Sto in attesa del 4 di novembre. Con speranze e paure. Le elezioni americane sono – mai come questa volta - tali da spingere tutte le cose, nostre comprese, verso una prospettiva o verso l’altra. E so che nulla lì è scontato. Dunque sono trepidante.
Giovedì sono uscito prima dal ministero… che è ritornato a chiamarsi miur. Ossia “dell’istruzione, università e ricerca”… senza più la parola “pubblica”.
Avevo letto nei giorni precedenti il decreto 133. Che non è una riforma e non va chiamata così. Ma che adesso è legge dello stato e che taglia quasi 8 miliardi di euro alla scuola… pubblica.
La sua sostanza è banale: riduce le ore di scuola per i bambini della scuola dell’infanzia e della scuola primaria, dai 3 ai 10 anni. E lo fa lì dove non vi è tempo pieno. Ma il tempo pieno non è egualmente distribuito nel territorio italiano. A Milano è l’89,5 %, a Torino il 65,5, a Bologna il 51,5. E a Napoli solo l’1,5… Ci sono posti d’Italia dove si è pensato ai bambini e alle donne più che da noi. Da noi bande di amministratori incapaci, in tutti questi anni, non hanno dedicato tempo al tempo pieno. E così è in tutto il Mezzogiorno. Dove il tempo pieno non raggiunge la media del 9 per cento delle scuole. Il decreto 133 fotografa tale situazione e sancisce che i bambini del Nord avranno il mantenimento di risorse che verranno contestualmente decurtate a Sud. Perché al Nord la scuola di base a orario lungo sarà più o meno salvaguardata almeno nel 50 percento dei casi. E, invece, i bambini del Sud avranno meno scuola pubblica subito; usciranno alle 12 e trenta dalle nostre prime elementari già l’anno prossimo e il tutto cadrà altrettanto subito sulle donne meridionali, a suggello del fatto che tanto nel 62 percento dei casi sono fuori dal mercato del lavoro e che dunque possono attendere i loro figli al ritorno da scuola.
Oggi su Repubblica Napoli ho ripreso questi temi. E andrò a parlarne agli stati generali della scuola del Sud che si terranno venerdì e sabato prossimi a Castel Volturno. Dove spero che gli amministratori delle regioni meridionali si assumano delle dirette responsabilità – in termini di autocritiche e di proposte. Per una volta almeno. E che non facciano solo gli anti-Gelmini d’accatto.
Sì, giovedì sono uscito prima dal ministero e ho attraversato i cortei che avevano invaso Roma. Ne sono rimasto colpito perché erano pieni di proposte e non solo di rabbia e perché erano assai poco ideologici….
Sarebbe bello se rimanessero e crescessero così. Ma temo che la solita politica nostrana gli metta addosso il suo linguaggio, le sue bandiere, le sue ignobili vetustà…
La foto è di Guido D'Amico e non c'entra nulla se non con il titolo. Ma di foto di tailleurs e di tagliatrici, di Palin e Gelmini ce n'è fin troppe in giro. Meglio le brume.
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