21 febbraio, 2014

Lavori in Corso - Bilancio di Mandato


Cari studenti, insegnanti, dirigenti, cari amici e care amiche,

anche al termine di questo breve mandato da Sottosegretario desidero fare un resoconto del lavoro svolto insieme al Ministro Carrozza e alla squadra che ha guidato il MIUR e in particolare sulle mie deleghe, come contributo alla riflessione e alla discussione sui temi educativi e sulle politiche pubbliche, che credo non debba mai venire meno.

Ho avuto, in questi nove mesi, l’opportunità di proseguire il lavoro iniziato e svolto nel corso del mio primo mandato per una scuola contemporanea, personalizzata, inclusiva ed educante. (...)



14 febbraio, 2014

L'agenda che serve al Sud è l'agenda che serve all'Italia

In risposta alle critiche, ma soprattutto per spiegare le ragioni di una scelta politica: investire 15 milioni di euro contro la dispersione scolastica come politica nazionale, preventiva, per la riduzione dei divari. Un mio articolo oggi su Il Mattino.

Il dibattito sui fondi per la lotta alla dispersione scolastica aiuta tutti noi a riflettere. L’Italia attraversa una fase di grande sofferenza. Alle forme persistenti e ormai ben conosciute di esclusione economica e sociale si aggiungono le conseguenze della crisi economica: aumento della disoccupazione, dei giovani inoccupati e precari, delle famiglie impoverite, degli immigrati senza più impiego. I dati Istat non lasciano dubbi: l’emergenza maggiore è al Sud, dove si concentra il doppio delle famiglie povere rispetto al resto d’Italia. Ma anche al Centro-Nord la situazione è in grave peggioramento, complice il disgregarsi dei servizi di welfare locale, che avevano garantito negli anni una tenuta. Secondo la Comunità di Sant’Egidio nella sola città di Roma ci sono 30.000 bambini in povertà assoluta. 
Conosco bene le forme dell’esclusione sociale precoce del Meridione. Ho trascorso vent’anni della mia vita a lavorare con i bambini e i ragazzi esclusi a Napoli e gli ultimi due anni e mezzo – nel mio ruolo di Sottosegretario all’Istruzione, insieme all’allora Ministro Barca e alle Regioni stesse  – a progettare e monitorare l’uso dei fondi europei non spesi dalle Regioni meridionali per reinvestirli nel contrasto alla dispersione scolastica. E’ per questo che oggi sono attive 206 reti di scuole contro gli abbandoni in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, finanziate con 50 milioni di euro. La lotta alla dispersione al Sud è diventata una priorità delle politiche per la riduzione dei divari sociali. Si tratta di un’occasione importante, dopo i numerosi fallimenti del passato nell’uso delle risorse per il Mezzogiorno. Fallimenti - dovuti sia a scelte nazionali, sia a manifeste mancanze della classe dirigente meridionale - che hanno contribuito negli anni a determinare una riduzione progressiva delle risorse per il Sud e ad alimentare la delegittimazione di ogni politica nazionale incentrata sulla riduzione dei divari ovunque e per tutto il Paese.
A questo strumento dedicato al Sud si è aggiunto pochi mesi fa, con il Decreto “L’Istruzione Riparte”, un ulteriore programma di carattere nazionale di prevenzione degli abbandoni. Le priorità di azione che Governo e Parlamento hanno stabilito sono il contrasto del disagio giovanile causa di abbandoni, il rafforzamento delle competenze di base e anche l’integrazione degli alunni stranieri, presenti, com’è noto, maggiormente nel Centro-Nord. Quando si fanno delle scelte politiche le polemiche non mancano mai. Credo sia giusto riconoscere che il Ministero dell’Istruzione ha scelto una prospettiva nazionale, preventiva, che guarda alla complessità, costruendo uno strumento utile alle scuole per rispondere - con risorse limitate, 15 milioni di euro - a bisogni educativi diversi con azioni diverse e mirate. Questa scelta può servire a ribadire che l’Italia è una e che nella crisi le difficoltà devono unirci. 
Ogni giorno mi chiedo se siano sufficienti le azioni e le risorse messe in campo per la lotta alla dispersione scolastica: la risposta è no. Ma so anche che le risorse da sole non promettono successo. Così i decisori pubblici dovranno valutare con accuratezza gli esiti delle politiche già attuate, riprogrammare altri fondi per il 2014-20, dedicare attenzione speciale alle problematiche delle aree interne. E si dovrà poi finalmente cambiare la scuola con una profondità sufficiente e con abbastanza risorse da trasformare in ordinario ciò che oggi è ancora affidato ai programmi straordinari: una didattica più incentrata sui bisogni di ciascuno e una promozione del merito come conquista e non come destino. Tutto questo andrà integrato con politiche anti-povertà e pro-occupazione, che non siano a pioggia né di tipo assistenzialista, in tutto il Paese e soprattutto nel Mezzogiorno. Iniziando da una formazione professionale degna di questo nome, che al Sud non abbiamo saputo costruire. 
Se il Mezzogiorno saprà cogliere le occasioni che si presentano e la politica nazionale muoversi in queste direzioni, i divari potranno cominciare a ridursi.
Solo allora, forse, potremo uscire dall’alternativa “rassegnarsi o gridare” per mostrare alle classi dirigenti del Paese che l’agenda che serve al Sud – istruzione, lotta alla povertà e all’esclusione, ambiente, occupazione e imprenditorialità – è la stessa agenda che serve all’Italia. 



26 novembre, 2013

Concretezza e azione sociale. La terza via meridionalista di Carlo Borgomeo.

La recensione del libro di Carlo Borgomeo "L'Equivoco del Sud" (Editori Laterza) pubblicata a mia firma su La Stampa del 25 Novembre 2013.

L’equivoco del Sud di Carlo Borgomeo (edito da Laterza) è una chiamata alle responsabilità, comuni e di ciascuno. Il libro si fonda su un rovello antico. Un rovello che è nato con l’Italia unitaria, con il famoso monito di Giuseppe Mazzini: «l’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà». Un monito che ha ispirato, lungo i decenni, chiunque abbia voluto contribuire a dare una prospettiva al Sud e dunque al Paese intero, da Giustino Fortunato e Gaetano Salvemini fino a oggi. E che ha prodotto una domanda tenace, un rovello appunto: come e con chi fare le cose che servono?  

È il rovello delle persone che, concentrate su come risolvere problemi nell’interesse comune, hanno voluto rimarcare una distanza nei confronti di tanta parte delle classi dirigenti meridionali che hanno operato, al contrario, per perpetuare se stesse usando i problemi anziché affrontandoli; e che, nel farlo, hanno tratto vantaggio dalla sterile altalena urlo/piagnisteo.  
Borgomeo prova una vera insofferenza verso l’alternativa «lottare o piagnucolare», che sembra sempre intrappolare larga parte della discussione pubblica sul e nel Mezzogiorno. Egli ha, infatti, dedicato il suo impegno al fare concreto, negli ultimi anni come presidente della Fondazione Con il Sud, mettendo insieme le vocazioni più illuminate presenti nelle grandi fondazioni bancarie del Nord con le forze migliori del terzo settore, della scuola pubblica, del volontariato del Mezzogiorno.  

Alcune delle esperienze di maggiore successo sono riportate nel libro, come la bellissima avventura della Cooperativa La Paranza dei ragazzi del Rione Sanità di Napoli, che accompagnano i turisti nelle meravigliose Catacombe di San Gennaro. Ma molte altre andrebbero raccontate: dalle cooperative sorte nei beni confiscati alle mafie, fino alla rete Crescere al Sud, che unisce le principali realtà che si battono in campo educativo nelle aree di maggiore esclusione sociale.  

L’autore, tuttavia, non sposa la facile retorica delle «buone pratiche». Suggerisce piuttosto che s’impara almeno altrettanto dalle «cattive pratiche» e che servano a poco gli esempi di eroismo irraggiungibile. Nell’azione di Borgomeo - ben oltre le parole del libro - la prospettiva è quella di confrontarsi tra chi opera e di dare parola e, poi, sostenere esperienze tanto concrete quanto promettenti in termini sia di coesione sociale sia di crescita economica. Riportare a scuola i ragazzini; dare forza a imprese che coniugano legalità e approcci ecosostenibili; rimettere in moto produzioni agricole di qualità; rendere concorrenziali e solide le produzioni manifatturiere che hanno resistito alla crisi; trovare nuove soluzioni alle povertà urbane estreme; creare filiere di vera formazione professionale; garantire crediti a chi crea impresa innovativa.  

Il libro - che ci accompagna con una sorvegliata e incisiva attenzione ai dati e che attraversa episodi paradigmatici di sviluppo effettivo e di sviluppo mancato nel Mezzogiorno – delinea la necessità e la possibilità di una politica diversa. Attenzione per il divario sociale prima che per il reddito; esigenze territoriali diversificate contro programmazione nazionale rigida; selezione dei destinatari delle agevolazioni e dei fondi sulla base della validità sotto il profilo imprenditoriale e sociale invece che attraverso complicate procedure formali e burocratiche; premialità verso chi realizza, anziché verso le troppe posizioni di rendita; forte investimento sulla partecipazione della comunità e del territorio; costante attenzione ai dettagli del saper risolvere specifici problemi.  

Borgomeo mostra sprechi e cattivo governo o peggio ma individua il centro della questione - l’equivoco del Sud, appunto - nell’aver troppo a lungo concentrato l’attenzione, dopo la fase di sviluppo post bellico, su quante risorse fossero stanziate anziché sulla loro destinazione e su un accurato e costante esame degli esiti effettivi. E nell’aver creduto che la soluzione risiedesse solo nella crescita del Pil e del reddito medio, anziché nello sviluppo delle comunità che va fondato su diritti inalienabili quali la legalità, la scuola per tutti, i servizi sociali e culturali esigibili, la possibilità di imprese sane, un credito accessibile, un lavoro raggiungibile.  

Dunque, il fallimento della politica e delle politiche viene messo in relazione con una dipendenza da modelli sbagliati. E Borgomeo suggerisce un capovolgimento di paradigma: la coesione sociale va finalmente posta come vera premessa per qualsiasi prospettiva di sviluppo.  

Si tratta di una sottolineatura importante, che ha i padri ispiratori nel meridionalismo riformatore del dopoguerra, nel cattolicesimo comunitario, nella cultura liberale e azionista, nelle esperienze di sviluppo locale di cui il Sud ha dato testimonianze d’avanguardia, alte ma inascoltate.  

Poiché Borgomeo non si sottrae dal fornire un ritratto impietoso delle classi dirigenti nazionali e meridionali - senza scadere mai nella banalità del «sono tutti ladri» e nei deliri catartici - egli cerca le ragioni storiche e politiche che hanno determinato la pressoché totale mancanza di responsabilità, coraggio, efficacia, una mancanza che ha spinto alla sconfitta o relegato in condizione di minorità proprio quelle esperienze e pensieri passati che contenevano le migliori promesse, disattese.  

Così l’analisi di Borgomeo ci chiede di dismettere ogni facile ottimismo, per prepararci davvero a una nuova stagione di fattiva responsabilità nel Meridione e in tutto il Paese.  

07 ottobre, 2013

Un parziale lieto fine

Spesso ci sono episodi che avvengono nelle nostre scuole che vale la pena raccontare. Per rendere l’idea dell’impegno con il quale dirigenti, insegnanti, famiglie affrontano le tante difficoltà, soprattutto nei territori difficili.
Diversi giorni fa apprendo dai giornali locali che la scuola Virgilio 4 di Scampia, a Napoli, dove l’anno passato abbiamo presentato in una bella conferenza stampa i prototipi contro la dispersione scolastica – una scuola funzionante, innovativa, importantissima per il territorio – aveva subito il secondo furto in dieci giorni. Numerosi pc, tablet, strumenti musicali, materiali didattici erano stati sottratti.
Ho subito telefonato al dirigente scolastico, Paolo Battimiello, che mi ha raccontato la triste sorpresa per ben due mattine in dieci giorni, la corsa dai carabinieri per fare la denuncia, il grande supporto ricevuto dalle forze di polizia e dall’ufficio scolastico regionale.
Ma ciò che più consola, il grande coinvolgimento delle famiglie dei bambini di fronte a un episodio tanto grave.
Parte un lavoro di squadra: le ricerche dei carabinieri sul territorio e lo sforzo della comunità scolastica per restare unita e mostrare la propria indignazione al quartiere di fronte a un furto che colpisce non soltanto ciascuno dei bambini della scuola, ma l’immagine stessa di Scampia, così spesso oltraggiata e ferita dalle rappresentazioni mediatiche semplificate e dalle sempre dannose generalizzazioni.
Nel pomeriggio buona parte della refurtiva viene ritrovata nel cortile. Gli autori hanno deciso di restituirla, perfettamente integra. Un parziale lieto fine, a cui faranno seguito le ricerche della parte ancora mancante e il doveroso aiuto che siamo pronti a fornire ad una scuola capace e coraggiosa. Che ci ha dimostrato ancora una volta che una scuola – e ce ne sono tante così – è un bene prezioso nei territori difficili e può battersi  per la legalità, farsi comunità educante, stringere alleanze importanti con i cittadini di un quartiere, affrontando situazioni difficili. 

01 ottobre, 2013

Questi giorni

Mentre in Italia saranno ore decisive per le sorti del Governo, rappresenterò il Ministro Carrozza all'incontro OCSE di Istanbul su scuola, formazione professionale e competenze degli adulti. Siamo indietro, soprattutto sulla formazione degli adulti. Dirò che il Governo è impegnato contro la disoccupazione giovanile – ormai oltre il 40% - e contro la dispersione scolastica. Ma per farcela l’Italia ha bisogno di continuità, responsabilità e determinazione su questi temi. E’ impossibile affrontare le emergenze cambiando Governo ogni anno. La crisi politica di questi giorni mette in pericolo il decreto sull'istruzione e futuri provvedimenti. 
Le larghe intese non erano la strada preferita da molti di noi. Ma si è scelta questa difficile via e dover interrompere il lavoro ora, in questo modo, comprometterebbe anche gli sforzi fatti per la discontinuità con il passato, che per la prima volta hanno portato nuove risorse per la scuola.
Non sarà facile rispondere alle domande dei colleghi dell’OCSE. Spiegare il perché di tutto questo. Spero di ricevere buone notizie per il nostro Paese.

09 settembre, 2013

La scuola riparte

Sarà un inizio anno scolastico da ricordare in modo positivo. Proprio oggi - mentre riprendono le lezioni in molte scuole in tutta Italia - il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto Scuola, Università e Ricerca. E’ il frutto del nostro lavoro nei primi 100 giorni di Governo ed è il primo passo che finalmente si compie per una vera inversione di tendenza nelle politiche per l’istruzione. Non soltanto il Ministro Carrozza ha mantenuto la promessa dello stop ai tagli (la scuola sarà l’unico settore escluso dalla spending review), ma arrivano le prime vere risorse dopo la stagione dei tagli 2008-2011. 

Il Decreto del Fare aveva stanziato 450 milioni per l’edilizia e ora il Decreto Scuola aggiunge altri fondi per aiutare le scuole e gli Enti Locali ad accedere a mutui agevolati della Banca Europea degli Investimenti ed altre agenzie internazionali del credito. Il Decreto prevede altre, significative risorse in capitoli decisivi per l’inclusività e la qualità del nostro sistema scolastico. 
 Una prima risposta per i ragazzi sono 100 milioni per le borse di studio. E’ un investimento consolidato, che dal 2014 sarà a bilancio dello Stato ogni anno. E poi ci sono risorse per alcuni strumenti di welfare studentesco, come i contributi per trasporti e mense. C’è un finanziamento per il comodato d’uso dei libri di testo e norme più stringenti in materia di tetti di spesa per gli stessi. 
Il contrasto alla dispersione scolastica acquisisce finanziamenti in più per estendere ed integrare le azioni in corso e per aprire le scuole al pomeriggio. 
E’ un testo che si rivolge anche ai docenti e al personale, affrontando questioni aperte da tempo e rilanciando in tema di stabilità e continuità didattica. Infatti si prevede un piano triennale di assunzioni su tutti i posti liberati dal turn over e su quelli vacanti e disponibili, per il triennio 2014/16, per 69mila docenti e 16mila ATA. Si assumeranno più ispettori. Si abroga la norma che prevedeva il transito dei docenti inidonei nei ruoli amministrativi, il che ridarà quelle posizioni al personale ATA. Insomma: si darà certezza a molte migliaia di docenti e a ragazzi e famiglie. A partire dai più fragili. Oltre 26mila docenti di sostegno verranno assunti a tempo indeterminato, garantendo la continuità didattica a 52.000 alunni oggi assistiti da docenti precari. Riparte poi, finalmente, la formazione in servizio per i docenti, con priorità alle aree a rischio socio-educativo, alle competenze digitali e ai percorsi scuola-lavoro. 
E’ un provvedimento che immette nell’agenda politica concetti e parole importanti per la scuola e per il Paese: più istruzione, più opportunità, più coesione. E lo fa con un primo investimento di 400 milioni di euro. E’ il primo segno “+” dato alla scuola dopo tanti anni e tante difficoltà per studenti, famiglie e personale. 

So bene che non tutto sarà magicamente risolto con questo decreto e che alcune questioni importanti rimangono aperte. Il nostro impegno continuerà anche nei prossimi mesi per riportare a regime gli investimenti nel settore e per seguire con cura le azioni previste dal decreto. Oggi, però, registriamo che una ripartenza è possibile. Inizia il nuovo anno scolastico e la scuola italiana riparte. 
Auguri di buon lavoro a tutti noi! 

 Il comunicato stampa di Palazzo Chigi 

 Le slide “L’istruzione riparte”

 Il video della conferenza stampa

06 luglio, 2013

Primo mese

Il primo mese del nuovo mandato da Sottosegretario è passato, tra appuntamenti fissi per il mondo della scuola e qualche prima novità.
Tra gli appuntamenti fissi, la fine dell’anno scolastico e gli esami di maturità. I temi della maturità a me sono piaciuti perché portavano dentro il mondo per come è e alle grandi questioni aperte per le nuove generazioni. Ho proposto una riflessione sulle bocciature, intervistato sul tema da Panorama, che tenga insieme il patto educativo tra il ragazzo e gli insegnanti e la scelta finale del collegio docenti. Che deve essere per il ragazzo comprensibile. Occorre comunque e sempre sottrarsi a semplificazioni e generalizzazioni quando ci si confronta sui temi educativi.
Molto grave, invece, l’episodio di Nola, dove la guardia di finanza è intervenuta durante lo svolgimento dell’esame di Stato in un sospetto “diplomificio”. Durante lo scorso mandato mi ero personalmente impegnato per il varo di nuove norme restrittive, ma tutto si era fermato in Parlamento. Il Ministro Carrozza ha annunciato  di voler subito riprendere questo percorso: mi sembra cosa buona e giusta, utile a colpire cose inaccettabili e anche a difendere il senso di un sistema pubblico integrato tra scuole statali e scuole paritarie.
Ho avuto modo di partecipare a nome del Governo al dibattito nell’aula della Camera al gran completo attorno alle mozioni di tutti i gruppi parlamentari sulle risorse per la scuola. Da allora sto parlando, nel merito delle cose da fare per la scuola nelle condizioni date, con parlamentari di tutti i gruppi. Comunque quello è stato un momento di forte unità nazionale e di confronto vero sulle priorità, a partire dalle linee programmatiche già presentate dal Ministro Carrozza. Ho espresso la mia soddisfazione per questa unità di intenti, che trovo importante e non scontata. Insomma, finalmente tutto il Parlamento della Repubblica concorda che i soldi per la scuola sono investimenti in sviluppo e coesione del Paese.

Ora occorre mettere insieme un po’ di risorse attorno ad alcune priorità realizzabili in poco tempo.
Mi pare un’ottima notizia che l’Unione Europea abbia dato il via libera ad un po’ di investimenti per la crescita: ritengo che l’edilizia scolastica possa pienamente rientrare tra queste priorità. Serve molto alle scuole e alla messa in sicurezza, dà lavoro alle imprese.
Ma servirà anche -  più prima che poi! -  capire quante risorse si possono mettere sulla qualità dell’istruzione e sul diritto allo studio. Anche questo è investimento in sviluppo, al pari delle misure già varate per sostenere l’occupazione dei giovani. Va bene affrontare l’emergenza, ma le politiche per i giovani devono diventare mainstreaming: pervadere l’agenda politica del Paese, dall’istruzione, al welfare allo sviluppo economico.
Vanno bene i primi passi, aiutano. Ma non bastano, non bastano più.
I primi cento giorni del Governo saranno un primo momento per capire se si riesce davvero ad andare in questa direzione.

07 giugno, 2013

Buoni programmi

Foto da "Banchi di scuola"
di Carla e Giorgio Milone
La settimana scorsa il Ministro Maria Chiara Carrozza ha conferito le deleghe: a me spetta occuparmi – tra le tante cose - della scuola di base, dei bisogni educativi speciali, dello status dello studente, della legalità e del contrasto alla dispersione scolastica. E di formazione e reclutamento degli insegnanti.
Sono compiti importanti, molti dei quali in continuità con ciò a cui ho lavorato nello scorso mandato. Cercherò di svolgerli al meglio nel tempo che ci sarà dato in questo Governo.
Che ha bisogno di uno slancio, mi pare. A partire dalle buone notizie che ci arrivano dall'Europa: l’Italia esce dalla procedura di infrazione e questo potrà significare – speriamo presto - qualche margine d’azione in più per far ripartire gli investimenti in sviluppo, occupazione ed equità. E’ essenziale che tra queste priorità ci sia la scuola. Lo ha ribadito anche il Ministro Carrozza portando  alla discussione in Parlamento le linee guida del suo mandato su scuola, università e ricerca.

Intanto ci sono un paio di buone novità per Napoli: ho incontrato i lavoratori di Città della Scienza, che aspettavano da mesi e mesi gli stipendi. Abbiamo trovato una prima intesa su tempi certi per effettuare i pagamenti, a partire da questo mese.
E per la prima volta dopo anni, in Campania aumentano gli organici: 250 posti in più per la scuola di base. Si riuscirà così a coprire totalmente la domanda di tempo pieno e prolungato.
E’ un segno di sensibilità verso un’area difficile. So bene che le ristrettezze si sentono anche altrove, ma da qualche parte occorre cominciare e speriamo presto di poter pensare a un’azione più estesa.

Diversi casi di cronaca – tra cui la terribile morte di Fabiana in Calabria -  hanno nuovamente portato alla ribalta un tema delicatissimo. La fragilità dei ragazzi, che arriva a fare e farsi male. Si richiama - a volte anche a sproposito - il bullismo. E ci si chiede come sia possibile e cosa poteva, doveva fare la scuola per evitare tutto questo. Da un lato la scuola è chiamata a svolgere compiti sempre più estesi, nel campo della socializzazione e della relazione con l’altro. D’altra parte deve difendere la sua mission principale: essere un luogo in cui si apprendono conoscenze e competenze in maniera formalizzata. Anche in questo caso Carrozza ha fatto un passaggio importante nelle linee guida presentate alle Camere, sulla domanda complessa e confusa di educazione a cui le scuole devono rispondere.

Il Miur deve trovare le strade per affrontare la questione insieme alle scuole, a partire da quanto di buono già si fa, per essere luogo di costruzione e sperimentazione di relazioni positive, belle, vere. Serve aprire una discussione, cominciare a porre le giuste domande senza aver fretta di trovare le risposte. E’ in questo ambito che vanno inserite tutte le azioni contro l’omofobia, per la prevenzione della violenza sulle donne e contro ogni odiosa discriminazione. Ci stiamo interrogando attorno a tutto questo.

Uno spunto originale viene dai ragazzi del liceo Fermi di Aversa, i compagni di scuola di Emanuele. Che mi hanno scritto le loro proposte, che spero di discutere presto insieme a loro.
E Cesare Moreno ci propone invece una discussione costituente – a tratti sanamente provocatoria -da farsi nei più alti luoghi della Repubblica attorno ai temi educativi.
A me piacerebbe che anche questo spazio diventasse parte di questa discussione. Come si educa alla relazione. Come comunicare tra scuole e tra scuole e Ministero quello che si fa in questo ambito, i risultati, le criticità. Come rispondere alla grande domanda educativa che ci giunge in forme sempre nuove dai ragazzi e dalle famiglie.

14 maggio, 2013

Un nuovo inizio


Sono di nuovo Sottosegretario. Ho avuto la notizia mentre ero già a Trento per riprendere servizio da insegnante. E il 3 maggio, emozionato, ho giurato. E’ una cosa importante, complessa, impegnativa e davvero inattesa. Com'è noto ho sperato in un diverso esito delle elezioni, nell'apertura di una nuova fase in cui una maggioranza di centrosinistra potesse occuparsi di urgenze e aspettative con rinnovato slancio. E’ andata diversamente. 

Le incertezze sul futuro sono tante. Ma sono felice che il premier Enrico Letta e il nuovo ministro dell’istruzione, Maria Chiara Carrozza, abbiano voluto anche me in questa squadra. Perché è un segnale di continuità su alcuni temi su cui abbiamo lavorato nel governo passato, che ho cercato insieme al mio staff di riassumere nel bilancio di mandato.
E perché credo che un governo- seppure molto composito- guidato da uno dei premier più giovani d’Europa, confrontandosi con un Parlamento fra i più giovani d’Europa, qualche risposta possa darla.  Un governo di servizio, lo chiamano. E’ con questo spirito che nel mio ambito sono pronto a lavorarci. 

La bussola devono essere i giovani. Soprattutto quelli che partono con meno. Non possono più attendere: serve trovare il modo di aprire la strada verso il futuro. Servono occasioni di lavoro. La possibilità di avere un credito in banca. Più borse di studio. Mi sembra doveroso che i giovani siano tra le priorità dei primi 100 giorni. E mi sembra davvero molto positivo che si escludano nuovi tagli all'istruzione: lo ha detto Letta a Che Tempo Che Fa  e oggi la Commissione Bilancio ha escluso il settore dai tagli per finanziare il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese.

So bene che le parole non bastano mai. Le parole non bastano più soprattutto di fronte alle gravi e tante difficoltà che gli italiani vivono. Non bastano assolutamente, in questo clima di sfiducia. Serve mostrare inizi veri, concreti. E  poi difenderne il valore davanti a chi è preso dall'esasperazione e dice ormai “O tutto o niente”. Ma con metodo e un po’ di risorse le cose si devono fare. Sarà una battaglia culturale e politica, non una passeggiata. Va ingaggiata e sostenuta con sostanza.

Devo ringraziare tutti coloro - davvero tanti -  che mi hanno sostenuto. E quanti mi hanno scritto per farmi gli auguri e suggerirmi priorità. Cerco di leggere tutto. Sono tutte energie che aiutano a ripartire. Grazie. 

22 aprile, 2013

1963-2013: la scuola media unica mise in moto l'Italia

Nel 50° anniversario della riforma della scuola media unica vale la pena ricordare come essa nacque da un decisivo dibattito parlamentare attorno all'idea di uguaglianza. Le nuove scuole medie aprirono le porte a 600.000 ragazzi e ragazze - figli di operai, braccianti, artigiani. Per qualche decennio il nostro Paese sperimentò la mobilità sociale. La riforma spezzava un tabù radicato nella cultura politica italiana, ma l'evoluzione fu troppo lenta e faticosa. Ho scritto di questa ricorrenza e di quale strada ci indica nel tempo attuale in un articolo su La Stampa del 21 Aprile. Ecco il testo integrale.


Pochi giorni prima del Natale del 1962 venne approvata dal primo centro-sinistra la legge n. 1859, che istituì la scuola media unificata, applicando finalmente la Costituzione della Repubblica che prevedeva otto anni di scuola gratuita e obbligatoria per tutti. La scuola media unica, insieme alla statalizzazione dell’energia elettrica, fu parte delle condizioni programmatiche poste dal partito socialista per terminare l’opposizione e avvicinarsi a un governo insieme alla DC superando l’alleanza frontista con i comunisti che durava dal 1948.
Così, nell'anno successivo, il 1963/64, le nuove scuole medie aprirono le porte a ben 600.000 ragazzi e ragazze, figli di operai, contadini, artigiani, piccoli commercianti e braccianti, che fino ad allora non erano andati oltre la quinta elementare o l’“avviamento professionale” secondo le norme del 1928.
Immaginiamo la scena. Nell'ottobre del 1962 Gianni e sua cugina Carla, figli di un salumiere e di un operaio edile, finiscono a pieni voti la quinta elementare. Hanno dieci anni. E le famiglie decidono di non mandare i due ragazzi alla scuola media – allora unica via d’accesso ai licei e poi, forse, all'università – ma semmai all’”avviamento”, dove per tre anni, sei giorni a settimana, con tuta e arnesi per l’officina o grembiule e attrezzi per i cosiddetti “lavori domestici”, tutti comprati dalle famiglie, ci si “ammaestrava” al lavoro e basta. Senza accesso al sapere del mondo. Ed ecco che, con la nuova legge, nell'autunno del 1963, i fratelli di poco minori di Gianni e Carla entrano invece a scuola e studiano Italiano, Matematica, Storia, Geografia, Scienze, Arte, Inglese o Francese, Ginnastica, Musica. E – quel che più conta - hanno le porte aperte all'accesso agli studi superiori. Inoltre fanno almeno un anno di latino - la materia simbolo dell’idea stessa di conoscenza delle classi medie italiane - che fu, infatti, l’oggetto intorno al quale si concentrò la polemica politica.
Anche se oggi vi è un proficuo dibattito sui limiti della nostra scuola media, va ribadito che la riforma fu una conquista storica in termini di eguaglianza. E non solo. La riforma, infatti, ebbe un successo multi-dimensionale perché, partendo dai diritti, spinse in avanti l’economia e la società italiane. 

12 aprile, 2013

Partecipare


Ieri sera a Otto e mezzo Fabrizio Barca, nel presentare la sua memoria (Un partito nuovo per un buon governo) - ha detto a Lilli Gruber che si era appena iscritto al PD. E ha aggiunto che anche io l'ho fatto a Napoli. 

Fabrizio si è iscritto dopo tantissimo tempo a un partito. La sua vicenda è quella di una persona di cultura di sinistra che ha fatto il civil servant ad altissimi livelli per lunghi anni. E che ora dichiara che lo Stato non può cambiare  se non è spinto radicalmente al cambiamento grazie all’azione di un partito nuovo, distinto dallo Stato stesso, che lo incalzi in modo costante con proposte argomentate e realizzabili, mettendosi continuamente in discussione nel vivo del confronto e studiando le soluzioni ai problemi locali e nazionali insieme ai cittadini. 

E’ dalla scorsa estate che mi confronto con Fabrizio sul tema di quale tipo di aggregazione politica possa migliorare l’Italia, in modo concreto, accettando sia il conflitto che la fatica della determinazione pubblica, trasformando le indignazioni in proposte che, poi, però, si attuino, nel confronto con chi vive i problemi e vuole risolverli, cambiando la vita delle persone, facendoci uscire da una lunghissima stagione di depressione economica, politica, culturale, umana. 

Del resto - come testimonia tutta la storia di questo blog - è questa l’ispirazione di ogni mio impegno pubblico. Non ho mai preteso di fare altro che questo; e ho sempre inteso farlo insieme agli altri attraverso prove di democrazia deliberativa, decidendo insieme per il bene comune. Inoltre, da tempo so e dico che senza misurarsi con un partito – e con il PD in particolare – è difficile poter pensare all'opera culturale, comunitaria e fattiva di cui l’Italia ha bisogno. Perché, con tutti i suoi limiti, il PD è l’unico partito non costruito intorno a un capo ed è il solo che abbia i saperi e i legami con molti mondi e migliaia di persone necessari per potere affrontare la complessità e tradurre i sogni nella fatica artigianale del risolvere i problemi. Per questo mi ero già iscritto al PD e ora, dopo due anni di interruzione, riprendo a farlo ben sapendo  che i limiti e le mancanze di questo partito chiamano a una sua profonda trasformazione. 

Per tutte queste ragioni ho condiviso molte riflessioni con Fabrizio, a partire dalle mie esperienze. Che sono diverse dalle sue. Perché io vengo dalla scuola e dal lavoro sociale e da queste dimensioni mi sono confrontato con le istituzioni e i problemi della democrazia e della effettiva partecipazione. Ed è entro i limiti delle cose che conosco che intendo continuare a farlo. 
Al contempo ho condiviso con Fabrizio la semplice constatazione che il Governo di cui siamo parte è stato chiamato a riprendere in mano il Paese, ha fatto cose indispensabili e difficili ma non sufficienti ad uscire da questa crisi e che si deve aprire una stagione di innovazione e riparazione che necessitano di una forte determinazione politica. 

Ed è proprio sui metodi e sui contenuti di tale determinazione politica che si gioca il nostro futuro e quello dei nostri ragazzi, insieme ai quali ci si deve pur spendere; e sono contento che in queste ore tante persone, vicine e non, mi stanno dicendo che - per quanto difficile - è questa la strada comune da prendere.


10 aprile, 2013

La domanda dei ragazzi


Domenica sera ad Aversa un ragazzino di 15 anni, Emanuele, è morto accoltellato. Un altro ragazzino, 17 anni, è accusato di omicidio. Vi è una pena grande. Per Emanuele che non c’è più. Per i suoi genitori. Le cose terribili tra ragazzi capitano. Molte per “futili ragioni”. Ma nel Mezzogiorno povertà, disgregazione sociale e la lunga, intollerabile mancanza di occasioni di speranza creano atmosfere, contesti, frustrazioni, rabbia che – al di là delle singole responsabilità – mostrano che viviamo una crisi profondissima.
Quando ho appreso la notizia ho telefonato alla preside della scuola di Emanuele: la conosco da molti anni, dirige una scuola molto attiva e seria, che fa parte anche dei prototipi contro la dispersione scolastica che abbiamo avviato. Mi ha detto che in serata era prevista una fiaccolata organizzata dai ragazzi della scuola, dagli amici di Emanuele. Ho deciso di andare. 
Ho trovato davanti ai miei occhi qualcosa di incredibile: tremila ragazzini sfilavano in assoluto silenzio per le strade della città. Accompagnati dai loro insegnanti e dalla dirigente della scuola, da qualche rappresentante delle associazioni locali. C’era il vescovo di Aversa e alcuni esponenti dell’Arma dei Carabinieri. E’ c’era il Sindaco.
Mi è sembrato davvero che quella risposta straordinaria dei ragazzi, la muta domanda di quella testimonianza di sgomento, abbia trovato pochi ed isolati interlocutori. Ho provato a dir loro poche sentite parole. Una cosa difficilissima a farsi. 

Il giorno dopo avevo appuntamento a L’Aquila dove - proprio in concomitanza con il quarto anniversario del terremoto – erano riuniti i Presidenti delle Consulte Studentesche di tutta Italia per la loro conferenza annuale. Hanno passato tre giorni a discutere tra loro, a confrontarsi sulla condizione delle loro scuole, a proporre soluzioni. E si sono conosciuti con i loro coetanei aquilani, hanno potuto guardare alla realtà del capoluogo abruzzese dopo il terremoto attraverso i loro occhi, andando a visitare la zona rossa, parlandone a lungo e guardando i bellissimi video fatti dai ragazzi delle scuole dell’Aquila. Ho ascoltato i loro interventi. Hanno approvato un documento molto bello ed efficace nella sua semplicità. Chiedono alle istituzioni di fare qualcosa per dare un Governo a questo Paese che possa occuparsi del malessere dei più giovani. Si dicono preoccupati e richiamano la classe dirigente alla responsabilità. Vogliono ricordare alle massime cariche dello Stato che la nostra Costituzione è ancora una promessa da realizzare con l’impegno di tutti. 
Ho raccontato loro di Aversa, di quei ragazzi che sfilavano in silenzio assoluto. Lo stesso silenzio delle strade dell’Aquila. Un silenzio che chiama alla responsabilità politica delle classi dirigenti, come il documento che hanno scritto. Chiama alla cura della polis, della nostra comunità.
Sento forte il peso della situazione attuale. Sono preoccupato e non posso nascondere la responsabilità della generazione a cui appartengo. Personalmente non mi sento tanto in colpa, ma la questione non è personale. Noi siamo responsabili di fronte alle nuove generazioni. Noi abbiamo consegnato ai più giovani un Paese per troppi versi peggiore di quello che abbiamo ereditato. Dobbiamo dire questa cosa, fare un'operazione di verità come generazione. Altrimenti continueremo a occupare lo spazio pubblico a nostro modo. Solo così possiamo interloquire con i ragazzi e consegnare responsabilità.
Ogni volta che questo accade, noi impariamo qualcosa da loro. Se noi non abbiamo portato a casa i risultati allora dobbiamo tornare ad apprendere insieme a loro.
Le retoriche servono pochissimo, bisogna tornare alla circolarità dell'apprendimento fra le generazioni. Quel documento che mi hanno consegnato riguarda al contempo la scuola e l'Italia. 
Li ho ringraziati per il loro lavoro e la loro passione. Per questa fatica di mettersi d'accordo che persone che sembrano tanto importanti – lo vediamo - non riescono a fare. Ho chiesto loro di andare avanti e di nutrire la loro paziente opera di proposta e di sogno di cui l'Italia ha bisogno per poter uscire da questa situazione. 


08 aprile, 2013

Tra urgenze e attese


Siamo ancora qui, in ordinaria amministrazione. Nell'attesa che arrivi un nuovo Governo o il voto. Lavoriamo a tutto quello che possiamo seguire. Cose ordinarie, ma di grande importanza nella vita quotidiana delle scuole.
Mi sto occupando dell’avvio del prossimo anno scolastico perché le risorse arrivino più puntuali e certe rispetto all'anno passato.
Sto seguendo la riprogrammazione dei fondi europei 2014-20 per istruzione e formazione. Si tratta di una fase di concertazione con regioni e parti sociali sulle priorità: dov'è che bisogna concentrare i soldi europei? 
C’è poi l’avvio del lavoro delle 212 reti di scuole per i prototipi contro la dispersione scolastica. Circa 1000 scuole coinvolte in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia.
Abbiamo insediato presso il Miur il Comitato Scientifico per l’attuazione delle nuove Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola di base: avvierà da subito la formazione per i docenti e un confronto con le scuole. 
Stiamo seguendo l’attuazione della direttiva sui Bisogni Educativi Speciali. Si tratta di migliorare la capacità delle scuole di dare sostegno a chi è più fragile.
Le scuole lavorano tutti i giorni. Nonostante problemi e incertezze. E noi qui proviamo ad aiutarle.

In questi giorni nuovi dati Eurostat ci hanno ricordato i tagli draconiani che la scuola italiana ha subito dal 2008: 8,3 miliardi di fondi in meno ci hanno portato al penultimo posto in Europa a 27, prima soltanto della Grecia. E’ vero che gli interessi sul debito rendono i dati comparativamente peggiori di altri Paesi. Ma il ritardo c’è lo stesso. Eccome.
Questi tagli che sono stati fatti – lo sappiamo – in modo drastico e lineare, pesano moltissimo, negano il futuro. 
Bisogna fare come per i crediti delle imprese: procedere subito ad una prima restituzione, su alcune priorità assolute. L’estensione delle azioni di contrasto alla dispersione scolastica; la formazione in servizio dei docenti; un po’ di organico stabile e certo per rafforzare e rilanciare l’autonomia delle scuole di programmare e organizzare; il diritto allo studio, soprattutto. 
Sento moltissimo – più di ogni altra cosa – che noi non possiamo rivolgerci più ai ragazzi senza un primo gesto di riparazione. Mentre diminuiva la spesa per la scuola, aumentava quella per sanità e pensioni. Qui non si tratta di togliere a chi è già in sofferenza, ma di trovare subito un po’ di risorse dove si possono prendere, per restituire un primo pezzetto di futuro. Fare in fretta.  Lo ha detto anche il Garante per l’Infanzia: due milioni di bambini e ragazzi sono in forti difficoltà. Non c’è tempo.

19 marzo, 2013

Il punto


Sarò lungo. Ci sono dei momenti nei quali si deve fare un po’ il punto. 
In questo blog da otto anni provo a parlare di politica fuori dal suo linguaggio separato. Provo a parlare di politica come quella cosa complicata che è governare la polis, la nostra grande città che è una comunità anche quando è ferita, inaridita, lacerata, abbandonata o quando c’è la speranza ma fa fatica a diventare atto, costruzione, azione positiva. Sono partito dalla mia città, che si chiama Napoli, Nea polis, città nuova. Come ci si può occupare della propria o della più grande città che abitiamo facendola nuova in senso profondo e perciò anche conservandone le molte parti promettenti, come si fa politica – in senso proprio - oggi? Come la si ripara e innova la nostra grande polis? Come lo si fa insieme – tra chi governa e rappresenta e chi è governato ma deve poter davvero contare nelle decisioni riguardanti il bene comune? Se si guardano i quasi 500 post di questo luogo negli anni, beh, è questo il tema che ho scelto di trattare: i problemi da affrontare, la descrizione del loro carattere complesso, lo stato dell’arte nel mondo su come li si analizza e tratta, il come provare a risolverli. L’ho fatto soprattutto a partire dalle cose che so, che ho studiato e innanzitutto direttamente praticato, le cose che hanno occupato i miei giorni: la scuola e i temi educativi – con in testa i bambini e i ragazzi -, il Sud, l’inclusione sociale. Perché non ho mai avuto altra idea della politica. 

E’ da questo punto di vista che guardo con preoccupazione, dubbio e speranza al nostro Paese che ora è immerso in un passaggio molto difficile. E’ venuta meno la speranza che la volontà popolare indicasse un vincitore certo delle elezioni, per comporre un Governo caratterizzato da stabilità e consenso, che si occupasse subito, in modo anche nuovo ed efficace, delle cose da fare: promuovere un’idea di Europa più comunitaria che tecnocratica, più partecipativa e solidale, capace di concentrarsi sull’uscita da una crisi economica, sociale e culturale profondissima, liberando risorse per avviare la crescita e presto alleviando la morsa di approcci recessivi; mettere risorse e subito per le urgenze sociali e per la scuola; avviare davvero la riforma della politica; dare diritti a chi non li ha, a partire dalla cittadinanza per i bambini nati da genitori non italiani che vivono in Italia, ecc.
Invece siamo in una situazione di stallo - il che contrasta fortemente con le tante urgenze. 
Il voto ha premiato le denunce urlate. I motivi vengono discussi da giorni: Hanno prevalso l’indignazione e la ripulsa radicale per anni in cui troppa parte della politica è restata lontana dalla vita e dalle cose da fare, al riparo con i suoi privilegi, incapace di innovarsi.
Ho questi pensieri, come tante altre persone. 


07 marzo, 2013

Una ferita da risanare subito

Un mio intervento su La Stampa del 6 Marzo 2013:


L’area di diecimila metri distrutta dal rogo non è un semplice museo che si affaccia sul golfo.  
La Città della Scienza di Napoli è un simbolo. E’ nata nel 1996 nell’area della grande dismissione dell’Ilva di Bagnoli. Nel luogo simbolo della Napoli produttiva e operaia, che era stata lasciata solenne e vuota, mai più dedicata a una prospettiva di sviluppo, come invece è stato per le aree industriali dismesse di Torino. La dolorosa Dismissione narrata da Ermanno Rea. Così, la vastissima area ricordava alla città una perdita operosa e cosciente – gli operai delle fonderie poi degli altoforni e dei laminatoi – che avevano donato per decenni l’ossatura di una vera presenza democratica e lasciavano un gigantesco vuoto.  

Ebbene, è proprio in questa area dolente che la nascita della Città della Scienza – unica porzione attuata di un piano regolatore disatteso per colpevole inconsistenza dei ceti politici - aveva ritrovato un significato vero, che restituiva un senso di vita alla città. Perché la progressiva costruzione, con meticolosa cura scientifica, della Città della Scienza - negli edifici stessi degli impianti industriali riattati - ci diceva che ogni cosa è possibile, può riprendere vita, andare avanti. E’ così che il simbolo di una mancanza è diventato di nuovo un luogo vivo. E un luogo per apprendere. 350 mila visitatori all’anno, per il 65 per cento bambini e ragazzi delle scuole di ogni quartiere della città, delle città dell’entroterra e del Lazio e della Puglia e di tutta Italia. Il luogo per eccellenza dove, nel Mezzogiorno, con i nuovi media e con i laboratori, si impara a capire il mondo, le trasformazioni attuali e future, le leggi della chimica e della fisica, il cielo stellato e i suoi moti, le grandi questioni dell’ecologia e i sensi complessi della nostra biosfera… Finalmente un passaggio di consegna tra generazioni, che parte dalla storia, ben documentata, di un posto dove si produceva il ferro la ghisa e l’acciaio e arriva a mostrare come funzionano le cose e cosa può fare l’uomo per garantire tutela del pianeta e, insieme, innovazione, sviluppo.  
La ferita di questo incendio è, dunque, radicale, intollerabile. E noi napoletani, mentre ci interroghiamo su quale probabile dolo lo abbia causato, dobbiamo chiederci come reagire. Perché dobbiamo presto restituire il lavoro didattico alle quasi duemila classi all’anno che dalle scuole andavano ad imparare insieme a centinaia di insegnanti competenti lì proprio lì dove l’incendio ha distrutto tutto. Quanti di noi insegnanti hanno fatto capire le cose lì anche a ragazzi distratti, con «poche basi», i quali, nelle ore passate nella Città della Scienza ogni volta hanno potuto ritrovare curiosità, dubbio, domanda, motivazione. 

Non c’è che una cosa da fare: la Città della Scienza deve rinascere presto e migliore di prima. Il compito non sarà facile. Ma come diceva Giovan Battista Vico, il grande filosofo europeo della città: «Sono traversie ma sono anche opportunità». In queste ore centinaia di scuole fanno le prime raccolte di denaro, le associazioni degli studenti si attivano, i Ministri dell’Istruzione e della Coesione territoriale si sono subito sentiti con il Presidente della regione e con il sindaco. E si stanno cercando fondi sui capitoli di bilancio. In un’Italia e in una città affaticate è davvero tempo di darsi da fare - insieme ai nostri ragazzi - di riprendere la marcia, di riparare i danni e pensare a come possono rinascere le città, gli apprendimenti, le speranze.