28 marzo, 2011

Se la scuola avesse le ruote - (SegnalAzioni educative)

Con questa recensione vorrei iniziare a recensire libri, articoli, esperienze, incontri e variabilia in campo educativo e affini

Undici anni fa mi sono occupato di Colin Ward, curando, insieme a mia moglie, la traduzione e introducendo i suoi scritti su bambini e città. Lì dove l’anarchico inglese mostrava come il girare, l’esplorare, anche con la scuola – quando questa apre le sue mura verso il mondo – permette e sollecita un’idea di apprendimento ampia, complessa, ariosa… capace di piegare la città alla crescita e non viceversa.

Ancora oggi il nome di Colin si lega a una prospettiva di apprendimento come scoperta, migliore senso di sé; e di competenza, intesa in maniera ricca, variegata – che travalica gli steccati tra quel che è formale e quel che non lo è. E aiuta anche a mettere in forse l’idea di sviluppo qual è ora.

Il medesimo senso liberatorio che avevo sentito quando ho lavorato ai pensieri di Colin Ward l’ho provato qualche sabato fa. Quando ho presentato a Milano  il bellissimo libro di Emilio Rigatti: Se la scuola avesse le ruote. Si tratta della scrittura, con molte ispirazioni alte e forti esperienze ben coese con il pensiero, di un prof. friulano, ben noto nel mondo della bici, che da molti anni porta le classi di scuola media a ri-scoprire la sua e ogni altra disciplina, pedalando – da cui la pedalogia…
Libro da leggere davvero.
Perché:

1. parla in dettaglio dei “giri in giro” (categoria che mi è venuta in mente a me, leggendolo, presa da Bruce Chatwin) di ragazzini e insegnanti, d’accordo con genitori, fatti insieme con i ragazzini delle medie in bici – roba vera, dunque; e di come si prepara e di come evitare guai e di cosa arreca alla crescita del gruppo e di ognuno;
2. perché mostra che una scuola che va verso il mondo è possibile e anche quali sono i modi per renderla tale;
3. perché fa capire che il governo educativo dei tanti ragazzini così bistrattati dall’Italia adulta di oggi intanto è possibile se si fanno cose che abbiano valenza sia operativa che simbolica, forti, concrete, aperte alla scoperta insieme… Il contrario della stantìa scuola trasmissiva… E con ottimi risultati anche nelle competenze più tradizionali. Come sempre è stato per la buona scuola attiva.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sono stato in America con mio figlio...ha una sufficienza scarsa in inglese a scuola. andiamo in america e vedo che se la cava meglio di me e della mamma. Capisce, parla, non si spaventa quando non capisce. solo raramente si rassegna all'impotenza comunicativa. nei suoi tentativi non si mette mai scuorno d'essere rozzo, principiante. ma porta sempre a casa il risultato, non sbagliamo mai strada, mangiamo quello che avevamo deciso, conversiamo con la gente.

Ma dove ha imparato, penso? al computer, gioca on line con mezzo mondo e parla in inglese,si vede i telefilm in lingua originale parchè, dice, il doppiaggio fa schifo...è evidente e che incorpora giudizi e valori, che impara attraverso il gruppo dei pari, amici esperti o tramite fb, molto più che dalle prediche degli insegnanti vati.

E io là, che quando parlo leggere e scrivere me la cavo meglio di lui) devo applicare le mie conoscenze grammaticali e linguistiche alla situazione, con l'effetto spesso di cacagliare chiedendomi "ma come ca..o si dice? meglio "may" o "can"?

Esempio tipico di quanto si impari, e molto, più, che facendo il "programma". Esempio di quello che è una competenza: attivare tutte le proprie risorse, emotive sociali saperi informali e formali, per risolvere una situazione (lasciate perdere le coglionaggini che cercano disperatamente di ridurre le competenze a contenuti e a aggiunte al programma, a un altro capitolo dei libri di testo, qualcosa da insegnare trasferendola).

Ma le cose sono più complesse.

Qual è lo scarto tra la mente di mo figlio e la scuola? Lui,non solo con l'inglese, ha una mente operativa, proiettata alla soluzione dei problemi (setting e solving quasi coincidono), una mente immediata che non ha (quasi) bisogno dell'alfabeto prima dell'operazione (come l'alfabetizzazione della mente a stampa e come fa in gran parte la scuola), della teoria prima della pratica, dell’ idealtipo prima del situato.

Negare tutto questo è folle (in una scuola "importante" boicottano i ragazzi che vogliono fare l'intercultura perché "se no restano indietro col programma"). Epperò anche farne solo l'epinicio lo è altrettanto, e forse porsi questo problema cognitivo e organizzativo, quello di due menti, non di due contenuti, due menti fatte di emozioni e approcci cognitivi diversi, lontani, è una sfida lunga che si gioca fuori falle formulette delle tre "I" così come dalla difesa oltranzista di una scuola pubblica che ha perso molto del pubblico, che deve impegnarsi essa per prima in questa riflessione, senza occultarla per tattiche antiberlusconiane e per difendersi dall'angoscia, incarnata in mille forme diverse, di non essere all'altezza, rifugiandosi in un "quando c'era lui” (il Sapere). E per una scuola di tutti e di ciascuno, per una scuola includente, la sfida è ancora più complessa, perché il "divide" passa pure per l'informale, la separazione "di classe" riguarda pure il mondo delle esperienze (è lì che si accumulano informale e non formale). Valorizzare i saperi dei ragazzi? bella formula, ma che senso ha di fronte al fatto che mio figlio a 15 anni è stato in 4 continenti su 6 e un mio alunno al massimo “scende” a Napoli? e soprattutto quando si pensa che lo ha fatto perché abbiamo deciso di fare i debiti pur di farlo, non è quindi (solo) un problema di soldi, ma, appunto, di cultura e di saperi.

Entrate in un giardino di piante erbe fiori e computer e fate fare un PPT ai ragazzi e provate a vedere dove sta la differenza nei loro taglieincolla: sta nella colla, non nelle cose o negli effetti, sta nel repertorio culturale che consente di di selezionare, scegliere, assemblare, creare. Perciò la scuola deve intervenire anche costruendo esperienze significative per tutti (i viaggi di istruzione, che chiamerei di formazione, si lasciano a se stessi, a rassegnato rituale di bordello).
I digitali purpurei e nativi sono quasi sempre gli stessi, gli avvantaggiati.
salvatore

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