25 ottobre, 2011

Povertà e politica


Dieci giorni fa la Caritas, nel suo annuale rapporto, ha documentato ancora una volta l’aumento costante della povertà in Italia.
Nel 2010, 8 milioni e 272 mila persone erano povere (13,8%), contro i 7,8 milioni del 2009 (13,1%). E’ l’11 % di tutti i nuclei famigliari. Ma le famiglie di 5 o più componenti che sono povere passano dal 24,9% al 29,9% e le famiglie monogenitoriali povere – le mamme sole! – dall’11,8 al 14,1%. Invece l’investimento per le politiche della famiglia si riduce e passerà da 185,3 milioni di euro nel 2010, 51,5 milioni nel 2011, 52,5 milioni nel 2012 e 31,4 milioni nel 2013.
Poiché le famiglie numerose sono concentrate nel Sud, il tasso di aumento della povertà in famiglia nelle nostre regioni è passato dal 36,7 al 47,3%! La povertà è poi aumentata lì dove le donne meno lavorano, sempre nel Sud: tra le famiglie di ritirati dal lavoro in cui almeno un componente non ha mai lavorato e non cerca lavoro sono passate dal 13,7 al 17,1%.
La povertà è sempre in rapporto diretto con il mercato del lavoro. In Italia, i cittadini tra i 15 e i 64 anni con un lavoro regolarmente retribuito sono 22 milioni e 900 mila, il 56,9% dei cittadini. La percentuale è tra le più basse dell’Occidente. E diminuisce.
Ovunque i più colpiti sono le donne e i giovani. Lavora solo il 47 percento delle donne e 1 ragazzo su 3 è senza lavoro. Ma nel Sud si scende sotto il 30 percento delle donne al lavoro e a 2 ragazzi su 3 a spasso (solo il 31,7 % degli under 34 lavora) - secondo il rapporto Svimez. Così, la Svimez profetizza che il Mezzogiorno perderà un giovane su cinque nei prossimi vent’anni. Un trend che è già cominciato, infatti negli ultimi dieci anni il numero di emigrati dal Sud verso il Nord è stato di 600mila persone.
Ma ovunque in Italia le prospettive dei giovani peggiorano. Per i giovani l’occupazione è crollata dell’8% nel 2009 e del 5,3% nel 2010. E i giovani che hanno iniziato a lavorare a metà degli anni Novanta matureranno verso il 2035 una pensione analoga a quella degli attuali pensionati con il minimo Inps, ossia di 500 euro. Sono i poveri relativi di oggi e i poveri assoluti di domani.
Di tutto ciò la politica non parla e non parlerà: non esiste una lobby dei poveri né una vocazione a difendere i deboli da parte delle forze sindacali e politiche.
Eppure se votassero farebbero la differenza, se li si riportasse a votare sarebbe un’altra storia…

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