile semplificazione all'armonia, con l'irriducibile tendenza a inseguirla. e parlare anche delle mille piccole politiche cose che si fanno giorno per giorno, parlare di queste e vedere se e come riusciamo a farle risalire un po' più su, a farle diventare discorso politico. e poi vorrei ricordare il papà di Livia, Livio Patrizi, una dele persone più indelebili che ho mai incontrato.

cico ha detto...

In questa intervista è contenuto tutto ciò che non mi piace della sinistra odierna. Dal "socialismo" di Proudhon (quello tanto caro a Craxi), che Marx aveva già bollato come "borghese" nel 1848, al mito del sicario Vidali più volte smentito. C'è l'irresponsabilità dell'avanguardia che tanti danni ha fatto e continua a fare, accompagnata dal mito delle rivoluzioni "tradite" (in cui non rientra naturalmente La Lunga Marcia che va considerata un ripiegamento tattico). In questo io ci vedo il rifiuto a diventare adulti e responsabili. Che cos'è d'altronde quella citazione di Kropotkin contro la legge e l'obbedienza se non un sottrarsi all'interesse generale, sociale? Quali sarebbero questi fantomatici "liberi accordi" in una società ahimé di massa se non l'altra faccia del luddismo in salsa progressista? Non penso altresì che lo studio della musica, uno dei campi che richiede il massimo della disciplina, possa essere introdotto con questi presupposti. E come avvocato del diavolo oggi credo di aver finito.