18 maggio, 2010

Troppi suicidi al Liceo Umberto

Nella speranza che la ragazzina in questione si salvi, va purtroppo notato che nel liceo più “bene” della nostra città ci sono stati troppi suicidi e tentativi di suicidio. A meno che si pensi che sia colpa di quella scuola – e io non lo penso – o che sia un caso – che è riduttivo - c’è da fare un ragionamente pubblico sull’adolescenza in difficoltà nella città; ed è un compito ormai inderogabile, urgente.
Così oggi su la Repubblica Napoli ho fatto questa primissima riflessione, sperando che ci sia un confronto vero sull’educare oggi.


Una ragazza si è buttata da una finestra del Liceo Umberto. Preghiamo che si salvi e che, una volta affrontate le ferite del corpo, possa incontrare un aiuto che lenisca la difficoltà acuta di stare al mondo che l’ha spinta verso un gesto così estremo e che l’aiuti a stare meglio dentro se stessa. E stiamo vicino alla mamma e al papà, al loro smarrimento. Solidarietà e presenza sono l’aurora di ogni relazione umana, di ogni comunità. A volte bisogna ritornare all’aurora, ritrovare il senso primo. E fermarsi per poterlo fare.
Stiamo ora vicino ai ragazzini e alle ragazzine di questa scuola. Essi, infatti provano pena per la loro compagna e, al contempo, provano pena anche per se stessi. Perché – com’è normale – i gesti estremi rimescolano i propri più intimi pensieri, le angosce del proprio crescere. Perciò: va oggi dato loro uno spazio di ascolto e di riflessione. Pacato. Serio. Si sospendano le lezioni. Ci si metta in cerchio nelle aule. Si parli, ci si ascolti. I docenti ascoltino, dicano la loro con rispetto per le difficoltà del crescere oggi ma senza rinunciare all’essere sponda adulta. Si tratta di fare questo, semplicemente, così come tante volte tanti docenti già fanno, con competenza e sensibilità. Non è il primo episodio che accade in questo
liceo. C’è bisogno di dare parola alla pena. Di trovare un tempo dedicato.
Molti docenti, ovunque in Italia - d’accordo con i dirigenti e con le direzioni regionali della pubblica istruzione - stanno avviando modi per stare più vicino ai ragazzi. Senza, con questo, rinunciare alla propria funzione docente, al rigore che ogni apprendimento richiede, all’assetto di una scuola che sia tale. Si può fare. A dicembre un’alunna di una scuola del Nord si è uccisa gettandosi nel vuoto, subito dopo scuola. C’era di mezzo l’amore. Come spesso è in adolescenza. E l’abbandono. I ragazzi della sua scuola si sono fermati. Hanno potuto parlare di sé. Hanno raccontato. Hanno espresso ora il senso di colpa, ora la rabbia, ora l’incomprensione o l’avversione per il gesto della compagna, ora lo smarrimento intollerabile per la perdita. Hanno pianto e hanno cercato le parole perché il rischio del vivere che ciascuno sentiva potesse essere parte di qualcosa di comune. E’ stato un rito di passaggio. Infatti ci vogliono riti per poter contenere e elaborare l’impotenza di fronte al dispiacere, alla frustrazione, all’assenza di senso di molte umane vicende. Ci vogliono riti mentre si cresce. E sono i riti che ora mancano. Quella esperienza ha rimescolato il clima di quella scuola. Ha fatto emergere possibilità di rinascita e di progetto, ha ricreato una comunità fatta di parole, propositi e azioni comuni. Si sono organizzate gite, gruppi di studio, mostre. Si è ri-inventato anche l’apprendere. Perché, gradualmente, intorno all’apprendere si è rafforzata e meglio articolata la cornice di empatia, di solidarietà, di incontro tra generazioni e tra coetanei. I genitori hanno fatto parte di questo moto. Hanno portato i loro saperi a scuola, si sono offerti di aggiustare quel che c’era da aggiustare, hanno ri-pattuito insieme la alleanza tra adulti che sta a presidio delle regole, hanno scoperto che si può dare e non solo chiedere a una scuola.
Nessuno può togliere la pena dal mondo. Nessuno può eliminare la fatica e il rischio di crescere. Ed è insensato pensare che la scuola da sola possa assolvere a una funzione adulta generale che è sparita dai media, dalla politica, dal senso comune. La società intera deve ri-acquisire pulsioni, ambizioni e soprattutto competenze educative. E’ un processo che sarà lungo e faticoso. Che si deve nutrire di atti, di gesti significativi. I genitori vanno trattati da alleati permanenti ma anche chiamati a rispettare la scuola, per il bene di chi ci cresce dentro.
Va ripreso da noi tutti il tema dell’adolescenza, del suo profondo significato di passaggio verso la differenziazione e identificazione di ogni persona in crescita. Nelle scuole c’è da lavorare sulla dimensione gruppale degli adolescenti che risulta ancora poco osservata e curata. Il gruppo è un luogo di attribuzione di significati, di problematizzazione e di ricerca di senso. E’ uno spazio mentale e di immaginazione in cui la soggettività del singolo si alimenta costruttivamente. Dovrebbe e potrebbe costituire l’occasione per una presa di coscienza di sé come presa di coscienza del mondo, rappresentare un ponte tra l’interiorità e il collocarsi spazialmente e temporalmente nella comunità.
L’educare deve ridiventare un’ambiziosa sfida della nostra collettività. La città tutta intera deve trovare anch’essa uno spazio per ripensarsi come luogo nuovamente educante.

3 commenti:

pirozzi ha detto...

ricordo confusamente il testo, non l'emozione, di un racconto di Asimov, credo Notturno, in cui un mondo con tre soli non conosce mai la notte. c'è un'antica leggenda, forse un manoscritto in cui si racconta di un mistero, una tragedia che colpirà il pianeta. è il buio. si irride alla profezia: il buio? e che sarà mai il buio? è l'assenza della luce (così me lo ricordo ioo, nel tyentativo di leggere anche questioni personali mia). quando un'eclissi contemppranea oscura i tre soli, la notte piomba, la gente di fronte "all'assenza della luce" impazzisce, la civiltà è distrutta.
ecco, la notte non è l'assenza di angeli, ma la presenza di demoni. e noi sappiamo che esistono ma non sappiamo cosa veramente siano e forse neanche ricordare quelli che noi abbiamo, tanti anni fa, inconrato e affrontato, ci aiuta. resto, da adulto presuntuoso e esperto, ormai inerme di fronte a tanti bui adolescenziali che all'improvviso, senza che io abbia mai saputo cogòliere sintomi premonitori o illiudendomi di saperne nomi per diagnosi e ricette per terapie non caèpisco più cosa significhi essere vicini quando pensavo di averlo sempre fatto. neanche un'infanzia felice, mi ricordavi tempo fa, è più, come una volta un baluardo se non una garanzia contro i demoni improvvisi e sconosciuti dell'adolescenza. queste non sono faccende patologiche, sono faccende pedagogiche e rièpoprtarle imporle a un dibattito pubblico a partire dalla scuola, ma con veemenza, senza ravole rotonde e esperti forse ci tocca. ci toccherebbe.
le campane suonano per tutti noi, anche se la potenza del suono per chi è colpito è incomparabile con questo discettare. eppure bisogna farlo.

Luisanna Ardu ha detto...

Caro Marco,
ho letto ieri il tuo post che mi ha dato da pensare e oggi ti scrivo perchè nella mia città, Cagliari, un ragazzo di soli 14 anni si è tolto la vita. Si è tolto la vita a scuola davanti ai suoi compagni, ai professori. Il dolore è enorme, il senso di impotenza disarmante, eppure questo dovere e questo bisogno di ritornare "all'aurora" come tu dici è l'unica strada di senso che noi adulti possiamo percorrere per declinare le nostre competenze educative. La scuola da sola e così com'è non ce la fa davvero.

exneotav ha detto...

Non ho letto prima il post pur essendo abbonata al blog e per fortuna ogni tanto ci passo. Ho il cuore pesante in questo periodo e, nonostante le mie energie profuse per anni nel nostro lavoro, ma forse proprio per questo, ammetto che ho anche il fisico che risente: ciò che stiamo vivendo e di cui il tentativo di suicidio è la punta estrema di malessere, "me stanno levando 'e fforze à cuollo" come dicono a volte i nostri saggi exalunni. E' davvero difficile vedere l'aurora, come dici tu Marco, anche se mi fa bene leggere le tue parole. Lo stato d'animo che fanno intravedere credo facciano la differenza tra noi. Ma fanno la differenza anche le parole di Pirozzi in cui intravedo anche un padre oltre che un docente e ne condivido l'urlo nascosto: è decisamente notte. Bisogna trovare il modo per agire e non per reagire. Forse questo è il trucco, non una reazione a quanto siamo immersi ma un partire insieme in qualcosa che non debba essere solo un'altra avventura.