19 marzo, 2013

Il punto


Sarò lungo. Ci sono dei momenti nei quali si deve fare un po’ il punto. 
In questo blog da otto anni provo a parlare di politica fuori dal suo linguaggio separato. Provo a parlare di politica come quella cosa complicata che è governare la polis, la nostra grande città che è una comunità anche quando è ferita, inaridita, lacerata, abbandonata o quando c’è la speranza ma fa fatica a diventare atto, costruzione, azione positiva. Sono partito dalla mia città, che si chiama Napoli, Nea polis, città nuova. Come ci si può occupare della propria o della più grande città che abitiamo facendola nuova in senso profondo e perciò anche conservandone le molte parti promettenti, come si fa politica – in senso proprio - oggi? Come la si ripara e innova la nostra grande polis? Come lo si fa insieme – tra chi governa e rappresenta e chi è governato ma deve poter davvero contare nelle decisioni riguardanti il bene comune? Se si guardano i quasi 500 post di questo luogo negli anni, beh, è questo il tema che ho scelto di trattare: i problemi da affrontare, la descrizione del loro carattere complesso, lo stato dell’arte nel mondo su come li si analizza e tratta, il come provare a risolverli. L’ho fatto soprattutto a partire dalle cose che so, che ho studiato e innanzitutto direttamente praticato, le cose che hanno occupato i miei giorni: la scuola e i temi educativi – con in testa i bambini e i ragazzi -, il Sud, l’inclusione sociale. Perché non ho mai avuto altra idea della politica. 

E’ da questo punto di vista che guardo con preoccupazione, dubbio e speranza al nostro Paese che ora è immerso in un passaggio molto difficile. E’ venuta meno la speranza che la volontà popolare indicasse un vincitore certo delle elezioni, per comporre un Governo caratterizzato da stabilità e consenso, che si occupasse subito, in modo anche nuovo ed efficace, delle cose da fare: promuovere un’idea di Europa più comunitaria che tecnocratica, più partecipativa e solidale, capace di concentrarsi sull’uscita da una crisi economica, sociale e culturale profondissima, liberando risorse per avviare la crescita e presto alleviando la morsa di approcci recessivi; mettere risorse e subito per le urgenze sociali e per la scuola; avviare davvero la riforma della politica; dare diritti a chi non li ha, a partire dalla cittadinanza per i bambini nati da genitori non italiani che vivono in Italia, ecc.
Invece siamo in una situazione di stallo - il che contrasta fortemente con le tante urgenze. 
Il voto ha premiato le denunce urlate. I motivi vengono discussi da giorni: Hanno prevalso l’indignazione e la ripulsa radicale per anni in cui troppa parte della politica è restata lontana dalla vita e dalle cose da fare, al riparo con i suoi privilegi, incapace di innovarsi.
Ho questi pensieri, come tante altre persone. 


07 marzo, 2013

Una ferita da risanare subito

Un mio intervento su La Stampa del 6 Marzo 2013:


L’area di diecimila metri distrutta dal rogo non è un semplice museo che si affaccia sul golfo.  
La Città della Scienza di Napoli è un simbolo. E’ nata nel 1996 nell’area della grande dismissione dell’Ilva di Bagnoli. Nel luogo simbolo della Napoli produttiva e operaia, che era stata lasciata solenne e vuota, mai più dedicata a una prospettiva di sviluppo, come invece è stato per le aree industriali dismesse di Torino. La dolorosa Dismissione narrata da Ermanno Rea. Così, la vastissima area ricordava alla città una perdita operosa e cosciente – gli operai delle fonderie poi degli altoforni e dei laminatoi – che avevano donato per decenni l’ossatura di una vera presenza democratica e lasciavano un gigantesco vuoto.  

Ebbene, è proprio in questa area dolente che la nascita della Città della Scienza – unica porzione attuata di un piano regolatore disatteso per colpevole inconsistenza dei ceti politici - aveva ritrovato un significato vero, che restituiva un senso di vita alla città. Perché la progressiva costruzione, con meticolosa cura scientifica, della Città della Scienza - negli edifici stessi degli impianti industriali riattati - ci diceva che ogni cosa è possibile, può riprendere vita, andare avanti. E’ così che il simbolo di una mancanza è diventato di nuovo un luogo vivo. E un luogo per apprendere. 350 mila visitatori all’anno, per il 65 per cento bambini e ragazzi delle scuole di ogni quartiere della città, delle città dell’entroterra e del Lazio e della Puglia e di tutta Italia. Il luogo per eccellenza dove, nel Mezzogiorno, con i nuovi media e con i laboratori, si impara a capire il mondo, le trasformazioni attuali e future, le leggi della chimica e della fisica, il cielo stellato e i suoi moti, le grandi questioni dell’ecologia e i sensi complessi della nostra biosfera… Finalmente un passaggio di consegna tra generazioni, che parte dalla storia, ben documentata, di un posto dove si produceva il ferro la ghisa e l’acciaio e arriva a mostrare come funzionano le cose e cosa può fare l’uomo per garantire tutela del pianeta e, insieme, innovazione, sviluppo.  
La ferita di questo incendio è, dunque, radicale, intollerabile. E noi napoletani, mentre ci interroghiamo su quale probabile dolo lo abbia causato, dobbiamo chiederci come reagire. Perché dobbiamo presto restituire il lavoro didattico alle quasi duemila classi all’anno che dalle scuole andavano ad imparare insieme a centinaia di insegnanti competenti lì proprio lì dove l’incendio ha distrutto tutto. Quanti di noi insegnanti hanno fatto capire le cose lì anche a ragazzi distratti, con «poche basi», i quali, nelle ore passate nella Città della Scienza ogni volta hanno potuto ritrovare curiosità, dubbio, domanda, motivazione. 

Non c’è che una cosa da fare: la Città della Scienza deve rinascere presto e migliore di prima. Il compito non sarà facile. Ma come diceva Giovan Battista Vico, il grande filosofo europeo della città: «Sono traversie ma sono anche opportunità». In queste ore centinaia di scuole fanno le prime raccolte di denaro, le associazioni degli studenti si attivano, i Ministri dell’Istruzione e della Coesione territoriale si sono subito sentiti con il Presidente della regione e con il sindaco. E si stanno cercando fondi sui capitoli di bilancio. In un’Italia e in una città affaticate è davvero tempo di darsi da fare - insieme ai nostri ragazzi - di riprendere la marcia, di riparare i danni e pensare a come possono rinascere le città, gli apprendimenti, le speranze.  

29 gennaio, 2013

Quest'anno al MIUR




In questi mesi mi è rivenuto in mente tante volte l’articolo 54 della nostra Costituzione: «Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge».
Ho interpretato la parola “disciplina” come l’impegno a svolgere un artigianato fattivo, attento e onesto. E ora arriva il tempo di portare a compimento le cose messe in cantiere. E di darne conto, in modo pubblico, documentato. 
Sono in giro per i seminari con tutte le scuole vincitrici del bando per i prototipi contro la dispersione scolastica, nelle quattro Regioni coinvolte (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia). E’ importante che una misura così innovativa di politiche pubbliche riesca. Le scuole vincitrici vanno sostenute nel fare una buona progettazione  e nel consolidare l’alleanza con il privato sociale di ogni territorio. Le 130 reti devono essere indirizzate nell’organizzazione e nel metodo di lavoro al fine di consolidare le proprie pratiche migliori e provarne di nuove, per essere davvero capaci di seguire ogni bambino e ragazzo in difficoltà, registrarne i progressi, favorirne i processi di apprendimento. Vanno spesi bene i 25 milioni già in cantiere per le azioni contro la dispersione e gli altri 75 per le strutture sportive e ricreative nelle stesse aree. L’autovalutazione dei risultati è altrettanto importante e va preparata. Ci aiuterà a capire cosa va e cosa deve migliorare. Nei prossimi 21 mesi dobbiamo consolidare questo modello di intervento nelle zone più difficili del Paese per poi continuare con un’azione consolidata la lotta alla dispersione con i fondi già garantiti dal 2014 al 2020 nelle stesse aree e anche i nuove aree nel Centro e nel Nord. 
Giovedì scorso la Conferenza Stato Regioni ha dato il via libera definitivo all´accordo sui DSA (disturbi specifici dell´apprendimento), che mira a garantire l´individuazione precoce e l´uniformità degli interventi in tutta Italia. E’ un vero passo in avanti, cercato con cura da tanti docenti e poi dalle istituzioni locali e dal Ministero, insieme. Un passo in avanti per tanti bambini e per le loro famiglie.
Ho cominciato a mettere insieme tutte le cose su cui ho lavorato quest´anno in un bilancio di mandato. Ci sarà modo di tenerlo aggiornato con le ultime novità. Ma ho deciso di dare conto in modo trasparente su come ho impiegato questo tempo. Penso sia parte dei doveri delle istituzioni e di chi ricopre funzioni pubbliche, appunto. 
Ci vogliono, poi, un tempo e uno spazio per discuterne liberamente. Sì, penso che avremo bisogno di tornare, anche a mente più fredda, su questi mesi, per ragionare su cosa ha significato questa stagione per il Paese. Su cosa si è riusciti a fare e cosa, invece, ha funzionato meno. E per discutere in modo documentato sulla scuola oggi e sulla scuola in una stagione futura.
Il web ci aiuta a creare questo tempo e questo spazio per il confronto e la riflessione. Permette immediatezza e circolarità.
Ecco il mio bilancio di mandato, si può scaricare da qui sopra. 

15 gennaio, 2013

Tutto quello che c'è da fare per la scuola

Un mio intervento su La Stampa del 14 Gennaio. C'è l'urgenza che si parli di scuola in questa campagna elettorale.

Caro Direttore,
In questi giorni sento una fortissima urgenza: che si parli di scuola, di com’è, di come deve diventare. E sogno una campagna elettorale che sappia farlo. In modo positivo e dunque riparativo e innovativo. E rispettoso e dunque partendo da quel che già si fa.
Quando sono stato chiamato a fare il Sottosegretario all’Istruzione avevo appena finito un’inchiesta per La Stampa, a più puntate, in cui avevo intervistato docenti e dirigenti di tante scuole. Emergeva una scuola competente e battagliera, che s’interroga sul futuro educativo del Paese. E che innova nonostante le difficoltà. Cose concrete… Come abbiamo messo su un laboratorio scientifico. Come ho fatto fare volontariato ai ragazzi del mio liceo. Come abbiamo messo intorno a un tavolo genitori e insegnanti in modo da condividere un’idea educativa, ciascuno facendo la sua parte anziché rimpallarsi le colpe. Come uso la lavagna multimediale imparando io, a mia volta, dai miei alunni. Come porto i bambini a leggere le costellazioni nel cielo. Come metto su un’orchestra o una compagnia che recita in un teatro vero. Come consolido bene l’Italiano e la matematica in un quartiere di periferia.
Dopo un anno nel quale ho incontrato oltre cento scuole girando dal Nord al Sud e dove, certo, ho visto scuole in difficoltà che chiedevano aiuto, ho soprattutto avuto la conferma che esiste questo grande, prezioso esercito civile di gente capace di misurarsi con nuovi modi di apprendere. E anche capace di valutare il proprio operato sulla base dei risultati, come si fa in tutto il mondo. Così, mi sono ulteriormente convinto che chiunque governerà questo Paese deve poterne sostenere l’azione quotidiana, per davvero.
Ho anche fatto i conti con i grandi numeri, che sanno dire molto. Eccone alcuni, di segno anche diverso.
Noi integriamo ogni giorno nelle nostre classi, in modo sereno e serio, 200 mila bambini e ragazzi con disabilità. Nessun altro Paese lo fa da così tanti anni. E oggi finalmente capita che altre grandi nazioni ci guardano con ammirazione, pensando di volerci imitare. Tanto siamo avanti che una delegazione del governo francese è venuta e mi ha chiesto: come fate a fare una cosa così importante, i primi tra i paesi OCSE, da 30 anni?
Accogliamo, poi, 750 mila bambini e ragazzi stranieri. Parlano italiano ormai come prima lingua, lavorano per raggiungere gli obiettivi curricolari in tutte le discipline insieme ai nostri figli; diventeranno – presto, si spera – i loro concittadini a tutti gli effetti. Un signore che ha un banco in un mercato di Roma, che si chiama Mustafà, mi ha detto: “il vero porto che mi ha accolto sono state le maestre dei miei tre figli nelle vostre belle scuole”.
Ma è pur vero che la maggior parte dei 40 mila edifici nei quali vivono ogni mattina i nostri figli hanno cinquant’anni e passa. Molti hanno avuto buoni interventi, molti no; e pochi sono ecosostenibili. Un noto economista - quando gli ho chiesto “senti, ma, anche al di là della urgenza civile, nell’ottica della ripresa economica, conviene investire in questa storia?” - mi ha mostrato perché la risposta non può che essere “sì”.
Poi, troppi bambini e ragazzi imparano troppo poco e il 18,3 percento dei nostri ragazzi, quasi sempre figli di poveri, non raggiungono una qualifica professionale né un diploma di scuola superiore. Sono scandalosamente troppi. Dobbiamo migliorare presto gli apprendimenti di tutti e di ciascuno e battere la dispersione scolastica. Nel Sud abbiamo iniziato a costruire una rete di scuole che si dedicano a questo. Ma ci vorrà costanza e dobbiamo estendere l’impegno ovunque.

Caro Direttore,
Vorrei, ora, dire la cosa più importante, in modo pacato. La scuola italiana è stata indebolita da un disinvestimento culturale e politico che si è tradotto in tagli per 8,4 miliardi di euro nel triennio 2008-2011. E’ una somma enorme, che ha intaccato da allora le risorse correnti. Quando, tra qualche anno, si studierà questa cosa, ci si troverà dinanzi a una vera e propria cesura nella storia d’Italia. Infatti, né in tempi di penuria economica, come all’avvio dello stato unitario, né durante le guerre, né nei periodi di crisi e di ricostruzione si erano tolti così tanti soldi al sistema d’istruzione. E ci si domanderà perché è avvenuto e soprattutto perché è avvenuto in assoluta controtendenza con il pensiero economico, sia di ispirazione socialdemocratica che liberale, che riconoscono nell’istruzione - oltre che il principale fattore di tenuta della coesione sociale e di discriminazione positiva a favore di chi parte con meno nella vita - la prima leva per la crescita equilibrata e duratura e anche per la fuoriuscita dalle crisi.
Ora è assolutamente vitale riprendere una seria politica di investimento. Ci vuole una stagione capace di produrre un’inversione di tendenza, un cambio di rotta. Bisogna, infatti, passare dalla logica della spesa a quella dell'investimento. Obama ha nominato gli investimenti per la scuola molte volte nel suo discorso dopo la vittoria elettorale e non c’è paese al mondo che affronti questa crisi tagliando i fondi per il sapere.
Si tratta, insomma, di operare una sostanziale innovazione nel paradigma con il quale l'Italia guarda alla sua scuola e discutere del come reperire le risorse necessarie. Significa anche restituire a docenti e alunni la possibilità di guardare al domani della propria comunità con fiducia e speranza, non doversi trincerare nella difesa e nel mantenimento di quel che c'è e progettare il futuro attraverso nuove e più avanzate proposte.
Ecco perché questa campagna elettorale deve parlare da subito di scuola.


09 gennaio, 2013

Un po' di ossigeno


Continua il lavoro di ordinaria amministrazione. C’è davvero molto da fare per portare a compimento bene le cose iniziate.
In questi giorni partono le iscrizioni scolastiche e qualche preoccupazione si è creata per l’introduzione delle procedure on line. Ho voluto rassicurare tutti (qui e qui): le iscrizioni on line servono per semplificare, non certo per ostacolare un diritto – che fino ai 16 anni è anche un obbligo – dei ragazzi e delle famiglie. Le FAQ sul sito del Ministero chiariscono che le segreterie scolastiche sono a disposizione per risolvere eventuali problemi.
Poi ci sono delle buone notizie (che ho raccontato anche a Repubblica.it): abbiamo reperito 54,4 milioni di euro da destinare alle scuole in maggiore sofferenza finanziaria. Abbiamo fatto un lavoro approfondito, per individuare le situazioni di maggiore indebitamento nei pagamenti delle supplenze e dei fornitori. Con questo monitoraggio è stato predisposto un elenco di 1076 scuole in tutta Italia, che riceveranno in media 50.000 euro ciascuna in base alle necessità.
E’ qualcosa di importante, che chiedevano da tempo tantissimi dirigenti scolastici per avere un po’ di ossigeno in più. Un buon risultato al quale ho lavorato anche in prima persona in questi mesi.
E il 15 Gennaio usciranno in Gazzetta Ufficiale le date delle prove scritte del concorso per i docenti. Per la prima volta la prova scritta non consisterà nel solito tema, con relativi tempi biblici per la correzione, ma in domande a risposta aperta. Chi supera lo scritto arriva all'ultima prova prevista: la lezione simulata.
Per le Indicazioni nazionali della scuola di base stiamo lavorando alle “misure di accompagnamento”: un comitato scientifico avrà il compito di dialogare con le scuole e raccogliere nel tempo pareri e considerazioni sull'applicazione dei traguardi indicati. Anche in questo caso rivendico un pizzico di innovazione di metodo, perché mi sembra importante che un testo così importante possa evolvere nel tempo valutando risultati e criticità sul campo. Niente più programmi nazionali rigidi come le tavole della legge. Di questo sono contento.

21 dicembre, 2012

Qualche notizia e un augurio di buona pausa


Tra un po’si andrà al voto. In ogni caso rimangono pochi giorni per fare molte cose ed è su questo che siamo concentrati. Le Camere lavorano a pieno ritmo per portare a compimento gli ultimi provvedimenti, noi cerchiamo di finalizzare al meglio le azioni messe in campo.
In questi giorni si è svolta la preselezione del concorso per i docenti, accompagnati da molte critiche e qualche polemica. Ho avuto occasione di spiegare il mio pensiero in alcune trasmissioni radio e tv. Questo concorso- il primo concorso dopo tredici anni- si svolge in evidenti condizioni di emergenza e difficoltà, frutto di anni di graduatorie e precariato per migliaia di docenti.
Penso che sia naturale che la procedura di selezione, se finalmente tornerà regolare ogni due anni, possa essere migliorata rispetto a quella di questa prima edizione. 
E’ in ogni caso un giro di boa: d’ora in avanti ci possono essere due canali per accedere all’insegnamento. Le graduatorie, fino al loro esaurimento. E il concorso per la metà dei posti disponibili con il turn over. 
Debbo invece esprimere il mio ringraziamento a tutte le persone che hanno lavorato alla preparazione e all’organizzazione di queste giornate, senza errori e senza intoppi, con ogni difficoltà ben gestita.
Lunedì, poi, ho avuto l’onore di ricevere la cittadinanza onoraria del Comune di Monasterace (RC). E’ un posto con tante difficoltà, dove – come spesso accade in Italia – si riescono a fare cose importanti e belle. Una di queste è venuta proprio da una scuola: la Campagna “Adotta il Drago”, che il MIUR ha deciso di sostenere, promossa dai ragazzi, dagli insegnanti e dalla dirigente dell’Istituto Comprensivo Statale Amerigo Vespucci di Vibo Marina. Durante un progetto di conoscenza del patrimonio archeologico, gli studenti si sono imbattuti  a Monasterace in uno scavo di un mosaico greco raffigurante un drago, per cui mancavano fondi. E si sono attivati per cercarli. Un bell’esempio di come la scuola e il territorio possono fare cose insieme, che contano.
Un grande augurio a dirigenti, docenti, personale e studenti e alle loro famiglie. Per delle feste serene e un nuovo anno proficuo per l’apprendimento e la crescita di ciascuno. 


20 dicembre, 2012

Una risposta ai docenti diplomati magistrali


Da diversi mesi ricevo continue sollecitazioni da un gruppo di insegnanti della scuola primaria
e dell’infanzia. Si tratta di maestri che hanno conseguito il diploma magistrale entro l’anno 2001-02, che chiedono di essere riconosciuti come abilitati all’insegnamento e con pari dignità con gli altri docenti abilitati. Scrivono a me in virtù del fatto che nel lontano 1974 ho preso il diploma magistrale e due anni dopo ho iniziato a fare il maestro, mestiere che ho svolto per tutta la vita. In quanto Sottosegretario “diplomato magistrale”, insomma, ritengono contraddittoria e insoddisfacente la risposta all’interrogazione parlamentare che ho fornito alla Camera sulla loro ammissione al concorso per il reclutamento dei nuovi docenti.
Ho dato disponibilità ai loro rappresentanti per un incontro istituzionale in cui fornire risposte adeguate, ma non è stato loro possibile recarsi a Roma. Dato che non mi sembra il caso di liquidare la questione con una telefonata, voglio dare a questo punto una spiegazione pubblica - il più possibile chiara anche ai non addetti ai lavori - della mia posizione sul tema.

Ho conseguito il diploma magistrale nel 1974 perché volevo fare l’insegnante. In seguito tentai due concorsi: il primo non lo passai e ho quindi trascorsi due anni svolgendo alcune supplenze nelle scuole elementari di Roma. Nel 1976 vinsi il concorso e pochi mesi dopo entrai in classe con il mio primo incarico di ruolo a Primavalle. Ci tengo a specificare come all’epoca i concorsi fossero l’unico sistema per accedere a tempo indeterminato all’insegnamento. Ogni due anni veniva offerta una possibilità di vincere il concorso: chi vinceva, aveva il posto. Chi perdeva, se voleva, poteva ritentare dopo due anni e fare il supplente nel frattempo. Era un sistema chiaro, che garantiva delle certezze.

Quel che è successo dopo è storia: nel 1998 si decise di prevedere che gli insegnanti - tutti gli
insegnanti, anche quelli della scuola primaria – dovessero essere laureati e abilitati. Una scelta a mio avviso adeguata ai tempi perché, come è noto, avere insegnanti laureati è in tutto il mondo una garanzia di qualità dell’istruzione, in epoca di grande vastità e complessità del sapere. Si propose un modello nel quale per essere insegnanti occorreva anche avere svolto un percorso professionale che conferiva l’abilitazione. Questo percorso aveva due strade possibili: aver completato il corso di laurea in scienze della formazione primaria, che già prevede al proprio interno ore di tirocinio e messe in prova professionali, oppure, per chi aspirava ad insegnare alle secondarie, frequentare le SSIS. Nel 2008/09 le SSIS sono state sospese e si è deciso di sostituirle con il Tirocinio Formativo Attivo (TFA), attivato per la prima volta nel 2011/12 dall’attuale Governo.

Occorre sottolineare, però, che dal 1999 al 2012 non si sono più svolti concorsi ordinari.Tuttavia, al solo fine di conseguire l’abilitazione/idoneità e la successiva iscrizione nelle graduatorie ad esaurimento, nel 2004 sono stati indetti concorsi riservati a coloro che erano in possesso del titolo di studio necessario e con esperienza professionale di 360 giorni di servizio In questo modo, le nomine in ruolo sono avvenute, nel frattempo, scorrendo per il 50% le graduatorie dei concorsi precedenti e per l’altro 50% scorrendo le graduatorie permanenti. rese giustamente ad esaurimento dal Ministro Fioroni e poi riaperte dal Parlamento per sanare la situazione di categorie di docenti per varie ragioni rimasti esclusi. In 13 anni di lunghe code, tagli agli organici e innalzamento dell’età pensionabile la situazione è diventata ancor più complessa.

In questo quadro è giunto il Governo di cui faccio parte. Abbiamo ereditato una situazione complessa, che coinvolge centinaia di migliaia di docenti o aspiranti tali con storie diverse, esperienze diverse, percorsi formativi e titoli diversi. Non abbiamo creato la precarietà. L’abbiamo ereditata.

Così siamo partiti da due domande: può un paese normale permettersi ancora anni senza concorso? Può d’altra parte chiudere le porte a tanti docenti precari che già lavorano a scuola? 

19 dicembre, 2012

"Scuola di classe"


Sabato 15 Dicembre sul quotidiano La Repubblica, nelle pagine culturali, grazie a un’intervista di Francesco Erbani ho avuto la possibilità di una riflessione pacata attorno al tema della scuola, delle politiche italiane per il settore, con uno sguardo ampio, oltre la stretta attualità. 
L’occasione è legata al convegno dell’Associazione Forum del Libro tenutosi lo stesso giorno a Napoli, dal titolo “Perché almeno 333.333 napoletani leggono libri”, a cui ho partecipato.
Ho anticipato in questa intervista alcuni punti del mio intervento, provando a ragionare su come le classi dirigenti italiane hanno considerato nel tempo il legame tra istruzione e cultura, con quali scelte, con quali limiti.
In attesa di dare aggiornamenti sui tanti eventi e impegni di questi giorni – uno fra tutti lo svolgimento delle preselezioni del concorso per i docenti- ripropongo l’intervista qui in versione integrale.

08 dicembre, 2012

Il tempo corre


Il tempo corre e corriamo anche noi, per portare a termine ciò che abbiamo iniziato, in mezzo a un clima politico sempre più turbolento.

Il 6 Dicembre si è svolto al Ministero il seminario “La via italiana all’inclusione scolastica. Valori, problemi, prospettive”. Lo abbiamo organizzato per fare una riflessione approfondita, seria e serena, a 35 anni dalla legge 517/77, sui risultati ottenuti dal modello di integrazione dei disabili nelle scuole e sulle idee in campo per risolvere alcune criticità del sistema.
Siamo un’eccellenza nel mondo e tanti Paesi OCSE studiano il nostro modello: soltanto pochi giorni fa ho incontrato una delegazione dell’ambasciata francese proprio su questo tema. 
Abbiamo permesso, in questi 35 anni, uno splendido incontro con la diversità e la fragilità a tutte le persone in crescita. Abbiamo dato un senso alla crescita a centinaia di migliaia di persone. E’ un patrimonio relazionale importantissimo che va preservato. E per farlo è importante poter ragionare con tutte le istituzioni coinvolte, con le scuole, con le associazioni e le fondazioni. E con le famiglie e i ragazzi.
Per una volta in Italia, siamo tutti d’accordo sul mantenimento di questo modello. La nuova direttiva del MIUR propone un’ulteriore innovazione: l’approccio dei bisogni educativi speciali, un passo deciso verso la scuola di tutti e di ciascuno. Tutte le fragilità, anche quelle temporanee, devono trovare appoggio: il sostegno può diventare una risorsa per l’intero gruppo classe e le competenze degli insegnanti vanno estese e rafforzate. In questa direzione va anche la riorganizzazione territoriale dei CTS (Centri territoriali di supporto).

Ho risposto alla bella lettera pubblica che mi ha inviato su Repubblica.it il mio amico maestro Franco Lorenzoni. Lui propone di lasciare le classi elementari fino agli otto anni senza schermi né pc. Condivido parte del suo ragionamento, ma non ho mai creduto alle proibizioni. Per insegnare il vento oggi, occorre sia costruire aquiloni e farli volare, sia navigare sul web alla ricerca di informazioni. E’ una bella importante discussione e ringrazio Franco per averla avviata.

La scuola non può più sottrarsi alla necessità di regalare a bambini e ragazzi una quantità di esperienze diverse, laboratoriali e fattive. Bisogna parlare linguaggi diversi, esplorare i diversi territori del sapere organizzato e delle emozioni. Anche per questo, come supporto fattivo alle scuole autonome, abbiamo insediato al Miur un tavolo tecnico su Cinema e Teatro. Dovrà dare una ricca impronta pedagogica ai laboratori teatrali nelle scuole, riconoscendo le tantissime professionalità ed esperienze già attivate.


07 dicembre, 2012

Scampia: le maestre sono lo Stato

La foto viene da qui

In alcuni territori difficili le maestre sono lo Stato (l’ho detto qui e qui). E dimostrano professionalità, coraggio, determinazione proprio nei momenti più duri. E’ questo il caso delle maestre della scuola materna di Scampia nel cui cortile pochi giorni fa è avvenuto l’ennesimo omicidio di camorra.
Napoli sta vivendo una nuova recrudescenza della violenza criminale. L’opera repressiva ha consentito di chiudere alcune piazze di spaccio, ma la difficoltà e la complessità sono grandi.

Un fatto come questo fa orrore a tutti e diffonde la paura tra chi ogni mattina manda in quel quartiere i bimbi a scuola. Ci sono momenti in cui i gesti simbolici contano. E’ per questo che stamattina mi sono recato nella scuola dell’infanzia “Eugenio Montale”. Ho trascorso del tempo con il dirigente scolastico, le maestre, i bimbi e le mamme, insieme all'amico Don Fabrizio Valletti. Tanti vecchi amici. E’ arrivato il Ministro Cancellieri, lo staff del Ministero dell'Interno, il prefetto. Abbiamo parlato con il presidente della municipalità e parlato  ancora con le mamme e le maestre. Un segnale forte di presenza istituzionale. Il Ministro ha raccontato il lavoro di repressione che si sta svolgendo. Che è importantissimo, perché senza il controllo del territorio è impossibile fare le cose.

Ho pensato: cerchiamo di non dividerci come al solito tra favorevoli all’invio dell’esercito “perché questa è una guerra” e contrari perché “serve ben altro”. 
E proviamo per una volta a capire e ascoltare chi in questo territorio vive, lavora, fa volontariato. Persone in mezzo a tante difficoltà, che in questo momento hanno anche paura e hanno diritto alla sicurezza. 
Allora questo è il mio pensiero: serve una strategia ampia, di lungo respiro, perché non sono cose che si risolvono in un mese. Serve dare un orizzonte largo, con tante azioni diverse che si tengono la mano. La repressione e la presenza di mezzi ingenti per il controllo del territorio è un aspetto. Non sono un esperto di ordine pubblico, ma di questo son convinto. Insieme a questo ci sono gli altri aspetti indispensabili: la cura dell’infanzia, l’istruzione, la lotta alla povertà. Le due cose insieme. L’ho scritto tante volte, abbiamo lavorato in molti a ciò, abbiamo studiato i modelli in giro per il mondo. 

E su questo, in questi mesi, qualcosa abbiamo messo in campo: partiranno con il nuovo anno i prototipi contro la dispersione scolastica nelle zone di massima esclusione sociale ed economica del Mezzogiorno, finanziati con 100 milioni, che prevedono anche il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie per spazi di aggregazione giovanile e il coinvolgimento del privato sociale.  In queste stesse aree arriveranno anche un po’ di fondi per gli asili nido. E' un lavoro lungo e complesso e mancano ancora altri tasselli, fra cui qualche azione decisa per combattere la povertà e promuovere l’autoimpiego dei giovani, anche con qualche prestito bancario vero, magari. 

La scuola è un presidio fondamentale. E sta davvero facendo la sua parte. Dobbiamo fare costante manutenzione delle cose che funzionano, aprire presto i cantieri promossi con i soldi europei, evitare sprechi, dare soldi al buon privato sociale napoletano che è allo stremo, rigenerare bene le risorse sui tempi lunghi, valutare con rigore i risultati. E’ un impegno culturale e concreto possibile.

23 novembre, 2012

Rispetto e prudenza.


A Roma martedì è successa una cosa drammatica: un ragazzo di 15 anni, studente del liceo Cavour, si è tolto la vita nella propria abitazione. Di fronte ad episodi di questa portata, vengono a mancare le parole. Ed è bene che ne vengano usate il meno possibile. Di fronte al profluvio di ricostruzioni giornalistiche, mediatiche, pubbliche apparse in questi giorni, su possibili atteggiamenti omofobi di qualche compagno di scuola, su presunti episodi di cyber-bullismo, mi sento di richiamare soltanto due parole: rispetto e prudenza.
Rispetto per il dolore inimmaginabile che ha colpito i familiari del ragazzo e anche gli amici, gli insegnanti, la dirigente scolastica del liceo Cavour. Rispetto per una vicenda che si colloca nell’ambito del mistero della vita umana e della sua fine. E prudenza sulle ragioni di un gesto simile, che sono impossibili da trovare, per chi non ha fatto parte da vicino della vita quotidiana di questo ragazzo.
I numeri ci dicono qualcosa di terribile, ma di reale: l’adolescenza è un periodo di sconvolgimento senza pari nell’identità di ciascuno. Cambia il corpo e ancor più cambia la testa. E la vita comincia a mostrare ai ragazzi una dose ineliminabile di pericolo e cattiveria. Un piccolo, sempre troppo grande, numero di adolescenti, non regge, non ce la fa. E sceglie di mollare, a volte con gesti che si vogliono dimostrativi, a volte con suicidi veri e propri. Non voglio dire affatto che si tratta di vicende ineluttabili. Voglio dire con forza, però, che prima di coinvolgere in un turbine mediatico il ragazzo e la sua famiglia, i professori e i compagni, additando colpe e responsabilità, serve rispetto e prudenza.
Il resto spetta ad eventuali indagini, ma soprattutto a interventi educativi condotti di concerto con la scuola e con le famiglie, all’interno di un luogo “salvo” quale deve essere sempre la scuola. Capace di accogliere e di fare spazio anche al dolore dei giovani, capace di farsene carico in modo adulto, dentro la relazione educativa.
A questo proposito ricordo che il Ministero dell’Istruzione, per la prima volta il 17 maggio scorso, ha inviato una circolare alle scuole invitando a mettere in campo interventi educativi sul tema. Alcuni materiali sono disponibili sul nuovo sito www.noisiamopari.it
Si deve fare di più, ma un cammino la scuola lo ha già cominciato.

20 novembre, 2012

Inizi e iniziative


Il 20 Novembre è la Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ci ricorda che la priorità assoluta deve essere la lotta alla povertà e all'esclusione sociale. Due milioni di bambini poveri rappresentano una vera e propria emergenza nazionale, aggravata dalla crisi economica.
Occorre porre questi proprio questi bambini e ragazzi in cima all'agenda politica e istituzionale. Aumentare il numero e l’entità delle azioni di sostegno e prevenzione rivolte alle famiglie e all'infanzia. Una prima importante azione sta arrivando al suo traguardo: stiamo selezionando gli oltre cento prototipi di prevenzione e contrasto alla dispersione scolastica in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, finanziati con 100 milioni di euro.
In questi giorni, poi, il Ministero dell’Istruzione presenta numerose iniziative in vista della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne del 25 Novembre. Anche questo drammatico tema riguarda, direttamente o indirettamente, tanti ragazzi e giovani.
 Ieri al Teatro Quirino di Roma abbiamo presentato insieme al Dipartimento per le Pari Opportunità, all’UNAR e al Telefono Rosa lo spettacolo “15 22” e il percorso musicale “Dedicato a Lea”. E’ on line il nuovo sito www.noisiamopari.it, che raccoglie progetti e iniziative realizzate dalle scuole sul tema delle pari opportunità, mentre una circolare è stata inviata a tutte le scuole.
E’ tempo di riflessione, di proposta per la stagione che verrà. Servono spazi e luoghi per scambiare esperienze, per aprire le porte a riflessione e innovazione. Perché questa scuola dobbiamo proprio cambiarla. Con tanto dialogo e un po’ di soldi in più. Stamattina, su Twitter, il trend topic era #comecambiereilascuola. Hanno scritto tanti insegnanti e tantissimi ragazzi. Una lettura importante, per chiunque abbia voglia, tra scherzi e idee più serie, di vedere per un attimo la scuola con i loro occhi e di ascoltarla con i loro cinguettii in 140 caratteri.

26 ottobre, 2012

Dalla parte degli insegnanti

Nino Migliori, Gente dell'Emilia, 1957
Un mio intervento sulle pagine dell'Unità del 26 Ottobre.

Ho letto con estremo interesse quanto comparso ieri sulle pagine dell’Unità: insegnanti palermitani si riuniranno oggi per discutere del tema dell’orario da un punto di vista che sento di condividere. Come maestro elementare prima ancora che per il ruolo istituzionale che ricopro. E’ sempre importante, infatti, quando si creano degli spazi per parlare della scuola e di cosa significhi oggi fare questo complesso mestiere.

Stiamo lavorando in questi giorni in Parlamento per modificare la legge di stabilità: sono convinto che non sia pensabile intervenire sull’organizzazione del lavoro dei docenti e delle scuole all’interno delle norme sui conti pubblici, provocando ulteriori perdite di posti di lavoro. Serve una grande discussione nazionale, fondata sulla partecipazione di chi va a scuola tutti i giorni, di chi può offrire, come scrivono i docenti palermitani, una “narrazione collettiva” al di fuori di stereotipi e luoghi comuni. Questa discussione deve basarsi sulla necessità di innovare la nostra scuola e di garantire a tutti apprendimenti solidi in un contesto fortemente cambiato nel tempo.

L’innovazione che serve alla scuola deve fondarsi sulla rottura dello standard- una didattica uguale per tutti- per andare con coraggio verso attività organizzate in modi anche diversi dal gruppo classe, frutto di una programmazione collegiale dei docenti, di una riflessione ed autovalutazione su punti di forza e debolezza delle strategie e azioni messe in campo, come in parte già avviene in molte scuole. Il tema che la politica e le istituzioni devono affrontare è trovare le risorse, mano a mano che l’economia nazionale darà segni di ripresa. Infatti quei Paesi che hanno investito in sapere sono stati quelli che si sono difesi meglio dalla crisi. Conoscenze diffuse, acquisite in modo rigoroso e nuovo, creeranno maggiore crescita.

E’ in questa visione che può trovare spazio la importante discussione tra i docenti palermitani.
So bene, per la mia esperienza, che il nostro dovere non termina alla fine delle lezioni. Ci sono i compiti da correggere, il materiale didattico da preparare. Un progettare e riflettere educativo per il quale serve il confronto nella comunità docente. Oggi, tranne che per la scuola primaria, questo è un lavoro svolto prevalentemente a casa, che dunque fatica ad emergere, ad essere riconosciuto dalla collettività. E ci sono poi le numerose “attività funzionali”: collegi docenti, colloqui con le famiglie, riunioni. Attività oggi quantificate con un monte ore annuale. Infine vi sono le attività in più: i corsi di recupero, i progetti inseriti nel piano dell’offerta formativa, le uscite didattiche. Questi sono considerati degli extra - poco e mal pagati - ma sono in realtà parte integrante della vita ordinaria delle scuole.

Ritengo allora che il punto di partenza di un vero confronto sul mestiere di insegnare debba puntare a rendere esplicito, riconoscibile e riconosciuto il lavoro svolto, nel suo complesso. Un tema non separabile da quello della retribuzione: i nostri insegnanti sono tra i mal pagati in Europa, non è prevista alcuna forma di carriera e si fatica a riconoscere economicamente e professionalmente chi compie sforzi maggiori in termini di programmazione ed attività. Penso sia inevitabile che anche questi aspetti entrino nella discussione. E’ tempo di ridare slancio e prospettiva a un dibattito culturale e pedagogico sulla scuola che serve al Paese per il 2020.


23 ottobre, 2012

Salvaguardare, esplicitare e riconoscere il lavoro dei prof


Sono contrario a tagliare altri posti di lavoro nella scuola e penso che dobbiamo salvaguardare la qualità dell’insegnamento. Ho ribadito ancora la mia posizione in merito alla legge di stabilità in un’intervista a Repubblica. Il mio impegno è per modificare il testo nel corso della discussione parlamentare.

Nel fine settimana ho letto quello che in tanti mi hanno scritto. Quando sono diventato Sottosegretario, ho scelto di tenere aperto questo spazio di confronto. Leggo sempre, mi è utile scambiare punti di vista. Credo che tutti i contributi potranno esserci utili in futuro, quando- speriamo presto- si potrà avviare una grande discussione nazionale sulla professione dell’insegnante. Una discussione necessaria ed auspicabile, nel primario interesse degli insegnanti e della qualità della scuola.

Non serve pensare ad aumenti del carico di lavoro, ma dobbiamo ridiscutere cosa significhi oggi svolgere questo complesso mestiere. So bene che il lavoro dell’insegnante continua anche dopo il termine delle lezioni. Questo lavoro in più - che spesso avviene a casa-  deve diventare esplicito e riconoscibile.

Ma non si possono prendere decisioni che riguardano il cuore pulsante della scuola all’interno delle norme sui conti pubblici e senza alcun dibattito preliminare. Serve un tempo lungo e un’ampia partecipazione.

18 ottobre, 2012

Innovazione e stabilità


Troveremo una soluzione diversa per la legge di stabilità. Perché la scuola, in questo momento, non ha bisogno di perdere posti di lavoro. Anzi, in alcune zone del Paese siamo sottodimensionati di fronte all'aumento di alunni, anche stranieri. E c’è la necessità di un orario più pieno, per coprire almeno una parte del pomeriggio.
Ho spiegato il mio punto di vista sulla proposta contenuta nella legge di stabilità sull'aumento dell’orario dei docenti a 24 ore settimanali in un’intervista su Il Messaggero.
La scuola viene da anni difficili e non ha bisogno di stravolgimenti. Ha bisogno di un giro di boa che la porti fuori dalle secche finanziarie e che stabilizzi progressivamente il personale. E ha tanto bisogno di innovazione. Su questo il Ministro Profumo ha pienamente ragione.
Penso che il modello delle scuole elementari possa essere esteso alle secondarie: una parte dell’orario da contratto deve essere previsto per la programmazione didattica, per i rapporti con le famiglie, per i collegi, per il lavoro di recupero delle carenze formative e di promozione delle eccellenze, anche scomponendo le classi e lavorando per gruppi. Questa discussione è importante e va affrontata. In Europa siamo gli unici a far coincidere l’orario di lavoro con le ore di didattica curricolare in classe. Un modello che può essere superato attraverso un grande dibattito nazionale. Che deve guardare, però, anche al tema della retribuzione, che può essere differenziata introducendo forme di carriera per gli insegnanti. Possiamo pensare di superare il patto “poche ore e bassi salari”.
Ci vuole un grande patto nazionale per la scuola che sappia riparare e innovare, pensando alla qualità della didattica e all'apprendimento assicurato a ciascun bambino e ragazzo.

Qui la risposta del Ministro Giarda a un'interrogazione parlamentare sul tema dell'aumento dell'orario