
Non si tratta di una prospettiva semplice né già avviata alla quale dare una adesione o fare opposizione a scatola chiusa. Si tratta di uno scenario nuovo che ha in sé segni diversi. Infatti è del tutto evidente che, per un verso, l’unione tra i due partiti parla, a Napoli e in Campania, il linguaggio della tenuta e della stabilità tra due apparati muniti di appartenenza e di una folla di pratiche quotidiane oltre che di dei e di penati (il famoso pantheon) legati alla conservazione e alla mancata soluzione dei problemi connotativi della crisi del nostro territorio. Ma, al contempo, questo stesso processo annuncia, appunto, democrazia e promette di aprire davvero le porte alla partecipazione di cittadini che a quei partiti non hanno mai appartenuto, che non ne hanno a cuore le identità e i simboli e che vi portano, in libertà, i propri percorsi e le proprie personali icone, insieme ad esperienze di soluzione di problemi, dubbi, nuove competenze e ambizioni o di quegli iscritti che vogliono un radicale cambiamento. Da una parte si vuole consolidare la “muraglia di Gerico” con puntelli e terrapieni. Ma dall’altro si permette alle trombe di annunciare nuovi suoni che parlano di premio al merito, ricambio generazionale, più donne in posti chiave. Se, dunque, è vero che qui il Partito Democratico significa De Mita e Bassolino e, più che altrove, una separata e chiara duplice identità, ex-comunista e ex democristiana, conservatrice nel bene e nel male, e, in particolare, nella grande vocazione e competenza nel controllo degli assetti stabiliti, non è detto che tutto debba per forza tenersi ancora così. E nascono dubbi, nuove appartenenze, insperate possibilità mentre si rinnovano vecchie resistenze. Così gli apparati e gli appartenenti ai due partiti sono spinti, al contempo e non senza incertezze, fuori e dentro il proprio campo, a capire se davvero rimescolarsi con linfe nuove e in quali modi, in vista dei meccanismi elettorali per la costituente del PD o se, invece, salvaguardare coi denti le aggregazioni difensive, con le due anime e i relativi meccanismi di mediazione conservate, a custodia degli assetti di sempre, magari cambiando un po’ il linguaggio. E può accadere, come spesso è in questi casi, che quanto maggiori sono i fattori di rigidità nella conservazione tanto più incontrollabili e incombenti possono essere i processi innovativi. E le trombe che chiamano alla effettiva innovazione possono fare crollare le mura.
E questo moto incerto non avviene in un luogo di sostanziale buon governo e di rassicurante sviluppo o di avvio, sia pur faticoso, di un nuovo inizio dopo le elezioni vinte per la terza volta. Si annuncia, invece, nel bel mezzo di una città a economia stagnante e con i più alti tassi di povertà e la più larga forbice nelle differenze sociali, ancora coperta di rifiuti, paurosamente inquinata, senza piano strategico troppe volte annunciato, con i processi decisionali su Bagnoli o su Scampia o sul nuovo stadio tanto confusi quanto poco partecipativi, con le municipalità pomposamente avviate a centinaia di migliaia di euro spesi ma senza poteri reali trasferiti, con le nomine che avvengono in modi non più tollerabili, con le donne fuori dal consiglio comunale ecc. Sono cose che non sono avvenute fuori dai due partiti che ora si uniscono e promettono altro. Perciò: sono tutti temi della cittadinanza – propri della nuova identità potenziale del Partito Democratico annunciata a Firenze e a Cinecittà – aperti come altrettante ferite. Tali temi – il come li si affronta in modi nuovi – diventeranno dirimenti per il carattere effettivo, reale del PD. Sono altrettante “messe alla prova”. E gli occhi di tanti cittadini, dei giovani stanno già guardando proprio questo.
E’ evidente, dunque, che la promessa annunciata di poter fare parte di un luogo politico nuovo da un lato non può avvenire per cooptazioni controllate ma invece per pacifica invasione atta a plasmarne programmi e azioni; dall’altro lato non può avvenire su una astratta adesione a un riformismo generico ma proprio sul piano della inversione di rotta per la salvezza della città in cui si vive. Questa incontrovertibile evidenza, dunque, segna l’agenda politica e la sfida del nuovo partito: esso intanto sarà democratico quanto più saprà spalancare le porte ai cittadini non sul tema pre-moderno della identità né su quello della conservazione di vecchi metodi e potentati ma su proposte innovative, costruite con esperti, cittadini, associazioni, sui nodi critici della vita a Napoli. E’ su questo piano che si gioca il carattere democratico effettivo del nuovo partito e il ricambio di classe dirigente. Se ciò avrà avvio nelle prossime settimane anche le altre aggregazioni – quelle a sinistra e quelle dell’opposizione di destra, i socialisti e i radicali – saranno forse spronate alle trasformazioni annunciate e dunque a competere nelle proposte utili alla città e utilmente alternative. E crescerà una migliore politica a cui fa piacere partecipare. Se ciò non avverrà diminuiranno ancora le possibilità per Napoli di invertire il destino di declino, si chiuderà di nuovo la finestra delle speranze e per tanti rimarrà l’impegno civile ma la politica organizzata resterà lontana.