(ma per fortuna continua il buon ragionare sulla scuola dei tagli)
Oggi su La Stampa il ministro Gelmini si arrabbia per la critica ai suoi tagli avviata dal mio articolo del 12 settembre (è stato anche letto alla rassegna stampa di radio 3). Ma sullo stesso giornale viene smentita da un documentato pezzo di Flavia Amabile che mostra il costante disinvestimento nell’istruzione, dati OCSE alla mano. Intanto prosegue l’inchiesta a me affidata - “la scuola possibile” - attraverso una serie di interviste. Ieri è uscita la prima parte, che riporto qui sotto. Domani ne esce un’altra dal titolo: rimotivare i docenti dopo questi anni bui. Parlare di merito e proporre soluzioni possibili. Insieme a persone che sanno le cose perché studiano ma anche perché le fanno.
Ecco il senso della cosa.
La scuola non esiste. Esistono le scuole. Chiedere a un dirigente o a un gruppo di insegnanti cosa serve per dare speranza all’istruzione fa subito i conti con la grande diversità. Le scuole però hanno anche molte cose in comune e l’esperienza dello stare a scuola è universale. Ma contiene una quantità infinita di diversissime esperienze. Richieste, bisogni, capacità, fallimenti, dibattiti, idee. E’ il cantiere umano più grande e complesso che ci sia. Anche perché è l’unico che tiene insieme le generazioni; e che fa i conti con una questione che riguarda il mondo intero e cioè che tutti abbiamo uguali diritti ma al contempo non siamo affatto uguali. Nelle scuole questo riguarda ogni gesto, parola, intento, azione. Ogni volta.
Filomena Fotia ha la responsabilità di tutte le scuole di Zagarolo, provincia di Roma: dalla scuola d’infanzia fino alla media e poi liceo e istituto professionale. Fa il bilancio partecipato con ragazzi e famiglie, per mostrare come stanno i conti e trovare insieme soluzioni. Sa che anche il personale amministrativo ha disperato bisogno di formazione se no come si amministra nel bel mezzo dei tagli e delle mille maniere necessarie per uscirne.
Da cosa parti tu?
“Partiamo dal rimotivare i docenti. Sono stati depressi da questi anni bui. Ma sanno ripartire. Con loro ho lavorato sul fondare una scuola della seconda opportunità per chi non ce la può fare e sulla riduzione dei bocciati ma senza regalare niente. Come si fa? Si lavora sulle competenze, a partire da quelle irrinunciabili e poi dalla relazione. Questo implica un mutamento profondo degli approcci verso il come si impara e mette al centro il laboratorio ovunque, anche al liceo. C’è un lavoro di accompagnamento dalla scuola d’infanzia fino alla terza media e oltre. Perché i ragazzi hanno anche bisogno di una presa in carico. E dalle famiglie c’è una richiesta di supporto sul come si educa per la vita. Certo, noi dobbiamo restare scuola. Ma c’è un forte bisogno comunitario.”
“E i soldi?”
Filomena è di sinistra da sempre. Sa che sta rompendo un tabù: “Senti, io chiedo ai genitori del liceo, come fanno tanti. Cento euro l’anno. E così posso fare una scuola che sia tale. Tutte cose che vanno direttamente ai ragazzi: laboratori, uscite, progetti costruiti insieme a loro. E sto scoprendo che c’è una delega alla scuola da parte della comunità. Perché quei soldi non vanno a tuo figlio ma a tutti, una ridistribuzione. Ed è un atto di fiducia nuovo, un gesto solidale dal singolo verso l’istituzione che si fa garante. Poi faccio alleanze con gli enti locali, ogni volta che è possibile. Non basta chiedere. C’è da condividere quello che si vuole fare. E’ politica in senso proprio.”
Ernesto Passante dirige a Verona tre scuole dell’infanzia, tre primarie, due medie e il centro per adulti. Mille adulti e 750 bambini. Il 40% non sono italiani, eppure quasi tutti nati in Italia. Ha diretto un istituto di ricerca pedagogica. Ha un’esperienza di valutazione dei sistemi educativi: “Sono contro lo straripante pessimismo. Oltre ai tagli che ci segano le gambe c’è anche questo diffuso richiamo nostalgico alla scuola che fu. Che affossa ogni spinta in avanti. Ma quando mai torneremo indietro? E’ cambiato tutto. Bisogna inventare nuove vie.”
Quali sono le proposte possibili?
“Intanto sempre dare dignità al lavoro dei docenti. Ma ci vuole anche un nuovo contratto. Alcuni stanno qui 32 ore e fanno mille cose, altri fanno quel lavoro specifico. Sono entrambi validi. Ma non è la stessa cosa. Poi, formare i gruppi di insegnanti e non i singoli. Ma farlo accompagnando l’azione con la riflessione comune, guidata. Ci sono docenti senior, preparati, che saprebbero farlo, monitorati. E poi tre cicli di studio: 4 + 4 + 4 anni. Con un anno in meno di scuola per tutti. Grande attenzione al sapere di cittadinanza, quello irrinunciabile, da piccoli. E alle superiori un anno per riprendere tutti i fondamentali e curare il metodo. Ma poi semplifichiamo le discipline intorno ai grandi temi della vita nella biosfera e dell’umanità. Che sono le questioni di cerniera del dibattito odierno. Non si possono più fare decine di materie male. E va rivista la corrispondenza classe-aula. Ci vuole una differenziazione. Non si tratta di dividere in serie A e B ma per livelli, interessi, inclinazioni o debolezze. Di ciascuno. Non è facile questo lavoro, i ragazzi ci sfidano. Le famiglie pure. Una volta allentati i conflitti ci chiedono un tempo infinito in cui essere scuola, assistenza, comunità, terapia. Dobbiamo decidere cosa siamo. E siamo scuola. Poi dobbiamo creare tutte le alleanze e darci il giusto tempo per farlo”.
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