Ieri c’è stata una buona occasione pubblica di confronto, teso ma sempre civile. Abbiamo fatto bene a organizzare questa prima piccola cosa perché la città ha disperato bisogno di parola, di politica vera, di esplorare, sia pure faticosamente, possibilità. Vi è e vi sarà un lutto da superare, delle rovine da rimuovere prima di ricostruire. E per fare queste cose ci vogliono spazi per le parole e gesti di civile confronto e anche di gentilezza e di rispetto nel normale conflitto tra persone tra loro diverse. Spazi lontani da interessi incombenti e dall’ossessione dell’appartenenza e della fedeltà.
Ho letto, saltando qui e lì, le 584 pagine (che sono sul corriere in pdf)
dell’ordinanza di rinvio a giudizio degli amministratori della giunta Iervolino e dei loro supposti amici in affari di cui tutta Italia parla, che è prima notizia su ogni media e che ha spinto l’acceleratore sulla crisi apicale del primo partito di opposizione di questo nostro povero Paese.
Ne traggo per ora alcune considerazioni:
1 – Sono tutti innocenti fino a prova contraria. Ma altrettanto fino a prova contraria l’articolo 54 della Costituzione – che recita “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore” - era l’ultimo dei loro pensieri perché da quelle carte si evince, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’interesse generale e l’onore non sono mai state cose presenti nella loro testa e nel loro agire. Mai.
2 – Un sindaco, eletto dal popolo in via diretta e che sceglie i suoi assessori e ci lavora, che non capisce o non vuole comprendere che un numero che si avvicina a metà della sua giunta è composto da persone che disonorano la funzione – per come parlano, per come considerano le cose del mondo e della città per come sono abituati a ragionare, ben al di là della questione penale e dunque della colpa o innocenza - oggi, di fronte a cotanta evidenza, deve lasciare il campo e subito. E quanto più questo sindaco è personalmente estranea e onesta tanto più rapidamente deve andarsene.
3 – Dinanzi a cose così macroscopiche c’è il dovere di dare priorità al metodo che è alla base della sostanza stessa della democrazia. I ragionamenti che leggo e sento sul fatto che se ci si dimette ora vincerebbe la destra o altre cose del genere sono fuori dalla cultura costituzionale. Il sindaco è una giurista. Conosce queste cose bene.
4 – Quando vi è anche solo il sospetto – e in quelle carte vi è ben più di questo - che è in gioco la credibilità e l’onorabilità delle istituzioni, il ragionar sulla convenienza partitica è cosa fuori luogo. Non si va a Roma a decidere nel chiuso delle stanze di partito.
Non si va a ragionare con altre cariche istituzionali quali il presidente della regione su cosa sia più conveniente. E non si cerca appoggio qui o lì. Se anche la scelta fosse quella di restare, in ogni caso la si prende misurandosi con i cittadini della città che ti hanno eletto e con nessun altro.
5 – Ciò significa anche che se prevale da parte della cittadinanza, al di là di ogni appartenenza, un senso di distanza dalle istituzioni cittadine e dal tuo operare e di disperazione o addirittura di profonda mortificazione e vergogna per lo stato in cui versa la città che tu hai governato per molti anni e comunque non si manifesta certo un senso di speranza né di rinnovata fiducia in te, ebbene è a queste cose che devi rispondere in un tal momento. E anche qui: a maggior ragione se sei personalmente estranea alle specifiche e gravi ragioni della crisi.
1 commento:
Non dimentichiamoci che il Sindaco fu Ministro della Istruzione (ricordiamo i risultati) e dell'Interno (rimossa da un rimpasto dai suoi compagni di partito).
Non mi pare il suo curriculum politico - peraltro viziato da raccomandazioni materne e Paterne - sia tale da farci sobbalzare per i risultati che ne sono venuti. Chi la ha votata ora se la sciroppi....
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