27 giugno, 2014

Diamo giudizi ma senza bocciare

Un mio contributo pubblicato su La Stampa del 26 giugno che prende spunto dal dibattito in corso in Francia sui voti e le bocciature.


Da qualche tempo la Francia s’interroga sui voti e sulle bocciature. Questo dibattito di oltralpe è utile anche a noi. Ci aiuta a guardare ai nostri punti di forza o di debolezza. E forse ci suggerisce qualche trasformazione già da tempo matura.
In Italia, come ovunque, sappiamo che bisogna raggiungere presto e bene le conoscenze irrinunciabili, ben descritte nelle indicazioni nazionali dove è detto cosa si deve sapere nelle diverse discipline in seconda, in quinta, in terza media e poi nelle diverse scuole superiori. Perciò, tutti sappiamo che ci vuole qualcuno – la maestra, il prof. – che ti dica: “guarda che questa cosa la sai ma quest’altra non la sai o la sai in parte e la devi e puoi apprendere”.
Il voto numerico è solo un modo, anche abbastanza grossolano, per fare questo. Il principio secondo il quale un adulto educatore vaglia, insieme al suo alunno o studente, le conoscenze e competenze non viene messo in discussione quando si discute del voto numerico. Né in Francia né qui. Quel che si discute oggi in Francia è un sistema centrato su conoscenze misurate solo con prove rigide, secondo scadenze ripetute in tempi non distesi, fin dalle classi elementari, con i docenti a fare medie aritmetiche estenuanti su ogni item di sapere, fino ai decimali e poi o bocciati o promossi. Il dibattito francese guarda finalmente alla possibilità, soprattutto per i più piccoli, di tempi e modi più distesi per favorire e misurare gli apprendimenti – cosa che noi abbiamo iniziato nel 1955.
La Francia, poi, si chiede se abbia senso spingere verso classi separate tutti i bambini in difficoltà (o perché appena arrivati da altri paesi o perché disabili o perché in una qualsiasi situazione di fragilità), dato che altri modelli - come quello italiano – integrano gli alunni con bisogni educativi speciali nella scuola ordinaria dal 1977, con buoni risultati per tutti - secondo l’OCSE.
I nostri vicini si stanno, infine, chiedendo, se la paura della bocciatura sia davvero la leva più utile per apprendere. E questo dibattito ci riguarda, eccome. Quasi tutte le scuole psico-pedagogiche – anche grazie a estese ricerche, ripetute nel tempo e in ogni cultura – pensano il contrario. Noi bocciamo i più piccoli molto di meno dei francesi: 0,2 % alla primaria, 4,3% alle medie. Ma – attenzione! - ancora l’11,8% alle superiori. E bocciamo soprattutto durante la crisi adolescenziale (15-16 anni) e nelle aree del Paese più povere e povere d’istruzione. E la maggior parte di chi viene bocciato entra a fare parte del 17,8% di ragazzi che ritroviamo a 25 anni senza diploma né qualifica professionale; che hanno rare occasioni di recuperare, che faranno lavori con bassi contenuti di sapere o rimarranno inoccupati, con grave danno per loro, per lo sviluppo economico che è fondato sulle conoscenze e per la coesione sociale.
La scuola deve essere più accogliente ma anche più rigorosa, avere percorsi per tutti ma superare gli eccessi di standardizzazione, favorire l’apprendimento laboratoriale rispetto a quello trasmissivo, fare i conti fino in fondo con il carattere permanente della rivoluzione tecnologica con cui i ragazzi si misurano in ogni momento eppure conservare anche modi di apprendere tradizionali.
Ma, detto ciò, non sarebbe meglio strutturare il sistema di conoscenze e competenze richieste per livelli, raggiungibili a scuola o anche dopo la fine della scuola senza dover per forza bocciare? Insomma, è possibile pensare – in Francia e in Italia - a una scuola che abbia un sistema di bilancio partecipativo e di rigorosa certificazione delle effettive competenze sulla base del quale Francesca o Françoise sanno a quale facoltà o programma di apprendimento successivo andare con quanto già sanno o a quale potere andare solo se recuperano quel che non sanno?
Ne vogliamo parlare anche noi?

1 commento:

mac67 ha detto...

Insegno matematica e fisica al liceo scientifico e saluterei con gioia la sostituzione di promozioni e bocciature con un sistema di certificazione finale dei livelli di conoscenze, abilità e competenze raggiunte, che condizioni gli studi futuri. Perché funzioni, però, c'è bisogno di una seria formazione dei docenti, che devono fare tabula rasa nella loro testa, altrimenti finiranno per dare sufficienze a tutti perché "tanto vanno avanti lo stesso". Il governo ha voglia e soldi per farlo?