07 giugno, 2013

Buoni programmi

Foto da "Banchi di scuola"
di Carla e Giorgio Milone
La settimana scorsa il Ministro Maria Chiara Carrozza ha conferito le deleghe: a me spetta occuparmi – tra le tante cose - della scuola di base, dei bisogni educativi speciali, dello status dello studente, della legalità e del contrasto alla dispersione scolastica. E di formazione e reclutamento degli insegnanti.
Sono compiti importanti, molti dei quali in continuità con ciò a cui ho lavorato nello scorso mandato. Cercherò di svolgerli al meglio nel tempo che ci sarà dato in questo Governo.
Che ha bisogno di uno slancio, mi pare. A partire dalle buone notizie che ci arrivano dall'Europa: l’Italia esce dalla procedura di infrazione e questo potrà significare – speriamo presto - qualche margine d’azione in più per far ripartire gli investimenti in sviluppo, occupazione ed equità. E’ essenziale che tra queste priorità ci sia la scuola. Lo ha ribadito anche il Ministro Carrozza portando  alla discussione in Parlamento le linee guida del suo mandato su scuola, università e ricerca.

Intanto ci sono un paio di buone novità per Napoli: ho incontrato i lavoratori di Città della Scienza, che aspettavano da mesi e mesi gli stipendi. Abbiamo trovato una prima intesa su tempi certi per effettuare i pagamenti, a partire da questo mese.
E per la prima volta dopo anni, in Campania aumentano gli organici: 250 posti in più per la scuola di base. Si riuscirà così a coprire totalmente la domanda di tempo pieno e prolungato.
E’ un segno di sensibilità verso un’area difficile. So bene che le ristrettezze si sentono anche altrove, ma da qualche parte occorre cominciare e speriamo presto di poter pensare a un’azione più estesa.

Diversi casi di cronaca – tra cui la terribile morte di Fabiana in Calabria -  hanno nuovamente portato alla ribalta un tema delicatissimo. La fragilità dei ragazzi, che arriva a fare e farsi male. Si richiama - a volte anche a sproposito - il bullismo. E ci si chiede come sia possibile e cosa poteva, doveva fare la scuola per evitare tutto questo. Da un lato la scuola è chiamata a svolgere compiti sempre più estesi, nel campo della socializzazione e della relazione con l’altro. D’altra parte deve difendere la sua mission principale: essere un luogo in cui si apprendono conoscenze e competenze in maniera formalizzata. Anche in questo caso Carrozza ha fatto un passaggio importante nelle linee guida presentate alle Camere, sulla domanda complessa e confusa di educazione a cui le scuole devono rispondere.

Il Miur deve trovare le strade per affrontare la questione insieme alle scuole, a partire da quanto di buono già si fa, per essere luogo di costruzione e sperimentazione di relazioni positive, belle, vere. Serve aprire una discussione, cominciare a porre le giuste domande senza aver fretta di trovare le risposte. E’ in questo ambito che vanno inserite tutte le azioni contro l’omofobia, per la prevenzione della violenza sulle donne e contro ogni odiosa discriminazione. Ci stiamo interrogando attorno a tutto questo.

Uno spunto originale viene dai ragazzi del liceo Fermi di Aversa, i compagni di scuola di Emanuele. Che mi hanno scritto le loro proposte, che spero di discutere presto insieme a loro.
E Cesare Moreno ci propone invece una discussione costituente – a tratti sanamente provocatoria -da farsi nei più alti luoghi della Repubblica attorno ai temi educativi.
A me piacerebbe che anche questo spazio diventasse parte di questa discussione. Come si educa alla relazione. Come comunicare tra scuole e tra scuole e Ministero quello che si fa in questo ambito, i risultati, le criticità. Come rispondere alla grande domanda educativa che ci giunge in forme sempre nuove dai ragazzi e dalle famiglie.

14 maggio, 2013

Un nuovo inizio


Sono di nuovo Sottosegretario. Ho avuto la notizia mentre ero già a Trento per riprendere servizio da insegnante. E il 3 maggio, emozionato, ho giurato. E’ una cosa importante, complessa, impegnativa e davvero inattesa. Com'è noto ho sperato in un diverso esito delle elezioni, nell'apertura di una nuova fase in cui una maggioranza di centrosinistra potesse occuparsi di urgenze e aspettative con rinnovato slancio. E’ andata diversamente. 

Le incertezze sul futuro sono tante. Ma sono felice che il premier Enrico Letta e il nuovo ministro dell’istruzione, Maria Chiara Carrozza, abbiano voluto anche me in questa squadra. Perché è un segnale di continuità su alcuni temi su cui abbiamo lavorato nel governo passato, che ho cercato insieme al mio staff di riassumere nel bilancio di mandato.
E perché credo che un governo- seppure molto composito- guidato da uno dei premier più giovani d’Europa, confrontandosi con un Parlamento fra i più giovani d’Europa, qualche risposta possa darla.  Un governo di servizio, lo chiamano. E’ con questo spirito che nel mio ambito sono pronto a lavorarci. 

La bussola devono essere i giovani. Soprattutto quelli che partono con meno. Non possono più attendere: serve trovare il modo di aprire la strada verso il futuro. Servono occasioni di lavoro. La possibilità di avere un credito in banca. Più borse di studio. Mi sembra doveroso che i giovani siano tra le priorità dei primi 100 giorni. E mi sembra davvero molto positivo che si escludano nuovi tagli all'istruzione: lo ha detto Letta a Che Tempo Che Fa  e oggi la Commissione Bilancio ha escluso il settore dai tagli per finanziare il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese.

So bene che le parole non bastano mai. Le parole non bastano più soprattutto di fronte alle gravi e tante difficoltà che gli italiani vivono. Non bastano assolutamente, in questo clima di sfiducia. Serve mostrare inizi veri, concreti. E  poi difenderne il valore davanti a chi è preso dall'esasperazione e dice ormai “O tutto o niente”. Ma con metodo e un po’ di risorse le cose si devono fare. Sarà una battaglia culturale e politica, non una passeggiata. Va ingaggiata e sostenuta con sostanza.

Devo ringraziare tutti coloro - davvero tanti -  che mi hanno sostenuto. E quanti mi hanno scritto per farmi gli auguri e suggerirmi priorità. Cerco di leggere tutto. Sono tutte energie che aiutano a ripartire. Grazie. 

22 aprile, 2013

1963-2013: la scuola media unica mise in moto l'Italia

Nel 50° anniversario della riforma della scuola media unica vale la pena ricordare come essa nacque da un decisivo dibattito parlamentare attorno all'idea di uguaglianza. Le nuove scuole medie aprirono le porte a 600.000 ragazzi e ragazze - figli di operai, braccianti, artigiani. Per qualche decennio il nostro Paese sperimentò la mobilità sociale. La riforma spezzava un tabù radicato nella cultura politica italiana, ma l'evoluzione fu troppo lenta e faticosa. Ho scritto di questa ricorrenza e di quale strada ci indica nel tempo attuale in un articolo su La Stampa del 21 Aprile. Ecco il testo integrale.


Pochi giorni prima del Natale del 1962 venne approvata dal primo centro-sinistra la legge n. 1859, che istituì la scuola media unificata, applicando finalmente la Costituzione della Repubblica che prevedeva otto anni di scuola gratuita e obbligatoria per tutti. La scuola media unica, insieme alla statalizzazione dell’energia elettrica, fu parte delle condizioni programmatiche poste dal partito socialista per terminare l’opposizione e avvicinarsi a un governo insieme alla DC superando l’alleanza frontista con i comunisti che durava dal 1948.
Così, nell'anno successivo, il 1963/64, le nuove scuole medie aprirono le porte a ben 600.000 ragazzi e ragazze, figli di operai, contadini, artigiani, piccoli commercianti e braccianti, che fino ad allora non erano andati oltre la quinta elementare o l’“avviamento professionale” secondo le norme del 1928.
Immaginiamo la scena. Nell'ottobre del 1962 Gianni e sua cugina Carla, figli di un salumiere e di un operaio edile, finiscono a pieni voti la quinta elementare. Hanno dieci anni. E le famiglie decidono di non mandare i due ragazzi alla scuola media – allora unica via d’accesso ai licei e poi, forse, all'università – ma semmai all’”avviamento”, dove per tre anni, sei giorni a settimana, con tuta e arnesi per l’officina o grembiule e attrezzi per i cosiddetti “lavori domestici”, tutti comprati dalle famiglie, ci si “ammaestrava” al lavoro e basta. Senza accesso al sapere del mondo. Ed ecco che, con la nuova legge, nell'autunno del 1963, i fratelli di poco minori di Gianni e Carla entrano invece a scuola e studiano Italiano, Matematica, Storia, Geografia, Scienze, Arte, Inglese o Francese, Ginnastica, Musica. E – quel che più conta - hanno le porte aperte all'accesso agli studi superiori. Inoltre fanno almeno un anno di latino - la materia simbolo dell’idea stessa di conoscenza delle classi medie italiane - che fu, infatti, l’oggetto intorno al quale si concentrò la polemica politica.
Anche se oggi vi è un proficuo dibattito sui limiti della nostra scuola media, va ribadito che la riforma fu una conquista storica in termini di eguaglianza. E non solo. La riforma, infatti, ebbe un successo multi-dimensionale perché, partendo dai diritti, spinse in avanti l’economia e la società italiane. 

12 aprile, 2013

Partecipare


Ieri sera a Otto e mezzo Fabrizio Barca, nel presentare la sua memoria (Un partito nuovo per un buon governo) - ha detto a Lilli Gruber che si era appena iscritto al PD. E ha aggiunto che anche io l'ho fatto a Napoli. 

Fabrizio si è iscritto dopo tantissimo tempo a un partito. La sua vicenda è quella di una persona di cultura di sinistra che ha fatto il civil servant ad altissimi livelli per lunghi anni. E che ora dichiara che lo Stato non può cambiare  se non è spinto radicalmente al cambiamento grazie all’azione di un partito nuovo, distinto dallo Stato stesso, che lo incalzi in modo costante con proposte argomentate e realizzabili, mettendosi continuamente in discussione nel vivo del confronto e studiando le soluzioni ai problemi locali e nazionali insieme ai cittadini. 

E’ dalla scorsa estate che mi confronto con Fabrizio sul tema di quale tipo di aggregazione politica possa migliorare l’Italia, in modo concreto, accettando sia il conflitto che la fatica della determinazione pubblica, trasformando le indignazioni in proposte che, poi, però, si attuino, nel confronto con chi vive i problemi e vuole risolverli, cambiando la vita delle persone, facendoci uscire da una lunghissima stagione di depressione economica, politica, culturale, umana. 

Del resto - come testimonia tutta la storia di questo blog - è questa l’ispirazione di ogni mio impegno pubblico. Non ho mai preteso di fare altro che questo; e ho sempre inteso farlo insieme agli altri attraverso prove di democrazia deliberativa, decidendo insieme per il bene comune. Inoltre, da tempo so e dico che senza misurarsi con un partito – e con il PD in particolare – è difficile poter pensare all'opera culturale, comunitaria e fattiva di cui l’Italia ha bisogno. Perché, con tutti i suoi limiti, il PD è l’unico partito non costruito intorno a un capo ed è il solo che abbia i saperi e i legami con molti mondi e migliaia di persone necessari per potere affrontare la complessità e tradurre i sogni nella fatica artigianale del risolvere i problemi. Per questo mi ero già iscritto al PD e ora, dopo due anni di interruzione, riprendo a farlo ben sapendo  che i limiti e le mancanze di questo partito chiamano a una sua profonda trasformazione. 

Per tutte queste ragioni ho condiviso molte riflessioni con Fabrizio, a partire dalle mie esperienze. Che sono diverse dalle sue. Perché io vengo dalla scuola e dal lavoro sociale e da queste dimensioni mi sono confrontato con le istituzioni e i problemi della democrazia e della effettiva partecipazione. Ed è entro i limiti delle cose che conosco che intendo continuare a farlo. 
Al contempo ho condiviso con Fabrizio la semplice constatazione che il Governo di cui siamo parte è stato chiamato a riprendere in mano il Paese, ha fatto cose indispensabili e difficili ma non sufficienti ad uscire da questa crisi e che si deve aprire una stagione di innovazione e riparazione che necessitano di una forte determinazione politica. 

Ed è proprio sui metodi e sui contenuti di tale determinazione politica che si gioca il nostro futuro e quello dei nostri ragazzi, insieme ai quali ci si deve pur spendere; e sono contento che in queste ore tante persone, vicine e non, mi stanno dicendo che - per quanto difficile - è questa la strada comune da prendere.


10 aprile, 2013

La domanda dei ragazzi


Domenica sera ad Aversa un ragazzino di 15 anni, Emanuele, è morto accoltellato. Un altro ragazzino, 17 anni, è accusato di omicidio. Vi è una pena grande. Per Emanuele che non c’è più. Per i suoi genitori. Le cose terribili tra ragazzi capitano. Molte per “futili ragioni”. Ma nel Mezzogiorno povertà, disgregazione sociale e la lunga, intollerabile mancanza di occasioni di speranza creano atmosfere, contesti, frustrazioni, rabbia che – al di là delle singole responsabilità – mostrano che viviamo una crisi profondissima.
Quando ho appreso la notizia ho telefonato alla preside della scuola di Emanuele: la conosco da molti anni, dirige una scuola molto attiva e seria, che fa parte anche dei prototipi contro la dispersione scolastica che abbiamo avviato. Mi ha detto che in serata era prevista una fiaccolata organizzata dai ragazzi della scuola, dagli amici di Emanuele. Ho deciso di andare. 
Ho trovato davanti ai miei occhi qualcosa di incredibile: tremila ragazzini sfilavano in assoluto silenzio per le strade della città. Accompagnati dai loro insegnanti e dalla dirigente della scuola, da qualche rappresentante delle associazioni locali. C’era il vescovo di Aversa e alcuni esponenti dell’Arma dei Carabinieri. E’ c’era il Sindaco.
Mi è sembrato davvero che quella risposta straordinaria dei ragazzi, la muta domanda di quella testimonianza di sgomento, abbia trovato pochi ed isolati interlocutori. Ho provato a dir loro poche sentite parole. Una cosa difficilissima a farsi. 

Il giorno dopo avevo appuntamento a L’Aquila dove - proprio in concomitanza con il quarto anniversario del terremoto – erano riuniti i Presidenti delle Consulte Studentesche di tutta Italia per la loro conferenza annuale. Hanno passato tre giorni a discutere tra loro, a confrontarsi sulla condizione delle loro scuole, a proporre soluzioni. E si sono conosciuti con i loro coetanei aquilani, hanno potuto guardare alla realtà del capoluogo abruzzese dopo il terremoto attraverso i loro occhi, andando a visitare la zona rossa, parlandone a lungo e guardando i bellissimi video fatti dai ragazzi delle scuole dell’Aquila. Ho ascoltato i loro interventi. Hanno approvato un documento molto bello ed efficace nella sua semplicità. Chiedono alle istituzioni di fare qualcosa per dare un Governo a questo Paese che possa occuparsi del malessere dei più giovani. Si dicono preoccupati e richiamano la classe dirigente alla responsabilità. Vogliono ricordare alle massime cariche dello Stato che la nostra Costituzione è ancora una promessa da realizzare con l’impegno di tutti. 
Ho raccontato loro di Aversa, di quei ragazzi che sfilavano in silenzio assoluto. Lo stesso silenzio delle strade dell’Aquila. Un silenzio che chiama alla responsabilità politica delle classi dirigenti, come il documento che hanno scritto. Chiama alla cura della polis, della nostra comunità.
Sento forte il peso della situazione attuale. Sono preoccupato e non posso nascondere la responsabilità della generazione a cui appartengo. Personalmente non mi sento tanto in colpa, ma la questione non è personale. Noi siamo responsabili di fronte alle nuove generazioni. Noi abbiamo consegnato ai più giovani un Paese per troppi versi peggiore di quello che abbiamo ereditato. Dobbiamo dire questa cosa, fare un'operazione di verità come generazione. Altrimenti continueremo a occupare lo spazio pubblico a nostro modo. Solo così possiamo interloquire con i ragazzi e consegnare responsabilità.
Ogni volta che questo accade, noi impariamo qualcosa da loro. Se noi non abbiamo portato a casa i risultati allora dobbiamo tornare ad apprendere insieme a loro.
Le retoriche servono pochissimo, bisogna tornare alla circolarità dell'apprendimento fra le generazioni. Quel documento che mi hanno consegnato riguarda al contempo la scuola e l'Italia. 
Li ho ringraziati per il loro lavoro e la loro passione. Per questa fatica di mettersi d'accordo che persone che sembrano tanto importanti – lo vediamo - non riescono a fare. Ho chiesto loro di andare avanti e di nutrire la loro paziente opera di proposta e di sogno di cui l'Italia ha bisogno per poter uscire da questa situazione. 


08 aprile, 2013

Tra urgenze e attese


Siamo ancora qui, in ordinaria amministrazione. Nell'attesa che arrivi un nuovo Governo o il voto. Lavoriamo a tutto quello che possiamo seguire. Cose ordinarie, ma di grande importanza nella vita quotidiana delle scuole.
Mi sto occupando dell’avvio del prossimo anno scolastico perché le risorse arrivino più puntuali e certe rispetto all'anno passato.
Sto seguendo la riprogrammazione dei fondi europei 2014-20 per istruzione e formazione. Si tratta di una fase di concertazione con regioni e parti sociali sulle priorità: dov'è che bisogna concentrare i soldi europei? 
C’è poi l’avvio del lavoro delle 212 reti di scuole per i prototipi contro la dispersione scolastica. Circa 1000 scuole coinvolte in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia.
Abbiamo insediato presso il Miur il Comitato Scientifico per l’attuazione delle nuove Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola di base: avvierà da subito la formazione per i docenti e un confronto con le scuole. 
Stiamo seguendo l’attuazione della direttiva sui Bisogni Educativi Speciali. Si tratta di migliorare la capacità delle scuole di dare sostegno a chi è più fragile.
Le scuole lavorano tutti i giorni. Nonostante problemi e incertezze. E noi qui proviamo ad aiutarle.

In questi giorni nuovi dati Eurostat ci hanno ricordato i tagli draconiani che la scuola italiana ha subito dal 2008: 8,3 miliardi di fondi in meno ci hanno portato al penultimo posto in Europa a 27, prima soltanto della Grecia. E’ vero che gli interessi sul debito rendono i dati comparativamente peggiori di altri Paesi. Ma il ritardo c’è lo stesso. Eccome.
Questi tagli che sono stati fatti – lo sappiamo – in modo drastico e lineare, pesano moltissimo, negano il futuro. 
Bisogna fare come per i crediti delle imprese: procedere subito ad una prima restituzione, su alcune priorità assolute. L’estensione delle azioni di contrasto alla dispersione scolastica; la formazione in servizio dei docenti; un po’ di organico stabile e certo per rafforzare e rilanciare l’autonomia delle scuole di programmare e organizzare; il diritto allo studio, soprattutto. 
Sento moltissimo – più di ogni altra cosa – che noi non possiamo rivolgerci più ai ragazzi senza un primo gesto di riparazione. Mentre diminuiva la spesa per la scuola, aumentava quella per sanità e pensioni. Qui non si tratta di togliere a chi è già in sofferenza, ma di trovare subito un po’ di risorse dove si possono prendere, per restituire un primo pezzetto di futuro. Fare in fretta.  Lo ha detto anche il Garante per l’Infanzia: due milioni di bambini e ragazzi sono in forti difficoltà. Non c’è tempo.

19 marzo, 2013

Il punto


Sarò lungo. Ci sono dei momenti nei quali si deve fare un po’ il punto. 
In questo blog da otto anni provo a parlare di politica fuori dal suo linguaggio separato. Provo a parlare di politica come quella cosa complicata che è governare la polis, la nostra grande città che è una comunità anche quando è ferita, inaridita, lacerata, abbandonata o quando c’è la speranza ma fa fatica a diventare atto, costruzione, azione positiva. Sono partito dalla mia città, che si chiama Napoli, Nea polis, città nuova. Come ci si può occupare della propria o della più grande città che abitiamo facendola nuova in senso profondo e perciò anche conservandone le molte parti promettenti, come si fa politica – in senso proprio - oggi? Come la si ripara e innova la nostra grande polis? Come lo si fa insieme – tra chi governa e rappresenta e chi è governato ma deve poter davvero contare nelle decisioni riguardanti il bene comune? Se si guardano i quasi 500 post di questo luogo negli anni, beh, è questo il tema che ho scelto di trattare: i problemi da affrontare, la descrizione del loro carattere complesso, lo stato dell’arte nel mondo su come li si analizza e tratta, il come provare a risolverli. L’ho fatto soprattutto a partire dalle cose che so, che ho studiato e innanzitutto direttamente praticato, le cose che hanno occupato i miei giorni: la scuola e i temi educativi – con in testa i bambini e i ragazzi -, il Sud, l’inclusione sociale. Perché non ho mai avuto altra idea della politica. 

E’ da questo punto di vista che guardo con preoccupazione, dubbio e speranza al nostro Paese che ora è immerso in un passaggio molto difficile. E’ venuta meno la speranza che la volontà popolare indicasse un vincitore certo delle elezioni, per comporre un Governo caratterizzato da stabilità e consenso, che si occupasse subito, in modo anche nuovo ed efficace, delle cose da fare: promuovere un’idea di Europa più comunitaria che tecnocratica, più partecipativa e solidale, capace di concentrarsi sull’uscita da una crisi economica, sociale e culturale profondissima, liberando risorse per avviare la crescita e presto alleviando la morsa di approcci recessivi; mettere risorse e subito per le urgenze sociali e per la scuola; avviare davvero la riforma della politica; dare diritti a chi non li ha, a partire dalla cittadinanza per i bambini nati da genitori non italiani che vivono in Italia, ecc.
Invece siamo in una situazione di stallo - il che contrasta fortemente con le tante urgenze. 
Il voto ha premiato le denunce urlate. I motivi vengono discussi da giorni: Hanno prevalso l’indignazione e la ripulsa radicale per anni in cui troppa parte della politica è restata lontana dalla vita e dalle cose da fare, al riparo con i suoi privilegi, incapace di innovarsi.
Ho questi pensieri, come tante altre persone. 


07 marzo, 2013

Una ferita da risanare subito

Un mio intervento su La Stampa del 6 Marzo 2013:


L’area di diecimila metri distrutta dal rogo non è un semplice museo che si affaccia sul golfo.  
La Città della Scienza di Napoli è un simbolo. E’ nata nel 1996 nell’area della grande dismissione dell’Ilva di Bagnoli. Nel luogo simbolo della Napoli produttiva e operaia, che era stata lasciata solenne e vuota, mai più dedicata a una prospettiva di sviluppo, come invece è stato per le aree industriali dismesse di Torino. La dolorosa Dismissione narrata da Ermanno Rea. Così, la vastissima area ricordava alla città una perdita operosa e cosciente – gli operai delle fonderie poi degli altoforni e dei laminatoi – che avevano donato per decenni l’ossatura di una vera presenza democratica e lasciavano un gigantesco vuoto.  

Ebbene, è proprio in questa area dolente che la nascita della Città della Scienza – unica porzione attuata di un piano regolatore disatteso per colpevole inconsistenza dei ceti politici - aveva ritrovato un significato vero, che restituiva un senso di vita alla città. Perché la progressiva costruzione, con meticolosa cura scientifica, della Città della Scienza - negli edifici stessi degli impianti industriali riattati - ci diceva che ogni cosa è possibile, può riprendere vita, andare avanti. E’ così che il simbolo di una mancanza è diventato di nuovo un luogo vivo. E un luogo per apprendere. 350 mila visitatori all’anno, per il 65 per cento bambini e ragazzi delle scuole di ogni quartiere della città, delle città dell’entroterra e del Lazio e della Puglia e di tutta Italia. Il luogo per eccellenza dove, nel Mezzogiorno, con i nuovi media e con i laboratori, si impara a capire il mondo, le trasformazioni attuali e future, le leggi della chimica e della fisica, il cielo stellato e i suoi moti, le grandi questioni dell’ecologia e i sensi complessi della nostra biosfera… Finalmente un passaggio di consegna tra generazioni, che parte dalla storia, ben documentata, di un posto dove si produceva il ferro la ghisa e l’acciaio e arriva a mostrare come funzionano le cose e cosa può fare l’uomo per garantire tutela del pianeta e, insieme, innovazione, sviluppo.  
La ferita di questo incendio è, dunque, radicale, intollerabile. E noi napoletani, mentre ci interroghiamo su quale probabile dolo lo abbia causato, dobbiamo chiederci come reagire. Perché dobbiamo presto restituire il lavoro didattico alle quasi duemila classi all’anno che dalle scuole andavano ad imparare insieme a centinaia di insegnanti competenti lì proprio lì dove l’incendio ha distrutto tutto. Quanti di noi insegnanti hanno fatto capire le cose lì anche a ragazzi distratti, con «poche basi», i quali, nelle ore passate nella Città della Scienza ogni volta hanno potuto ritrovare curiosità, dubbio, domanda, motivazione. 

Non c’è che una cosa da fare: la Città della Scienza deve rinascere presto e migliore di prima. Il compito non sarà facile. Ma come diceva Giovan Battista Vico, il grande filosofo europeo della città: «Sono traversie ma sono anche opportunità». In queste ore centinaia di scuole fanno le prime raccolte di denaro, le associazioni degli studenti si attivano, i Ministri dell’Istruzione e della Coesione territoriale si sono subito sentiti con il Presidente della regione e con il sindaco. E si stanno cercando fondi sui capitoli di bilancio. In un’Italia e in una città affaticate è davvero tempo di darsi da fare - insieme ai nostri ragazzi - di riprendere la marcia, di riparare i danni e pensare a come possono rinascere le città, gli apprendimenti, le speranze.  

29 gennaio, 2013

Quest'anno al MIUR




In questi mesi mi è rivenuto in mente tante volte l’articolo 54 della nostra Costituzione: «Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge».
Ho interpretato la parola “disciplina” come l’impegno a svolgere un artigianato fattivo, attento e onesto. E ora arriva il tempo di portare a compimento le cose messe in cantiere. E di darne conto, in modo pubblico, documentato. 
Sono in giro per i seminari con tutte le scuole vincitrici del bando per i prototipi contro la dispersione scolastica, nelle quattro Regioni coinvolte (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia). E’ importante che una misura così innovativa di politiche pubbliche riesca. Le scuole vincitrici vanno sostenute nel fare una buona progettazione  e nel consolidare l’alleanza con il privato sociale di ogni territorio. Le 130 reti devono essere indirizzate nell’organizzazione e nel metodo di lavoro al fine di consolidare le proprie pratiche migliori e provarne di nuove, per essere davvero capaci di seguire ogni bambino e ragazzo in difficoltà, registrarne i progressi, favorirne i processi di apprendimento. Vanno spesi bene i 25 milioni già in cantiere per le azioni contro la dispersione e gli altri 75 per le strutture sportive e ricreative nelle stesse aree. L’autovalutazione dei risultati è altrettanto importante e va preparata. Ci aiuterà a capire cosa va e cosa deve migliorare. Nei prossimi 21 mesi dobbiamo consolidare questo modello di intervento nelle zone più difficili del Paese per poi continuare con un’azione consolidata la lotta alla dispersione con i fondi già garantiti dal 2014 al 2020 nelle stesse aree e anche i nuove aree nel Centro e nel Nord. 
Giovedì scorso la Conferenza Stato Regioni ha dato il via libera definitivo all´accordo sui DSA (disturbi specifici dell´apprendimento), che mira a garantire l´individuazione precoce e l´uniformità degli interventi in tutta Italia. E’ un vero passo in avanti, cercato con cura da tanti docenti e poi dalle istituzioni locali e dal Ministero, insieme. Un passo in avanti per tanti bambini e per le loro famiglie.
Ho cominciato a mettere insieme tutte le cose su cui ho lavorato quest´anno in un bilancio di mandato. Ci sarà modo di tenerlo aggiornato con le ultime novità. Ma ho deciso di dare conto in modo trasparente su come ho impiegato questo tempo. Penso sia parte dei doveri delle istituzioni e di chi ricopre funzioni pubbliche, appunto. 
Ci vogliono, poi, un tempo e uno spazio per discuterne liberamente. Sì, penso che avremo bisogno di tornare, anche a mente più fredda, su questi mesi, per ragionare su cosa ha significato questa stagione per il Paese. Su cosa si è riusciti a fare e cosa, invece, ha funzionato meno. E per discutere in modo documentato sulla scuola oggi e sulla scuola in una stagione futura.
Il web ci aiuta a creare questo tempo e questo spazio per il confronto e la riflessione. Permette immediatezza e circolarità.
Ecco il mio bilancio di mandato, si può scaricare da qui sopra. 

15 gennaio, 2013

Tutto quello che c'è da fare per la scuola

Un mio intervento su La Stampa del 14 Gennaio. C'è l'urgenza che si parli di scuola in questa campagna elettorale.

Caro Direttore,
In questi giorni sento una fortissima urgenza: che si parli di scuola, di com’è, di come deve diventare. E sogno una campagna elettorale che sappia farlo. In modo positivo e dunque riparativo e innovativo. E rispettoso e dunque partendo da quel che già si fa.
Quando sono stato chiamato a fare il Sottosegretario all’Istruzione avevo appena finito un’inchiesta per La Stampa, a più puntate, in cui avevo intervistato docenti e dirigenti di tante scuole. Emergeva una scuola competente e battagliera, che s’interroga sul futuro educativo del Paese. E che innova nonostante le difficoltà. Cose concrete… Come abbiamo messo su un laboratorio scientifico. Come ho fatto fare volontariato ai ragazzi del mio liceo. Come abbiamo messo intorno a un tavolo genitori e insegnanti in modo da condividere un’idea educativa, ciascuno facendo la sua parte anziché rimpallarsi le colpe. Come uso la lavagna multimediale imparando io, a mia volta, dai miei alunni. Come porto i bambini a leggere le costellazioni nel cielo. Come metto su un’orchestra o una compagnia che recita in un teatro vero. Come consolido bene l’Italiano e la matematica in un quartiere di periferia.
Dopo un anno nel quale ho incontrato oltre cento scuole girando dal Nord al Sud e dove, certo, ho visto scuole in difficoltà che chiedevano aiuto, ho soprattutto avuto la conferma che esiste questo grande, prezioso esercito civile di gente capace di misurarsi con nuovi modi di apprendere. E anche capace di valutare il proprio operato sulla base dei risultati, come si fa in tutto il mondo. Così, mi sono ulteriormente convinto che chiunque governerà questo Paese deve poterne sostenere l’azione quotidiana, per davvero.
Ho anche fatto i conti con i grandi numeri, che sanno dire molto. Eccone alcuni, di segno anche diverso.
Noi integriamo ogni giorno nelle nostre classi, in modo sereno e serio, 200 mila bambini e ragazzi con disabilità. Nessun altro Paese lo fa da così tanti anni. E oggi finalmente capita che altre grandi nazioni ci guardano con ammirazione, pensando di volerci imitare. Tanto siamo avanti che una delegazione del governo francese è venuta e mi ha chiesto: come fate a fare una cosa così importante, i primi tra i paesi OCSE, da 30 anni?
Accogliamo, poi, 750 mila bambini e ragazzi stranieri. Parlano italiano ormai come prima lingua, lavorano per raggiungere gli obiettivi curricolari in tutte le discipline insieme ai nostri figli; diventeranno – presto, si spera – i loro concittadini a tutti gli effetti. Un signore che ha un banco in un mercato di Roma, che si chiama Mustafà, mi ha detto: “il vero porto che mi ha accolto sono state le maestre dei miei tre figli nelle vostre belle scuole”.
Ma è pur vero che la maggior parte dei 40 mila edifici nei quali vivono ogni mattina i nostri figli hanno cinquant’anni e passa. Molti hanno avuto buoni interventi, molti no; e pochi sono ecosostenibili. Un noto economista - quando gli ho chiesto “senti, ma, anche al di là della urgenza civile, nell’ottica della ripresa economica, conviene investire in questa storia?” - mi ha mostrato perché la risposta non può che essere “sì”.
Poi, troppi bambini e ragazzi imparano troppo poco e il 18,3 percento dei nostri ragazzi, quasi sempre figli di poveri, non raggiungono una qualifica professionale né un diploma di scuola superiore. Sono scandalosamente troppi. Dobbiamo migliorare presto gli apprendimenti di tutti e di ciascuno e battere la dispersione scolastica. Nel Sud abbiamo iniziato a costruire una rete di scuole che si dedicano a questo. Ma ci vorrà costanza e dobbiamo estendere l’impegno ovunque.

Caro Direttore,
Vorrei, ora, dire la cosa più importante, in modo pacato. La scuola italiana è stata indebolita da un disinvestimento culturale e politico che si è tradotto in tagli per 8,4 miliardi di euro nel triennio 2008-2011. E’ una somma enorme, che ha intaccato da allora le risorse correnti. Quando, tra qualche anno, si studierà questa cosa, ci si troverà dinanzi a una vera e propria cesura nella storia d’Italia. Infatti, né in tempi di penuria economica, come all’avvio dello stato unitario, né durante le guerre, né nei periodi di crisi e di ricostruzione si erano tolti così tanti soldi al sistema d’istruzione. E ci si domanderà perché è avvenuto e soprattutto perché è avvenuto in assoluta controtendenza con il pensiero economico, sia di ispirazione socialdemocratica che liberale, che riconoscono nell’istruzione - oltre che il principale fattore di tenuta della coesione sociale e di discriminazione positiva a favore di chi parte con meno nella vita - la prima leva per la crescita equilibrata e duratura e anche per la fuoriuscita dalle crisi.
Ora è assolutamente vitale riprendere una seria politica di investimento. Ci vuole una stagione capace di produrre un’inversione di tendenza, un cambio di rotta. Bisogna, infatti, passare dalla logica della spesa a quella dell'investimento. Obama ha nominato gli investimenti per la scuola molte volte nel suo discorso dopo la vittoria elettorale e non c’è paese al mondo che affronti questa crisi tagliando i fondi per il sapere.
Si tratta, insomma, di operare una sostanziale innovazione nel paradigma con il quale l'Italia guarda alla sua scuola e discutere del come reperire le risorse necessarie. Significa anche restituire a docenti e alunni la possibilità di guardare al domani della propria comunità con fiducia e speranza, non doversi trincerare nella difesa e nel mantenimento di quel che c'è e progettare il futuro attraverso nuove e più avanzate proposte.
Ecco perché questa campagna elettorale deve parlare da subito di scuola.


09 gennaio, 2013

Un po' di ossigeno


Continua il lavoro di ordinaria amministrazione. C’è davvero molto da fare per portare a compimento bene le cose iniziate.
In questi giorni partono le iscrizioni scolastiche e qualche preoccupazione si è creata per l’introduzione delle procedure on line. Ho voluto rassicurare tutti (qui e qui): le iscrizioni on line servono per semplificare, non certo per ostacolare un diritto – che fino ai 16 anni è anche un obbligo – dei ragazzi e delle famiglie. Le FAQ sul sito del Ministero chiariscono che le segreterie scolastiche sono a disposizione per risolvere eventuali problemi.
Poi ci sono delle buone notizie (che ho raccontato anche a Repubblica.it): abbiamo reperito 54,4 milioni di euro da destinare alle scuole in maggiore sofferenza finanziaria. Abbiamo fatto un lavoro approfondito, per individuare le situazioni di maggiore indebitamento nei pagamenti delle supplenze e dei fornitori. Con questo monitoraggio è stato predisposto un elenco di 1076 scuole in tutta Italia, che riceveranno in media 50.000 euro ciascuna in base alle necessità.
E’ qualcosa di importante, che chiedevano da tempo tantissimi dirigenti scolastici per avere un po’ di ossigeno in più. Un buon risultato al quale ho lavorato anche in prima persona in questi mesi.
E il 15 Gennaio usciranno in Gazzetta Ufficiale le date delle prove scritte del concorso per i docenti. Per la prima volta la prova scritta non consisterà nel solito tema, con relativi tempi biblici per la correzione, ma in domande a risposta aperta. Chi supera lo scritto arriva all'ultima prova prevista: la lezione simulata.
Per le Indicazioni nazionali della scuola di base stiamo lavorando alle “misure di accompagnamento”: un comitato scientifico avrà il compito di dialogare con le scuole e raccogliere nel tempo pareri e considerazioni sull'applicazione dei traguardi indicati. Anche in questo caso rivendico un pizzico di innovazione di metodo, perché mi sembra importante che un testo così importante possa evolvere nel tempo valutando risultati e criticità sul campo. Niente più programmi nazionali rigidi come le tavole della legge. Di questo sono contento.

21 dicembre, 2012

Qualche notizia e un augurio di buona pausa


Tra un po’si andrà al voto. In ogni caso rimangono pochi giorni per fare molte cose ed è su questo che siamo concentrati. Le Camere lavorano a pieno ritmo per portare a compimento gli ultimi provvedimenti, noi cerchiamo di finalizzare al meglio le azioni messe in campo.
In questi giorni si è svolta la preselezione del concorso per i docenti, accompagnati da molte critiche e qualche polemica. Ho avuto occasione di spiegare il mio pensiero in alcune trasmissioni radio e tv. Questo concorso- il primo concorso dopo tredici anni- si svolge in evidenti condizioni di emergenza e difficoltà, frutto di anni di graduatorie e precariato per migliaia di docenti.
Penso che sia naturale che la procedura di selezione, se finalmente tornerà regolare ogni due anni, possa essere migliorata rispetto a quella di questa prima edizione. 
E’ in ogni caso un giro di boa: d’ora in avanti ci possono essere due canali per accedere all’insegnamento. Le graduatorie, fino al loro esaurimento. E il concorso per la metà dei posti disponibili con il turn over. 
Debbo invece esprimere il mio ringraziamento a tutte le persone che hanno lavorato alla preparazione e all’organizzazione di queste giornate, senza errori e senza intoppi, con ogni difficoltà ben gestita.
Lunedì, poi, ho avuto l’onore di ricevere la cittadinanza onoraria del Comune di Monasterace (RC). E’ un posto con tante difficoltà, dove – come spesso accade in Italia – si riescono a fare cose importanti e belle. Una di queste è venuta proprio da una scuola: la Campagna “Adotta il Drago”, che il MIUR ha deciso di sostenere, promossa dai ragazzi, dagli insegnanti e dalla dirigente dell’Istituto Comprensivo Statale Amerigo Vespucci di Vibo Marina. Durante un progetto di conoscenza del patrimonio archeologico, gli studenti si sono imbattuti  a Monasterace in uno scavo di un mosaico greco raffigurante un drago, per cui mancavano fondi. E si sono attivati per cercarli. Un bell’esempio di come la scuola e il territorio possono fare cose insieme, che contano.
Un grande augurio a dirigenti, docenti, personale e studenti e alle loro famiglie. Per delle feste serene e un nuovo anno proficuo per l’apprendimento e la crescita di ciascuno. 


20 dicembre, 2012

Una risposta ai docenti diplomati magistrali


Da diversi mesi ricevo continue sollecitazioni da un gruppo di insegnanti della scuola primaria
e dell’infanzia. Si tratta di maestri che hanno conseguito il diploma magistrale entro l’anno 2001-02, che chiedono di essere riconosciuti come abilitati all’insegnamento e con pari dignità con gli altri docenti abilitati. Scrivono a me in virtù del fatto che nel lontano 1974 ho preso il diploma magistrale e due anni dopo ho iniziato a fare il maestro, mestiere che ho svolto per tutta la vita. In quanto Sottosegretario “diplomato magistrale”, insomma, ritengono contraddittoria e insoddisfacente la risposta all’interrogazione parlamentare che ho fornito alla Camera sulla loro ammissione al concorso per il reclutamento dei nuovi docenti.
Ho dato disponibilità ai loro rappresentanti per un incontro istituzionale in cui fornire risposte adeguate, ma non è stato loro possibile recarsi a Roma. Dato che non mi sembra il caso di liquidare la questione con una telefonata, voglio dare a questo punto una spiegazione pubblica - il più possibile chiara anche ai non addetti ai lavori - della mia posizione sul tema.

Ho conseguito il diploma magistrale nel 1974 perché volevo fare l’insegnante. In seguito tentai due concorsi: il primo non lo passai e ho quindi trascorsi due anni svolgendo alcune supplenze nelle scuole elementari di Roma. Nel 1976 vinsi il concorso e pochi mesi dopo entrai in classe con il mio primo incarico di ruolo a Primavalle. Ci tengo a specificare come all’epoca i concorsi fossero l’unico sistema per accedere a tempo indeterminato all’insegnamento. Ogni due anni veniva offerta una possibilità di vincere il concorso: chi vinceva, aveva il posto. Chi perdeva, se voleva, poteva ritentare dopo due anni e fare il supplente nel frattempo. Era un sistema chiaro, che garantiva delle certezze.

Quel che è successo dopo è storia: nel 1998 si decise di prevedere che gli insegnanti - tutti gli
insegnanti, anche quelli della scuola primaria – dovessero essere laureati e abilitati. Una scelta a mio avviso adeguata ai tempi perché, come è noto, avere insegnanti laureati è in tutto il mondo una garanzia di qualità dell’istruzione, in epoca di grande vastità e complessità del sapere. Si propose un modello nel quale per essere insegnanti occorreva anche avere svolto un percorso professionale che conferiva l’abilitazione. Questo percorso aveva due strade possibili: aver completato il corso di laurea in scienze della formazione primaria, che già prevede al proprio interno ore di tirocinio e messe in prova professionali, oppure, per chi aspirava ad insegnare alle secondarie, frequentare le SSIS. Nel 2008/09 le SSIS sono state sospese e si è deciso di sostituirle con il Tirocinio Formativo Attivo (TFA), attivato per la prima volta nel 2011/12 dall’attuale Governo.

Occorre sottolineare, però, che dal 1999 al 2012 non si sono più svolti concorsi ordinari.Tuttavia, al solo fine di conseguire l’abilitazione/idoneità e la successiva iscrizione nelle graduatorie ad esaurimento, nel 2004 sono stati indetti concorsi riservati a coloro che erano in possesso del titolo di studio necessario e con esperienza professionale di 360 giorni di servizio In questo modo, le nomine in ruolo sono avvenute, nel frattempo, scorrendo per il 50% le graduatorie dei concorsi precedenti e per l’altro 50% scorrendo le graduatorie permanenti. rese giustamente ad esaurimento dal Ministro Fioroni e poi riaperte dal Parlamento per sanare la situazione di categorie di docenti per varie ragioni rimasti esclusi. In 13 anni di lunghe code, tagli agli organici e innalzamento dell’età pensionabile la situazione è diventata ancor più complessa.

In questo quadro è giunto il Governo di cui faccio parte. Abbiamo ereditato una situazione complessa, che coinvolge centinaia di migliaia di docenti o aspiranti tali con storie diverse, esperienze diverse, percorsi formativi e titoli diversi. Non abbiamo creato la precarietà. L’abbiamo ereditata.

Così siamo partiti da due domande: può un paese normale permettersi ancora anni senza concorso? Può d’altra parte chiudere le porte a tanti docenti precari che già lavorano a scuola? 

19 dicembre, 2012

"Scuola di classe"


Sabato 15 Dicembre sul quotidiano La Repubblica, nelle pagine culturali, grazie a un’intervista di Francesco Erbani ho avuto la possibilità di una riflessione pacata attorno al tema della scuola, delle politiche italiane per il settore, con uno sguardo ampio, oltre la stretta attualità. 
L’occasione è legata al convegno dell’Associazione Forum del Libro tenutosi lo stesso giorno a Napoli, dal titolo “Perché almeno 333.333 napoletani leggono libri”, a cui ho partecipato.
Ho anticipato in questa intervista alcuni punti del mio intervento, provando a ragionare su come le classi dirigenti italiane hanno considerato nel tempo il legame tra istruzione e cultura, con quali scelte, con quali limiti.
In attesa di dare aggiornamenti sui tanti eventi e impegni di questi giorni – uno fra tutti lo svolgimento delle preselezioni del concorso per i docenti- ripropongo l’intervista qui in versione integrale.

08 dicembre, 2012

Il tempo corre


Il tempo corre e corriamo anche noi, per portare a termine ciò che abbiamo iniziato, in mezzo a un clima politico sempre più turbolento.

Il 6 Dicembre si è svolto al Ministero il seminario “La via italiana all’inclusione scolastica. Valori, problemi, prospettive”. Lo abbiamo organizzato per fare una riflessione approfondita, seria e serena, a 35 anni dalla legge 517/77, sui risultati ottenuti dal modello di integrazione dei disabili nelle scuole e sulle idee in campo per risolvere alcune criticità del sistema.
Siamo un’eccellenza nel mondo e tanti Paesi OCSE studiano il nostro modello: soltanto pochi giorni fa ho incontrato una delegazione dell’ambasciata francese proprio su questo tema. 
Abbiamo permesso, in questi 35 anni, uno splendido incontro con la diversità e la fragilità a tutte le persone in crescita. Abbiamo dato un senso alla crescita a centinaia di migliaia di persone. E’ un patrimonio relazionale importantissimo che va preservato. E per farlo è importante poter ragionare con tutte le istituzioni coinvolte, con le scuole, con le associazioni e le fondazioni. E con le famiglie e i ragazzi.
Per una volta in Italia, siamo tutti d’accordo sul mantenimento di questo modello. La nuova direttiva del MIUR propone un’ulteriore innovazione: l’approccio dei bisogni educativi speciali, un passo deciso verso la scuola di tutti e di ciascuno. Tutte le fragilità, anche quelle temporanee, devono trovare appoggio: il sostegno può diventare una risorsa per l’intero gruppo classe e le competenze degli insegnanti vanno estese e rafforzate. In questa direzione va anche la riorganizzazione territoriale dei CTS (Centri territoriali di supporto).

Ho risposto alla bella lettera pubblica che mi ha inviato su Repubblica.it il mio amico maestro Franco Lorenzoni. Lui propone di lasciare le classi elementari fino agli otto anni senza schermi né pc. Condivido parte del suo ragionamento, ma non ho mai creduto alle proibizioni. Per insegnare il vento oggi, occorre sia costruire aquiloni e farli volare, sia navigare sul web alla ricerca di informazioni. E’ una bella importante discussione e ringrazio Franco per averla avviata.

La scuola non può più sottrarsi alla necessità di regalare a bambini e ragazzi una quantità di esperienze diverse, laboratoriali e fattive. Bisogna parlare linguaggi diversi, esplorare i diversi territori del sapere organizzato e delle emozioni. Anche per questo, come supporto fattivo alle scuole autonome, abbiamo insediato al Miur un tavolo tecnico su Cinema e Teatro. Dovrà dare una ricca impronta pedagogica ai laboratori teatrali nelle scuole, riconoscendo le tantissime professionalità ed esperienze già attivate.