30 settembre, 2014

Campania: rispondere alle attese di buona politica


Questo articolo è stato pubblicato su La Repubblica di Napoli il giorno 30 Settembre.


Sono giornate di ripresa e di turbolenza politica. E non è facile orientarsi. 
La vicenda giudiziaria che riguarda il Sindaco di Napoli è venuta proprio nel momento in cui iniziavano a scaldarsi i motori in vista delle elezioni del consiglio metropolitano ma soprattutto  della lunga campagna per la guida della regione. 
La reazione del Sindaco alla vicenda che l’ha coinvolto è disarmante. Insomma, si sa: le regole possono non essere le migliori; però, una volta date, lo sono per tutti; e lo sono di più per chi ha maggiori responsabilità. Questa è la loro natura, la loro sintassi. Parlare di regole esattamente in questo modo – come ha sempre fatto, con enfasi, il Sindaco - salvo poi smentire questa linea, con toni smaccatamente anti-istituzionali, quando capita a lui, è smentire la sintassi stessa. Per il posto che ricopre (e anche non volendo considerare la sua storia e le sue posizioni pubbliche su analoghe vicende), Luigi de Magistris era chiamato a rispettare i modi e i toni che sono confacenti alle responsabilità istituzionali che riguardano la guida della terza città d’Italia. Non l’ha fatto. Perciò, sulla vicenda in sé, vi è ormai poco da dire. Perché ha detto lui da solo che il suo orizzonte è fuori dalla responsabilità pubblica. 
La cosa, però, assume una forte valenza negativa per i cittadini, ben oltre quel che avverrà al sindaco: sospensione, dimissioni o lento tira e molla.
Infatti, siamo chiamati a un’ennesima prova e dobbiamo sapere che questa vicenda ci condizionerà tutti. Perché per chi ha voluto sperare in Luigi de Magistris come guida di un processo di riscatto e crescita civile e per chiunque abbia voluto rispettare l’idea stessa di primo cittadino che prova a guidare una città difficile, vi è stata l’ennesima disillusione su come si rappresenta la città. E questo anche al netto del giudizio sulla conduzione amministrativa.
Dunque, non doveva finire così, queste non sono belle giornate per nessuno e toccherà a noi tutti pensare a come uscire dall’ennesima disillusione e riparare nuovi danni in un cantiere, ormai ventennale, che, in modi diversi, ne ha accumulati fin troppi. E la fatica consisterà sì nel trovare finalmente le vie per ben amministrare e per ri-tessere, in modo dignitoso, i fili tra Napoli e Roma per farci uscire da una crisi che ha travolto tre generazioni di napoletani. Ma consisterà - prima di tutto - esattamente nel ritrovare il senso dei ruoli simbolici. Perché chi guida una grande città che aspira a essere tale deve avere temperanza, tenere insieme e non dividere, nutrire lealtà più che fedeltà, riunire e coordinare competenze nell’opera di innovazione e di manutenzione, fare prima di annunciare. Deve essere artigiano riparatore e innovatore sociale e perciò tenersi ben lontano dai modelli del comiziante demiurgo e del salvatore della patria. Basta, dobbiamo tutti crescere. E dobbiamo, al prossimo giro, uscire dalla terribile vicenda – che ci illude e disillude ogni volta, dalla fine del secolo scorso - tra il capo a cui affidarci e delegare e il capro espiatorio. Questo “eterno ritorno” di chi ci salva anziché chiederci di crescere come città non deve tornare più. Ci vuole una stagione di responsabilità diffusa con una guida moderna, che sappia coordinare una squadra di grande livello capace di dirci come risolvere – con un apporto largo di saperi - i tanti problemi lasciati irrisolti. E dare conto. 
La fatica di queste giornate napoletane carica di ulteriore elettricità il paesaggio della politica campana, che si attiva con l’avvicinarsi delle elezioni regionali. Con un vulnus che da noi è anche maggiore che altrove: tutto, purtroppo, tende a riferirsi al circuito della politica stessa, in modo prevalentemente auto-referenziale e gira quasi solo intorno ai gruppi e sotto-gruppi del notabilato, di chi - di una parte e dell’altra - vive di politica e, dunque, al toto-candidato, alle aspirazioni per le liste, alla conta preventiva dei possibili consensi, ai patti da stipulare o da temere, ecc.
Sia chiaro: tessere reti e cullare proponimenti di parte non è uno scandalo. E’ una cosa normale che la politica abbia sue logiche e che queste si riattivino quando si sente odore di elezioni. Ma se il preparare le ricorrenze elettorali - come alternative tra schieramenti e tra leadership - è un fatto di democrazia, ciò non significa che il centro non debba, invece, essere l’interesse generale e i problemi da risolvere. E in questi ultimi quattro anni questo centro sano della politica – il come fare le cose per vivere meglio – è evaporato ancor più che in passato, sia per responsabilità di chi ha governato che per quella di chi è stato all’opposizione.
E’ anche per queste buone ragioni che un certo numero di cittadini attivi nelle imprese, nell’associazionismo, nelle scuole, nelle professioni e amministrazioni hanno forse imparato - negli ultimi tempi - che la loro attesa di buona politica richiede il compito aggiuntivo di trovare modi per contare. Non più come interesse particolare che cerca protezioni. E non solo come “società civile” che rivendica autonomia o ascolto. Ma come parte promotrice di buona politica e che, dunque, interloquisce con i partiti. Insomma, una parte di chi si occupa, ogni giorno delle cose “vere” - di crisi ambientale campana, del 30% delle nostre famiglie che vivono sotto la soglia di povertà, di degrado urbano, di come possono procedere meglio e più rapidamente gli atti amministrativi, di come sono usati i fondi europei, di come superare l’isolamento delle imprese e la paralisi dei porti, di come assicurare manutenzione di strade, acque, fogne, ferrovie, di come ri-fondare una vera formazione professionale - inizia a sentire l’urgenza non solo di dire la sua ma di fare valere idee, proposte, competenze in termini non solo professionali e civili ma politici: elaborare i programmi, scegliere alcuni candidati, evitare che ve ne siano altri, tessere alleanze che siano rivolte anche fuori dalle macchine del consenso e verso moderne “constituencies” che vogliono far vivere un’idea nuova di Campania.
Non sappiamo se o quanto durerà. Ma – lo si è visto anche nelle giornate di Repubblica delle idee a Napoli – vi è un campo, ancora iniziale e incerto, che comprende politica che si vuole emendare, vecchia politica che cerca conferme di consenso e anche, però, questi pezzi competenti di società che intendono “far valere la loro”.  E’ entro questo campo – composito e contraddittorio – che si è svolta la Fonderia delle Idee di Bagnoli nei giorni scorsi. Ed è stato comunque un merito evidente dei promotori di offrire un campo e di rendere legittime queste attese. 
Dunque, è un campo conteso quello che a Bagnoli ha mosso i primi passi. Può portare novità – c’erano tanti esperti di ogni ambito, tanti ragazzi, tanti cittadini non intruppati e alcuni giovani politici che erano in ascolto. Oppure può atrofizzarsi prima dello sviluppo, ripiegarsi su solite logiche tese a confermare la semplice sopravvivenza delle vecchie classi dirigenti del centro-sinistra campano, largamente responsabili della pochezza amministrativa del decennio scorso prima e dell’assenza di opposizione propositiva poi. 
Vedremo. Ma, intanto, nei giorni scorsi, la vera sfida forse non è stata tra possibili candidati del PD che vogliono stare al posto di Stefano Caldoro. Ma tra un vecchio centro-sinistra, e, invece, una proposta seria di nuovo PD che sa che non basta da solo, che apre alle effettive competenze, che prova a riunire con umiltà le capacità costruttive che abbiamo e a immettere la Campania nella possibile ripresa italiana. 

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